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Autore: Emelyee    01/04/2015    3 recensioni
"Percy era così... – no, non bello, quella era una consapevolezza che aveva avuto fin dall’inizio – era così raggiante, quel giorno. Aveva le maniche dello smoking grigio stropicciate perché, probabilmente, le aveva tormentate fino a pochi minuti prima, la fronte era imperlata di sudore e lui cercava di ignorarlo con disinvoltura, guardando dritto davanti a sé, e poi aveva quel sorriso... quel sorriso che l’aveva fatta innamorare molti anni prima senza che nemmeno se ne rendesse conto. Sorrideva a lei, e si sarebbe probabilmente messa a ridere se non avesse saputo con certezza quali pensieri lo avevano tormentato fino a poco prima. Era sempre così dolce, il figlio del dio del Mare, da farla sentire inadatta nella sua tipica freddezza. Era l’unico che sarebbe mai riuscito a prenderle il cuore, ne era certa."
E se ci trovassimo ad un matrimonio di semidei?
Storia partecipante al contest "La lirica della coppia felice" di MichiGR, sul forum.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Atena, Percy Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Terza classificata al contest "La lirica della coppia felice" sul forum di EFP.

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La settima regola
– perché un matrimonio di semidei deve avere delle regole, se vogliamo che vada tutto bene –
 
 
 
 
 
Le regole erano nate per caso, in un giorno di primavera in cui l’aria profumava di miele e fragole e i figli di Apollo si esercitavano nel tiro con l’arco nonostante non ce ne fosse alcun bisogno, chiacchierando con i figli di Atena che passavano di lì recitando testi in greco antico.
Percy e Annabeth sedevano sull’unico letto della Casa di Poseidone circondati da ghirlande di fiori, conchiglie candide come la neve, fogli di pergamena pieni di scritte scarabocchiate e ologrammi proiettati dai piccoli computer progettati di recente dai figli di Efesto. Percy aveva un’aria sconsolata e si chiedeva come fosse possibile che un matrimonio richiedesse una simile organizzazione pensando che, se l’avesse saputo prima, probabilmente avrebbe portato la sua fidanzata a Las Vegas e le avrebbe chiesto di sposarlo lì prima che Annabeth potesse a farne parola con le altre.
«Allora, tuo padre e tua madre saranno seduti vicini sulla destra, vicino a te, mentre mia madre e mio padre siederanno a sinistra, di fianco a me. Tyson può mettersi vicino a Poseidone o a te, e sono sicura che neanche Paul sarà un problema, ma credo che mamma si offenderebbe se al suo stesso tavolo ci fosse anche la moglie di papà, quindi dovremmo...» la ragazza continuò a muovere piccoli post-it colorati su un foglio davanti a lei con le sopracciglia aggrottate in segno di concentrazione, mentre illustrava al suo fidanzato la nuova disposizione dei posti per il pranzo. Percy si grattò la testa quando vide quanto impegno ci stava mettendo Annabeth nell’organizzare una cosa inutile come quella e fu quasi tentato di farle notare che se Atena non avesse voluto che la moglie di Frederick sedesse con lei, beh... l’avrebbe di certo incenerita per evitare il problema, ma lei era così presa da tutta quella situazione che non ne ebbe il coraggio.
«Percy?» all’udire il suo nome il ragazzo vide svanire davanti ai suoi occhi l’immagine della dea della Saggezza che, con sguardo gelido, faceva scomparire Katherine Chase in una nuvola di fogli di pergamena per semplificare il lavoro della figlia.
«Ehm, scusa, dicevi?» Annabeth gli lanciò un’occhiata furiosa.
«Non stai prestando attenzione. È il nostro matrimonio, Percy, non ne avremo altri, perché non cerchi di collaborare?» il figlio di Poseidone abbassò lo sguardo sul post-it verde che recitava “Testa d’Alghe” e su quello giallo in cui Annabeth si riferiva a sé stessa come “Me medesima”. Gli scappò un sorriso che non piacque per niente alla sua futura moglie.
«Si può sapere a cosa stavi pensando?» chiese incrociando le braccia e osservandolo sospettosa, scrutandolo come a cercare un accenno di indecisione da parte sua.
Percy arrossì e si passò una mano sulla nuca, riflettendo seriamente sulla possibilità di essere sincero, ma quegli occhi grigi gli suggerivano che non avrebbe apprezzato un riferimento così... poco elegante su sua madre. «Io... non credo che vorresti saperlo»
Lo sguardo della figlia di Atena si fece ancor più furioso mentre perdeva velocemente la pazienza. «Non è possibile! Stiamo organizzando il giorno più importante della nostra vita e tu pensi a chissà cosa! Se non ti va più di sposarmi basta dirlo e ci eviteremo un sacco di problemi inutili, Percy» il ragazzo spalancò gli occhi e mise avanti le mani, nervoso.
«Ehi ehi, non ho detto questo, Annabeth! Io ti sposerei anche qui e ora, non capisci? Stiamo facendo del nostro matrimonio una questione di stato, ci stiamo innervosendo per l’organizzazione dei tavoli quando sappiamo benissimo che quel giorno non importerà a nessuno della disposizione dei posti. Amore, ti stai facendo venire un crisi di nervi anche se dovresti essere la donna più felice della terra e dell’Olimpo!» spiegò prendendole le mani fra le sue e guardandola serio negli occhi che, ascoltandolo, si erano fatti stupiti e tristi.
«Se a te piace questo modo di organizzare non ho nulla in contrario, ma vorrei che arrivassi all’altare prima di avere un crollo» le sorrise e si guardò intorno, cercando un foglio che non fosse completamente scarabocchiato e afferrandolo con decisione, poi sfilò la matita dai capelli lunghi di Annabeth che, perso il loro sostegno, ricaddero sulle sue spalle come una morbida cascata bionda. Lo sguardo che gli lanciò quando iniziò a scrivere dei numeri in colonna arrivando fino al cinque era un enorme punto interrogativo.
«Abbiamo bisogno di regole» disse lui continuando a scarabocchiare qualcosa che assomigliava ad un cartello di pericolo.
«Regole?» chiese, perplessa. «Per cosa?»
«Per evitare la crisi di nervi, mi sembra chiaro» la punzecchiò con la punta della matita arricciando le labbra, concentrato sulla sua nuova missione: fare in modo che quel matrimonio fosse un’occasione felice dal quale isteria, urla e capelli strappati erano assolutamente banditi.
«Oh... beh, allora suppongo che la prima dovrebbe essere: “Arrivare vivi al matrimonio”» Percy alzò gli occhi al cielo, divertito.
«Sei piuttosto disfattista, Annabeth. Credi davvero che qualche terribile mostro provi ancora il desiderio di ucciderci? Beh, a meno che Medusa non sia tornata tornata di nuovo dal mondo dei morti, in quel caso sarebbe un bel pasticcio perché...» la giovane figlia di Atena rise nel vedere il suo futuro marito che cercava di ricordare tutti i mostri che avrebbero potuto interrompere il matrimonio e uccidere gli invitati.
«Non intendevo in quel senso, però devo ammettere di non averci pensato» disse, tranquilla come non era da settimane. Per Percy fu una gioia rivedere finalmente la donna di cui si era innamorato con un’espressione serena e rilassata «Beh, teniamo la regola oppure no?»
«Oh, certo che sì, non vorrei mai che ti pentissi di aver accettato e cercassi di gettarti nel Tartaro» rispose lui, annuendo con decisione, senza dare a vedere che quella era veramente una delle sue più grandi paure. «Ora tocca a me. Mh... che ne dici di: “Niente segnaposto”?» propose.
«Ma...» Annabeth fece per protestare, ma poi lanciò un’occhiata dubbiosa ai post-it colorati tra loro due rendendosi conto dell’irritazione che aveva provato mentre cercava di organizzare quel dettaglio. Afferrò quello rosa che indicava la moglie di suo padre – da lei amorevolmente denominata “La Befana” – e ne fece una pallina che lanciò alle sue spalle. «Okay, ci sto»
Percy scrisse la nuova regola con un sorriso sulle labbra, soddisfatto.
«”Non si invitano tutti i ragazzi del Campo Mezzosangue e men che meno quelli del Campo Giove”» la nuova idea del figlio di Poseidone avrebbe scatenato l’ira di Pauline, la fidanzata di Leo, ma poco importava. Il ragazzo si disse che avrebbe fatto a modo suo il giorno del suo matrimonio.
«Mi piace. Che ne dici di: “Prendersi un giorno alla settimana per sistemare come si deve la nuova casa”? Sarebbe carino non doverci pensare quando ci andremo a vivere, non credi?» ovviamente la loro nuova abitazione si trovava all’interno del Campo, in una nuova zona creata per le famiglie di semidei che avessero deciso di continuare a vivere lì, simile a quella già presente al Campo Giove, e altrettanto ovviamente era stata interamente progettata da Annabeth, che aveva passato notti a riflettere su come avrebbe dovuto essere il luogo in cui i suoi figli sarebbero cresciuti, salvo poi rendersi conto che le bastava pensare a Percy per trovare il giusto equilibrio tra loro due.
«La trovo un’ottima idea, ma i cuscini li scelgo io. Tu non hai la minima idea di che cosa significhi “comfort”» il ragazzo le fece l’occhiolino e lei ridacchiò al ricordo dell’ultimo divano che aveva scelto: una meravigliosa opera di design moderno privo della morbidezza dei cuscini. Lo avevano rimandato indietro senza troppi complimenti non appena Percy aveva sentenziato che quella sottospecie di scudo rotto non sarebbe mai entrato nel suo salotto.
«”Niente fughe dell’ultimo minuto a Las Vegas” è un po’ troppo sfacciato o credi sia necessario scriverlo?» chiese Annabeth attorcigliandosi una ciocca di capelli attorno a un dito, distratta. Prima di rispondere, Percy immaginò come sarebbe stato infilare la sua fidanzata nel taxi delle Parche, fuggire, sposarsi e tornare in fretta per informare i loro amici di ciò che era successo. Già, non sarebbe stato troppo carino.
«Tienila, non si sa mai» le fece un sorriso furbo che le fece tremare le gambe e desiderare che quella fosse semplicemente la sua camera nell’appartamento a New York, dove nessuno avrebbe potuto sorprenderli all’improvviso e dove non avrebbero indignato gli dei al punto di fargli lanciare fulmini – o polipi, per rimanere nello stile di Poseidone. Avrebbe tanto voluto sporgersi e baciarlo, ma era consapevole che non sarebbe riuscita a fermarsi, esattamente come non c’era riuscita tutte le altre volte. Doveva ammettere che, da quel punto di vista, Percy era molto più responsabile di lei. Il ragazzo notò le sue guance farsi sempre più rosee e sorrise di nuovo, immaginando ciò che vorticava nella mente di Annabeth. Si sporse per lasciarle un tenero bacio sulle labbra che la fece fremere di desiderio e poi tornò al suo posto, lasciandola confusa dall’altro lato del materasso.
«Ehm... uhm... credo che abbiamo finito» mormorò, incerta e ancora accaldata, osservando il foglio che Percy aveva compilato man mano che decidevano le regole da seguire. La figlia di Atena sorrise pensando che probabilmente quella era stata l’idea migliore che avrebbe potuto avere perché, conoscendosi, non avrebbe potuto fare a meno di seguire alla lettera ognuno dei punti elencati, evitandosi inutili paranoie.
«Non ancora; c’è qualcosa che vorrei aggiungere» scrisse qualcosa sulla pergamena e poi gliela mostrò, soddisfatto.
L’ultima regola diceva: “Annabeth dovrà infilare conchiglie e fiori nei capelli, perché così sarà così bella da far invidia ad Afrodite”. La giovane semidea sorrise, radiosa, e lo abbracciò.
 
Tre mesi dopo, il dodici luglio, appena fuori dai confini del Campo Mezzosangue un piccolo gazebo verde mare drappeggiato di veli grigio-argentei era circondato da una cinquantina di persone che attendevano impazienti l’arrivo della sposa. Era in ritardo, ma quale donna non si faceva attende un po’ il giorno del suo matrimonio? Percy l’attendeva sull’ultimo gradino del gazebo, nervoso come non era mai stato. I suoi amici gli si avvicinavano a gruppetti per incoraggiarlo, dandogli pacche amichevoli sulle spalle, ma la sua mente era altrove, nella Casa di Atena dove Annabeth, aiutata dalla madre, stava terminando di preparasi ponderando l’opzione di indossare il suo berretto degli Yankee, prendere Percy e fuggire in qualunque posto non fosse Las Vegas per sposarsi.
«Non avrei mai creduto che uno dei miei figli avrebbe sposato un figlio di Poseidone» le disse Atena mentre intrecciava i suoi capelli in una complicata acconciatura di fiori e conchiglie, come le aveva chiesto Percy.
«Nemmeno io» sospirò Annabeth, agitata.
«Sei preoccupata, cara?» la voce della dea nascondeva un sorriso sereno, ma la ragazza si innervosì ancora di più. Era il suo matrimonio, che diamine, certo che era preoccupata! Tuttavia, nonostante sapesse che sua madre conosceva i suoi sentimenti meglio di lei, non riuscì a non mentirle.
«No, va tutto bene» disse, stringendo i pugni. Atena appoggiò una mano sulla sua spalla e sorrise perché, nonostante tutti i pregiudizi che aveva nei confronti del dio del Mare, sapeva che Perseus Jackson avrebbe reso felice sua figlia, e la prova era proprio dietro di lei, nascosta tra i fiori del bouquet.
«Sei ancora in tempo» disse.
«Mamma! Stai cercando di convincermi a mandare a monte il matrimonio?!» la dea si strinse nelle spalle con aria annoiata e le sistemò dei ricci che erano sfuggiti dall’acconciatura.
«No, voglio solo che tu abbia ciò che desideri, e in questo momento Las Vegas ti attira molto di più di quel che ti aspetta là fuori» fece una smorfia quando pronunciò il nome di quella città, ma nient’altro nella sua espressione fece pensare ad Annabeth che sua madre stesse scherzando. Stava quasi per risponderle e chiederle di andare a chiamare Percy perché aveva un disperato bisogno di parlare con lui, ma Atena prese la parola per prima. «Ah, me ne ero quasi dimenticata. C’è qualcosa tra i gigli che credo ti farà piacere trovare» le fece l’occhiolino e uscì dalla stanza, ondeggiando nel suo lungo abito argentato.
Non appena la madre si chiuse la porta alle spalle Annabeth afferrò il suo bouquet di gigli e glicine e spostò delicatamente i petali di ciascun fiore finché non vide un bigliettino fare capolino, bianco su bianco, quasi invisibile. Era pergamena, lo percepì immediatamente al tatto, e qualcosa le diceva di sapere bene da quale foglio, in particolare, provenisse.
Lo aprì con delicatezza, lentamente, quasi spaventata di romperlo, e quando lesse ciò che vi era scritto sorrise radiosa, finalmente sicura della scelta che stava facendo.
Atena la stava aspettando poco lontano della sua Casa, rilassata come l’aveva vista poche volte, e osservava gli invitati che si muovevano come piccole formiche vicino al pino di Thalia. Si fermò a guardarla e pensò che probabilmente quello sarebbe stato il momento più umano che le sarebbe mai stato concesso con sua madre e che avrebbe dovuto goderselo. Eppure, credeva che non fossero i momenti umani ciò di cui aveva davvero bisogno; in fondo, quando hai sempre vissuto con la consapevolezza di essere diversa da tutti gli altri, che cosa importano i momenti normali?
«Mi sono sempre chiesta una cosa, mamma» disse ad un tratto la giovane semidea, avvicinandosi alla dea, ancora immobile. «Perché proprio papà? Cosa ti piaceva di lui?»
Atena sorrise dolcemente e si voltò per guardarla negli occhi. «Perché sapeva farmi ridere, Annabeth. Lui mi rendeva felice come ero stata poche volte, mi amava in un modo diverso da quello di tutti gli altri, era timido e ingenuo e la sua dolcezza mi scaldava il cuore. Ho scelto tuo padre perché aveva bisogno di qualcuno nella sua vita e non se ne rendeva nemmeno conto»
Annabeth si chiese se suo padre avesse sposato Katherine solo per riempire il vuoto lasciato da Atena quando se n’era andata, se avesse avuto difficoltà ad accettare la sua presenza solo perché gli ricordava troppo lei. Chissà; in fondo gli umani hanno strani modi di proteggersi dal dolore, lo aveva sempre saputo.
«Credo che sia ora di andare o Percy verrà a cercarci» disse la dea, tendendole la mano. La semidea la afferrò e decise che no, la normalità non importava.
 
Dieci minuti dopo, Annabeth percorreva con impazienza i pochi metri che la separavano da quello che di lì a poco sarebbe stato suo marito, stringendo il braccio di suo padre e quello di sua madre e, in una mano, il biglietto che aveva trovato nel bouquet.
Percy era così... – no, non bello, quella era una consapevolezza che aveva avuto fin dall’inizio – era così raggiante, quel giorno. Aveva le maniche dello smoking grigio stropicciate perché, probabilmente, le aveva tormentate fino a pochi minuti prima, la fronte era imperlata di sudore e lui cercava di ignorarlo con disinvoltura, guardando dritto davanti a sé, e poi aveva quel sorriso... quel sorriso che l’aveva fatta innamorare molti anni prima senza che nemmeno se ne rendesse conto. Sorrideva a lei, e si sarebbe probabilmente messa a ridere se non avesse saputo con certezza quali pensieri lo avevano tormentato fino a poco prima. Era sempre così dolce, il figlio del dio del Mare, da farla sentire inadatta nella sua tipica freddezza. Era l’unico che sarebbe mai riuscito a prenderle il cuore, ne era certa.
Quando suo padre posò la sua mano su quella di Percy, sorrise. il ragazzo le si avvicinò e sussurrò: «Sei venuta».
«Avevi dubbi?» chiese Annabeth a bassa voce, persa nei suoi occhi. Poi aprì la mano sinistra e gli mostrò il pezzetto di pergamena. «Regola numero sette: “non si scappa quando si è spaventati”» sussurrò, avvicinandosi ancora di più, incurante del fatto che ci fossero tutti i loro parenti e amici a guardarli.
«Io rispetto le regole» il bacio che seguì fece mormorare di stupore gli invitati, poco avvezzi alle dimostrazioni di affetto della ragazza, ma poi applaudirono, condividendo la felicità di quella coppia che si era trovata come tutte quelle che sono destinate a durare per sempre: per caso, senza cercarsi. E così, al contrario, inizia la storia di una vita che, lo sanno già, non darà loro nemmeno un respiro. Ma a chi importa di respirare se chi te lo toglie è l’unico motivo per cui ancora lo fai?
 

 

Note dell’Autore: 
1. Pauline Foley è il nome della fidanzata di Leo Valdez in una delle mie fan fiction e ho voluto mantenere questa caratteristica.
2. Nelle ultime righe si fa riferimento ad una “storia che comincia al contrario” perché Percy ed Annabeth non aspettano il fatidico ‘sì’ per baciarsi.
3. Katherine Chase è la moglie del padre di Annabeth, Frederick. Il nome di battesimo della signora Chase non è presente in nessun libro e non è stato fornito alcun chiarimento in merito, perciò ho provveduto ad assegnargliene uno di mia invenzione.
  
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