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Autore: papavero radioattivo    01/04/2015    7 recensioni
― DAL CAPITOLO PRIMO. ―
«Sascake?» ripeté Itachi, quasi confuso.
«Sascake» gli fece eco Asami, «Sasuke è un piccolo cupcake, non vedi?» continuò, indicando il più giovane, «ha la faccia da cupcake. Non esistono i cupcake in Giappone?» continuò.
«E tu dai nomignoli alle persone appena le conosci?» domandò Itachi, particolarmente divertito
.

Itachi ha ottenuto l'affido di suo fratello minore e si è trasferito a Londra per lavoro. In questa nuova città, completamente diversa da Konoha, Sasuke si porta dietro i suoi quindici anni appena compiuti ed una grande rabbia nei confronti del maggiore, che lo ha costretto a lasciare i suoi amici e la sua vita senza dargli nemmeno tante spiegazioni in merito.
Frustrato e spaesato, Itachi dovrà fare i conti con Sasuke e con una città che non conosce. Il mutismo del fratello, inoltre, non aiuta la situazione, facendo diventare il clima in casa pesante ed invivibile.
È nel marasma quotidiano che Itachi incontra Asami, una ragazza dai tratti orientali che non conosce una sola parola di giapponese ma si definisce inglese al cento per cento.
Senza volervo, il più grande degli Uchiha è finito sulla strada che lo condurrà al suo Ikigai, alla sua ragione per vivere.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Itachi, Nuovo Personaggio, Sasuke Uchiha
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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capitolo

P R I M O

 

Era una questione di principio.

 

 

 

«Sas’ke» Itachi lo chiamò, appoggiandosi alla porta della sua stanza. Lo osservò seduto sul letto, con la schiena curva e un libro appoggiato sulle lenzuola. Sasuke alzò lo sguardo, guardandolo attraverso le lenti degli occhiali. «Vado a fare la spesa, vuoi qualcosa?» gli chiese gentilmente, facendo un passo dentro la camera e scavalcando una valigia ancora chiusa – non gli fece notare che avrebbe doveva aprirla, e soprattutto che glielo aveva già chiesto circa due ore prima, non gli sembrava il caso.

«Pomodori» borbottò, alzando il libro e coprendosi la faccia con quello. Che bambino, si disse Itachi, sorridendo.

«Allora sai ancora parlare» commentò, facendo un altro passo in avanti, nella speranza di poter intraprendere un colloquio con suo fratello. Ma Sasuke abbassò lo sguardo e ritornò a leggere, alzando il libro davanti agli occhi. Sulle lenzuola aleggiava ancora la penna e il blocchetto degli appunti con sopra pasticciate le parole che gli aveva scritto durante il giorno. «Come non detto» si disse Itachi, facendo dietro front e scavalcando nuovamente la valigia, «Non aprire a nessuno» borbottò, andando a fare quella stramaledetta spesa.

 

  -――-

 

Itachi guardò la lista della spesa, infilando il sacchetto di pomodori nel carrello, sospirando mentre tornava a spingerlo, cercando di ambientarsi nel supermercato – per fortuna non c’era tanta gente, altrimenti ci avrebbe impiegato il doppio del tempo.

Il mutismo di Sasuke continuava ad infastidirlo, in un angolo del suo cervello. Si preoccupava che decidesse di fare così anche a scuola, o peggio ancora con l’assistente sociale. Se non dava l’impressione di essere felice – o almeno di stare bene – di sicuro lo avrebbero rispedito in Giappone. Non poteva permettersi di perderlo, di saperlo a Konoha mentre lui era a Londra a lavorare per qualche anno, o forse per sempre, lontano da lui.

Si infilò fra due file di scaffali, cercando delle uova biologiche, concentrandosi sulle condizioni orripilanti in cui le galline erano costrette a vivere piuttosto che alle scenate di Sasuke. Alzò lo sguardo, cercando tra i tabelloni appesi quello che indicava in quale corsia vi fosse il riso, e poi attraversò lo scaffale, finendo nella fila parallela a quella che aveva appena percorso.

Il suo sguardo cadde su una ragazza, in punta di piedi sul primo scaffale, probabilmente se lo sarebbe tirata addosso, Itachi se lo sentiva nelle ossa. Cercava di prendere del cibo per gatti, ma era troppo in alto e non riusciva nemmeno a sfiorarlo con le dita.

«Ha bisogno di una mano?» domandò cortese, senza prevedere che la ragazza si deconcentrasse dal suo obbiettivo e scivolasse in una frazione di secondo con il sedere sul pavimento, con un sonoro tonf. «Si è fatta male?» le chiese, aiutandola a rialzarsi mentre lei rideva, sistemandosi la canottiera che indossava e spostandosi i capelli dagli occhi.

«No, no! Sto bene, sono di pietra, non mi sono fatta nulla» gli rispose, tornando a fissare l’ultimo scaffale prima di arrampicarsi di nuovo. La prima cosa che Itachi notò furono gli occhi  e il loro taglio giapponese – grandi come quelli di Sasuke. «Comunque grazie, ma ce la faccio da sola, è una questione di principio» aggiunse, rubandolo dai propri pensieri,  allungandosi poi nuovamente per prendere il sacchetto di croccantini.

Itachi la guardò a metà tra il preoccupato e il divertito. Se non avesse chiesto aiuto o se non si fosse arrampicata sull’altro scaffale non sarebbe mai riuscita a prendere quei croccantini. Allungò la mano per afferrarli lui, ma le mani della sconosciuta gli strinsero il braccio, «Non ci provare nemmeno!» gli disse, mettendosi tra lui e lo scaffale, «Ti ho detto che è una questione di principio».

«Volevo solo aiutare…» le rispose, intontito da tutta quella determinazione. Da dove arrivava quella?

«Certo, certo, lo so» ribatté, agitando la mano come per scacciare un moscerino, «E io ti ho detto che devo farcela da sola» e annuì vigorosamente, incrociando le braccia. 

Itachi scosse il capo sorridendo, proseguendo con la spesa. Combattendo contro la voglia di girarsi a vedere se ci fosse riuscita – ma dato che non aveva sentito niente cadere per terra, sembrava stare bene. Continuò a depennare un prodotto dietro l’altro della lista, cercando poi in quel labirinto di cibo e utensili per la casa la cassa, mettendosi in coda. Solo dopo sentì un carrello muoversi in sua direzione e, girandosi, si accorse che era la ragazza che aveva cercato di aiutare prima – aveva il carrello pieno di cibo per gatti e altre cose per animali. Alla fine c’era riuscita.

«Allora ce l’hai fatta» commentò lui, ripiegandosi la lista e infilandosela nella tasca dei pantaloni.

«Avevi dubbi?» rispose lei, gonfiando il petto e appoggiando i pugni sui fianchi. Era gracile ma dava l’impressione di essere forte. Beh, si disse, sembra giapponese ma parla un inglese da vera inglese. «Il carrello» gli disse poi, indicandogli il nastro trasportatore. Itachi si era imbambolato a guardarla e aveva fatto la figura dell’idiota, fantastico.

Iniziò a svuotare il contenuto della sua spesa, sentendo la ragazza dietro di lui ridacchiare. Scosse la testa, concentrandosi sul suo lavoro, comprando anche un paio di borse di tela da poter riusare nuovamente.

«Un uomo che fa la spesa, eh?» continuò lei, appoggiandosi al suo carrello, «È un modo per fare colpo sulle ragazze o cosa?».

«Penso che sia “cosa”» rispose, cercando di essere divertente, ma evidentemente non ci era riuscito, «Mi sono solo trasferito da poco con mio fratello, tutto qui» e alzò le spalle, andando dall’altra parte della cassa per inserire i pomodori e il resto nelle borse, preparando le banconote per pagare la commessa totalmente disinteressata alla loro chiacchierata.

Mise in ordine tutta la spesa, trattenendosi dal chiedere alla sconosciuta se aveva bisogno di una mano per mettere la sabbia dei gatti sul nastro trasportatore. Ma quando prese coraggio per tentare di aiutarla, lei aveva già finito e stava già mettendo i sacchi sul carrello, facendoli cadere direttamente dal bancone all’interno della rete.

«Fai sempre così?» le domandò, mantenendosi indietro. Non voleva di certo ritrovarsi in un mare di sabbia per gatti nel caso uno di quei sacchi fosse esploso.

«È un metodo poco ortodosso ma efficace, non trovi?» e si girò verso di lui, facendogli l’occhiolino.

Tra i due, sembrava lei quella che era andata a fare la spesa per rimorchiare.

La aspettò, se non altro per una questione di rispetto – e poi perché pensava di doverla aiutare quando avrebbe messo quei sacchi in macchina, ammesso che ne avesse una. In tutti i casi, lei non sembrò protestare per la sua compagnia, e lui approfittò.

«E da dove vi siete trasferiti, voi?» chiese d’un tratto, e il tiepido sole dell’estate londinese li colpì come una frusta.

«Dal Giappone» generalizzò, nessuno conosceva Konoha, quindi neanche valeva la pena di provare a dire la città.

«Oh!» esclamò lei, «Mio nonno viene da Okinawa, sai?» e gli sorrise, «L’isola da cui viene Miyagi, di Karate Kid».

Itachi ridacchiò, allora aveva delle origini giapponesi o qualcosa del genere, «So dov’è Okinawa, ma non sapevo fosse il luogo di nascita di un personaggio di un film».

Asami si bloccò di colpo davanti ad una macchina, per un momento Itachi pensò di aver detto qualcosa di scandaloso per aver provocato quel gesto tanto bruto. «Non hai mai visto Karate Kid? Ma in che mondo sei vissuto? Bah…» e scosse la testa, aprendo la portiera del passeggero, infilandosi poi le chiavi nella tasca dei jeans. Si avvicinò al carrello, cercando di prendere a due mani il primo sacco di sabbia dei gatti. Se lo strinse al petto e trattenne il respiro, diventando paonazza e sospirando quando lo abbandonò sul sedile. Quando si girò per prendere il secondo dei cinque, Itachi l’aveva già preceduta e reggeva tra le mani la sabbia dei gatti, sorridendo mentre aspettava che lei si spostasse per farlo passare.

Con sua sorpresa, la ragazza si arrese, e lasciò che lui prendesse anche i sacchi rimanenti, quando finì, la sentì ridacchiare e mettere in macchina le buste con dentro il cibo per i gatti, «Sei uno tosto, tu, eh?» commentò, chiudendo la portiera, «Non ti arrendi mai» e prese il carrello per andare a metterlo nell’apposita fila di altri suoi simili, appoggiandosi poi alla macchina, «Beh, in tutti i casi grazie, sei stato davvero gentile» gli disse,  allungando la mano, in attesa che lui la stringesse.

Itachi non la fece attendere un momento di più, la prese la mano e sorrise, «Comunque mi chiamo Itachi» la informò gratuitamente, «È stato un piacere aiutarti con la sabbia dei gatti».

«Asami» disse semplicemente lei, scivolando via dalla sua stretta e mettendosi in macchina.

Non gli sarebbe dispiaciuto parlare con lei un’altra volta.

 

  -――-

 

Itachi prese dei libri da una delle valige, impilandoli con cura sulla libreria bianca, dal più alto al più basso.

Erano a Londra da una settimana, e nonostante tutto l’impegno che ci aveva messo non erano ancora riusciti a sistemare ogni cosa all’interno del nuovo appartamento.

Sasuke sospirò, seduto su una delle poltrone nere, passandogli svogliatamente i libri da mettere in ordine.

«Lo so che non è divertente, ma non possiamo vivere con tutte le borse in soggiorno» gli disse rivolgendogli un sorriso, ma il più piccolo si limitò ad incastrare la testa fra le spalle e a sprofondare meglio sulla poltrona.

Nessuna risposta.

Come da sei giorni a quella parte, del resto.

Itachi scosse il capo abbandonando il tomo che teneva fra le mani sul tavolino, sedendosi sul divano. «Mi è almeno dato sapere perché non mi vuoi parlare?» chiese, e suo fratello lo guardò, ricambiando il suo sguardo e facendo spallucce, come a fargli intendere che non c’era un perché, e anche se ci fosse stato non glielo avrebbe comunque detto.

«Bene» sussurrò più a se stesso ché a quella piccola testolina imbronciata, impegnata a leggere il frontespizio di ogni libro che si impilava sulle cosce.

Non potevano andare avanti così, prima o poi avrebbe avuto bisogno di qualcosa, e allora si sarebbe di certo messo a parlare.

«Pensavo di andare a cenare fuori, stasera» riprese a parlare, da solo, o con il muro, «Ti va?» gli domandò, e Sasuke scosse di nuovo le spalle, e poi annuì con un cenno del capo, portandolo al limite dell’esasperazione.

«Dovrò comprarmi un pappagallo» commentò alzandosi, spostandosi verso la penisola per versarsi un bicchiere d’acqua, «Qualcuno con cui parlare, almeno la smetto di fare dei lunghi monologhi» aggiunse, portandosi poi il bicchiere alle labbra mentre Sasuke restava di nuovo impassibile.

Incominciava a pensare che sarebbe stato meglio lasciarlo in Giappone, che fra di loro, nel loro rapporto, si era formata una crepa, e che se non avesse fatto qualcosa al più presto sarebbe diventata una voragine.

Silenzio.

«Vai a lavarti mentre finisco di sistemare», e senza rivolgergli nemmeno uno sguardo Sasuke posò i libri sul pavimento, infilandosi nella porta del corridoio che dava sulle stanze.

 

  -――-

 

Itachi mangiava in silenzio, seduto davanti a Sasuke, rassegnato al mutismo che si era protratto per più di quanto sperasse.

Aveva deciso di uscire per prendere una boccata d’aria e fargli fare un giro, sperando che si ambientasse un po’ di più, ma la serata si era rivelata un fallimento totale. Lo aveva sentito parlare soltanto per dirgli quello che avrebbe ordinato al bar-ristorante, e poi era sprofondato di nuovo nel silenzio.

«Mi sto dimenticando il suono della tua voce» gli aveva fatto notare con un sorriso, ottenendo come risposta una misera scrollata di spalle che gli aveva fatto pensare che forse aveva sbagliato qualcosa, e che la causa di quel comportamento non era un mero capriccio adolescenziale.

Sollevò il bicchiere portandolo alle labbra, facendo vagare lo sguardo per il locale semivuoto, gettando la spugna e dandogliela vinta una buona volta per tutte.

Avrebbe ripreso a parlare quando avrebbe avuto voglia di farlo. Fine della questione.

Lo guardò rigirare la forchetta nel piatto, piluccando e fissando le patatine, quando qualcosa gli urtò la spalla, facendogli rovesciare buona parte dell’acqua sul tavolo e nel piatto, oramai quasi vuoto.

«Oddio, mi scusi!», parlò la ragazza che lo aveva preso dentro con un’ingombrante borsone, mentre lui asciugava il liquido con il tovagliolo, sembrava mortificata ed imbarazzata. «Mi dispiace tanto, sono così imbranata» aggiunse, e lui alzò lo sguardo dal tavolo, incrociando finalmente quegli occhi a mandorla che aveva già visto qualche giorno prima, al supermercato.

«Si figuri, non è nulla» le rispose, ma prima che potesse aggiungere altro lei lo bloccò.

«Ma io ti conosco!» affermò sicura, lasciando cadere il borsone sul pavimento, «Sei quello del supermercato…» continuò, strappandogli un sorriso, «Itachi, giusto?» domandò retorica, e lui annuì.

«Itachi» le diede conferma, e lei sorrise accomodandosi al tavolo accanto al loro, togliendosi la casacca della tuta grigia che indossava – probabilmente era stata a fare sport.

«E quell’adorabile faccino chi è?» gli chiese, riferendosi a Sasuke che, sentendosi chiamato in causa, arrossì, chinando di nuovo la testa sul piatto, «Tuo figlio?».

Itachi scoppiò a ridere, «No, no! È il mio fratellino» le spiegò, mentre lei si allungava verso Sasuke, tendendogli la mano.

«Io sono Asami, piacere» gli disse, e lui gliela strinse, borbottando il suo nome, ma se non altro aveva parlato. La ragazza sorrise, tornando poi sulla sua sedia, «Mi sembravi un po’ troppo giovane per avere un figlio così grande, in effetti» ammise, raccogliendosi i lunghi capelli scuri in una coda di cavallo, «Ma non si sa mai, è sempre meglio chiedere, magari avevi quarant’anni e portavi tremendamente bene la tua età».

Il discorso fu interrotto per una manciata di secondi da una cameriera che, stringendo il blocchetto fra le dita, prese l’ordine della ragazza e poi se ne andò, lasciandola di nuovo libera di parlare. «Quindi…» riprese, sistemando la casacca sullo schienale della seggiola, «Come vi trovate a Londra?» domandò, accavallando le gambe, appoggiando un gomito sul tavolo mentre si sporgeva verso gli altri due.

«Beh, bene, direi» commentò Itachi, ignorando il grugnito di disapprovazione di Sasuke, «È un po’ diverso dal Giappone… ma non penso faremo fatica ad abituarci» sorrise.

«Sembrate due tipi svegli» ridacchiò Asami, iniziando a giocare con una bustina di zucchero, «Specie il piccolo cupcake» e indicò con il mento Sasuke, il quale – puntualmente – arrossì, «Certo, certo» annuì lei, «Sascake!» disse poi, quasi illuminandosi.

«Sascake?» ripeté Itachi, quasi confuso.

«Sascake» gli fece eco Asami, «Sasuke è un piccolo cupcake, non vedi?» continuò, indicando il più giovane, «ha la faccia da cupcake. Non esistono i cupcake in Giappone?» continuò.

«E tu dai nomignoli alle persone appena le conosci?» domandò Itachi, particolarmente divertito, ricevendo sotto il tavolo un piccolo calcio da Sasuke, che gli chiedeva con lo sguardo di fermare il cervello impazzito della sconosciuta. Se non parla, io non l’aiuto – si convinse Itachi, ignorandolo.

«Che ha Sascake?» domandò  Asami, quasi preoccupata, allungandosi verso il ragazzo che cercava nelle tasche della giacca qualcosa. Quando finalmente trovò una penna, prese il tovagliolo sporco e tracciò alcune linee su questo, passandolo poi a Itachi. «Che c’è scritto?» chiese curiosa.

«Che gli piace il soprannome che gli hai dato» mentì, accartocciando il tovagliolo. In realtà Sasuke gli aveva chiesto di andare via – ma la sua richiesta non coincideva con i piani di Itachi.

«Oh» Asami sembrò delusa, «Che peccato…» e in quel momento la cameriera arrivò, posando sul tavolo della ragazza un panino e una soda.

«Perché? Che pensavi ci fossi scritto?» domandò  Itachi.

Asami addentò il panino senza farsi troppi problemi – con quelle guance piene e il sorriso accennato nonostante stesse masticando, gli ricordò terribilmente un criceto. Ingoiò, pulendosi le labbra con un tovagliolo, «Magari voleva che ci scambiassimo i numeri di telefono» e prima ancora che Itachi potesse risponderle si era già allungata verso Sasuke, rubandogli la penna dalle dita e scrivendo su un tovagliolo pulito il suo numero di telefono. Piegò il foglietto e lo tenne vicino al piatto, afferrando di nuovo il panino tra le mani, «Te lo do quando te ne stai andando, va bene?» gli sorrise, dando un altro morso alla sua cena.

Itachi ridacchiò, arrotolandosi una manica della camicia, «Posso dire di no?».

«No» e sorrise con quella sua smorfia da criceto.

«Vado a pagare» disse lui, afferrando il portafoglio dalla giacca, avviandosi verso la cassa.    

 

 

 

 

 

 

 

NOTE D’AUTRICI → «Aschente!, giuro sui comandamenti».

 

Oh, buongiorno pasticcini alla crema! ~

Che dire? Finalmente riusciamo a pubblicare Ikigai. Non sarà una long molto lunga: 10 capitoli pubblicati ogni mercoledì da oggi fino al 17 giugno. In caso di problematiche scriveremo eventuali date spostate in ogni note come facciamo già in Colla, per chi arrivasse da lì ;)

Chi fa parte del nostro gruppo facebook, insomma, sa già di che cosa parla Ikigai e del motivo per cui l’abbiamo scritta… chi invece è nuovo, deve sapere che questa è una sorta di prequel della fanfic Colla, AU universitaria dei Konoha 11 nella quale abbiamo supposto che Itachi e Sasuke si trasferissero a Londra per un poco, prima di ritornare in patria.

Motivo per cui, riteniamo che l’apparente OOC di Sasuke sia assolutamente giustificato. Parliamo di un Sasuke di quindici anni che ha dovuto abbandonare i suoi amici per attraversare il globo e mettere radici a Londra per tempo indeterminato. Insomma, non è stato facile per lui. Per questo l’idea del mutismo ci è sembrata carina e abbastanza consone al suo carattere. Ma ci teniamo ad informarvi che non durerà a lungo, non preoccupatevi! ;)

Più che Sasuke, in realtà, questa storia tratta di Itachi e di una nostra OC – detta Asami – che in Colla è la dolce-metà-quasi-signora-Uchiha, e ci sembrava carino scrivere un po’ della sua storia. Pertanto, Ikigai può essere letta indipendentemente da Colla, quindi se siete qui per la Itachi/OC siete assolutamente i benvenuti!

Il titolo, semplicemente, è una parola giapponese che corrisponde più o meno all’italiano «qualcosa per cui vivere» o «una ragione per svegliarsi al mattino». Può indicare anche una persona di cui si è follemente innamorati. Secondo la cultura giapponese, ogni persona ha un Ikigai, anche se la strada per trovarlo può essere difficoltosa e lunga.

Dato che è una impaginazione un po’ particolare, vorrei chiedere ai lettori se riuscite a leggere tutto con facilità e se i separatori si vedono tutti per bene (avrebbero un fiorellino al centro ;u; ♥).

 

Bene! Noi ci rivediamo l’8 aprile con il secondo capitolo

Alla prossima e grazie mille per aver letto ;)

 

papavero radioattivo





   
 
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