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Autore: effe_95    31/03/2015    13 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
1.Tatuaggi, Orologi ed Ex.
 
Settembre
 
<< Andiamo! Andiamo, muoviti! >>
Giasone Morelli osservava l’autobus arrancare lentamente sulla strada, stridere a ogni spostamento e sbuffare come un vecchio brontolone, con aria apprensiva.
Era da cinque anni che prendeva quell’affare e ogni volta era sempre la stessa storia.
<< Avanti vecchio affare, muoviti. Non posso arrivare tardi il primo giorno di scuola! >>
Mormorò il ragazzo tra i denti, agitandosi sul posto come se avesse qualcosa nei pantaloni, cosa assai strana, data la brutta abitudine che aveva di usare i jeans più stretti del mondo.
L’autobus arrancò faticosamente e poi arrivò aprendo rumorosamente le porte, prima di salire del tutto, Giasone lasciò una pacca affettuosa all’aggeggio, poi spintonò un po’ di gente ed entrò tra gli insulti.
Timbrò il biglietto e si andò a sedere in fondo a tutto, accanto al finestrino.
L’unico vantaggio che aveva nel prendere quel rottame, era la possibilità di trovare sempre un posto libero dove sedersi.
Estrasse l’iPod con estrema soddisfazione, ma non appena fece per mettere una cuffietta nell’orecchio, il cellulare cominciò a tremare nella tasca del giubbotto.
Giasone lo estrasse con un certo fastidio e lanciò un’occhiata al display dove figurava la scritta:“ Ivan il Terribile”,  nomignolo che aveva dato al suo migliore amico e compagno di banco dal primo anno del liceo, un ragazzo così pallido da sembrare un fantasma, dai taglienti occhi verdi, i capelli neri come la pece e le braccia piene di tatuaggi.
<< Stavo per sentire la musica, sai?! Sei un rompicoglioni! >> Esclamò non appena ebbe portato il cellulare all’orecchio, la signora seduta davanti a lui lo fissò indignata, ma non aveva mica detto una vera parolaccia!
<< Oh davvero? Che canzone? Muse, Green Day o rock pesante? >>
<< Lasciamo perdere! Sei già a scuola Ivan Ettore Ricci ? >>
Giasone lanciò un’occhiata distratta alla strada fuori l’autobus, e sospirò dal sollievo quando si accorse che mancavano ancora parecchie fermate a quella della scuola.
<< Nah, pensavo di entrare in seconda ora, sai? >> La voce noncurante dell’amico lo fece grugnire, ogni anno era sempre la stessa storia.
<< Non dire cagate Ivan! Non puoi entrare in seconda ora il primo giorno di scuola! L’anno scorso ti hanno promosso per un pelo! >> Ivan sbadigliò sfacciatamente dall’altro lato del telefono e Giasone trattene sulle lingua l’insulto che stava per partire. << Sto uscendo adesso di casa, cinque minuti e sono all’inferno anch’ io. Ah, ricordati che oggi pomeriggio devi accompagnarmi in quel posto! >>
Giasone sentì il rumore di chiavi, e poi quello di una porta che si apriva e si richiudeva, almeno non aveva detto una balla, sospirò afflitto e sistemò con difficoltà l’iPod nella tasca del giubbotto.
<< Sul serio?! Ma non hai più posto sulle braccia! >> Ivan ridacchiò fastidiosamente.
<< Infatti lo farò sulla spalla! Dai, sono sempre andato con te >>
Giasone alzò gli occhi al cielo e sorrise, in effetti non aveva torto.
Ricordavano sempre con simpatia quel giorno, era appena cominciato il terzo anno di liceo e avevano detto la bugia più grossa della loro vita.
Tutti erano convinti che sarebbero rimasti a scuola a studiare, mentre invece andavano a farsi un bel tatuaggio, il primo in assoluto. Giasone ricordava che si erano tenuti per mano entrando in quel posto così ostile. Ivan era stato il primo a provare, dei due era quello più eccitato e anche il promotore dell’idea, si era fatto tatuare una frase strana lungo tutto l’avambraccio e non aveva fiatato nemmeno una volta, poi era arrivato il suo turno, un piccolo quadrifoglio sul polso sinistro.Giasone aveva gridato così tanto che tutte le volte successive passate in quello stesso luogo, si era limitato a fare da spettatore.
E anche in quel momento, l’unico tatuaggio che adornava il suo corpo era quel piccolo quadrifoglio.
<< E cosa vorresti farti tatuare questa volta? >> Domandò Giasone passandosi una mano tra i corti capelli biondi come il miele, aveva ancora sulle labbra il sorriso causato dal ricordo. << L’iniziale del suo nome ovviamente! Stronzo! Guarda dove cazzo vai! >>
La dolcezza della sua voce nella parte iniziale della frase e il modo animalesco e brusco con cui la concluse, lasciarono Giasone perplesso e ammirato.
Italia Sveva Parisi.
Il tormento e il sogno di Ivan, quella ragazza dai lunghi capelli color caramello e gli occhi più neri della notte. In realtà Giasone non sapeva cosa ci trovasse in lei, era bassa, minuta e ti guardava come se volesse scrutarti attraverso quei suoi occhiali enormi.
Era dal primo anno del liceo che Ivan aveva una fissa per quella tipa, la secchiona della classe.
<< Quel deficiente non sa guidare! >> Commentò Ivan arrabbiato per telefono, Giasone trattenne una risata e pregò che l’amico non distruggesse il motorino. << Beh, fai un po’ come ti pare con quel tatuaggio, basta che quest’anno Italia passi all’esame, del resto me ne sbatto. Sono arrivato, ci vediamo li >> Giasone balzò in piedi e scese dall’autobus vecchio giusto un secondo prima che chiudesse le porte, guardando con aria afflitta l’enorme edificio dalle pareti rosse che si stagliava di fronte a lui. << Viene anche Oscar comunque. Oh, sono arrivato anche io >> Non appena Ivan pronunciò quelle parole, Giasone sentì l’avvicinarsi di un motorino e i due si ritrovarono uno accanto all’altro davanti l’entrata della scuola.
Risero come due stupidi e andarono insieme a parcheggiare la moto.
Contemporaneamente, una ragazza dalla lunga traccia nera, i grossi occhiali che scivolavano continuamente sul piccolo naso, le folte sopracciglia nere contratte, gli occhi azzurri e i jeans sformati, correva ossessivamente per i corridoi facendo cadere continuamente la cartella di pezza tutta rovinata. Catena Greco era fatta così, distratta, sbadata, sbagliava sempre a impostare gli orologi e dimenticava gli orari degli appuntamenti.
Come quella mattina.
Entrò di corsa nel teatro della scuola facendo sbattere pericolosamente le porte e rimase di sasso quando lo trovò vuoto a eccezione di alcuni professori, che discutevano e sistemavano delle cose. Catena controllò ripetutamente l’orologio che aveva al polso, segnava le 8:45, tardissimo! Com’era possibile che in teatro non ci fosse nessuno? L’appuntamento per quella mattina era alle 8:20 davanti al teatro, non era in super ritardo?
<< Catena? Cosa ci fai qui? >> La ragazza distratta sollevò i suoi grandi occhi azzurri su un uomo dai capelli biondi come l’oro, gli occhi verdi e un viso squadrato.
Costantino Riva, il loro professore di Greco e Latino dal terzo anno di liceo.
<< Ah, salve prof., non sono maledettamente in ritardo? >> Commentò l’alunna affannata, mostrando ripetutamente l’orologio al professore accigliato, l’uomo ascoltò l’allieva con fare perplesso, poi con una mano gli mostrò la stanza completamente vuota.
<< Catena Greco, a volte sono perplesso sul fatto che tu sia una delle mie migliori alunne…>> Il giovane professore sollevò l’indice e lo puntò verso l’orologio in alto sulla parete che segnava le 8:00 precise, Catena si portò una mano sulla fronte e imprecò in silenzio, poi guardò il professore con aria mortificata. << A dopo, è stato un piacere rivederti Catena >> Commentò l’uomo con un sorriso divertito sulle labbra, per l’imbarazzo, la ragazza schizzò fuori dal teatro con una tale foga che andò a sbattere, letteralmente, contro il petto duro, durissimo, di qualcuno.
<< Catena? Ti sei fatta male? >> La mora sollevò dolorante gli occhi chiari, tenendo saldamente una mano sul naso arrossato, stava lacrimando sfacciatamente e gli occhiali le erano scivolati del tutto sotto gli occhi.
Chi le aveva rivolto la parola, era un ragazzo altro e magro con occhi taglienti, marroni e profondi, i capelli castani rasati sulla nuca e lunghi sul davanti, due sopracciglia finissime e labbra carnose. Oscar Sartori, il ragazzo che era arrivato nella loro classe l’anno precedente e per cui lei moriva letteralmente.
 << Catena? Ti senti bene? >> Domandò ancora una volta il giovane, poggiandole le mani sulle spalle.
Catena arrossì, pensando a mille cose contemporaneamente, che Oscar le aveva toccato le spalle, che gli era finita con il naso sul petto e che in quel momento era sicuramente orribile, più di quanto già non lo fosse.
<< Si, sto bene! >> Balbettò chinandosi per raccogliere goffamente la cartella che le era caduta a terra ancora una volta, la centesima quella mattina, Oscar la scrutò con un sopracciglio alzato e un pallido sorriso sulle labbra carnose, era un po’ perplesso.
 << Beh, quest’estate non ti sei fatta sentire sul gruppo di classe, ci siamo visti parecchie volte … >> Oscar si interruppe lentamente, osservando con fare critico Catena contorcersi per cercare di infilarsi la cartella a tracolla.
<< Vuoi una mano? >> Propose il castano allungando il braccio.
<< No! No … faccio da sola. >> Strillò lei isterica, Oscar ritrasse subito il braccio come se si fosse scottato, Catena arrossì sempre di più e alla fine, con uno sforzo immane, riuscì ad infilarsi quell’affare sulla spalla, doveva essere ridicola in quel momento, ma non appena Oscar aveva ammesso di aver pensato a lei durante le vacanze era uscita di senno.
<< Ok … allora ci vediamo in classe >> Disse il ragazzo scrutandola perplesso, Catena si aggiustò velocemente gli occhiali e sospirò afflitta, vedendolo allontanarsi verso l’atrio della scuola. << Ah, Oscar! Non ho risposto perché mi è finito il cellulare in mare! >>
Il castano si girò e le rivolse un sorriso strano, mentre lei ancora si chiedeva dove avesse trovato il coraggio per rivolgersi a lui così apertamente.
Mentre Catena ancora si sventolava con la mano per riprendersi da quella serie infinita di figuracce, e si incamminava lentamente anche lei nell’atrio per raggiungere il posto di ritrovo della 5 A, Telemaco Villa e Igor Testa salivano affannosamente sulla metropolitana.
Il primo respirò esageratamente quando le porte si chiusero alle sue spalle e il mezzo partì con molta lentezza, alcuni riccioli biondi gli caddero davanti agli occhi quando si piegò in avanti con un terribile dolore alla milza causato dalla corsa frenetica.
Il cappuccio della felpa sembrava quasi soffocarlo.
<< Cavolo! >> Commentò il riccio aggrappandosi come un disperato alla sbarra di ferro.
<< Tutta colpa tua che ti sei svegliato tardi >>
Telemaco puntò i suoi grandi occhi grigi sull’accompagnatore, il suo migliore amico dalle medie e compagno di classe.
Igor Testa era un ragazzo molto strano, si era appoggiato con la schiena sulla parete vuota e aveva già tirato fuori il suo libro di lettura, ne leggeva uno al mese e non sembrava affaticato per niente.
Lui e  Telemaco erano come il fuoco e il ghiaccio in tutto, a cominciare dall’aspetto fisico. Igor era basso, esile come un fuscello, aveva i capelli più neri della pece e scombinati come non mai, gli occhi verdi e sottili risaltavano poco, era tutto quello che una ragazza non avrebbe mai notato. Telemaco era alto e muscoloso, aveva i capelli ricci e biondi, gli occhi grigi, era una bella presenza, tutto quello che notavano le ragazze.
Eppure erano diventati amici subito, quasi per uno scherzo del destino.
Erano capitati vicini di banco in prima media e non si erano più separati.
Uno era riflessivo e l’altro impulsivo, uno era calmo e l’altro agitato, erano agli antipodi, ma si completavano.
Nessuno li capiva.
<< Grazie tante amico dei miei stivali! Ce la faremo mai per le 8:20? >> Domandò Telemaco, lanciando un’occhiata all’orologio da polso, Igor spostò lo sguardo dal libro e lo fissò.
 << Vorrei farti presente che mi sono presentato sotto casa tua alle 7:30, e ho dovuto aspettare venti minuti perché tu scendessi, quindi sarai tu l’amico dei miei stivali! Comunque, sono che 8: 07, mancano ancora due fermate e cinque minuti a piedi, se facciamo una corsa micidiale, arriveremo per il rotto della cuffia >> Dichiarò acido il moro scrutando con un cipiglio disgustato il migliore amico, ancora rosso in faccia e stralunato, Telemaco alzò gli occhi al cielo e lo spintonò con leggerezza. << Quest’anno voglio il posto accanto alla finestra in terza fila, l’anno scorso ce lo siamo fatto tutto in prima fila ed è stato un inferno, non lo permetterò più! >> Bofonchiò il biondo sollevando le sopracciglia con aria severa, i due si guardarono per un po’ negli occhi, poi scoppiarono a ridere come due idioti, attirando gli sguardi delle poche persone che occupavano il vagone. << Ma come Telemaco, la professoressa Cattaneo sentirà la tua mancanza >> Lo stuzzicò Igor, facendogli tornare in mente quante volte l’anno precedente la professoressa di Italiano l’aveva interrogato e rimproverato, Telemaco rabbrividì.
<< Speriamo che italiano non esca esterno alla maturità >> E si fece il segno della croce.
<< Beh, più che altro c’è un’altra questione che mi preme. >> Telemaco guardò il migliore amico con interesse << Come farai con Fiorenza? Ci hai pensato? >>
Fiorenza D’Angelo era l’ex fidanzata del biondo, si erano messi insieme il terzo anno del liceo dopo i primi due di litigi e situazioni assurde, per poi lasciarsi l’estate del quarto, esattamente un mese prima dell’inizio della scuola. Telemaco sbuffò e si portò le mani nelle tasche della felpa multicolore. << Non lo so, credo proprio che la ignorerò, lei è quell’idiota di Cristiano Serra! >> La conversazione cadde lì, Igor tornò a leggere il suo tomo, ma contemporaneamente non poteva fare a meno di lanciare delle occhiate di sottecchi all’amico, no, a Telemaco non era proprio andato giù quel tradimento.
Finalmente il treno arrivò alla fermata destinata, i due amici scesero come una furia e fecero tutte le scale di corsa, riversandosi sulla strada come criminali inseguiti dalla polizia, riuscirono ad arrivare a scuola che l’orologio segnava le 8:17.
L’atrio era già invaso dagli altri componenti della 5 A, pronti ad iniziare l’ultimo anno di liceo insieme.


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Effe_95

Buonasera a tutti.
Se siete arrivati fino alle note, vi ringrazio innanzi tutto per aver letto questo capitolo, e spero in secondo luogo che vi sia piaciuto.
Mi sono presa un po' di tempo per pubbicare questa storia, perchè il tutto è partito principalmente come un esperimento, e siccome devo gestire una gamma piuttosto alta di personaggi, avevo bisogno di organizzarmi.
In questi primi capitoli mi limiterò semplicemente a presentare tutti i ragazzi della 5A, e con loro alcuni dei fattori che poi costituairanno la trama. Ci tenevo a dire, proprio all'inizio della storia, per evitare equivoci in seguito, che due ragazzi, Aleksej Ivanov e Gabriele Rossi (che compariranno più avanti), sono già presenti in un'altra mia storia, ma non sarà necessario leggerla ( se volete mi fa piacere naturalemente), io farò sempre in modo che sia tutto chiaro. Spiegherò sempre tutto.
Detto questo, spero che la storia abbia attirato la vostra attenzioe, spero vi piaccia, e spero di non deludervi troppo.
Questo è più un eseprimento per me, spero vada a buon fine.
Grazie mille,  al prossimo capitolo spero. 
 
 
  
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