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Autore: chicca2501    31/03/2015    3 recensioni
Paring: Leonetta, Diecesca, Naxi e Fedemilla.
Dal testo: "Era una brutta giornata, brutta ma adatta a quello che stava per accadere. Le nuvole grigie nascondevano il cielo e il sole, mentre le tenebre stavano cominciando a invadere la pianura ghiacciata.
Tra gli spuntoni di roccia calcarea e di detriti inumiditi dal ghiaccio, la folla si stava accalcando verso un piccolo palchetto di legno fatto alla bell’e meglio che si reggeva a stento.
Sopra quella piattaforma c’era una ragazza slanciata, dal fisico magro e dai capelli lunghi e rossi e con gli occhi castani, i quali scrutavano tutte quelle persone ammassate lì solo per vedere lei, la grande Camilla Torres. "
Un'isola perduta in un mondo caratterizzato da guerre e carestie.
Un popolo magico in attesa di essere liberato.
Un capo dei ribelli pronto a tutto.
Quattro ragazzi diversi, ma uniti da un grande potere.
Amori che superano ogni confine del tempo e dello spazio.
I quattro elementi faranno tremare il suolo.
Acqua, fuoco, terra e aria si dovran temere!
C'è una terra da salvare,
Una battaglia da affrontare.
And I'LL WIN!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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~~12

Spiriti

Il sole stava tramontando, illuminando con i suoi ultimi raggi il cielo, dipingendolo di un rosso vermiglio che ben si amalgamava con l’arancione acceso, creando così uno spettacolo mozzafiato.
Violetta stava rimirando proprio questa distesa di colori, seduta a gambe incrociate sulla terra nuda. Aveva bisogno di un po’ di riposo e guardare il sole che salutava il mondo prima di “andare a dormire” la calmava sempre.
I tramonti, però, erano diversi ad Atlantide: i colori erano più accesi, il sole sembrava più grande e dava l’impressione che procedesse più lentamente, quasi non avesse voglia di lasciare spazio alla luna, di cui si intravedeva l’ombra.
La ragazza fece un respiro profondo: tra poco sarebbe arrivata la notte e con essa i turni di guardia, il costante senso di pericolo e la sensazione che l’indomani tutto andrà storto. Non che di giorno cambiasse qualcosa, sia chiaro.
Ormai erano in marcia da più o meno una settimana, e tutti i ribelli rimpiangevano la pianura terrosa in cui avevano stabilito il loro accampamento precedente.
Adesso, invece, si camminava fino al tramonto, in silenzio, con pause brevi e destinate solamente ai pasti o ai bisogni igienici e anche quelli solo se urgenti.
Stavano fiancheggiando il fianco di una montagna, e, già dal primo giorno, avevano dovuto fare i conti con i vari ostacoli del viaggio: insetti, animali feroci, un albero caduto, un fiume dalle acque particolarmente impetuose e infestate da coccodrilli…
Violetta credeva di essere allenata, d’altronde nel suo mondo era una delle atlete più rinomate della scuola, ma, a quanto pare, l’allenamento di pallacanestro giornaliero non bastava.
Si sdraiò, continuando a fissare il cielo, che si scuriva sempre di più. Sentì una mano che le sfiorava una spalla; si girò, aspettandosi di vedere i due occhi verdi che tanto amava, ma quello dietro di lei non era Leon, ma Diego.
La bionda non poté fare a meno di provare un po’ di delusione, nonostante non avesse parlato molto con il suo migliore amico da quando erano finiti ad Atlantide.
- Ehi. – la salutò il ragazzo, stendendosi al suo fianco.
- Ehi. – rispose al saluto lei, voltandosi a guardarlo. Anche l’altro si girò e sorrise mentre allungava una mano e le scompigliava i capelli. Quanto era mancato a entrambi quel gesto, un simbolo di amicizia e normalità al tempo stesso.
- Vedo che i tramonti ti calmano ancora. – proseguì il moro, guardando l’amica di sottecchi. Quest’ultima annuì e emise un sospiro.
- Come ti sembra il viaggio? – si vedeva che la domanda era stata fatta più per rompere quel pesante silenzio creatosi tra di loro che per vera curiosità, ma Violetta apprezzò comunque quell’iniziativa.
- Più faticoso di quanto immaginassi. – ammise. Ovviamente non si aspettava una gita tranquilla in campagna fatta di pic-nic e passeggiate in campagna, ma pensava di poter reggere.
 - Wow, dove è finita la Violetta super allenata che si vantava della sua resistenza e della sua resistenza? – quella domanda detta con un tono sarcastico fece sorridere la ragazza.
- È sparita appena siamo arrivati qui. – nonostante ostentasse un portamento allegro e vivace, non poté nascondere una punta di malinconia nella voce.
- Già. – Diego sentì di nuovo la tensione che cresceva e cercò di disfarsene. – Ma dal nostro arrivo sei migliorata molto, e questo solo grazie a te e alla tua determinazione. Detto questo le sfiorò la guancia con una mano.
- No, non ho fatto tutto da sola. Leon mi ha aiutato. – a quelle parole, il ragazzo sentì una fitta al petto, anche se non sapeva cosa l’avesse causata.
- Oh, menomale. Ti sta simpatico? –
- Molto, è un ragazzo speciale. Sai, poverino, ha avuto un’infanzia difficile e non va fiero delle sue origini, quindi… -
- Ti piace? – Diego si pentì subito di aver posto questa domanda. Chissà come poteva sembrare agli occhi di Violetta. La ragazza arrossì, voltando lo sguardo per nascondere le guance in fiamme.
- No. – mormorò. Si corresse subito dopo, davanti allo sguardo eloquente dell’amico: - Ok, forse un pochino. –
Il ragazzo strinse forte i pugni per impedirsi di dire qualcosa di compromettente. – Oh. – disse solamente.
Guardò con sguardo furente la bionda, la quale aveva rivolto l’attenzione al cielo. Doveva sbrigarsi o tutto sarebbe andato a rotoli.

Francesca non riusciva a dormire. Si girava e rigirava nel suo sacco a pelo scuro, ma il sonno non veniva. Eppure era stanca, per non dire stravolta.
Chiuse ancora una volta gli occhi, sperando nella venuta dell’oblio, ma esso si ostinò a non raggiungerla.
Sbuffò e si alzò, scocciata; il giorno dopo, probabilmente, sarebbe svenuta per la stanchezza e avrebbe causato ulteriori problemi, su questo ci metteva la mano sul fuoco.
D’altronde, cos’era lei, se non un intralcio? Una ragazza spaurita che acquisiva coraggio solo quando era veramente in pericolo e che veniva considerata più importante di quello che era in realtà. Si immaginava il giorno in cui tutti avrebbero scoperto che non sapeva usare i suoi poteri, e vedeva soltanto delusione e derisione.
Scosse la testa, cercando di mandare via i brutti pensieri che le infestavano la mente e si avvicinò al falò, ormai quasi spento.
Si chinò sulle braci morenti, cercando di riscaldarsi un poco le mani intirizzite per il freddo.
All’improvviso, sentì un fruscio alle sue spalle, un lieve rumore che la fece sobbalzare; proveniva da un gruppo di abeti alla sua destra. Si alzò lentamente e si avviò verso gli alberi con circospezione. 
Continuò ad avanzare, mentre l’oscurità si faceva sempre più densa, avvolgendola come fosse una coperta. Sentiva il freddo pungerle la pelle, i rami graffiarle le mani e il viso.
Intanto il bosco sembrava allargarsi, gli alberi crescevano e i loro rami parevano lunghi artigli pronti a ghermirla nella loro morsa crudele. Il cuore iniziò a batterle all’impazzata davanti a quella visione, ma una parte della sua testa che non si era ancora resa al sonno credeva che tutto questo fosse solo frutto della sua immaginazione, resa ancora più vivida dalla stanchezza, e le intimò di ritornare all’accampamento, dai suoi amici.
La ragazza prese un bel respiro profondo e si voltò, ma vide, con sua grande sorpresa, che dove prima credeva ci fosse un masso coperto di muschio, c’era un abete esattamente identico agli altri. Il cuore ricominciò a cercare di sfondarle il petto con il suo rullare e un nodo alla gola le bloccò la respirazione, costringendola ad inspirare con la bocca.
Si avvicinò all’albero appena comparso, mentre lì vicino cercava segni del suo passaggio che le potessero indicare quale strada aveva preso per arrivare in quel punto indistinto del boschetto. Ma, con l’arrivo della nuova, gigantesca pianta, tutte le tracce che poteva aver prodotto, sembravano scomparse.
Francesca si sedette, appoggiandosi al tronco, lasciando finalmente che il panico prendesse il sopravvento; non si accorsi di due occhi gialli che la fissavano crudeli alle sue spalle.

- Allora, qual è la prossima tappa? – domandò Leon, togliendosi la camicia e rimanendo a torso nudo. Camilla lo degnò appena di uno sguardo: nonostante il fisico del ragazzo fosse uno dei migliori, ormai lo conosceva da troppo tempo per poter cedere alla lussuria che poteva dare quel corpo a molte ragazze.
- Credo il Pozzo delle Perdite. – rispose, continuando a fissare la mappa posata sulle sue ginocchia.
- Che bel nome. Probabilmente si tratta di una festa in maschera. – commentò il ragazzo in tono sarcastico.
La rossa sorrise, continuando a fissare la mappa: le sue dita lunghe e affusolate sfioravano lievemente quel pezzo di carta e ne percorrevano i percorsi, strette linee bianche che si intrecciavano tra loro su uno sfondo marrone e che percorrevano luoghi sia conosciuti e rinomati, sia inesplorati e pronti alla conquista.
Con l’unghia seguì un sentiero più stretto degli altri che si inerpicava su una catena montuosa e che finiva dall’altra parte, dove era disegnato nel modo più accurato possibile un pozzo dai colori indefiniti.
La sua mente incominciò a vagare, a immaginare quel luogo che era sulla bocca di tutti ma dal quale pochi erano tornati vivi. Un guizzo di paura si fece largo tra i suoi pensieri, riportandola alla realtà, riscuotendola dalle sue avventurose fantasie.
E se quel posto fosse stato un pericolo per la sua gente? Come potevano sopravvivere se non ci erano riusciti neanche i guerrieri più forti? Con questo non intendeva che i suoi non fossero uomini valorosi, ma non erano pronti ad affrontare il genere disfide che va oltre la semplice battaglia.
- A cosa stai pensando? – la voce di Leon le fece fare un salto, riscuotendola dal torpore in cui le sue riflessioni l’avevano trascinata.
- Questo posto, il Pozzo delle Perdite, è un luogo molto pericoloso, e io non so… -
- Non sai come faranno gli altri a superarlo. – la interruppe il ragazzo, facendola annuire.
- Non esiste un altro percorso? – Camilla scosse la testa, sconsolata; quello era l’unico modo per arrivare alla Fonte, purtroppo.
Il mezzo satiro si mise a percorrere la tenda avanti e indietro, la testa china, con fare riflessivo. Ad un certo punto, alzò il capo di scatto, una scintilla negli occhi, la scintilla di qualcuno con un’idea.
- E se non andassimo? – allo sguardo confuso dell’amica cercò di spiegarsi meglio: - Volevo dire: e se non andassimo tutti? Potremmo andare in avanscoperta io, te, i Quattro e un paio dei soldati migliori, per vedere come procedere. -
Il capo dei ribelli ci pensò un po’: - E se nessuno di noi tornasse vivo? –
- In tal caso, eleggeremo uno che possa sostituirci durante la nostra assenza e che, se non tornassimo entro ventiquattro ore, diventerebbe il nuovo capo.
- E io so già chi nominare. – disse Camilla, lanciando un’occhiata d’intesa a Leon, che subito sorrise, avendo capito le sue intenzioni.
- Maxi. – l’altra annuì.
- Maxi. – ripeté. Non fecero in tempo a dire altro che nella tenda entrarono un affannato Diego e una spaventata Violetta.
- Cosa succede, ragazzi? – domandò la rossa, incuriosita e preoccupata al tempo stesso per quella incursione.
All’inizio i ragazzi non risposero, troppo stanchi per farlo. Entrambi avevano uno strano sguardo un misto di spossatezza e sconforto, quello sguardo che Camilla aveva avuto per molto tempo dopo la morte del padre.
Dopo che entrambi si furono seduti e rinfrescati bevendo dell’acqua, sotto incitazione delle due autorità dell’accampamento, Violetta riuscì a mormorare: - Francesca è scomparsa. –

Francesca si prese il viso tra le mani, mentre il panico cresceva. Sapeva già come funzionava, aveva già avuto più volte quell’esperienza, nella sua vecchia vita da prigioniera: la sensazione di paura prima strisciava dentro di te, silenziosa; poi ti invadeva l’anima, lentamente, assaporando il tuo coraggio e distruggendolo; infine, si impossessava definitivamente del tuo corpo, rendendoti vulnerabile.
Era così che si sentiva, vulnerabile; come quando era piccola, una bambina debole, che non si sarebbe mai abituata alla vita del carcere, che piangeva per un nonnulla.
Chiuse gli occhi per evitare che le lacrime fuggissero dai suoi occhi, ormai pieni di esse, anche se sapeva che quella protezione sarebbe durata poco; infatti, qualche istante dopo sentì le così familiari goccioline salate scivolarle giù per la guancia, sfiorarle l’angolo della bocca.
Si era così abituata al loro tocco che si accorse immediatamente quando il tragitto di una venne fermato bruscamente poco più sopra della curva del labbro superiore. Era un tocco lieve, quasi impalpabile, che fece sollevare di scatto il volto alla ragazza.
All’inizio non riuscì a vedere esattamente di cosa si trattava, la vista offuscata dalle lacrime, ma quando finalmente ci riuscì il cuore perse un battito, il respiro divenne affannoso, le mani iniziarono a tremare, guidate da un fremito incontrollabile: davanti a lei c’era Luca.
La mora deglutì rumorosamente, non riuscendo a credere che suo fratello fosse veramente di fronte a lei. – Luca…. – riuscì a mormorare. Il ragazzo sorrise, e in quel gesto ci infuse una dolcezza infinita, materna, che fece sciogliere il cuore all’altra.
- Luca… - ripeté, scostandosi una ciocca di capelli sudati dalla fronte.
- Si, sono io, Fran. – disse il più grande, sempre sorridendo. Francesca represse l’impulso di gettargli le braccia al collo.
- Non mi aspettavo di rivederti. – era la verità, credeva che fosse morto, ormai aveva perso le speranze, e rivederlo li vicino a lei le fece credere per un secondo che i miracoli esistessero. Solo per un secondo, però. C’erano molte domande che le ronzavano in testa, piccoli insetti dispettosi che fecero vacillare le sue sicurezze: come era finito in quel mondo? Come aveva fatto a sopravvivere? Per caso era stato aiutato?
- Lo so, sorellina, ma non ti devi preoccupare. Io sono qui e ti prometto che non ti lascerò mai più. – detto questo, le tese la mano, invitandola ad alzarsi con lo sguardo.
Lei, però non si mosse, e, nonostante la sua espressione non fosse mutata, la ragazza notò il fastidio nella sua postura e nei suoi gesti.
Non sapeva perché lo aveva respinto, era Luca, ed era uguale a quando lo aveva lasciato….
Fu proprio questo che fece capire a Francesca il perché il suo cervello le suggerisse di non fidarsi di quell’apparizione: se fosse stato veramente suo fratello, ora avrebbe avuto i vestiti laceri, il viso sporco e sarebbe stato sorpreso quanto lei; invece era esattamente uguale a lui, i capelli perfetti e il vestito nuovo che gli avevano dato prima di uscire dalla prigione, e non sembrava affatto stupito che la sorella fosse li.
Balzò in piedi. –Tu non sei Luca. – sibilò.
Il viso del fratello si contorse in una smorfia, ma non di dolore o di delusione, piuttosto sembrava semplicemente contrariato. – Vedo che qui qualcuno ha tirato fuori le unghie. – la smorfia venne sostituita da un ghigno crudele.
Un vortice grigio avvolse il suo corpo e appena sparì, Luca non c’era più: al suo posto c’era una sagoma nera come l’oscurità più profonda dell’Inferno, con al centro due piccoli fari che sembravano occhi luccicanti.
La ragazza arretrò di un passo. – Chi sei? – chiese. Quella sottospecie di ombra scoppiò in una fragorosa risata; aveva una voce profonda e baritonale.
- Non so perché dovrei risponderti. – disse, facendo luccicare ancora di più gli occhi.
- Perché… perché sono una dei Quattro. – non avrebbe dovuto farlo. La sagoma si mise a girarle intorno, sospettoso. – Una dei Quattro? – domandò poco dopo – Tu? – il tono in cui aveva pronunciato quella parola era derisorio e Francesca sentì una fitta di dolore e rabbia insidiarsi nel suo cuore spaventato.
- Si. – affermò con forza – Si, sono una dei Quattro, e i miei amici non sono lontani, mi verranno a prendere e ti rimanderanno all’Inferno. – sputò quella frase con un disprezzo che non credeva le appartenesse, e per un attimo si sentì forte, potente; ma quella sensazione non durò a lungo, subito dopo era tornata terrorizzata e pentita di quello che aveva detto.
- Di sicuro non hai mai visto l’Inferno, ragazzina. – sibilò l’ombra. – Perché allora capiresti… che ci sei dentro. –
Allargò le lunghe braccia color della notte e dall’oscurità uscirono altri suoi simili, tante, troppe sagome nere che si avvicinavano inesorabilmente alla ragazza, la cui paura cresceva sempre di più, divorandola.
Sperò che gli altri arrivassero presto.

Correvano veloci nel bosco, seguendo una traccia invisibile, guidati dai cani, che con il loro olfatto li stavano conducendo verso la meta.
I loro passi risuonavano rumorosamente sul terreno duro, ma non importava. Ognuno di loro portava un’arma legata alla cintura o in spalla, pronti ad ogni evenienza.
All’improvviso, un grido, uno strillo acuto e penetrante, inesorabile. Cambiarono immediatamente direzione, seguendo la fonte di quell’urlo.
Arrivarono improvvisamente, ma di tutto si aspettavano tranne quello che videro: Francesca era tra le braccia di una grande ombra scura, i cui occhi brillavano nella notte. Accanto a lui, i suoi seguaci. – Spiriti Tamahai. – sussurrò Leon, sfoderando la spada.
- Vedo che qualcuno ci ha riconosciuto. – disse colui che teneva prigioniera la ragazza. – Sono questi gli amici di cui tanto invocavi l’aiuto? – domandò infine a quest’ultima, ormai mezzo svenuta.
- Francesca, trattieni il respiro, tra poco sarai libera. – urlò Camilla, ricordandosi che l’odore degli spiriti Tamahai aveva il potere di inebriare le loro vittime e portarle ad un sonno senza ritorno.
- E come la salverete? – chiese lo spirito – Con quelle insulse armi umane?! – lui e i suoi compari scoppiarono a ridere, levando le loro voci spettrali verso il cielo, come un canto alla luna.
- Lo sai che non potete sconfiggerci. – a parlare non il capo, ma un altro Tamahai, che si avvicinò alla rossa. – Vediamo come sei coraggiosa. –
Camilla chiuse gli occhi per impedirsi di guardare, consapevole di quello che l’aspettava, ma l’impulso di vedere quello che stava accadendo glieli fece riaprire.
Per poco non si mise a piangere: davanti a lei, impettito e allegro, c’era suo padre. Le sorrideva con il suo solito sorrisetto sghembo, da furfante, che mal si addiceva alla sua personalità. Accanto a lui c’era sua madre, i capelli rossi che le ricadevano in morbidi riccioli rossi sulla fronte e sulle spalle; teneva in braccio un bambino di circa cinque anni, con i capelli neri del padre e gli occhi vispi, caratteristica della famiglia Torres.
- Papà. Mamma. Seba. – mormorò, dimenticandosi chi era veramente l’uomo di fronte a lei, ignorando completamente le voci degli amici.
Vedendo il successo del loro compagno, le altre ombre si avventarono sui nemici, pronti ad annientarli. Tutti provarono a resistere all’impulso di cadere in quel dannato tranello, alcuni iniziarono anche a piangere, commossi da quell’improvvisa visione.
Solo Diego stava ritto davanti allo spirito Tamahai, che invano cercava di abbindolarlo. Lui non ci cascava, non poteva e non voleva cedere a quella trappola; dietro di essa vedeva Francesca tra gli arti del capo delle creature che, a poco a poco, perdeva conoscenza, non riuscendo più a trattenere il respiro.
Il viso del ragazzo divenne una maschera di rabbia, gli occhi fiammeggiavano, i muscoli erano tesi, la posizione era quella d’attacco. Con un grido si avventò sull’ombra, che lo scansò facilmente; quest’ultima rise, deridendolo; come per ribattere, Diego ghignò, indicando con un ampio gesto della mano lo spiazzo intorno a se: tutti si erano risvegliati, avevano ripreso piena coscienza di se stessi, o quasi. Anche Francesca sembrò sfuggire a quel torpore, riuscendo finalmente a liberarsi dalla possente stretta dello spirito che la bloccava e che aveva abbandonato la presa per lo stupore.
Appena finì a terra, sentì delle forti braccia che la tiravano verso l’alto, per aiutarla a rialzarsi; si ritrovò pochi istanti dopo contro il petto di Casal, che la strinse contro di esso, accarezzandole la schiena dolcemente. Non si accorse nemmeno di quello che stava facendo, nessuno lo fece, nemmeno l’italiana, impegnata a riprendersi dalla caduta e inebriata dal profumo del giovane.
Intorno a loro si sentivano rumori, ma non quelli di una normale battaglia: questi erano più sibilanti, soffi di vento che risuonavano nell’aria con un debole eco.
Un sibilo più forte degli altri li fece girare: Ludmilla stava estinguendo l’ultimo spirito con una palla di fuoco; la mora si accorse che era quello che l’aveva catturata.
- Morirete tutti! – stava urlando.
- I Sarchatan non potranno fare niente. – ribatté con voce fredda Camilla.
- Ma non saranno loro a uccidervi. Sarete voi stessi. – furono le ultime parole che pronunciò prima di essere completamente consumato dalle fiamme.

Ritornarono al campo, stremati, ricoperti da una patina di sudore misto a terra color ocra, ma non c’era tempo per lavarsi. Vennero tutti chiamati nella tenda del capo per discutere dell’accaduto; nonostante fosse ancora molto scossa dalla vista che lo spirito le aveva procurato, Camilla riuscì a fare un discorso completo e stabile, in modo che tutti i convocati alla sua presenza potessero capire i suoi dubbi e le sue preoccupazioni, che, da quanto le sembrava, erano anche le loro.
La prima della lista era costituita da quello che aveva il capo dei Tamahai, che all’inizio le era sembrata una sciocchezza, una stupidaggine campata per aria prima di ritornare all’Inferno. Ma, durante il tragitto di ritorno, ci aveva riflettuto attentamente e più ci pensava più credeva che quelle parole avessero un significato ben preciso.
Lo stava spiegando in quel momento agli altri, i quali cercavano di ascoltarla, nonostante le loro palpebre cadessero sotto il dolce peso del sonno.
Finito di parlare, la ragazza fissò gli altri, cercando una risposta o una qualunque reazione; purtroppo, quello che ricevette non furono tesi concrete, ma solo ipotesi borbottate e qualche volta interrotte da un sonoro sbadiglio.
La rossa scosse la testa: non si poteva fare una riunione in questo stato, dovevano riprendere il giorno dopo quella conversazione.
Così, congedò tutti, mentre una fitta di delusione la prendeva allo stomaco; stava dando le spalle all’uscita della tenda, quindi non si accorse che qualcuno era rimasto dentro. Erano in due: il più alto le toccò la spalla, facendola girare.
- Leon, Maxi, che ci fate qui? – domandò, scocciata ma al tempo stesso sollevata.
- Volevamo chiederti una cosa. – iniziò Maxi, abbassando leggermente lo sguardo, al contrario di Leon, che la guardò dritta negli occhi, scrutandola con le sue grandi iridi verdi. Fu lui a porre il quesito: - Chi è Seba? –

Diego sospirò, alzando la testa al cielo. Lui e Francesca erano appena usciti dalla tenda, ma, invece di tornare ai loro alloggi, avevano deciso di fare una passeggiata; o meglio, lei lo aveva deciso, e lui si era offerto di accompagnarla, nonostante il rifiuto iniziale della ragazza.
La guardò di sottecchi: anche con i capelli spettinati e gli occhi rossi era meravigliosa, la più bella ragazza che avesse mai visto. Peccato che quella bellezza fosse sminuita, anche se di poco, da un broncio.
- Cosa succede? – le sussurrò ad un orecchio, avvicinandosi.
- Niente. – rispose immediatamente l’altra. Il ragazzo sbuffò, lanciandole un’occhiata obliqua. – Non ti credo. – sentenziò.
- È che non voglio metterti in imbarazzo. – ammise la mora, arrossendo. Fu fermata prontamente da Diego, che la costrinse a guardarlo dritto negli occhi.
- Tu non puoi mettermi in imbarazzo. – mormorò, sollevandole il mento con delicatezza. La ragazza distolse lo sguardo, nonostante si fossero confidati e addirittura baciati, non sapeva quali cose potevano ferirlo o imbarazzarlo, e non voleva che succedesse, non voleva rovinare quel rapporto. Vedeva l’insistenza e una soffocata curiosità nei suoi occhi, nei suoi gesti, ma non desiderava ripagare queste emozioni con qualcosa che magari avrebbe troncato la loro affinità e lo avrebbe fatto andare via.
- Sul serio, è una cosa da niente, non c’è bisogno che tu… - provò a protestare, ma venne subito interrotta: - Invece si. Secondo me non è proprio una cosa da niente. –
In teoria lo era, ma per gli altri, per il mondo che li circondava, mentre, per quanto la riguardava, era un quesito che chiedeva incessantemente risposta.
Rivolse un’occhiataccia al ragazzo e sospirò: - Tu non ti arrendi mai, eh? –
- No, mai, soprattutto quando si tratta di cose che riguardano me e le persone a cui tengo. – l’aveva detto con un mezzo sorriso, ma il tono era serio.
- Va bene. – accettò l’italiana, dopo qualche attimo di silenzio. – Ma poi non dire che non ti avevo avvisato. –
- Me ne ricorderò. – Francesca scosse la testa, ma infine pose la domanda: - Quando le ombre ci stavano attaccando, tu non hai visto nulla. Io lo so, me l’hanno detto, che gli spiriti Tamahai riflettono quello che tu vuoi di più. Perché con te non è successo? – chinò subito il capo, le guance rosse. Alzò solo di poco gli occhi per poter confermare quello di cui era certa: anche Diego era arrossito e si era portato una mano dietro la nuca.
- Lo vedi? – la voce della ragazza era tesa, e i suoi gesti denotavano imbarazzo.
- No, no, tranquilla. – cercò di spiegare. – Io… io ho visto qualcosa. Il modo per salvarti. – l’altra aggrottò la fronte a quelle parole.
- Nel senso, – continuò il ragazzo – nel senso che la cosa che più volevo era liberarti dalle grinfie di quei mostri. È… è per questo che ho saputo risvegliare gli altri dall’ipnosi. – questa volta fu il suo turno di abbassare lo sguardo, e questa volta toccò all’italiana sollevargli il mento con il pollice e l’indice. – Grazie. – sussurrò. Poi, fece la cosa che più le sembrava naturale: poggiò le labbra su quelle di Casal. Quest’ultimo all’inizio fu sorpreso da questa sua iniziativa, ma fu per poco; poggiò le mani sui fianchi perfetti della ragazza, stringendola di più a se, per poi circondarle la vita con le sue forti braccia. Lei, d’altro canto, allungò le braccia, infilando una mano tra quei capelli setosi e posando l’altra sulla nuca, assecondando i movimenti del partner.
Il suo naso, la sua bocca erano invasi di quel profumo alla cannella che lo caratterizzava, che la inebriava e la spingeva a desiderare sempre di più quel contatto. Lui invece non riusciva a pensare a qualcosa se non a quanto fosse morbida la bocca della ragazza e a quanto fossero delicati e aggraziati i suoi tocchi. Erano così presi da quel magico momento che non si accorsero che, da lontano, qualcuno li osservava.


Angolo dell’autrice: Buona sera! Ok sono le 15.00 ma pazienza, io non ho la concezione del tempo! Non credo di esservi mancata durante questo mio periodo di assenza. Ho notato che lo scorso capitolo ha avuto solo una recensione. Non credetemi offesa o qualcosa del genere, per carità, ma credo che, dopo il ritardo di un mese per uno degli scorsi capitoli, credo che la storia non sia più apprezzata, peccato… Io continuerò comunque a scrivere, speriamo bene XD.
Comunque, questo capitolo è dedicato prevalentemente a Francesca e alla Diecesca *super occhi a cuoricino* Spero che sia stato di vostro gradimento. Poi ho voluto far parlare un po’ Diego e Vilu, sono migliori amici e non si considerano da miliardi di anni. Cosa pensate degli spiriti Tamahai? Per idearli mi sono ispirata all’ombra di Peter Pan in Once Upon A Time (perché io non mi fisso con le cose, noooo).
Va beh, spero che il capitolo vi sia piaciuto, accetto anche critiche e consigli.
Un bacione da Chicca2501.

   
 
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