Giochi di Ruolo > Dolce Flirt
Segui la storia  |       
Autore: BlueButterfly93    31/03/2015    7 recensioni
(REVISIONE STORIA COMPLETATA)
MIKI: ragazza che, come il passato le ha insegnato, indossa ogni giorno la maschera della perfezione; minigonna e tacchi a spillo. È irraggiungibile, contro gli uomini e l'amore. Pensa di non essere in grado di provare sentimenti, perché infondo non sa neanche cosa siano. Ma sarà il trasferimento in un altro Stato a mettere tutta la sua vita in discussione. Già da quando salirà sull'aereo per Parigi, l'incontro con il ragazzo dai capelli rossi le stravolgerà l'esistenza e non le farà più dormire sogni tranquilli.
CASTIEL: ragazzo apatico, arrogante, sfacciato, menefreghista ma infondo solamente deluso e ferito da un'infanzia trascorsa in solitudine, e da una storia che ha segnato profondamente gli anni della sua adolescenza. Sarà l'incontro con la ragazza dai capelli ramati a far sorgere in lui il dubbio di possedere ancora un cuore capace di battere per qualcuno, e non solo..
-
Lo scontro di due mondi apparentemente opposti, ma in fondo incredibilmente simili. Le facce di una medaglia, l'odio e l'amore, che sotto sotto finiranno per completarsi a vicenda.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Ubriaca d'amore, ti odio!'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 21

Mezze verità, forse!







CASTIEL<3: Miki vieni tra 15 minuti a casa mia, sola. Devo parlarti!

Un messaggio. Un unico, solo e maledetto messaggio era bastato per scatenare in me un turbinio di emozioni contrastanti tra loro. Appena gli occhi si erano posati sulla prima lettera riposta sullo schermo, il cuore mi era fuoriuscito dal petto ad aveva cominciato a viaggiare in un posto a me ignoto. Era bastata solamente una C, la terza lettera dell'alfabeto, per provocarmi tutto questo. Lo ritenni grave, sin troppo. E non ebbi neanche bisogno di leggere le lettere restanti di quel nome per capire chi fosse il mittente della comunicazione misteriosa, quello era divenuto automatico. Quando poi nei millesimi di secondo successivi ne avevo letto il contenuto, la cellula dai capelli rossi sempre presente dentro il mio corpo, aveva ricominciato a prendersi gioco di me. Erano stati pochi i secondi di distacco dall'ultimo pensiero rivolto a lui all'arrivo del messaggio.

La cellula rossa voleva a tutti i costi vincere la battaglia con la mia coscienza.. Sapevo che Castiel fosse il ragazzo sbagliato, ma non riuscivo ad ignorarlo, neanche quando mi ci mettevo d'impegno.

Ero distrutta, combattuta. La coscienza continuava a chiedersi: "Vale la pena correre da lui? Forse ti deluderà di nuovo, forse ti riempirà di parolacce, forse...". Ma ad interrompere il buonsenso era arrivata lei, la cellula rossa che in un baleno mi riempì di forse positivi. "Forse vorrà darti buone notizie, forse ha voglia di vederti, forse vuole baciarti..."

Non sapevo chi ascoltare, non sapevo cosa fare... Dalla disperazione posai le mani sulle tempie, poi indietreggiai le dita e cominciai a tirarmi delicatamente i capelli. Se non avessi provato dolore, forse, quel messaggio sarebbe potuto esser stato frutto della mia immaginazione, forse stavo sognando, non ero obbligata a scegliere, forse...

«Ahi! Cazzo...» imprecai.

Avevo sentito dolore nel gesto disperato di strapparmi quasi i capelli dalla testa, così capii fosse tutto vero, quel messaggio era arrivato realmente. Mi abbandonai contro le pareti di quel bagno freddo e scivolai sul pavimento. Allungai le gambe e alzai la testa al cielo. Guardando il soffitto bianco forse avrei potuto avere qualche risposta sensata. Ma niente. Provai poi a prendere nuovamente il cellulare..

Senza motivo o volontà alcuna, digitai su google "sinonimi di sbagliato". E dopo un solo battito di ciglia eccomi accontentata:

Sinonimi trovati: errato, fallace, impreciso, improduttivo, inadatto, inesatto, inutile, irregolare, sballato, scorretto, storto, cattivo, falso.

Avevo trovato tredici sinonimi e la mia attrazione verso Castiel era esattamente come tutti questi.

Era errata come una domanda a risposta multipla sbarrata male.

Era fallace come una norma giuridica con lacune.

Era imprecisa come un pacco di biscotti senza scadenza.

Era improduttivo come un animale sterile.

Era inadatta come la Sirenetta fuori dall'acqua.

Era inesatto come un test di gravidanza acquistato in un negozio dell'usato.

Era inutile come una ciliegina sulla pasta.

Era irregolare come gli autobus italiani.

Era sballato come il ciclo mestruale nei mesi di stress.

Era scorretto come un arbitro a favore di una delle due squadre.

Era storta come la torre di Pisa.

Era cattivo come gli antagonisti della Marvel.

Era falsa come l'imitazione di una borsa DeG.

Ma tutte le metafore del mondo non sarebbero servite, perlomeno non quella sera. La forza d'attrazione verso la cellula rossa era più forte di me ed era più forte, persino, di un motore di ricerca come Google.

In quel tempo trascorso nella toilette le avevo provate davvero tutte, ma la mia risposta non era cambiata. Sarei andata a casa di Castiel sebbene non sapessi cosa sarebbe accaduto, sebbene non sapessi cosa avesse voluto da una povera ragazza incapace di resistergli.

Trascorsi dieci minuti nella confusione più totale finalmente trovai il coraggio.. Uscii dalla porta di quel bagno come un soldato. Iniziai a marciare verso il tavolo dove ad aspettarmi ci sarebbe stato Nathaniel. I miei passi erano piuttosto rumorosi, quasi come se dovessi combattere contro il pavimento, come se avessi un nemico da abbattere. Ma sia io, sia la mia coscienza, sia la cellula rossa sapevamo che non c'era nessun nemico se non me stessa.

Ora più che mai ero convinta di ciò che volessi fare, ero uscita da quel bagno come nuova, persino io rabbrividii dinanzi a tanta convinzione.

Camminai con disinvoltura sotto gli occhi attenti di Nathaniel che aveva dimostrato, come del resto sempre, tanta tolleranza. Nonostante quel particolare aveva un espressione molto titubante sul volto, mi squadrava dall'alto verso il basso cercando risposte alle sue domande, ma non riuscendo a trovare alcun riscontro. Ignorai ogni pensiero su di lui per concentrarmi su quello che gli avrei dovuto dire per evadere da quella cena.

La sua compagnia in alcuni momenti era stata piacevole, ma in altri tendeva alla seccatura. E non potevo assolutamente paragonare la compagnia di Castiel a quella di Nathaniel. Questo dato era attestato dai fatti reali: stavo letteralmente fuggendo da una cena noiosa per recarmi a casa del tenebroso rosso. Con Castiel non si sapeva mai cosa doversi aspettare, non si sapeva mai cosa poteva accadere. Lui era una continua sorpresa, un continuo svago, una continua tortura, un continuo piacere.. ed era ciò che mi serviva. Con Nathaniel avrei vissuto anni ed anni di astinenza, di disagio senza alcun divertimento. Con Nathaniel mi sarei dovuta controllare nelle parole, non avrei potuto sbagliare verbi, avrei dovuto parlare, invece, una lingua perfetta perché altrimenti non mi sarei sentita alla sua altezza. Con Nathaniel mi sarei sentita sempre sotto esame e non mi avrebbe fatto bene una situazione del genere. Io non avevo bisogno di questo. Avevo, invece, bisogno di sentirmi viva.

Finalmente ero riuscita a mettere in chiaro i miei sentimenti. Sebbene per mesi mi fossi sforzata di riuscire a vederlo come il ragazzo ideale, capii che con il biondo non ci sarebbe potuto essere mai niente oltre la semplice amicizia. Lui era bello, perfetto, ma il tutto si fermava all'apparenza. Per quello che avevo imparato dalla serata appena trascorsa, non saremmo mai potuti andare d'accordo. Compativo il suo vissuto, compativo lui ma non potevo di certo iniziare a frequentarlo e vederlo come un ipotetico mio ragazzo solamente per ciò che mi aveva confessato durante quella cena. Non potevo volerlo per compassione. Non meritava di esser preso in giro, al suo fianco avrebbe avuto bisogno di una persona che ricambiasse i suoi sentimenti, qualcuna che lo facesse uscire fuori dalle sue vedute ristrette o che le condividesse. Io non ero adatta a lui. Perlomeno non dal momento in cui desideravo un altro al posto suo. Era inutile continuarsi a prendere in giro. 

«Perdonami se ci ho impiegato tanto, ma... Purtroppo mi ha chiamata Rosalya, era disperata, e ha bisogno di me. Infatti sta passando da qui a prendermi, devo abbandonarti purtroppo. Non ti dispiace, vero?» gli mentii trovando la prima scusa che balenò nel mio cervello.

Non gli avrei potuto dire la verità. Dopotutto lui e Castiel erano nemici e non mi andava di metterli ancor di più l'uno contro l'altro. Sui miei reali sentimenti gli avrei parlato in altro luogo ed in un altro tempo, non avrei potuto liquidarlo con due parole per poi abbandonarlo. No. Potevo pur apparire come una ragazza egoista e senza cuore, ma in fondo non ero così malvagia. Non avevo intenzione di ferire nessuno. 

«Oh... Se proprio devi» gli si scurì il volto per qualche secondo ma subito dopo si sforzò di sfoggiare un sorriso «Spero di avere altre occasioni per rifarmi» finì strizzando l'occhio. 

«Certo» gli sorrisi sincera. Da amici, avrei voluto aggiungere, ma evitai per non risultare crudele. Non era il momento adatto per discutere sul nostro futuro. 

«Una sera di queste, se ne avrai voglia, potremmo andare al rifugio dei gatti di cui ti parlavo prima» aggiunse speranzoso. 

«Sì, magari ci organizziamo meglio dopo il mio ritorno da Roma», non mi andava di essere scortese con lui. Non lo meritava sebbene fosse duro di comprendonio sulle mie intenzioni.

-


CASTIEL

Quella sera la sorte volle che incontrassi il migliore amico di Miki proprio difronte casa mia. Stavo passeggiando con Demon quando lo vidi. Stava correndo, praticava attività sportiva all'aperto oltre alle ore sfiancanti di palestra. Ecco spiegato il motivo del fisico prestante. Ovviamente non mi scomodai a salutarlo, ma appena mi notò corse lui contro di me.

«Ehi... Castiel» affannato cercò di parlarmi poggiando le mani sulle ginocchia per sorreggersi dalla fatica fatta con la corsa, «ora che ne ho l'occasione vorrei chiarire con te un paio di cose. Sono un po' di giorni che cerco di beccarti da solo, ma non ne ho avuto mai modo...» mi aveva per caso seguito? Mi fissò con il volto da angioletto di plastica. Lo avrei preso a pugni volentieri. 

«Io non ho proprio nulla da chiarire con te!» 

«Aspetta Castiel, quello che ho da dirti t'interesserà. Ascoltami per una buona volta...» non gli diedi neanche il tempo di finire le sue suppliche che mi voltai dandogli le spalle e m'incamminai verso il cancello di casa.

«Io e Miki non stiamo insieme. Non lo siamo mai stati realmente. Lei è la mia migliore amica da dieci anni più o meno... Nulla di più!» mi bloccai sul posto. Aveva trovato il modo per attirare la mia attenzione. Ovviamente non poteva sapere che io conoscessi parte della verità grazie al diario segreto della sua amica, così mi voltai nuovamente nella sua direzione e facendogli segno con la mano lo invitai ad entrare nel mio giardino. 

Avrei scoperto il motivo per il quale avevano finto di stare insieme. Non mi ero bevuto la balla di Miki del giorno prima. Non ero così ingenuo da crederle. Ormai la conoscevo bene, sapevo riconoscere quando mentiva. Le si formava un lieve rossore sulle guance e soprattutto evadeva lo sguardo altrove. Prevedibile la ragazza.

Ciak mi seguì e ci sedemmo intorno al tavolino in vimini riposto nel bel mezzo del giardino di casa mia. Non ero un tipo cordiale che offriva da bere in casa propria, così evitai i convenevoli porgendogli solamente una sigaretta.

«No, grazie! Non fumo», mi rispose rifiutando. Buon per lui. Al contrario mio non doveva avere i polmoni neri e consumati. 

Senza esitare, mi accesi la sigaretta e spaparanzato sulla sedia andai dritto al punto. Non avrei di certo preso a fare conversazione con lui come due buoni amici. Lui non sarebbe mai stato mio amico. «Perché lo avete fatto?»

Ciak aveva un espressione impassibile, stava seduto immobile con lo sguardo rivolto verso il basso. Se avesse respirato meno rumorosamente lo avrei potuto scambiare per una statua.

Fece un respiro per prendere coraggio e poi iniziò con la verità. 

«Tu non puoi immaginare da quanto tempo io sia innamorato di Miki.. Tu non puoi immaginare quante volte avrei voluto dirglielo, ma non potevo. Avevo paura che la nostra amicizia potesse finire, avevo paura che lei non ricambiasse i miei sentimenti e passavo intere giornate ad averla ad un centimetro di distanza senza poterla toccare. Dio, quante volte avrei voluto baciarla, farla mia.. Ogni volta però non era mai quella giusta.. e quando mi ero finalmente deciso lei è arrivata con la bella notizia che si sarebbe trasferita a Parigi. Dopo la sua partenza non ci siamo più sentiti come prima, lei mi cercava ma non le rispondevo. Fin quando un giorno risposi alla sua chiamata e per telefono -a causa della forte delusione- le dissi ciò che provavo per lei... E lei niente, prima di quel momento non aveva capito nulla. Che stupida! Anche un cecato se ne sarebbe accorto».

«Immagino quando la sapevi con altri ragazzi, allora...» osservai semplicemente, di certo non lo avrei consolato per il suo discorso da pazzo innamorato, mi limitai ad immedesimarmi in lui senza neppure volerlo.

«No, su questo non c'è mai stato pericolo. Piuttosto ero io quello a stare con molte ragazze. Volevo dimenticarla, cercando di sostituirla, ma nessuna è mai potuta essere lei».

"Già.. Nessuna è Miki!" 

"Cosa? Ed ora da dove sono uscite queste frasi del cazzo? Ma che cazzo vado a pensare? Dannazione!" 

«E lei... Lei non usciva con nessuno?» ovviamente la mia lingua non poteva tenersi a freno. Non dovevo interessarmi del passato di Miki, non era affar mio. Ma cosa mi stava prendendo?

«Chiedilo a lei! Non sono cose che sono tenuto a dirti io».

«No. Ora parli, brutto stronzo!»

«Si è fatto tardi, torno in hotel...» si alzò dalla sedia deviando ancora il discorso. 

Mi alzai di scatto e lo bloccai afferrandolo per il braccio e stringendolo. Lui doveva rispondermi. Non poteva lasciarmi sulle spine.

«Perché dite a tutti di stare insieme?» provai a cambiare domanda cercando di mostrarmi paziente un minimo. Avrei voluto sapere la verità almeno su quello. 

Evitò di rispondere, ancora una volta. A quel punto persi le staffe. La mia pazienza aveva un limite e lui lo aveva di gran lunga superato.

«Allora perché cazzo sei venuto a rompermi le palle se non hai intenzione di dirmi tutta la verità? Vattene!» per poco non lo presi a pugni scaraventandolo fuori dal cancello. 

«Possibile che entrambi siete così cretini da non accorgervi di niente? Come fai a non averlo capito, come? Mi ha sempre e solo baciato davanti a te. L'ha fatto per te. Per te, cazzone che non sei altro. Il resto della storia chiedilo a lei. Io me ne chiamo fuori!» 

«Per me? M-ma... Ma che stai dicendo?» strabuzzai gli occhi sibilando. Improvvisamente mi sentii in un altro mondo frastornato, le forze mi abbandonarono, non riuscii neanche a rispondere ai suoi insulti. 

Miki aveva potuto fingere per allontanarmi da lei, da quello strano rapporto che si stava creando tra noi, poteva averlo fatto per ingelosirmi... No, impossibile!

L'aria si tese ancor di più. Persino lui si permise di giocare a fare il nervoso, ma non ne aveva il diritto visto che aveva insistito a parlarmi, poco prima, e poi aveva finito con l'essere evasivo nelle risposte. 

Ciak rise incredulo e nervoso per la mia incapacità di capire, poi mi diede il colpo di grazia.

«Sì, per te! Incredibile vero? Come si fa a preferire uno come te a me? Non lo so neanch'io, ma è così. Lei preferisce te», sollevò le spalle rassegnato «ed è inutile che voi continuate a fingere. Inutile che proviate a stare con altre persone, inutile che vi convinciate di essere dei semplici amici, o addirittura che vi urliate di non essere nessuno per l'altro. Smettetela di fare i bambini. E smettila anche tu Castiel. Ho visto come la guardi, vi ho visti sul set di quella maledetta pubblicità. Rabanne vi ha scelti semplicemente perché tra di voi aleggia una particolare attrazione, quel misto tra odio, amore, rabbia e passione. Non sareste mai stati in grado di fingere a tal punto. Neanche tu. E poi... poi lo sappiamo entrambi che se non ti fosse interessato niente di Miki, non ti saresti fermato ad un semplice bacio. Ci saresti andato a letto subito e poi l'avresti scaricata come hai fatto con tutte le altre. Quindi smettila. Smettila per l'amor del cielo ed apri gli occhi!»

E uscì di scena facendo vincere, a quel discorso, il premio come miglior battuta dell'anno. Mi lasciò confuso. In balia delle onde interiori del mio essere. Mi portai entrambi le mani sulla testa, avrei voluto strapparmi i capelli per il caos attuale generato da quel coglione nella mia mente. Lui non mi conosceva, lui non poteva sapere come trattassi le donne, come gestissi i miei rapporti solitamente. Lui non sapeva niente. Forse...

E se invece Ciak avesse avuto ragione?

-


MIKI

Se la storia fosse stata vista da un'altra angolazione, non avevo mentito a Nathaniel. Dopo aver ringraziato il biondo per la cena offerta e dopo esser balzata fuori dal ristorante dell'arpia Duval, avevo telefonato realmente Rosalya. Non sapevo come raggiungere casa del rosso dal momento che a quell'ora della notte non sarebbero passati autobus. 

"Ok, questa è una cavolata bella e buona, Miki. Dì la verità!" qualcuno interruppe il flusso dei miei pensieri. "Va bene coscienza lo ammetto. Non ho la minima idea di dove possa essere una fermata per prendere l'autobus. E non so proprio dove si possa trovare casa di Castiel da questo punto della città". Il senso dell'orientamento non era mai stato il mio forte. 

Poteva essere che nell'attesa di Rosalya stessi dando di matto, ma per sdrammatizzare nelle situazioni di forte stress amavo dialogare con la mia coscienza, e così continuai a fare fuori da quel locale.

Nascondendomi alla presenza del biondo che sconsolato si dirigeva verso casa, iniziai a proporre una serie d'ipotesi -sul discorso che avrebbe dovuto farmi Castiel- che la mia coscienza scartava ogni qualvolta apparivano come fandonie.

"Mmm... fammi pensare.. E se non si fosse bevuto la faccenda del finto fidanzamento con Ciak e vorrebbe chiedermi spiegazioni?!?" proposi ponendomi il dito indice sul labbro inferiore.

"Sì, Miki questo può essere!" rispose la mia coscienza. Sebbene potesse essere l'idea più vicina alla realtà decisi di escluderla per il timore che in quel modo avrei dovuto raccontargli la verità. Ero incapace di trovare altri stratagemmi. 

"No, no, impossibile. Sono stata convincente. Secondo me è per quest'altro motivo: Forse vuole dividere gli oggetti da portare per il viaggio a Roma. Magari deve dirmi di portare la piastra al posto suo... O che lui porterà l'asciugacapelli!" 

"Ma dai, Miki.. Tu ce lo vedi Castiel proporre questo genere di cose? Al massimo accollerebbe tutto a te, in modo da avere la valigia più leggera!" ad interrompere ogni mia ricerca della serenità c'era lei, la mia cara, amata, vecchia coscienza.

Il dialogo pazzoide continuò per parecchi minuti. E fu lì che mi accorsi di non andar d'accordo con una piccola, minuscola, parte di me. Cosa avrei potuto fare a riguardo? Sbruffai, di certo non avrei potuto levarla dal mio corpo con forza. 

«Ma che fai Miki, parli sola? Ma cosa devo fare io con te?!» mi apparve davanti il viso sconcertato di Rosalya. 

Ero voltata nella direzione opposta alla strada, con le braccia conserte e gli occhi puntati verso il cielo, mi ero ritrovata a camminare avanti e indietro senza accorgermene. "Sembravo una pazza, ve lo assicuro".

Senza il bisogno di giustificarmi, m'infilai in macchina sospirando «Ciao Rose, ciao Leigh. Mi dispiace avervi interrotto nel bel mezzo del vostro amplesso, ma è un'urgenza. Un'urgenza da codice rosso!» era ufficiale, avevo perso qualche rotella dopo il messaggio di Castiel.

Ebbene sì, Rosalya non avendo compiuto ancora diciott'anni, aveva bisogno del fidanzato invece maggiorenne, per esser trasportata dappertutto. Avevo visto Leigh in un paio d'occasioni, era un tipo silenzioso, taciturno, un po' come il fratello, Lysandre. Anche Leigh aveva lo stesso modo di vestire del fratello. Non avevo mai capito il motivo di così tanta ostinazione verso quello stile antico, poteva risultare affascinante per certi versi, ma non mi entusiasmava particolarmente. E non mi ero mai spiegata la ragione per cui Rose, regina della moda, lasciava che il suo ragazzo vestisse quegli abiti.

L'auto di Leigh era antica proprio come i suoi vestiti. Era una macchina italiana d'epoca, tenuta bene. Il ragazzo aspettò che Rose si accomodasse nei sedili anteriori, accanto a lui, per partire e farmi un cenno di saluto con la testa. Molto loquace il tipo. Più minuti passavo dentro quell'abitacolo e più mi stupivo di quanto gli opposti si attraessero a tal punto da unire due come loro. Erano realmente opposti, opposti come i biscotti e le lasagne. Lei era espansiva, una gran chiacchierona, e lui il ragazzo più taciturno esistente al mondo. 

«Tranquilla tesoro, recupereremo. Piuttosto a te sembra una buona idea accettare l'invito di andare a casa di quel maniaco?» la mia amica si voltò verso i sedili posteriori, dov'ero accomodata io, ed iniziò una delle sue abitudinarie ramanzine.

Conosceva da molto tempo Castiel, ma non era mai stata sua amica. Lo aveva da sempre guardato da una certa distanza, perché non era mai stata attratta dai tipi come lui. Lo definiva una persona sporca fuori e dentro, un ragazzo attratto dalle belle ragazze e dal sesso, un tipo superficiale e con un'aria di superiorità perenne. Non che avesse torto, ma Castiel non era solo quello. Castiel era molto altro e la me infatuata di lui lo sapeva bene.

«So che sta' con la Vipera, so di dover stare alla larga da lui e lo sto facendo credimi... Ma sono curiosa di sapere cosa deve dirmi di così urgente.»

«D'accordo, ma sta' attenta. Non voglio diventare zia così giovane e soprattutto non voglio avere un nipote da lui. Bleah!» con espressione schifata immaginò un eventuale figlio mio e di Castiel. Avvampai al sol pensiero. Non sarebbe stato niente male un pargoletto coi suoi occhi. Scossi la testa ed evitai quei pensieri totalmente surreali. Ma io non ero quella contro l'amore, la formazione di una famiglia, i fidanzamenti, le smancerie? "Smettila Miki!"

«Non esagerare, amore. Castiel non è così stupido!» parlò per la prima volta dopo dieci minuti di viaggio, Leigh. Rosalya si limitò ad incrociare le braccia e guardarlo di sbieco. Quella scena mi fece sorridere. Dopotutto erano carini quei due. 

Rose a detta sua, non era mai stata a casa di Castiel, mentre Leigh sì, e molte volte anche. Il rosso, vivendo praticamente da solo, usava organizzare parecchie serate tra ragazzi, feste e cene a base di birra, pizza, rock'n'roll ed il ragazzo di Rose ne prendeva parte spesso e volentieri, anche grazie alla forte amicizia che legava Lysandre e Castiel.

«Tieni. Questo mettilo nella borsetta, potrebbe esserti utile. Non si sa mai!» mi disse Rosalya quando l'auto si fermò, porgendomi una bottiglietta di spray al peperoncino. La sua espressione seria per poco non mi fece scoppiare a riderle in faccia. Era assurda quella ragazza!

Mi trattenni e mi limitai a sorridere, per non offenderla accettai il suo dono, se così poteva essere definito. Tra di noi si era creato un rapporto davvero unico, entrambe ci preoccupavano per l'altra, entrambe ci proteggevamo a vicenda, anche se forse ero più io ad aver bisogno di lei. Ma d'altronde... Lei aveva il suo bel principe azzurro pronto a proteggerla dai pericoli, mentre io al massimo avevo trovato un principe oscuro pronto a trafiggermi il cuore.

Quando casa Black apparve davanti agli occhi, capii che fosse giunto il momento della verità. Dall'ansia non riuscii più a proferire parola, salutai con un cenno della mano entrambi i piccioncini e scesi dalla macchina a mo' di rallentatore.

Intravedere ancora una volta quella casa m'incusse terrore. Proprio al centro dello stomaco sentii uno spasmo. E da lì ebbi delle sensazioni a catena, il cuore aumentò i suoi battiti, le mani oscillarono dall'ansia. Quando c'era Castiel nei paraggi, o qualcosa che mi ricollegasse a lui, lo percepivo. Era un po' come quelle ferite arrecate da un'operazione che provocano dolore ogni qual volta il meteo cambia. Sì, proprio così, una similitudine insolita finalmente era riuscita a spiegare ciò che il rosso cagionava al mio essere.

Senza bisogno di citofonare, al mio arrivo il cancello si aprì. Come se lui mi avesse vista arrivare, come se mi stesse aspettando con ansia davanti al vetro trasparente della finestra fredda. Il pensiero che lui potesse esser stato in frenesia a causa mia, mi fece rabbrividire ancora adesso.

«Tesoro aggiornami dopo» la voce urlante di Rose mi spaventò e saltai sul posto. Ero diventata suscettibile a qualsiasi rumore.

Ancora la macchina di Leigh non era partita, era ferma immobile dove l'avevo lasciata pochi secondi prima, eppure non me n'ero accorta. E quell'aspetto mi fece innervosire leggermente, non dovevo annullarmi così per Castiel, lui non lo meritava.

Senza rispondere a quella voce, sorrisi ancora una volta in segno di consenso e m'incamminai verso la porta dell'abitazione del rosso. Ad ogni passo la tensione aumentava, più mi avvicinavo più l'ansia mi uccideva. Avevo persino le mani sudate dall'agitazione, così cercai di levarmi il sudore strofinandole contro il vestito che indossavo. Ma risultò un tentativo vano, perché appena il sudore si appiccicava al tessuto, il mio corpo ne produceva dell'altro. Avrei potuto persino venderlo, ne stavo producendo a quantità industriale.

«Mi temi così tanto da aver bisogno di portarti dietro una cosa del genere?!»

"Oh cazzo, eccolo. Mio Dio! Muoio. Crepo. La sua voce. Oddio!" 

Imprecai dentro me nell'udire la sua voce. Il cuore incominciò a battere ancora più veloce di prima, un battito insolito direi. Sentii pizzicare la parte inferiore degli occhi, come se volessero farsi spazio delle lacrime. Non era possibile, non sapevo cosa mi dovesse dire eppure ero felice di vederlo talmente tanto da emozionarmi nell'anima. Lo avevo visto solamente la mattina prima. Dannazione. Non ero mai stata così in tensione.

Sospirai.

«Se fossimo stati in un film tu ti saresti dovuta voltare stupita verso di me dicendomi "ehi ma come hai fatto?"» fece per imitare la mia voce alla fine.

Come da copione, mi voltai nella sua direzione. Si trovava nella parte sinistra del giardino, dietro di lui vi erano un tavolo e delle poltrone in vimini. Quel materiale mi ricordò il "Cafè de Flore" e l'incontro con Adelaide del pomeriggio prima.

Rabbrividii.

«Oh Pardon, non avercela con me ora! Ho interrotto la tua cena romantica con l'ex delegato, mi dispiace. Beh.. ma in ogni caso non eri mica obbligata a correre da me così velocemente», aggiunse deridendomi.

Intuii che o Debrah o qualcuno di conoscenza del rosso, l'avesse avvertito della mia cena con Nathaniel. Ma a quale scopo? Cosa interessava a Castiel con chi cenavo? Lui aveva la sua Debrah. 

«Scuse non accettate. A proposito... Di cosa dovrei essere stupita? Perché mai avrei dovuto dirti: "ma come hai fatto?"» ripresi la sua battuta iniziale che fece entrando in scena.

Continuavo a non capire.

Ehi un attimo...

Soltanto in quel momento capii. Castiel mi aveva derubato del mio spray. Feci mente locale e tornai al momento in cui Rose mi consegnò quella sottospecie di arma, mi resi conto di non averla mai conservata nella borsetta. L'avevo tenuta in mano per tutto il tempo.

Ripensandoci: già nel momento in cui avevo le mani appiccicaticce, quando avevo cercato inutilmente di asciugare il sudore al vestito, la bomboletta era sparita dalle mie mani. Ma come avevo fatto a non accorgermene? Come aveva fatto lui ad essere così silenzioso? Oddio! Per poco non urlai dalla disperazione. Castiel mi avrebbe fatta rinchiudere in un centro psichiatrico prima o poi. 

Grazie alla sua performance capii che il rosso avesse persino delle doti da ladro professionista; proprio un ragazzo da sposare, pensai sdrammatizzando.

Le luci erano offuscate, ed in realtà Castiel era soltanto un'ombra. Di lui s'intuiva solamente la sagoma. Ed anche soltanto la sua figura mi attraeva. Era sensuale. Aveva dei lineamenti perfetti e riconoscibili, nessuno avrebbe potuto confonderlo con un'altra persona. I capelli lunghi fino al collo, le spalle grandi, la vita sottile, le gambe longilinee. Il bello e dannato Castiel Black.

«Allora... Come mai sei venuta armata?» si prendeva gioco di me anche a qualche metro di distanza, fissandomi con un sorriso provocatorio. 

«Io... io non ho paura di te!» sussurrai spontaneamente fissandolo. 

"Ho solo paura di come mi fai sentire dentro", aggiunsi nella mia mente.

«Oh beh, lo vedo» ghignò agitando la bomboletta a spray tra le mani. 

«È colpa di Rosalya e delle sue fissazioni... Io non c'entro niente», mi scolpai sbuffando alla fine. 

«Ah sì? Teme per la tua incolumità?!» vidi la sagoma avvicinarsi a me e pian piano farsi sempre più grande ai miei occhi «in effetti fa bene..» fin quando la distanza tra noi non divenne quasi millimetrica. 

Era giunta la fine per il mio povero cuore. 

-


DEBRAH

L'esecuzione del mio piano partì già quella sera stessa, chiamando la mia sorellastra.

«Ehi Flora... Come stai? Come prosegue la vita lì?» finsi il ruolo di brava sorella mentre gli ingranaggi del mio cervello continuavano a girare. 

«Ciao sorellona, solite cose. Tu?» mi rispose urlando con entusiasmo. Avevamo un bel rapporto dopotutto. 

Flora era la mia sorellina minore, aveva dieci anni. Era figlia di mio padre e della sua compagna. Vivevano in Italia, a Roma. Non ero mai andata a farle visita, capitava in qualche festività che, però, venivano loro qui da noi. Tutti tranne lei, la compagna di mio padre. Nessuno l'aveva mai voluta nel mio ristorante, nella mia città né tanto meno lei voleva venirci. Diceva sempre di odiare Parigi e soprattutto gli abitanti, ma non le avevo mai chiesto se il suo motivo fosse realmente fondato per una ragione particolare o meno.

«Benissimo, grazie! Devo darti una bellissima notizia...» lasciai la frase in sospeso. 

«Dimmi tutto.. Dai, Debby non tenermi sulle spine. Sai quanto odio aspettare!» piagnucolò fintamente. Era un'attrice nata, una Duval a tutti gli effetti. 

«Settimana prossima verrò a trovarvi», la informai finalmente.

Il mio vero entusiasmo era per il piano che avrei messo in atto. Ero affezionata a Flora, sebbene fosse una semplice sorellastra, era una bambina sveglia e la adoravo, ma nonostante quel particolare quella sera fui più appagata di ciò che avrei rovinato una volta atterrata in Italia. Stavo pregustando il risultato che sarebbe stato sicuramente positivo. 

Flora fu molto contenta della notizia appena svelata, infatti con me attaccata ancora dall'altra parte della cornetta, si recò saltellante da sua madre per darle la notizia.

«Mamma, mamma! Debrah verrà da noi prossima settimana. Sii... non vedo l'ora!» urlò come una matta.

Sua madre non si dimostrò contenta quanto lei. Sebbene ci fosse qualche problema di linea, fui quasi certa che sbuffò un "perfetto" quasi sarcastico. Io e lei ci odiavamo, non avevamo mai niente di affettuoso o carino da dirci, anzi la maggior parte del tempo litigavamo. Lei aveva diviso i miei genitori. Avevano divorziato per colpa sua. Maledetta troia!

Dopo un paio di minuti trascorsi a parlare con la mia sorellastra le inventai una banale scusa per terminare la chiamata. 

Una volta sola ricontrollai il mio piano mentalmente per evitare inutili e scomodi sbagli quando avrei dovuto entrare in azione.

Ma non c'era nessun difetto. Sarebbe stato tutto perfetto. 

Avrei ottenuto la mia vendetta. Finalmente. 

-


MIKI

«La prima regola da osservare per diventare furbi, è non cercare di essere furbi con quelli più furbi di te!» sussurrò Castiel ad una distanza millimetrica da me. 

«Ti stai esercitando negli scioglilingua in questi giorni, per caso?» replicai sfacciatamente.

«No, sto semplicemente constatando che tu mi temi, ma hai preferito far ricadere la colpa sulla tua amica piuttosto che dirmi la verità, ed io odio i bugiardi!» sembrava quasi stesse riferendosi ad altri argomenti, non ad una stupida bomboletta spray. 

«È seriamente di uno spray al peperoncino che stiamo discutendo da cinque minuti?» ribattei. 

«Non solo...» e lasciò la frase in sospeso. 

Entrambi avevamo deciso di scovare il significato di quel discorso tra le righe. Non stavamo realmente parlando di una stupida bomboletta spray, avevo capito si stesse riferendo al mio rapporto con Ciak, l'unica volta che gli mentii fu quella. Ma non gli avrei rivelato la verità, no, non avrebbe vinto. Quello non era il momento adatto, non mi sentivo pronta, soprattutto essendo sicura che lui fosse interessato ad un'altra ragazza. Ma come potevo essermi invaghita di uno come lui? Come ero giunta a quel punto? Non c'era stato un momento esatto in cui l'avevo capito, era accaduto e basta. Più avevo provato ad allontanarmi da lui e più invece mi ero trovata a girargli intorno. Fu il destino a decidere al posto mio. In un modo o in un altro ero stata costretta ad averci a che fare, anche dopo aver deciso di non rivolgergli più la parola; perché diciamocelo chiaro: Castiel non meritava il mio perdono, la mia vicinanza, dopo avermi respinta un milione di volte, dopo avermi umiliata, ferita, abbandonata. E invece l'aveva avuto, il mio perdono, e non solo quello. Anche il mio cuore. Quella piccola ma ardente parte di me che non avrebbe mai dovuto battere per nessuno, un bel giorno aveva deciso di divenire un organo a sé, era andato contro ogni mia volontà imposta dal mio cervello da sedici anni, e aveva finito per cambiare anche me. Perché io non ero più la stessa persona partita da Roma. Non avevo raggiunto neanche uno degli obiettivi impostatami alla partenza dall'Italia, a distanza di cinque mesi mi ritrovavo ad essere ancora vergine e con parte del cuore spezzato quando invece mi ero promessa d'iniziare rapporti di sesso senza impegni. Ottimo Miki!

Ma l'elemento maggiormente spiazzante era un altro. Più fissavo Castiel e più ogni mio dubbio, delusione diventava certezza perché c'era lui con me. Perché non avrei voluto cambiare nulla. Preferivo soffrire piuttosto che non averlo mai conosciuto. 

Ed in quell'istante, in una fredda sera di Gennaio ci trovavamo lì, ad una distanza minima, ad una lontananza che non c'era. Si era avvicinato così tanto da far decadere ogni mia paura.

Calato il silenzio, dopo la sua ammissione, evitai il suo sguardo, non mi sentivo in grado di sostenerlo, di guardare i suoi occhi grigi e profondi.

Evidentemente lui odiava quel particolare. Perché afferrò il mio mento con garbatezza e lo alzò, facendo sì che i nostri sguardi si raggiungessero. Mi costrinse a guardarlo. Il suo volto era illuminato dai lampioni della strada, i capelli sembrarono più chiari, mentre gli occhi ancora più attraenti del solito. Emettevano una luce particolare, un'emozione che non seppi identificare e forse fu meglio per entrambi. 

Si sporse maggiormente verso di me, vista la vicinanza dovette per forza sentire il battito del mio cuore accelerato, ma non riuscivo a controllarmi, era più forte di me. 

Schiusi automaticamente le labbra come per volermi preparare a qualcosa che avevo desiderato più di quanto immaginassi. Ma non accadde nulla.

«Entriamo dentro, vieni. Qui qualcuno potrebbe vederci» fu lui a spezzare la magia, allontanandosi di colpo da quella vicinanza creata da lui stesso. 

Improvvisamente dentro di lui era per caso nata una coscienza? Non voleva tradire la sua amata fidanzata? O semplicemente aveva paura di essere visto con me perché la sua lei gli aveva esplicitamente proibito di stare in mia compagnia? In ogni caso, qualsiasi sia stato il motivo scatenante di quel cambio di rotta, ai miei occhi risultò essere un incoerente di prima categoria. 

«Non sono stata io ad avvicinarmi come un bradipo in calore, brutto stronzo!» mormorai innervosita mentre lo seguii in casa, certa di non essere sentita da lui, ma a giudicare dal sorrisetto stronzo che gli apparì sul volto dopo la mia osservazione, capii che invece avesse recepito il messaggio forte e chiaro. 

Ebbi la tentazione di scappare a gambe levate, di non seguirlo visto il gesto di qualche secondo prima, ma decisi di tenere a bada il lato orgoglioso di me per scoprire cosa avesse di così importante da dirmi. 

Mi fece accomodare nel salotto, sullo stesso divano dell'ultima volta. Sullo stesso divano in cui aveva avuto inizio il litigio di Natale. Chiusi gli occhi e per un attimo ripensai a quella brutta giornata che avrei voluto dimenticare.

-

Scattai dal divano, come una furia mi diressi davanti Castiel, ancora di fronte a sua madre, e guardandolo dritto negli occhi con una rabbia fuori dal normale gli mollai uno schiaffo in pieno viso.

A vederlo così infuriato, a vederlo così cambiato nel giro di un'ora non avevo più risposto delle mie azioni. Se fossi rimasta un minuto di più in quella casa, in quell'aria così pesante, in presenza di Debrah e del nuovo Castiel, sarei stata in grado di commettere un omicidio.

Il rosso davanti al mio schiaffo si portò le mani sulla parte colpita e subito dopo mi guardò incredulo. Ancora non avevo finito con lui.

Mi avvicinai maggiormente alla figura imponente di Castiel e gli urlai contro senza farmi intimidire da lui: «Ma che cazzo combini coglione? Che cazzo ti frulla in quel cervello minuscolo che ti ritrovi, eh? Come diavolo ti permetti a rivolgerti in questo modo ad Adelaide? E' tua mamma, cazzo. Lei vuole solo il tuo bene, svegliati!» toccai con l'indice il suo petto, involontariamente. Poi mi allontanai e spostai lo sguardo verso Debrah, ancora immobile vicino al camino, ma il salotto essendo in un unico ambiente con la porta d'entrata e la cucina, mi permise di vederla ugualmente «E tu manipolatrice del cazzo così lo ami? Così ti sei pentita? Così? Io non conosco tutta la storia, non conosco te e non ho neanche la minima intenzione di conoscerti meglio, ma già mi è bastato oggi per capirti. Non so cosa tu abbia in mente, è quasi impossibile comprendere una pazza, ma stai cercando di metterlo contro tutti, questo è palese, vuoi ferirlo e nello stesso tempo vuoi che lui segua solo te, che stia solo con te. E sei una cretina; qualunque cosa tu abbia in mente spero non riuscirai mai a realizzarla. Sei una persona orribile. Spero che Castiel lo capisca prima o poi. Stavamo tutti così bene senza di te... Non hai mosso neanche un dito per evitare questa lite, anzi sei stata tutto il tempo a ridere e a godere del dolore degli altri. Vergognati stronza!»

Finalmente riuscii a togliere fuori un po' di veleno presente nel mio cuore. Non potevo starmene in silenzio, lo ero già stata per troppo tempo. Io ero fatta così, dovevo parlare, sfogarmi, provare ad aprire gli occhi alla gente dal cervello bacato come quello del rosso. Castiel dopo le mie parole iniziò a guardarmi con disprezzo e rabbia, un po' come aveva fatto fino a poco prima con sua madre, mentre Debrah non si scomodò a rispondere, quelle parole non l'avevano toccata minimamente, si spostò semplicemente dal salotto raggiungendo Castiel e si mise dietro di lui, sorridendo soddisfatta e felice. Che persona orribile!

«Lascia che sia io a scegliere chi può o non può far parte della mia vita, che sia io a giudicare Debrah, a te non deve minimamente interessare. Tu non sei nessuno per giudicare. Anzi spero che tu possa conoscere Debrah per quello che è realmente, potreste diventare anche amiche, magari, mi farebbe piacere. Ah e a proposito, colgo l'occasione per chiarirti un paio di cose. Non t'illudere che tra noi possa nascere qualcosa, aldilà dell'amicizia, un giorno. Quei baci, quelle parole e tutto il resto erano dati e dette solo in amicizia o con l'intenzione di portarti a letto. Lo so, non sono cose carine da dire forse... Ma credo sia meglio la sincerità. Tu non eri, non sei e non sarai mai diversa dalle altre. Sei stata una buona amica, questo sì. Nulla di più»

Non aveva dato peso alle parole, aveva concluso con il ferire anche me; non bastava Adelaide. Quelle parole mi fecero male al cuore, all'anima, molto male. Avevo sempre sospettato che il suo interesse nei miei confronti si limitasse solo al sesso, al brivido della conquista di una ragazza non troppo facile come dava a vedere. Eppure da vicino faceva più male. Sebbene sapessi e percepissi ogni cosa già da tempo, detta palesemente e davanti a terze persone faceva più male. A volte le parole potevano ferire più di una reale coltellata, di uno schiaffo, di pugni. Perché in quel momento sembrava che Castiel mi avesse sparata, picchiata ed accoltellata contemporaneamente. Il cuore faceva male, la carne, gli occhi, ogni parte del mio corpo era indolenzita. Volevo scappare, sotterrarmi, cancellare quel ragazzo dalla mia testa.

Ma perlomeno non mi sarei più illusa, da quel giorno in poi non avrei avuto più dubbi. La verità mi era stata sbattuta in faccia definitivamente. Non c'erano dubbi ai messaggi risposti, ai gesti compiuti. Ero stata illusa, derisa dal ragazzo che un'ora prima mi aveva accarezzata, che mi aveva fatto volare anche se con una semplice frase. Mi aveva mentito per tutto il tempo, per tutti quei mesi.

Dopo aver assorbito temporaneamente il colpo riuscii ad utilizzare le ultime forze per rispondergli e chiudere ogni cosa esistente fino a quel momento tra noi: «Mi dispiace deludere le tue aspettative, ma io e lei non potremo mai essere amiche, neanche in un'altra vita. Poi tra me e te non c'è mai stato niente di così importante, l'ho sempre saputo e non mi sono mai illusa. Non so da dove tu abbia pensato che io potessi provare qualcosa per te, ma le mie intenzioni erano identiche alle tue.» riuscii persino a strizzare l'occhio e fare l'occhiolino «Castiel non credere di essere al centro del mondo, sul serio scendi dal piedistallo, tu sei l'ultima persona che potrebbe piacermi. E poi se proprio ci tieni a saperlo c'è già chi mi piace e non sei di certo tu. A me piace Nathaniel, solo per lui potrei provare qualcosa di diverso, qualcosa di speciale. Ma ora non starò qui a dire queste cose a te perché tu non sei niente per me. E poi sai che ti dico?! Fin quando starai con questa qui io non ti rivolgerò mai più la parola, non mi piace la persona che diventi quando sei con lei. Vedervi insieme mi fa schifo, quello che le hai detto mi fa schifo. Tu mi fai schifo. Ti fai tanto il forte e poi non sei stato neanche in grado di dimenticarti di una così... Ma non la vedi che è bastato soltanto un giorno per farti litigare con tutte le persone più importanti della tua vita? Davvero.. non ti capirò mai!» sbuffai e poi sospirai finendo finalmente di pronunciare quelle menzogne.

«E chi sarebbero queste persone? Sentiamo... Tu saresti una delle persone più importanti della mia vita? Ma non farmi ridere Miki» e rise, anche se nervosamente, ma rise.

Dopo quelle parole le lacrime uscirono senza avvertirmi. Il mio cuore, la mia anima erano contro la mia testa. Piangere era l'ultima cosa che avrei dovuto fare in quel momento. Non avrei dovuto davanti a lui, non davanti alla sua nuova ragazza. Ero riuscita a mentire così bene fino a quel momento... E invece il mio cuore aveva dovuto tradirmi proprio quando avrebbe dovuto fare l'ultimo sforzo. Ero persino riuscita a dire di provare sentimenti veri per Nathaniel, che Castiel non fosse niente e nessuno per me, quando la realtà delle cose era un'altra. Castiel era dal primo giorno al centro del mio mondo. L'avevo difeso, aiutato, avevo provato per lui sentimenti ed emozioni contrastanti, ma in ogni situazione lui e solo lui persisteva nella mia mente e nel mio cuore. Ma quella verità non importava, non più. Avevo sputato quelle menzogne a fin di bene, per bene mio e di tutti.

Prima di scappare a gambe levate nel buio, prima di liberarmi nel pianto totalmente, aspettai una sua risposta, un suo gesto, volevo e speravo dimostrasse di essere dispiaciuto. Mi aggrappai all'ultimo briciolo di speranza, ma ancora una volta e per l'ultima volta sbagliai.

«Comunque perfetto! Chiudiamo anche quel briciolo di amicizia che c'è stato tra noi finora, se è quello che preferisci. A me non importa. Addio Miki!»

E il gesto arrivò, abbastanza diverso dalle parole sputate. Gli occhi di Castiel diventarono leggermente lucidi, il volto gli si scurì. Ma arrivati a quel punto pensai fosse semplicemente una mia illusione ciò che riuscivo a leggere nel suo sguardo. I suoi occhi mi avevano mentito fino a quel giorno? A giudicare dalle sue cattiverie gettatomi addosso sì. In ogni caso era troppo tardi per rimuginarci sopra. Lui voleva lei, i sentimenti per lei erano di gran lunga superiori a quelli provati per me -se di sentimenti si poteva parlare- e visto che Debrah e Miki non potevano coesistere all'interno di uno stesso gruppo, all'interno della stessa stanza, io mi sarei fatta semplicemente da parte. Non ci saremmo parlati più. Proprio il giorno di Natale suggellammo quel patto. Un Natale da dimenticare, un Natale che finalmente stava per giungere alla sua fine.

Guardai un'ultima volta gli occhi di Castiel per imprimere il suo ricordo dentro la pelle. Dopotutto non avrei mai voluto dimenticare quel ragazzo. Seppure volessi in un primo momento, presa dalla rabbia, non avrei mai potuto dimenticarlo. Lui era stato il mio primo bacio e nonostante tutto sarebbe rimasto lui.

E senza guardare nessun altro uscii dalla porta di quella casa e dalla vita di Castiel Black.

Fuori pioveva, ma poco importava, dentro di me era iniziato il temporale già da un po'. Senza curarmi della pioggia mi fermai al centro del giardino per l'ultima volta, non sarei mai più tornata in quella casa.

-

Già.. una trentina di giorni prima ero convinta e disposta a non entrare mai più in casa sua ed invece eccomi lì. Avevo dimostrato di non essere in grado di mantenere la parola, ero divenuta bugiarda persino con me stessa. Era passato a malapena un mese da quella scenata. Quella sera Castiel aveva dato il peggio di sé ed io avevo giurato di non permettere più a nessuno di dirmi quelle parole, possedevo una dignità anch'io! Ma non era cambiato poi molto da quel periodo, eravamo sempre nella stessa e identica posizione di stallo io e lui. Non eravamo amici, dei semplici conoscenti, o qualcosa di più. Eravamo ancora il niente.

A ripensarci mi si formò un nodo allo stomaco, un dolore bruttissimo al petto. Cominciai a fissare il vuoto, mi si scurì il volto. Quando Castiel tornò con in mano una birra mi trovò in uno stato pietoso. Si bloccò totalmente sorpreso dietro al divano, come se stesse giocando a quel gioco che mi piaceva tanto fare da piccola: "Un, due, tre stella!". 

Non lo calcolai, scossi leggermente la testa per distogliere lo sguardo da quel punto vuoto che stavo fissando e nel quale ora riuscivo a vedere solo lui. Poi incrociai le braccia e mi poggiai allo schienale del divano. Mi sistemai comoda con la testa poggiata sul cuscino, con lo sguardo rivolto verso il soffitto. Solo in quel modo avrei evitato di guardarlo.

A causa del silenzio tombale presente in quella camera riuscii a percepire il rumore della birra bevuta e deglutita dal rosso. La bevve da alzato, nella stessa posizione tenuta pochi istanti prima.

Se lui non avesse spiccicato parola, allora non l'avrei fatto neppure io. Lui mi aveva chiesto di raggiungerlo a casa sua e quindi sarebbe spettato a lui iniziare un qualsiasi discorso. Presi il cellulare da dentro la pochette che avevo adagiato sulle mie gambe, e scrissi un messaggio a zia Kate. Quella sera, a differenza del pomeriggio precedente, le avrei detto la verità, o almeno... buona parte.

Zia sono a casa di Castiel con Rosalya ed il suo ragazzo. È una lunga storia domani ti spiegherò.. tornerò un po' tardi, non aspettarmi. Buonanotte baci <3

Non potevo dirle tutto. Di sicuro si sarebbe precipitata qui con Isaac e non avevo intenzione di vedere nessuno dei due, soprattutto non dopo aver saputo la verità di Adelaide. Non feci in tempo a riporre il cellulare al suo posto che subito vibrò. Era zia Kate. Evidentemente Isaac aveva già dato per quella sera e zia non aveva niente di meglio da fare. Non mi aveva mai risposto così tempestivamente. Erano pur sempre le undici di sera.

Non combinare guai. Ti raccomando piccola, mi fido di te! Buonanotte anche a te.

E fu così che mi sentii ufficialmente una sporca e fottutissima bugiarda. Forse non era corretto mentirle, lei era l'unica donna a cui importava di me, mi aveva accudito e cresciuto come una figlia per sedici anni. Nonostante -negli ultimi mesi- non andassimo sempre d'amore e d'accordo lei era pur sempre l'unica famiglia che mi restava. Non meritava una bugiarda incallita come me, una nipote ingrata pronta sempre a giudicarla e mai assecondarla. Sprofondai sul divano sbuffando per la frustrazione e come se fossi a casa mia mi sdraiai verticalmente e rumorosamente, non che fossi stanca, ma più che altro lo feci in segno di disperazione. 

Dopo qualche minuto mi alzai in piedi, come una matta, di scatto e mi feci avanti puntando il dito contro Castiel. Ero ufficialmente da rinchiudere in un manicomio. 

«Allora?! Vogliamo smetterla con questo mutismo o ne abbiamo ancora per le lunghe?! Cosa devi dirmi?» gli chiesi come se avessi fretta di andare via. Probabilmente dopo quel messaggio erano divenute realmente le mie intenzioni.

Ma parve che Castiel avesse tutto tranne che fretta. Prima di rispondere alla mia domanda porse in avanti la birra come per voler brindare a qualcosa, ma poi quando si accorse che io non avevo nessuna bevanda con cui brindare, se ne uscì con una delle sue battute poco divertenti. «Oh, che sbadato! Non ti ho offerto niente. Gradisce qualcosa da bere, signora Daniels?»

Fui certa che fu una mia impressione -perché non poteva essere altrimenti- ma quella battuta apparì detta quasi per gelosia. 

«No, non preoccuparti grazie! Ha pensato già a tutto Nathaniel. Ho bevuto lo champagne, poco fa, mi è bastato quello» anch'io sapevo essere stronza se avessi voluto. Così stetti al suo gioco. 

A giudicare dalla sua espressione restò sorpreso. Si sarebbe aspettato mille domande su come avesse saputo della mia cena con Nathaniel, ma non lo feci. Avevo già le risposte, non ero così stupida come pensava. Inoltre non meritava troppa soddisfazione. Se pochi istanti prima rischiavo di sciogliermi davanti ai suoi piedi, da quel momento in poi non avrei dovuto più farlo. Dovevo provare ad essere come lui, fingere perlomeno. 

«Mi dispiace che io, umile cameriere non possa competere con uno del calibro di Daniels. Me ne farò una ragione!» continuò con quel tono indisponente. 

«Smettila con questi giochetti, Castiel. Ora basta! Dimmi cosa devi, così ognuno può tornare alla propria vita e arrivederci» mi aveva esasperata. Avevo appena perso la pazienza. Mi snervava il suo modo di girare e rigirare il discorso.

L'aria del suo volto divenne magicamente seria. Diminuì le distanze avvicinandosi al divano, sul quale io mi ero nuovamente accomodata, s'inginocchiò e alzò il suo volto verso il mio. Poggiò le mani sulle mie ginocchia nude, e fu lì che mi maledii per non aver indossato i pantaloni. Lì dove aveva poggiato le dita mi si formarono dei brividi visibili e percettibili, lui stesso se ne accorse, da quel particolare sarebbe stato facile tirare le somme per chiunque. I nostri sguardi s'incrociarono, le guance mi s'imporporarono, il respiro si fece pesante, il cuore mi arrivò quasi in gola. Era devastante l'effetto della sua vicinanza.

«In realtà sono due le cose da dirti...» sussurrò con voce grave ma quasi dolce, facendomi credere che dovesse rivelarmi qualcosa di bello.

La cellula rossa riprese a riempirmi di buoni propositi, ma io decisi di eliminarli. Non potevo illudermi che potesse aver lasciato Debrah a causa mia, o che provasse un qualche genere d'interesse per una ragazzina come me. Quei discorsi non erano da lui e soprattutto non argomenti da fare con me. Sapevo di essere di una contraddittorietà assurda, perché sebbene non ci credessi, infondo speravo che fosse quello il motivo della sua chiamata improvvisa. Contraddittorietà perché un attimo prima non avevo la minima intenzione di guardarlo, per non ferirmi, e un attimo dopo non desideravo altro che quello. Continuavo a non capirne i suoi fini, ma mandava dei segnali strani. Con la sua vicinanza, con i suoi sussurri, con le sue mezze carezze mi faceva pensare che in fondo anche da parte sua qualcosa nei miei confronti c'era. 

Deglutii rumorosamente quando cominciò a parlare «Punto uno: agli occhi di tutti stai passando per una troia facendo questi scambi di ragazzi.»

Strabuzzai gli occhi incredula di cosa alla fine fosse uscito da quella sua boccaccia capace solo d'insultare. «Troio ci sarai tu. E poi non sono affari che ti riguardano con quanti ragazzi sto io!» feci per levargli le sue luride manacce dalle mie cosce, ma non me lo permise. Era più forte di me, lo stronzo. 

Per un attimo avevo creduto realmente che volesse dirmi qualcosa di romantico, di dolce... ma quelle parole, quelle frasi, quei gesti esistevano solo nella mia mente e dovevo smetterla di fantasticare.

«Oh certo, ma infatti non m'interessa» fece una smorfia di cui non capii il significato e poi continuò il suo discorso insulso abbassando il volto «lo dicevo perché a scuola hanno aperto delle scommesse su chi sceglierai alla fine e vorrei puntare sul vincitore! Quindi mi farebbe comodo se tu mi dicessi chi preferisci...» finì puntando nuovamente i suoi occhi su di me e sogghignando. 

Mi alzai dal divano violentemente e finalmente riuscii a vincerlo in forza. Cominciai a camminare avanti e indietro per tutto il salotto a causa del nervosismo che quel coglione mi trasmise. 

In realtà essere considerata una ragazza facile, era uno dei miei obiettivi principali da parecchio tempo ormai, ma sentirsi dire quelle parole dal ragazzo di cui ero infatuata, faceva male. Anzi no, faceva più che male; malissimo. Tant'è che sentii pizzicare di nuovo gli occhi, ma quella volta erano delle lacrime di dolore a voler uscire, non più di felicità. Venire a conoscenza del fatto che anche lui avesse quella brutta reputazione di me, fu straziante. Vedere che lui non avesse capito nulla della sottoscritta, mi nauseò. Lo avevo difeso, salvato da molte situazioni, gli avevo mostrato il mio cuore, la mia vera personalità, ma non gli era bastato. No. Anche lui aveva la stessa considerazione, per me, degli altri. Avrei tanto voluto giocare a lanciare freccette sulla sua faccia, in quel momento. D'istinto mi venne voglia di sbandierare tutta la verità, di spiegargli cosa mi provocava, cosa avevo fatto finora per lui, per il suo bene. Solo in quel modo lo avrei zittito una volta per tutte, ma non lo feci.

«Be' di certo non preferisci Ciak. Quindi uno è eliminato definitivamente dalla lista.» continuò a girare il coltello nella piaga.

Si stava divertendo a giocare con la mia vita, con la mia dignità ed io bloccai di colpo la mia camminata. Stava esagerando. Gli puntai il dito contro e urlai: «Per l'amor del cielo, sta' zitto Castiel. Tu non sai niente. Niente! Non azzardarti a parlare ancora, altrimenti io...» 

«Altrimenti cosa?! Altrimenti finalmente ti degnerai a raccontarmi una volta per tutte la verità? Oh ma non devi preoccuparti per questo... non sprecare fiato, qualcuno ha già fatto il lavoro al posto tuo...» sorrise oserei dire amareggiato. 

Un colpo al cuore e allo stomaco, mi colpirono in sincrono diminuendo l'ira di pochi secondi prima. «C-che c-cosa?» gli chiesi balbettando spaesata.

E se fosse stato proprio Ciak a tradirmi? Per vendicarsi avrebbe potuto rivelare a Castiel qualsiasi cosa. Lui sapeva tutto. Non percepii più il pavimento sotto ai piedi tanto dalla pesantezza della sorpresa negativa appena ricevuta.

Con una falcata il rosso mi raggiunse. Ci trovammo di nuovo l'uno di fronte all'altra, l'uno guardava gli occhi dell'altra.. e maledettamente arrossii. "Controllati Miki. Ricorda, tu sei furiosa con lui!" il pezzo di coscienza sopravvissuta alla battaglia contro la cellula rossa, cercò d'incoraggiarmi e di riportarmi sulla retta via.

«Sì esatto, Ciak!» sembrò aver ascoltato i miei pensieri «lui mi ha detto. Ma vorrei sentirle dire da te certe cose, se non è troppo...» mi schernì. 

«Io non devo dirti proprio niente. Ho già parlato quando dovevo; ora lasciami in pace!» ricominciai a vagare per tutta la stanza nuovamente nervosa. La quiete era durata solo per qualche istante. 

Marciai velocemente, sembravo una matta appena evasa da un manicomio. Castiel protrasse a guardarmi imbambolato ed in silenzio per qualche minuto, era pensieroso, quasi combattuto sul dirmi o meno ciò che vorticava nella sua mente. Poi prese in mano la situazione afferrandomi da un braccio e bloccando la mia scarpinata. Cercai di staccarmi da quella presa così potente, ma non ci riuscii. Ero girata di spalle, non potei ammirare il suo volto. Lui dietro di me continuava a tenermi ferma. C'era tensione nell'aria, quasi come se da un momento all'altro dovesse accadere qualcosa di eccezionale.

«Miki, cosa provi per me?» e la bomba scoppiò.

Non poteva avermelo chiesto realmente. No, lui non poteva averlo fatto. Stavamo argomentando discorsi sconnessi tra loro, frasi a metà, domande senza risposte. Ma per quale motivo? Come eravamo giunti a quel punto? Con quella domanda scomparse ogni altro pensiero dalla mia mente e dal mio cuore. Mi svuotai completamente, non seppi cosa pensare, nelle mie orecchie sentii suonare e risuonare soltanto la sua domanda "Miki cosa provi per me? Be' Castiel, non lo so neanch'io!"

Ero spaesata, non mi sarei mai e poi mai aspettata un interrogativo del genere da parte sua. Gli risposi con il mio silenzio, era meglio così. Restammo nella stessa posizione anche dopo il quesito senza risposta.

«Rispondi, per piacere» fu dolce nel tono di voce. E le braccia mi si riempirono di brividi. 

Mi girai finalmente nella sua direzione, lo guardai negli occhi per un attimo, poi abbassai lo sguardo e scollegai il filtro bocca-cervello.

«E tu... tu cosa provi per Debrah?»

Con una domanda del genere risultai prevedibile. Era ovvio che m'interessasse, a quel punto. Era ovvio che provassi qualcosa per lui se lo avevo appena invitato a comunicarmi quali sentimenti sentisse per la sua ragazza, altrimenti avrei risposto tranquillamente senza interessarmi di altro. Ero stata una stupida, avevo dimostrato di essere una ragazzina gelosa e viziata. Si percepiva tutto dalla mia domanda, mi ero rovinata con le mie stesse mani.

«La amavo un tempo...» quando si rese conto di non aver completato la frase, aggiunse il resto quasi in imbarazzo: «ora di nuovo».

Quell'espressione me la sarei ricordata per il resto della mia esistenza. Castiel impacciato. Non era riuscito liberamente ad ammettere di amarla ancora, forse per il semplice fatto di non volermi deludere. Ormai era palese anche ai suoi occhi che m'interessasse, voleva limitare la mia figuraccia, la mia delusione. Fu premuroso e triste allo stesso tempo. 

Le guance gli arrossirono impercettibilmente, gli occhi guardarono ovunque tranne che nella mia direzione. E come se non bastasse, si portò una mano dietro la nuca scompigliandosi leggermente i capelli. Era dolcissima quell'immagine, avrei pagato oro per ricevere quelle stesse reazioni una volta confessatomi i suoi sentimenti. Ma non sarebbe mai accaduto. Debrah era la sua donna, non io. Sarebbe rimasta sempre lei, il suo amore.

«Bene. E vissero tutti felici e contenti. Fine!» dissi dopo qualche secondo amareggiata, con un sorriso finto. 

Perfetto. L'unico scopo dell'invito di andare a casa sua, fu quello di mettermi in ridicolo. Ormai era sicuro. Voleva prendersi gioco di me e ci era riuscito già più del dovuto. Verso la fine si era -poi- dispiaciuto, aveva provato compassione per me e si era addolcito. Finiva tutto lì. Così, decisa ad abbandonare quella casa all'istante, mi recai in direzione del divano per riprendere la borsa e sgattaiolare via. Era scivolata sul pavimento quando mi ero alzata di scatto dalla poltrona. Mi abbassai e l'afferrai.

«Ah un'ultima cosa: ringrazia la tua ragazza da parte mia per aver fatto sì che ricevessi come punizione quella di lavare tutti i cessi della scuola per un mese. Molto carino da parte sua» sorrisi «peccato, però, che non sia riuscita a far saltare la partenza per Roma!» aggiunsi la battuta finale recandomi dinanzi alla porta d'uscita.

«Cosa stai blaterando?» si precipitò davanti alla porta per evitare di farmi uscire. Come volevasi dimostrare il rosso non era a conoscenza della malvagità della sua ragazza per la sottoscritta. 

«La tua bellissima, bravissima e intelligentissima ragazza mi ha minacciata. Se ti fossi stata lontana, se non ti avessi mai più rivolto la parola lei non mi avrebbe accusato alla direttrice... mentre se non avessi osservato i suoi ordini mi avrebbe accusata e bla, bla, bla... Insomma sai la storia!» tolsi fuori tutto l'amaro tenuto dentro da due giorni. Finalmente ero riuscita ad accusare quella vipera. Nessuno era a conoscenza dei suoi ricatti. 

«E tu hai accettato la sua proposta, spero...» corrugò le sopracciglia. Era duro di comprendonio. 

Sospirai e poi cercai di spiegargli. «Se avessi accettato allora perché ti avrei detto di ringraziarla per avermi mandata in punizione?»

«Avresti dovuto accettare. Tu non la conosci, tu...» si bloccò «dimmi perché l'hai fatto, perché?» la sua reazione nervosa mi stupì.

«Ti sembro una che si fa mettere facilmente i piedi in testa? Lei non è nessuno per dirmi cosa devo o non devo fare! E poi.. pensa piuttosto a lei e a tenerla a bada. È diventata insopportabile!» poi feci per spostarlo dalla porta «ed ora fammi passare. Devo rientrare a casa!» ma lui non si spostò neanche di un passo.

«No, tu non vai da nessuna parte. Tu non dovevi farlo. Ma perché, perché l'hai fatto?» parlò sembrando quasi di temere per la mia incolumità, quasi come se Debrah potesse provocarmi del male fisico. «Dovevi dirle che non mi avresti rivolto più la parola. Dovevi farlo. Perché è così importante parlarmi, starmi accanto, perché? Non faccio altro che trattarti male e...»

«Ma che cazzo Castiel vuoi che ti faccia i disegnini, per farti capire meglio? Sembri un inetto in alcune occasioni» scossi la testa incredula. Era palese ormai cosa provassi per lui, ma ancora chiedeva spiegazioni. Incredibile, quel ragazzo. Se sentirlo pronunciare dalla mia bocca fosse stata la sua intenzione, non avrei potuto accontentarlo. Non gliel'avrei detto esplicitamente, non quella sera.

«No. Tu... spiegami, devi...» non gli diedi il tempo d'iniziare la frase che lo bloccai con le mie parole, di nuovo. Ero un fiume in piena. 

«Sei innamorato di un'altra... Cosa vuoi che ti dica, ancora?» avevo perso le staffe e blateravo. Quel ragazzo era capace di farmi cambiare umore da un micro secondo all'altro.

«E tu Miki? Sei mai stata innamorata?» che senso aveva quella domanda? Stavo per uscire fuori di testa, non sopportavo più tutti quegli argomenti lasciati a metà.

Ma a quella domanda il cuore mi sobbalzò ugualmente. Quella sera stava giocando sporco, m'illudeva e mi disintegrava nello stesso istante.

«No!» risposi con tono secco. Sembrai quasi delusa.

«Allora non farlo mai. Non innamorarti mai, Miki. Non lo fare perché fa male. Fa dannatamente male. Ti senti legato a vita a quella persona anche nel momento in cui vieni a conoscenza di non provare più sentimenti per lei... non riesci ugualmente a fare a meno di lei...»

In terza persona mi stava parlando del suo rapporto con Debrah, forse? Avevo sentito bene? Castiel non era più innamorato di Debrah?!? No, impossibile! Non credevo alle mie orecchie, non credevo ad una sola sua parola. Era impossibile visti gli avvenimenti del mese passato. Si stava solo prendendo gioco di me.

«Non riesci a lasciarla perché evidentemente non hai un motivo valido» risposi semplicemente. Non potevo credergli. 

Ma seguitai a non capire. Maledizione. Cercò di giustificarsi, di fare attenzione alle parole usate, sembrava impaurito, impaurito di farmi del male. Eppure lui non era il tipo di ragazzo da farsi quel genere di complessi. "Che ti sta succedendo Castiel?" 

Mi osservava con sguardo fisso e profondo, immobile, davanti al masso di legno, con le braccia aperte per bloccarmi la strada.

A quel punto quella che voleva capirci qualcosa in più ero io. 

«Quindi qual è stata la mia funzione qui, stasera?»

«Tu... stai con Nathaniel, di nuovo?» 

«Non rispondere alle domande con altre domande. È snervante!» sbuffai.

«Tu lo fai sempre...» rispose semplicemente.

Non potevo sostenere quella conversazione un minuto di più. Mi avvicinai a lui velocemente e lo spinsi lateralmente. Con la mia forza da formica gli feci fare pochi passi che però mi permisero di poggiare le mani sulla maniglia per aprire la porta d'entrata.

Ma un gesto inaspettato mi bloccò ogni movimento futuro. Mi abbracciò di spalle, cinse i miei fianchi con le braccia e poggiò la testa sui miei capelli.

Socchiusi gli occhi a quel contatto e assaporai quegli improvvisi momenti di serenità. Ad un tratto, grazie al suo tocco magico, il corpo teso dall'ira, si rilassò. Quella fu la dimostrazione di quanto fosse forte ciò che provavo per lui. Ma Castiel... Lui cosa provava per me? Non potevo rispondere niente, non dopo quei gesti. Fui quasi tentata di chiederglielo, ma non ebbi il coraggio. Non volevo rovinare anche quel momento. L'unico istante di pace dopo tanto tempo.

Restammo in quella posizione per qualche minuto, nessuno dei due osava scogliere quell'abbraccio, se così si poteva definire. Sembrava non avesse abbastanza coraggio per andare oltre o per parlare, come se in realtà volesse dire o fare qualcosa ma non riusciva a farla. C'era tensione nell'aria respirata da entrambi. 

«A te cosa importa di me e Nathaniel, o di me e Ciak? E non rispondermi allo stesso modo di prima. Sii sincero. Cosa vuol dire questo ora?» alla fine non riuscii a trattenermi. Implicitamente gli chiesi se fossi o meno importante per lui, cosa significasse quell'abbraccio. Provai ad avere un tono di voce forte, impositivo, ma non fui sicura di esserci riuscita. La sua vicinanza mi faceva sciogliere il cuore. 

Quel contatto aveva addolcito anche la mia voce, nonostante i mille dubbi su quelle mezze verità che cercavo d'immaginare come reali.

«Odio essere preso in giro da te. Odio che tu voglia apparire ciò che non sei...»

Mentiva, si percepiva. Le sue corde vocali oscillarono così come la sua incertezza. Era più di mezz'ora che mentiva. Stava svelando delle mezze verità. Ma qual era la restante parte della medaglia?

«A te cosa importa se passo o meno per una puttana? Cosa t'importa di me? Un mese fa eravamo proprio in questo punto quando mi hai urlato contro di non essere nessuno per te..» dissi aprendo le braccia sconcertata.

Con quei movimenti sciolsi l'abbraccio. Mi voltai, e guardandolo negli occhi cercai di trasmettergli con lo sguardo tutto il risentimento, il rancore per le ferite procurate da lui un mese prima. Ritornavano sempre a galla, quelle. 

«Stai parlando di un mese fa, Miki! In un mese, molte, troppe cose cambiano»

Per la prima volta in quella serata apparì sincero, involontariamente. Perché quando si rese conto di aver detto una parola di troppo sgranò leggermente gli occhi grigi. 

«E in te.. In te cosa è cambiato?» 

Fu una domanda scomoda quella, per lui. Infatti portò una mano sui capelli e scompigliò il ciuffo in segno di nervosismo. 

«Ho imparato a conoscerti meglio in questi mesi. Ti ho osservata da lontano, sei buona Miki. E mi rode che gli altri ti considerino una puttana. Non lo sei. Perché vuoi per forza sembrarlo?! Sembra che tu ti ci metta d'impegno a volerlo apparire..»

La sua schiettezza mi percosse facendomi vacillare. 

«Non dovresti roderti, se io sono niente per te..» evitai di spiegargli il motivo per cui volessi apparire una ragazza facile, non era il momento adatto. 

Avremmo potuto continuare quel discorso fino all'alba ma nessuno avrebbe detto nulla di più. Entrambi avevamo paura di parlare, di compiere qualsiasi gesto più esplicito. Eppure nessuno dei due, riusciva a stare lontano dall'altro. Tutto quella sera apparì strano e diverso, come se ci stessimo parlando per la prima volta.

«Non è vero. Tu sei...» stava finalmente per dire qualcosa di concreto quando qualcuno suonò alla porta, interrompendoci.

Mi fiondai ad aprire essendo accanto alla porta socchiusa. Sapevo bene che oramai ogni argomento poteva definirsi concluso. 

Debrah Duval. 

Ovviamente era stata lei ad averci impedito di concludere. Avrei dovuto immaginarlo. Era giunta a casa del rosso per passare la notte insieme a lui. E perché non avrebbe dovuto farlo?!? Era la sua ragazza, dopotutto. 

Diversamente dal solito non iniziò con battute, anzi aveva in volto la sua tipica aria di superiorità e soddisfazione allo stesso tempo. Mi spostai per farla passare. Appena dentro, si precipitò tra le braccia di Castiel e lui l'accolse come se la stesse aspettando da una vita intera. Ebbi la percezione che lei sapesse di trovarmi a casa del rosso, altrimenti avrebbe avuto un'altra reazione ne fui convinta.

Quell'abbraccio fu la risposta ad ogni mio dubbio. Lui era e sarebbe stato sempre e solo innamorato di lei. Non aveva cambiato idea, aveva finto durante quella mezz'ora, era stato in imbarazzo soltanto per non provocarmi dispiacere. Non voleva avere rimorsi o sensi di colpi nei miei confronti, non ero poi così scema da non capirlo. 

«Io stavo giusto andando...» pronunciai afflitta con un filo di voce. Rientrai nel salotto per prendere il famoso spray al peperoncino per restituirlo alla mia amica. Poi uscendo dalla porta d'entrata senza aspettar alcun saluto, sbattei con forza il masso di legno.

Mi lasciai alle spalle la stessa e quasi identica scena di un mese prima. Debrah aveva vinto ancora una volta, a distanza di tempo non ero riuscita a far cambiare idea a quel beota. Sì, solo così avrei potuto definirlo. Mi aveva ferito, talmente tanto da lasciarmi di nuovo l'amaro in bocca, nel corpo, nel petto, nell'anima. Amaro dal dispiacere, dalla rabbia, dalla delusione. Mi aveva chiamata, usata per chissà quale scopo, e gettata via. Avrei preferito non vederlo piuttosto che concludere con quel finale sdolcinato e del tutto nocivo per la mia salute mentale. 

Con tanti pensieri che frullavano in testa, mi misi a correre e correre ancora, fino all'arrivo a casa. Correndo sperai d'inciampare, di sbattere la testa per potermi dimenticare definitivamente di quella sera e di Castiel. Sarebbe stato meglio se non l'avessi mai conosciuto. Ma seppure lo avessi voluto, non riuscii a cancellarlo. Lui restò impresso nel mio cuore, nella mia mente come una scritta intagliata in un marmo. Come qualcosa d'incancellabile.

-

Una settimana era trascorsa velocemente nonostante le ore di punizione che mi toccarono praticare a causa delle accuse di Debrah. Pulivo e ripulivo le toilette, i corridoi del Dolce Amoris, mentre tutti gli altri inseguivano i loro sogni più ambiziosi. Allorché Debrah appariva come la fidanzatina fedele, io apparivo come l'altra... L'altra, candidata amante e rovina fidanzamenti, incapace di tenersi solo un ragazzo. 

Ero l'altra; la cattiva della storia

Sul mio conto se ne dissero molte in quella dannata settimana. E di partire non ne avevo neanche più voglia. Persino di Castiel non avevo più voglia. Ero disgustata dal fatto che anche quella volta avesse scelto lei e l'aveva fatto davanti ai miei occhi, senza portare un minimo rispetto. Aveva finto di volermi rispettare, ma aveva fatto tutt'altro che quello. In più ormai aveva scoperto tutte le mie carte, conosceva i miei sentimenti, doveva saperlo sicuro dopo quel maledetto mercoledì sera. Era sottinteso che m'interessasse, che non fosse un semplice amico o conoscente, mentre lui nulla, il vuoto più totale. Quella sera aveva avuto dei comportamenti ambigui, sin troppo per i miei gusti. Non era riuscito a dirmi di amare ancora Debrah per non ferirmi, ma poi aveva finito per abbracciarsela appena era apparsa sulla sua vista. Aveva detto di sapere la verità di tutta la storia con Ciak, che aveva parlato con lui, ma poi continuava a chiedermi spiegazioni come se in realtà non sapesse niente. Non avevo capito nulla, nulla su quello che volesse dimostrare con quella chiamata, con quell'invito esplicito ad andare a casa sua. Mi aveva semplicemente fatto capire di non vedermi con gli stessi occhi del resto della scuola, di avermi imparato a conoscere. Nulla di più. Solo illusione. Era un circolo vizioso senza fine.

E avevo passato così un'intera settimana, negli ennesimi dubbi, nella rabbia e nella solitudine. Evitavo Nathaniel che continuava a tartassarmi di chiamate ed inviti per visitare il rifugio dei gatti. Evitavo persino Ciak perché mi aveva tradita, io non l'avrei mai fatto nonostante tutto. Ed evitavo infine lui; Castiel. Per la prima settimana nella mia vita riuscii ad evitare di parlargli, di seguirlo ovunque, di risolvere i suoi problemi. E ci riuscii finalmente. Dove intravedevo lui, scappavo lontana.

Peccato avessi tralasciato un piccolo particolare: il viaggio a Roma!

Quando mi accorsi che sarebbe stato inevitabile rivolgergli la parola era troppo tardi. Mi ritrovavo infatti già sull'aereo in partenza, proprio affianco a lui. E come se non bastasse in me persisteva il batticuore causato dalla sua semplice presenza affianco. 

Non ero ancora guarita da lui. 

-


CASTIEL

Miki si ostinava ad evitarmi, lo faceva da quel famoso mercoledì sera. Ma non potei rischiare, non avrei potuto togliere Debrah di casa, rifiutarla, lo avevo fatto per il bene di Miki. In più durante quella stramba conversazione notturna, mi ero fatto sfuggire troppi fatti che la bella romana non avrebbe mai dovuto conoscere, Debrah era giunta al momento adatto per salvarmi. Eppure come spiegarle? Come farle capire quanto fosse pericolosa quella ragazza? Sebbene avesse solamente quasi diciott'anni, la sua mente diabolica avrebbe potuto far invidia persino all'uomo più malvagio del mondo. Non era un'esagerazione la mia, ma pura verità. Avevo intuito stesse architettando qualcosa contro di me, e sapere che anche Miki fosse nel suo mirino m'incusse timore. Non temevo per la mia incolumità, quanto per la sua. Non volevo le accadesse niente di male. 

Anche per quel motivo non potevo permettermi di sbilanciarmi con lei. Miki era attraente, bellissima, ma se non avessi prima risolto la situazione traballante con Debrah non avrei potuto espormi anche con Miki. Non ero un traditore. Dare un bacio ad un'altra era una cosa accettabile in un certo senso, mentre tradirla fisicamente era un altro, un qualcosa che non doveva e non poteva accadere. E poi ne avevo avute abbastanza grazie ad Isaac, il mio cosiddetto padre. Aveva tradito mia madre, rovinando così una famiglia. Aveva rovinato una persona, dei valori, dei sentimenti. Ed io non avrei mai commesso il suo stesso sbaglio.

Non sapevo cosa ci fosse tra me e Miki, ma qualsiasi cosa potesse esserci non sarebbe mai andata oltre ciò che c'era già stato. Lei non era la ragazza giusta per me ed io non ero il ragazzo adatto a lei. Era un dato di fatto. 

Mentre cercavo di auto-convincermi su di lei, eccola lì: apparentemente innocente, seduta affianco a me sull'aereo che ci avrebbe portati nella città eterna. Il velivolo doveva ancora decollare, delle hostess dalle forme sinuose ci avevano appena informato sulle procedure da seguire prima della partenza.

Cominciai a scrutare accuratamente la ragazza dai capelli ramati, più la guardavo e più mi affascinava. Aveva un paio di leggings aderenti, neri, che le fasciavano le gambe e delineavano più del necessario le sue forme perfette. Una camicetta a quadri rosa e viola, le arrivava all'altezza dell'inguine. 

Senza volerlo, senza un minimo di autocontrollo iniziai ad immaginarla nuda.

Lei, nuda con solo la camicetta rosa addosso. Sotto quella non indossava neanche l'intimo; dal tessuto fino le s'intravedevano i capezzoli turgidi per l'eccitazione. Mi guardava, mi fissava con quei suoi occhi scuri, uno sguardo che in lei non avevo mai visto. Era sensuale, lo sguardo più provocante che avessi mai guardato.

Continuava a fissarmi, fin quando si morse il labbro inferiore. Lì divenni come cieco. L'istinto divenne l'unico padrone. Le saltai addosso e la cominciai a baciare affamato delle sue labbra, della sua saliva. Affamato di lei...

Eravamo in una cabina privata ed isolata dell'aereo. La poggiai sui sedili e le sbottonai la camicetta a morsi, strappandola.

La volevo ammirare senza veli, solo con la sua pelle addosso. Non le diedi neanche il tempo di respirare che tolsi tutto. Avevo fretta di vederla finalmente dopo tanti mesi di desiderio.

Era bellissima. Non avevo mai visto donna più bella di lei, nessuno poteva batterla. Era unica.

Scossi la testa per distogliere quei pensieri, altrimenti il mio membro avrebbe iniziato a farsi sentire e vedere. In quelle circostanze non sarebbe stato il caso. Eppure continuavo a non capire, non avevo mai desiderato così tanto una donna a tal punto da immaginarmi delle scene erotiche al sol guardarla vestita con abiti normali. Forse accadeva perché le altre erano cadute ai miei piedi senza fatica, compresa Debrah. Ma non dovevo permettermi di distrarmi ancora, Miki doveva seguitare ad essere un divieto per il sottoscritto. Non potevo cedere.

Venni disturbato dagli altoparlanti che c'informarono di dover spegnere tutti gli apparecchi elettronici. Presi il cellulare, dalle tasche anteriori dei miei jeans neri, tirandolo con forza.

Feci per premere sul tasto di chiusura, ma grazie all'illuminazione del cellulare potei vedere il segno della presenza di un messaggio. Aprii di fretta il testo e alla lettura di quelle parole mi affogai con la mia stessa saliva.

Mi hai messa incinta, coglione!

  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Giochi di Ruolo > Dolce Flirt / Vai alla pagina dell'autore: BlueButterfly93