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Autore: Dan    02/04/2015    3 recensioni
Due popoli che si danno battaglia: il Popolo del Sole e quello della Luna. Cornel fa parte del popolo del Sole ed è stata spedita in battaglia, così come i giovani del suo villaggio.
Dal testo: "Il suono delle spade che si scontravano, le urla di dolore e di impotenza, lo scalpiccìo degli uomini sulla neve che cominciava ad attecchire sul suolo arido e asciutto, e le urla silenziose dei morti riempirono la sua scatola cranica, picchiando quasi con forza contro i suoi neuroni che tentavano di riaffiorare sul mare piatto della realtà, e lasciandola momentaneamente stordita."
Questo è il missing moment di una storia che (ancora) non esiste.
Genere: Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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IRON*
 
“Deep in the ocean, dead and cast away
Where innocence is burned in flames
A million mile from home, I'm walking ahead
I'm frozen to the bones, I am...

A soldier on my own, I don't know the way
I'm riding up the heights of shame
I'm waiting for the call, the hand on the chest
I'm ready for the fight and fate”

"In fondo all'oceano, morto e naufragato
Dove l'innocenza è bruciata tra le fiamme
Un milione di miglia lontano da casa, sto camminando, guardo avanti
Sono congelato fino alle ossa, io sono...

Soldato di me stesso, non conosco la via
Sto raggiungendo le altezze della vergogna
Sto aspettando la chiamata, con la mano sul petto
Sono pronto per la battaglia e per il destino"


La mano sul petto, le ginocchia tremolanti nonostante fosse sdraiata, ed i piedi freddi come ghiaccio: Cornel era circondata da uomini armati che cercavano di uccidersi a vicenda, ma riusciva a percepire solo quello.
Non le importava più della Grande Guerra ingaggiata poco tempo prima contro il popolo di Farnonbill; guerra che in pochi mesi aveva portato alla distruzione quasi totale ed al degrado. Sentimenti di odio sembravano divorare i cuori di entrambi i popoli, sia i "buoni" che i "cattivi". Quali fossero gli uni e gli altri, non l'aveva mai capito.
Di questa stupida guerra non sapeva assolutamente niente. Probabilmente un senso neppure ce l'aveva. Sapeva solamente che un giorno, non ricordava neppure quale, le guardie del Principe Mandraf aveva sfondato la porta della sua casa e, dopo aver malmenato i suoi genitori, l'avevano portata via assieme a tutti gli altri giovani del villaggio, senza alcuna distinzione di sesso.
Il Principe aveva bisogno di reclute per infoltire le fila del suo esercito.
Aveva bisogno di carne da macello.
Li avevano addestrati per quelle che sembravano essere state poche settimane, tenendoli quasi a digiuno, e poi li avevano spediti già sfiniti su quel campo di battaglia, dove sembrava attenderli uno spettro dalle membra opalescenti coperto da un lungo mantello nero il cui cappuccio ne nascondeva il volto irriconoscibile: la morte.
Molti di loro avevano cercato di darsela a gambe tentando una disperata fuga mal riuscita: erano stati accerchiati dai nemici e poi brutalmente mutilati, scatenando così la risata di quello spettro; una risata dall'oltretomba che sembrò scuotere la terra ed incrinare i cuori di tutti i presenti ancora in vita.
Cornel non aveva avuto paura, neppure un brivido l'aveva scossa. In quei giorni che lei aveva considerato di prigionia, aveva avuto una visione ricorrente. Aveva visto più volte la morte stringerla in un gelido e orribile abbraccio.
Allora aveva capito e accettato il suo destino: sarebbe morta, ma non senza combattere. Nessuno le avrebbe potuto portare via l'ultimo briciolo della sua dignità se avesse combattuto. L'avrebbero ricordata come una guerriera e, anche se non l'avrebbero ricordata affatto, lei se ne sarebbe andata col cuore in pace, senza rimorsi.
O almeno questo era ciò che si era ripromessa.
Adesso, dopo aver ucciso per la prima volta un essere vivente come lei, sentiva la sua volontà vacillare. Aveva ucciso un ragazzo che sembrava avere la sua stessa età, che aveva il suo stesso colore di capelli e degli occhi: blu elettrico. L'unica cosa che li rendeva diversi erano le orecchie: quelle del giovane erano a punta. Lo aveva infilzato con la stessa spada che le era stata data per allenarsi; la stessa spada che aveva usato per difendersi dai finti attacchi dei suoi compagni di sventura sotto gli occhi annoiati del Principe.
Aveva appena trasformato la sua spada da strumento di difesa a strumento di morte.
Aveva visto gli occhi di quel ragazzo spegnersi e la vita abbandonarlo.
Si sentiva orribile.
Un mostro.
Era sporca di sangue non suo e l'unica cosa che desiderava era lavarlo via.
Alzò gli occhi verso il cielo e si rese conto che stava iniziando a nevicare.
"Ecco il perché di questo freddo pungente che penetra fino alle ossa" si ritrovò a pensare.
"Forse il Cielo ha ascoltato la mia preghiera e vuole ripulirmi dal sangue di quella creatura che ho ucciso. Forse è un segno".
I suoi pensieri tornarono immediatamente alla realtà, accantonando la morte del ragazzo in un angolo del suo cervello, e tornò a pensare alla battaglia. Era sicura che il pensiero della morte di quel giovane sarebbe tornata a tormentarla non appena avesse avuto un attimo di respiro, ovvero quando lei o suoi nemici sarebbero morti. Vie di mezzo non ce n'erano.
Il suono delle spade che si scontravano, le urla di dolore e di impotenza, lo scalpiccìo degli uomini sulla neve che cominciava ad attecchire sul suolo arido e asciutto, e le urla silenziose dei morti riempirono la sua scatola cranica, picchiando quasi con forza contro i suoi neuroni che tentavano di riaffiorare sul mare piatto della realtà, e lasciandola momentaneamente stordita.

"The sound of iron shocks is stuck in my head,
The thunder of the drums dictates
The rhythm of the falls, the number of dead's
The rising of the horns, ahead"

"Il suono dei colpi di ferro è fisso nella mia testa
Il tuono della batteria comanda
Il ritmo delle cadute, il numero di morti
La rinascita dei corni, avanti"


Cercò di prendere nuovamente coscienza del suo corpo che la sua mente sembrava aver abbandonato poco prima.
Il suo sistema nervoso si adoperò affinché lei riuscisse a muovere una dopo l'altra le dita dei piedi, per controllare che ci fossero tutte. Dopo essersene accertata provando un certo sollievo, passò in rassegna il resto del corpo, che trovò intatto seppur dolorante e pieno di graffi.
Il giorno dopo sarebbe stata completamente ricoperta di lividi.
Se fosse sopravvissuta.
Allontanò i presagi di disfatta e si alzò molto lentamente facendo leva sulle braccia.
Sebbene avesse accettato il suo destino, voleva ritardare sempre di più il momento in cui tutto sarebbe finito. Perché, nel bene o nel male, tutto sarebbe finito.
In quello stesso istante la bolla di irrealtà che l'aveva circondata esplose togliendole il respiro e rubando due battiti del suo cuore, che prese a pompare sangue ed adrenalina.
Lo spettacolo che si parò davanti ai suoi occhi era raccapricciante: neve e sangue erano divenuti un tutt'uno.
Il bianco candido della neve avvolgeva il rosso scarlatto del sangue, cercando di mitigare la sensazione di peccato che questo emanava.
Purezza e peccato.
Due opposti, eppure, allo stesso tempo, fratelli. Come i due popoli che in quel momento stavano cercando di sopraffarsi l'un l'altro: il Popolo del Sole e il Popolo della Luna, un tempo alleati. Il popolo a cui apparteneva Cornel e il popolo della gente dalle orecchie a punta. Il popolo di Cornel e il popolo del ragazzo da lei ucciso.
Ancora una volta, la Vita e la Morte.
Eppure, i corpi che giacevano dilaniati e calpestati su quel manto a tratti quasi di un rosa pallido, appartenevano ad entrambe le fazioni.
Il loro non esserci più li accumunava, la Morte li rendeva uguali sfiorandoli con le sue lunghe falangi e portandoli con sé in un posto dal quale non avrebbero mai più fatto ritorno.
Si obbligò a distogliere lo sguardo da quella carneficina e si guardò attorno.
Nessuno aveva ancora fatto caso a lei, così minuta e troppo insignificante per distoglierli da quelle che erano ormai diventate le loro battaglie personali. Riconobbe solamente due dei ragazzi addestrati assieme a lei, ma non si soffermò su di loro.
I suoi occhi sapevano chi lei stesse cercando e, automaticamente, continuarono la loro ricerca per svariati minuti.
Poi lo vide.
Riconobbe i suoi capelli del colore della neve ad una decina di metri da lei, a terra.
Lui era l'unico, probabilmente in tutte le Terre conosciute, ad avere i capelli bianchi.
Lui era l'unico.
In tutto.
Era l'unico ad averla sempre considerata ed apprezzata. L'aveva sempre fatta ridere e riempita d'attenzioni. L'aveva sempre fatta sentire unica, come lui; solo che lui unico lo era davvero.
Lui era Lukas, il figlio del Principe, e non aveva tentennato un attimo quando, dopo aver scoperto che il padre aveva intenzione di spedire quei giovani in battaglia, aveva imposto la sua stessa presenza.
Una decisione folle.
Ma all'alba, prima che quello scontro mortale avesse inizio, lui l'aveva guardata.
E Cornel aveva capito.
Guardando i suoi occhi dello stesso colore di un cielo stellato, le era sembrato che una delle numerose pagliuzze d'oro che navigavano nel suo iride si muovesse, precipitando come una meteora. Precipitando come avrebbe fatto poche ore dopo il suo stesso corpo privo di vita.
Erano accumunati dallo stesso destino. Sarebbe morto anche lui, e l'avrebbe fatto solo per proteggerla.
E ora, guardando quella zazzera di un colore così bianco quasi da fare male agli occhi, simbolo della purezza e bontà d'animo di quel ragazzo dal coraggio pari a quello di un leone, si rese conto che c'era qualcosa di sbagliato.
C'era qualcosa di innaturale nella postura del suo collo, ed impiegò diversi minuti a capirne il motivo.
Quando finalmente il suo cervello riuscì ad elaborare la realtà che il suo cuore si rifiutava di accettare, gli occhi le si spalancarono dal terrore e cominciarono a riempirsi di acqua salata: lacrime. Era da tanto che non piangeva, e adesso lo stava facendo per qualcuno che, in vita, l'aveva sempre fatta sentire piena di gioia.
Sentì il suo cuore creparsi e dividersi, poi, in migliaia di piccoli frammenti.
Se fosse sopravvissuta, non sarebbe mai più riuscita ad essere felice.
La testa di Lukas era stata divelta con violenza dal resto del corpo, che Cornel non riusciva ad individuare. Gli occhi blu erano divenuti così scuri da dare l'impressione che le sue orbite fossero vuote.
Cornel non avrebbe mai potuto dimenticare quella scena che sentiva ormai impressa a fuoco sulle sue cornee.
Decise di non avvicinarsi, anche se le sarebbe piaciuto accarezzare quel viso e quei capelli così soffici al tatto un'ultima volta, per dirgli addio. Ma sapeva anche che, se l'avesse fatto, non avrebbe più avuto il coraggio di alzarsi e proseguire la sua lotta.
E adesso c'era qualcosa che doveva fare: vendicarsi.

"From the dawn of time to the end of days
I will have to run, away
I want to feel the pain and the bitter taste
Of the blood on my lips, again"
"Dall'alba del tempo alla fine dei giorni
Io dovrò correre lontano
Voglio sentire il dolore e l'amaro sapore
Del sangue sulle mie labbra, di nuovo"

Ogni traccia di paura aveva lasciato il suo corpo ed il dolore era stato accantonato dal desiderio di vendetta, di sangue.
Voleva sentire il sapore del sangue nemico sulle sue labbra, prima di morire.
Si lanciò in una corsa disperata, cercando di aggirare i nemici che si trovavano con lei sul campo di battaglia. Non erano loro ad interessarle, ma il Principe del Popolo della Luna.
Non sapeva chi fosse stato a dare inizio alla Guerra, né il perché. Ma sapeva che era lui a dover essere punito per la fine di Lukas, nessun altro. Lo sentiva.
Forse si trattava di un pensiero insensato, ma non le importava.
Le importava solamente riuscire a placare la sua sete di vendetta che le annebbiava la vista e le riempiva la bocca di un sapore amaro, indefinibile perché mai provato prima.
Affondò un paio di volte la spada nella carne di coloro che cercavano di ostacolarla, senza curarsi di infliggere ferite mortali o meno. Si sarebbe occupata dopo di loro. Forse.
L'adrenalina che circolava nelle sue vene le permise di correre per centinaia di metri senza fermarsi mai. Il fiato corto dovuto al gelo e la neve che cercava in tutti i modi di rallentarla non bastarono ad arrestare la sua corsa disperata.
Arrivata agli accampamenti nemici, tra decine di tende color rame, riconobbe immediatamente la tenda regale: era la più sfarzosa con quei ricami dorati ad incorniciarne l'entrata e lo stemma della Luna riportato in alto a destra.
Si fermò un attimo a pensare che lei, il Principe, non l'aveva mai visto in tutta la sua vita. Tuttavia decise di non preoccuparsi; sentiva che sarebbe riuscito a riconoscerlo anche a metri di distanza. Il suo cuore l'avrebbe riconosciuto al posto suo. E allora l'avrebbe ucciso.
Entrò nella tenda come una furia, ma dovette arrestarsi immediatamente notando che era deserta. Vuota. Non c'era nessuno all'interno, così come non c'era nessun oggetto. Solo un materasso rozzamente buttato a terra.
Rimase lì impalata, con le spalle rivolte verso l'entrata.
La sorpresa fu così forte che non riuscì a mascherarla. Le fece persino dimenticare il buonsenso.
Non riuscì neppure a percepire una presenza che, cercando di attutire il rumore dei suoi passi che calpestavano la neve, si avvicinava lentamente.
E quella distrazione le fu fatale.
Sentì qualcuno sfilarle con decisione la spada. Allora si voltò velocemente e le si parò davanti agli occhi un uomo con indosso gli abiti regali.
"E' questo il Principe, allora."
Alzò lo sguardo e si ritrovò a fissare un paio di occhi a lei molto familiari: occhi blu notte con pagliuzze dorate.
Anche il resto del viso, contornato da una massa informe di capelli bianchi, le era familiare. L'unica cosa a lei non familiare era la vecchiaia e la stanchezza che trapelavano da quel volto.
<< Lukas >> sussurrò.
Cornel avvertì una lieve pressione sulla bocca dello stomaco, poi un dolore sempre crescente.
Si portò una mano a coprirle la ferita e barcollò fuori dalla tenda, lasciandosi cadere sulla neve che prese a colorarsi subito di rosso.
Le palpebre le si fecero pesanti come macigni. Provò a tirarle su, ma le si chiusero automaticamente. Il ventre cominciò a contrarsi così come i polmoni che cercavano spasmodicamente di incanalare aria.
Poi, più niente. Solo il buio.
L'assassina si era appena trasformata in vittima.
Forse.

"This deadly burst of snow is burning my hands,
I'm frozen to the bones, I am
A million mile from home, I'm walking away
I can't remind your eyes, your face"
"Le bruciature mortali della neve stanno bruciando le mie mani
Sono congelato fino alle ossa, io sono...
Un milione di miglia lontano da casa, sto andando via
Non riesco a ricordare i tuoi occhi, il tuo volto"







*PS: Il titolo "Iron" significa ferro ed è il titolo della canzone che mi ha ispirato la storia: "Iron" dei Woodkid. Vi consiglio di ascoltarla, è bellissima.
  
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