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Autore: Claire Penny    02/04/2015    0 recensioni
[REVISIONATA]
C'era una volta una principessa.
Ora non più.
A sostituire la dolce, graziosa e bellissima fanciulla di sangue blu, adesso c'è un'anonima, goffa ed ingenua adolescente, con un'incredibile propensione a ficcarsi nei guai e desiderosa di darsi alla ribellione tipica della gioventù.
C'era una volta il principe azzurro.
Un nobile rampollo, alto, gnocco e affascinante, sempre pronto a salvare la vita alla bella di turno in sella al fedele destriero? Seh, una volta, forse.
Al suo posto ora c'è un misterioso, solitario ed asociale studente dal fascino tenebroso, circondato da un'aura che emana pericolo.
Ah, dimenticavo di aggiungere che è perennemente assetato di sangue, preferibilmente quello della sopracitata giovane donna. Contemporaneamente però, scopre di esserne innamorato.
Ora, chi di voi ragazze non ha mai sognato di vivere in una "fiaba moderna" con questi presupposti? Sembra tutto incredibilmente romantico, non è vero? Bene, vi posso assicurare che di romantico qui c'è ben poco.
Come lo so? Beh, perchè io, Serena Dale, e le mie amiche, ci siamo passate.
E credetemi, le nostre storie vi faranno sicuramente cambiare idea sui moderni principi azzurri.
Genere: Satirico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dal diario di Em, 6 ottobre:
«(...)Lo sapevo. Sapevo che non poteva essere finita così. Non quando c’è di mezzo qualcuno abituato ad ottenere tutto ciò che vuole a qualunque costo come Elijah. Era da quasi un anno che le cose sembravano avere finalmente raggiunto un loro equilibrio, anche se precario.
Invece adesso lui mi fa questo.
So che l’ha fatto solo per causa mia, per quello che è successo tra di noi e non riesco più a sopportare il senso di colpa dovuto alle azioni che compie col solo scopo di farmela pagare.
Non ce la faccio più.
Lo odio.
E odio anche me stessa per aver permesso che tutto questo succedesse.
Non era abbastanza per lui staccare la porta del mio armadietto a scuola e appallottolarla come fosse carta per poi distruggere tutti i miei libri e le cose che conteneva.
Non era abbastanza farmi trovare il corpo esanime di Cookie, il cane della mia vicina, davanti alla mia porta d'ingresso.
Non era abbastanza nemmeno entrare in casa mia di nascosto, come a farmi intendere che potrebbe rifarlo quando vuole, solo per lasciare una fotografia strappata sopra il mio letto. La stessa foto che aveva tanto insistito per scattarmi con la sua amata polaroid poco prima di partire per la Transilvania a causa di non so quali questioni familiari ed aveva voluto un modo per avermi sempre con sé, dal momento che mi ero rifiutata di partire con lui.
No, a quanto pare non era abbastanza.
Quando oggi l’ho visto in compagnia ho capito subito che c'era qualcosa che non andava. Ormai lo conosco troppo bene per non capire quando sta progettando qualcosa, qualcosa che avrà senz’altro conseguenze su di me, in un modo o nell'altro.
L’ho visto solo per pochi istanti, tra la folla dell’atrio principale della scuola, al termine delle lezioni. Sembrava particolarmente preso dalla sua conversazione con LEI.
So che avrei dovuto fingere di non accorgermi di niente e passare oltre, ma non ci sono riuscita. È come se Eli fosse perennemente circondato da un'aura che emana vibrazioni negative verso cui non posso fare a meno che provare repulsione  mista ad una controversa attrazione.
Poi, per un momento, un brevissimo momento, mi è sembrato di scorgere il suo sguardo gelido fissare oltre la spalla di LEI, oltre il fiume di studenti che, ignaro di tutto, continuava a scorrerci davanti e a riversarsi fuori dall'istituto, per posarsi infine su di me.
In quell'istante, potrei giurare di aver sentito il mio cuore saltare un battito e non in senso positivo. Mi sono affrettata ad distogliere il mio ma, quando poco dopo ho rialzato gli occhi nella sua direzione, sembrava ancora completamente preso dalla conversazione con quell’altra, tanto che non sembrava nemmeno essersi accorto della mia presenza. Ho quindi proseguito per la mia strada cercando di convincermi che fosse stato solo uno scherzo della mia mente a farmi immaginare tutto.
Dopo un po' però, ho smesso di cercare di rifugiarmi nelle scuse campate in aria e mi sono dovuta arrendere: quando c’è di mezzo Eli, fidarsi del proprio istinto è tutto.
Con lui non esistono le coincidenze.»
 
Quel giorno, Serena era a dir poco raggiante. Da che aveva fondato il gruppo, Em non ricordava di averla mai vista sorridere in quel modo.
Quel pomeriggio, alla riunione, quando fu il suo turno per parlare dei progressi fatti negli ultimi giorni, annunciò di aver cominciato a riallacciare i rapporti con una vecchia amica con la quale non parlava da quando aveva iniziato a frequentare Tristan, proprio perché quest’ultimo gliel’aveva impedito.
-Non me l’aveva espressamente proibito, ovviamente- stava raccontando mentre stringeva nervosamente il pugno. -Faceva piccole insinuazioni, commenti sottili ma ambigui, giusto per mettermi la pulce nell’orecchio e io, come una perfetta idiota, ci sono cascata. Alcuni suoi comportamenti o piccole abitudini alle quali di solito non davo peso o che addirittura non avevo mai notato, hanno iniziato ad infastidirmi. Questo ci ha portato a discutere sempre più di frequente, poi a litigare seriamente e, infine, alla dichiarazione di guerra ufficiale, che nel nostro caso si è conclusa con la reciproca decisione di fingere che l’altra avesse smesso di esistere, almeno fino ad oggi-. La sua mano si rilassò un po’. -Quando questa mattina è venuta a parlarmi non so dirvi quanto mi sia sentita felice, alla faccia di tutti i Tristan con le loro Mary Annabelle-
-Mary Annabelle?!- esclamarono Clare ed Aly in stereo.
-Chi è?- domandò Rachel.
-L’ultima di una lunga serie di “anime gemelle”. Definizione vampiresca per indicare il proprio attuale "rifornimento ambulante di bibita al gusto di emoglobina"- rispose Serena. -Sappiate che secondo Tristan è un nome meravigliosamente melodioso. Testuali parole-.
Quando capì che il turno di Serena stava per finire, Em iniziò a sentirsi agitata anche se, come sempre, cercò di reprimere ogni segno che potesse darlo a vedere alle altre, tra cui la sua vecchia abitudine di mordicchiarsi le unghie. Di lì a poco sarebbe toccato a lei parlare.
Voleva davvero raccontare quanto accadutole poco prima mentre usciva da scuola, lo voleva disperatamente. Sapeva però che, se l’avesse fatto, avrebbe dovuto raccontare di conseguenza la storia dall’inizio. La vera storia.
Non quella che tutti avevano supposto, che lei non aveva mai smentito e grazie alla quale era entrata nel gruppo.
Purtroppo però credeva, anzi, era certa che le altre non l'avrebbero capita. Quindi, quando fu il suo turno, si alzò in piedi e ripeté le solite cose, le stesse frasi di sempre che ormai conosceva a memoria
-Elijah mi ha lasciata un anno e due mesi fa. Da allora, la mia vita da allora mi sembra vuota, ultimamente però riesco a non pensare più a lui così spesso e questo mi fa sentire meglio...-
Bla, bla, bla.
Eccetera, eccetera.
In quell’occasione però, mentre pronunciava quelle parole, si sentì molto più in colpa del solito.
Alla fine della riunione, Serena assegnò a tutte un compito: ristabilire i contatti con qualcuno che erano solite frequentare prima di mettersi coi rispettivi ex.
Em, da brava padrona di casa, invitò tutte a rimanere fin quando volevano ma Rachel, Elise ed Aly se ne dovettero andare quasi subito. Clare rimase per aiutare Em e Serena a riordinare il salotto e poi se ne andò anche lei, lasciando sole le due ragazze.
Inizialmente, Em credeva che anche Serena fosse in procinto di andarsene, quest'ultima però contraddisse le sue previsioni. Si appoggiò con la spalla allo stipite della porta della cucina e iniziò a fissarla silenziosamente, con un aria vagamente diffidente della quale Em finse di non accorgersi.
-Emily?- la chiamò Serena, dopo un paio di minuti.
-Che c’è?- rispose lei, mentre fingeva di essere troppo impegnata a riporre le confezioni di biscotti e snack vari nella dispensa per accorgersi del suo sguardo.
-Dimmi la verità, va tutto bene?-
-Si, certo, perché me lo chiedi?- fece Em dopo un attimo di esitazione.
Probabilmente un attimo di troppo.
-È solo che...oggi mi sembri un po’ turbata- constatò Serena. -Lo sai che se qualcosa non va puoi parlarmene liberamente, vero? E se non vuoi farlo con me, puoi rivolgerti a qualcuna delle altre. Se hai bisogno di sfogarti...-
-Te l’ho detto, va tutto alla grande!- ribadì Em in tono scontroso, infastidita dall'insistenza di Serena.
La ragazza rimase interdetta da quell’improvviso cambiamento d’umore ed Em si rese conto della durezza eccessiva con cui si era rivolta a lei, pentendosene immediatamente. In quell’ultimo anno, la ragazza aveva imparato ad osservare le ragazze del club da una prospettiva diversa rispetto a quella da cui erano abituate ad essere guardare dalla maggior parte delle persone. Di conseguenza, sapeva che per quanto Serena si sforzasse di apparire forte, la sua autostima e la sua sicurezza erano state non poco compromesse da diversi problemi familiari prima e dalla controversa storia con Tristan poi.
-Scusami, a dire il vero quella di oggi non è stata una gran giornata. Ho visto Eli- confessò in un sospiro. Quella fu la cosa più sincera che uscì dalle sue labbra quel giorno, E anche quella che la fece sentire meglio.
-Scusami tu, a volte non mi rendo conto di quando è il momento di stare zitta- disse Serena, avvicinandosi ad Em. -Prima però dicevo sul serio: il nostro gruppo non serve solo a scroccare merende pomeridiane, lo abbiamo fondato prima di tutto per ascoltarci e sostenerci. Prenditi tutto il tempo che ti serve, Emily. Quando ti sentirai pronta, noi ci saremo-.
 
* * *
 
Ristabilire le amicizie che le storie coi loro ex avevano interrotto.
D’accordo, ma se la ragazza in questione non aveva mai avuto amici, cosa poteva fare? Em per un attimo fu tentata di mentire ancora una volta e di inventarsi una telefonata ad un’amica di vecchia data, ma subito scartò l'idea. Aveva già raccontato fin troppe bugie alle altre ragazze e giurò a sé stessa che non ne avrebbe inventate di nuove, per nessuna ragione. Decise quindi che alla riunione successiva semplicemente detto la verità: che non era mai stata in grado di farsi degli amici, che quand’era arrivata in città, poco più di due anni prima, aveva capito subito che i suoi coetanei non erano interessati all’ultima arrivata, che avevano già i loro gruppetti formati dagli amici che conoscevano probabilmente dai tempi dell’asilo e con cui erano cresciuti nelle vie di quella noiosa città.
In poche parole, non c’era posto per la ragazzina timida e silenziosa. Troppo complicata da gestire.
Poi però, proprio quando Em era ormai rassegnata alla sua solitudine, era arrivato Eli e…
Basta! Si ordinò. Non voleva rivivere il ricordo del suo periodo con Eli, non voleva ricordare tutto ciò che aveva passato con lui, voleva solo nasconderlo nel più recondito angolo della sua memoria e non rivangarlo mai più, eppure quest’ultimo continuava a riapparire nei momenti più inopportuni, pronto a rovinarle in meno di un attimo ogni momento in cui Em riuscisse ad intravedere una parvenza di serenità.
Nel gruppo, lo stesso gruppo che Serena aveva scherzosamente ribattezzato "il club della sopravvissute ai principi azzurri dannati" il suo esatto opposto era Aly. Al contrario di Em, lei si aggrappava con tutte le sue forze ai ricordi dei giorni passati con il suo ex, James, e questo perché il bastardo non aveva nemmeno avuto la decenza di lasciarla come si deve.
Oh, no, lui non le aveva semplicemente chiuso la porta in faccia di punto in bianco, così come avevano fatto gli ex delle altre e come è solito fare più o meno la maggior parte dei vampiri una volta stanchi delle loro mortali! Lui aveva lasciato aperto un piccolo spiraglio di speranza per Aly, lasciandole intendere che fosse una cosa temporanea, una specie di pausa di riflessione da cui sarebbe potuto tornare da un momento all’altro. Con questa scusa James aveva trovato il modo perfetto per parare il suo marmoreo posteriore e, al tempo stesso, tenersi la bambolina a disposizione nel malaugurato caso in cui gli fosse tornata la voglia di giocarci. Em, tuttavia, dubitava fortemente che sarebbe mai potuto accadere: era risaputo quanto i vampiri amassero le novità, così come il fatto che non volesse loro molto per stancarsi dei loro "passatempi" e che quasi mai tornassero sui propri passi. Erano sempre alla costante ricerca di qualcosa che desse loro nuove emozioni, sia che durassero anni (come raramente accadeva) o il tempo di un brivido. Secondo Em quel comportamento era probabilmente una conseguenza – o meglio, un effetto collaterale – dell’immortalità.
Nonostante tutto però, Em sapeva che Aly non era una stupida. Ad essere sinceri, nei primi tempi dopo averla conosciuta aveva creduto che un po' lo fosse ma poi, incontro dopo incontro, aveva capito che in realtà era una ragazza a posto, intelligente, simpatica, ma ingenua. Troppo ingenua.
James l’aveva resa creta nelle sue mani promettendole tutte le attenzioni che non aveva mai ricevuto dai suoi genitori.
Alla fin fine, questo era ciò che accomunava tutte loro: i loro ex si erano insinuati nella loro vita sfruttando le loro più grande vulnerabilità, i punti deboli: la solitudine ed il senso di abbandono, altre due caratteristiche che condividevano. Avevano promesso di alleviarle, di riempire per sempre quella voragine buia che sentivano dentro e purtroppo loro ci avevano creduto. Tutte quante.
Decisa più che mai a distrarsi da quel groviglio di pensieri, Em cominciò a preparare la cena. Sua madre sarebbe tornata a momenti. Doveva ricominciare a recitare la parte della normale figlia adolescente.
 
* * *
 
Pochi minuti più tardi, Em si trovava da sola, nel buio della sua camera, a stringere con forza il suo cuscino, come se fosse ciò fosse potuto bastare per fermare le lacrime ormai imminenti.
Aveva cercato di creare una bella atmosfera in casa, si era ripromessa che avrebbe cercato di sorridere il più possibile e che durante la cena avrebbe ascoltato con più interesse sua madre parlare di come le era andata la giornata.
Almeno per una sera, voleva essere la figlia che sua madre desiderava riavere indietro, la figlia con cui Em sentiva di non avere più niente in comune.
Quando aveva udito la porta d’ingresso aprirsi, aveva preventivamente sfoderato il sorriso di bentornato più caloroso che riuscisse ad offrire, ma questo era scomparso prima ancora che sua madre potesse vederlo.
C’erano due voci provenienti dall’ingresso: una era di sua madre, l’altra dell’ultima persona che avrebbe voluto vedere dopo una giornata come quella appena trascorsa e che, con la sua sola presenza, aveva già rovinato tutti i suoi sforzi per rendere la serata piacevole: Sean.
La madre di Em, Sarah, era rimasta incinta poco prima di compiere vent'anni. Nonostante la gravidanza le avesse impedito di continuare gli studi – nonché il su periodo di "follie" al college - non si era mai chiamata pentita per aver scelto la maternità, per quanto inaspettata, e non perdeva occasione per ribadire che la piccola Emily era la cosa più bella che la vita avesse mai potuto donarle. Purtroppo però, i suoi genitori, ossia i nonni di Em, non avevano preso altrettanto bene la notizia della gravidanza e della decisione di portarla avanti. La famiglia di Sarah era stata meticolosamente costruita sulle precarie basi dell’apparenza per essere vista da tutti come il prototipo della famiglia ideale e, di conseguenza, quell’evento inatteso per loro poteva rappresentare solo una cosa: il fallimento di tutti i progetti che avevano accuratamente studiato per fare della minore dei loro figli una perfetta appartenente all'alta società cittadina. In poche parole, la più grave mancanza di rispetto che avesse potuto avere nei loro confronti.
Da parte sua, Em ricordava la sua infanzia come il periodo più sereno della sua vita. Sarah si era sempre fatta in quattro per non farle mancare nulla sia materialmente che affettivamente e c'era riuscita nonostante le precarie finanze, i turbolenti e continui litigi con i suoi genitori e l'improvviso abbandono da parte del suo compagno nonché padre di Em, pochi giorni prima del nono compleanno di quest'ultima.
I problemi tra la donna e sua figlia erano però affiorati qualche anno prima, quando Em aveva varcato ufficialmente il confine tra infanzia e adolescenza. Nel giro di breve tempo, Sarah era regredita all’età in cui aveva dovuto rinunciare a libri e feste per pannolini e biberon, fermamente decisa a riprendere da dov’era rimasta. Aveva iniziato a vestirsi quasi come una coetanea della figlia, a comportarsi in maniera molto simile e tutto questo, aggiunto al successo che la bellezza della donna già riscuoteva sull’altro sesso, aveva fatto sentire Em ancora più insicura di quanto non fosse già.
Ricordava ancora la prima volta in cui le avevano scambiate per sorelle: sua madre aveva passato il resto della giornata circondata da un'aura di felicità, mentre Em ricordava di aver desiderato ardentemente che una botola si materializzasse sotto i suoi piedi per poi aprirsi e inghiottirla. Suo malgrado, poco alla volta aveva imparato a convivere con episodi di quel genere, più che altro perché non si era trovata di fronte a molte alternative.
Ciò che non sapeva però, era che il peggio doveva ancora arrivare. E invece era arrivato puntuale all’inizio dell’estate precedente.
Em sapeva che sua madre usciva da un po’ con qualcuno, tuttavia era convinta che, almeno in quell’ambito, Sarah avesse conservato un briciolo di buonsenso, per questo motivo non aveva mai ritenuto ci fosse alcuna ragione per preoccuparsi…e questo rese la sera in cui conobbe Sean molto più traumatica.
Sarah aveva preparato con cura ogni minimo dettaglio di quella serata: aveva fatto sì che ogni angolo della casa splendesse di luce propria facendosi aiutare anche da Em, che aveva dovuto infilarsi in angoli della casa di cui ignorava addirittura l’esistenza per accontentare la madre, la quale, più nervosa che mai, continuava ad andare avanti e indietro passando l’aspirapolvere anche tre volte nella stessa stanza.
Esasperata da quel comportamento germofobico, ad un certo punto Em aveva convinto Sarah a prepararsi un bagno caldo per rilassarsi un po’ mentre lei si occupava delle ultime faccende. In questo modo, finalmente in casa era tornata la calma.
Circa un’ora dopo però, quando era suonato il campanello ed Em era andata ad aprire, si era trovata di fronte a qualcosa a cui non era minimamente preparata: al posto dell’uomo elegante dall’aspetto curato e col mazzo di rose che aveva immaginato e idealizzato per tutto il pomeriggio, si era trovata davanti un tizio in jeans, t-shirt e giacca di pelle, con la barba leggermente incolta e una bottiglia di vino nella mano destra. Forse un po' troppo casual, ma Em dimenticò in suo look non appena il suo sguardo curioso raggiunse il volto della persona che aveva di fronte.
Fu costretta a battere le palpebre per diverse volte prima che il suo cervello riuscisse a realizzare ed accettare il fatto che quell'uomo non potesse avere più di ventisei, ventisette anni al massimo.
-Tu devi essere Emily. Ciao, io sono Sean- aveva esordito lui, tendendole la mano.
Em però era ancora così sconvolta, che a malapena era riuscita a balbettare qualcosa di simile ad un “scusa un momento” prima di precipitarsi nella camera dove sua madre stava finendo di prepararsi, senza nemmeno invitare l'ospite ad entrare.
-Dimmi che il ragazzo alla porta è il figlio dell’uomo con cui esci e che il tuo adulto e maturo fidanzato deve ancora arrivare- aveva detto un istante dopo essere entrata senza nemmeno bussare.
La donna aveva distolto lo sguardo dalla specchiera e osservato la figlia con aria interrogativa. -Cosa stai dicendo? Sean è arrivato?-.
Sean.
In quel momento, la ragazza si era sentita mancare la terra sotto i piedi. Dov’era la sua mamma? La donna che quand’era piccola le raccontava le storie, le medicava ginocchia e gomiti sbucciati e che la sgridava quando combinava qualche guaio come le mamme normali, dov’era? Em non era più così certa che la donna che aveva davanti, col tubino nero succinto, il trucco a parer suo esagerato e la pelle inscurita dalle lampade abbronzanti fosse davvero la stessa donna.
-Sean- aveva ripetuto. Poi, quasi senza accorgersene, si era messa ad urlare: -Sean! Ma quanti anni ha? Sei impazzita, forse? È uno scherzo? Quello potrebbe essere il mio ragazzo!-.
A quelle parole, per un secondo, un maledetto secondo, nello sguardo di Sarah aveva intravisto la persona che cercava da tanto tempo e che rivoleva disperatamente, come se per un attimo fosse rinsavita. Quasi subito però la pseudo-mamma/aspirante sorella maggiore che vive in un universo troppo distante da quello in cui fino a pochi anni prima era felice con sua figlia, aveva ripreso il controllo.
-Lo sapevo, avrei dovuto parlartene prima. Scusa se non l’ho fatto ma immaginavo che se te l’avessi anche solo accennato tu avresti reagito così e...-
-E come dovrei reagire, scusa?!- l'aveva interrotta Em, sull'orlo dell'esasperazione. -Mia madre esce con un ragazzo che potrebbe quasi essere suo figlio! Solo a me questa cosa sembra a dir poco assurda?-
Sua madre sospirò. -Emmy…sapevo che non avresti capito subito. Lo sai che dopo tuo padre non ci sono quasi più stati uomini nella mia vita. Con il poco tempo a disposizione che mi rimaneva quando non mi occupavo di te e o del lavoro coltivare un rapporto serio è sempre stato difficile, poi però Sean è arrivato, quasi all’improvviso. All’inizio ero confusa, quasi spaventata e anche a me sembrava strano ma, per qualche motivo, ho accettato di uscire con lui e, per quanto strano, mi sono trovata bene come non mi capitava da anni…-.
Lo sguardo sognante della donna era tornato a quel fatidico primo appuntamento, Em però aveva interrotto quasi subito i suoi viaggi mentali.
-D’accordo, beh, scusa se ho rovinato gli ultimi sedici anni della tua vita. Anzi, sai cosa? ho un’idea: tu e Sean stasera cenerete soli soletti mentre io me ne andrò da qualche parte e per una volta non rovinerò niente, contenta? Buona serata!-
La ragazza aveva fatto per andarsene proprio mentre sua madre tirava fuori il suo tono più autoritario.
-Emily Alexandra Cortese! Piantala di fare l’immatura e torna subito qui!- aveva gridato Sarah.
-Da che pulpito!- aveva ribattuto Em un attimo prima di uscire sbattendo la porta della camera.
Dopo aver sceso le scale in tutta fretta si era ritrovata all’ingresso con Sean ancora disorientato e per giunta anche a disagio a causa della lite che probabilmente era stata udita da tutto il vicinato. Em però, nonostante fosse consapevole di essere l'artefice di quella situazione, non era affatto dispiaciuta. Quel ragazzino non avrebbe dovuto intromettersi nella vita sua e di sua madre. Stava dando il colpo di grazia al loro già precario rapporto.
Eppure, nonostante tutto, in quel momento era stata lei a sentirsi come se la sua presenza, anzi, la sua intera esistenza fosse un errore, nonché un ostacolo alla vita di sua madre e, certamente, anche di Sean.
Perseguitata da quel pensiero era uscita di casa, aveva recuperato la bici parcheggiata di fronte al garage ed era corsa via, percorrendo stradine e viali che ancora non conosceva bene, cercando di perdersi di proposito. Voleva solo stare da sola e più lontana che poteva da sua madre e da lui, Sean.
Ancora non sapeva che quella sera la solitudine non rientrava nei piani che il destino aveva per lei...
 
-Emily!- chiamò sua madre bussando alla porta e distraendola dai suoi ricordi proprio al momento giusto.
-Vattene!- rispose Em.
-Emily, per favore, ascoltami…-
-No! Non voglio stare a sentire te e tutte le tue chiacchiere su quanto il mio comportamento sia immaturo e maleducato nei confronti tuoi e di Sean, quindi sparisci!-.
Sua madre aprì la porta anche se Em non le aveva dato il permesso, facendola infuriare ancora di più.
-Non hai nemmeno mai provato a parlarci, come puoi giudicarlo se non lo conosci? Non è come gli altri ragazzi della sua età, è molto più…-
-Non me ne frega niente!- la interruppe Em. -Fai quello che vuoi col tuo Sean! Andate fuori a cena, in vacanza insieme, sbaciucchiatevi in pubblico, sposatelo! Ma almeno, mentre fai tutto questo, ricordati due cose: primo, questo non ti farà tornare a quando avevi la sua età; secondo, io non voglio avere niente a che fare con lui, né con te. Adesso esci e chiudi la porta, grazie-.
La donna rimase dov’era per qualche secondo ma non trovò le parole adatte per risponderle, quindi si limitò ad obbedirle.
Em si girò sul fianco, in direzione della finestra, e prese ad osservare le stelle che s’intravedevano tra una nuvola e l’altra. Fino a qualche tempo prima, dopo una lite del genere avrebbe chiamato Eli e lui, nel giro di pochi minuti, sarebbe entrato da quella finestra, l'avrebbe ascoltata mentre si sfogava e poi l'avrebbe stretta a sé consolandola mentre lei piangeva. Avevano passato tante serate come quella. Ora però non aveva più neanche lui. Era sola, completamente sola.
O forse…
Lo sguardo di Em si posò sul cellulare, che si trovava sul comodino accanto al suo letto.
No, non poteva disturbare le altre. Non l'aveva mai fatto, non aveva mai nemmeno parlato loro della sua situazione familiare, se non in modo superficiale. A dire il vero era già tanto se aveva rivolto loro la parola al di fuori delle sedute del club.
Poi però le tornarono in mente le parole di Serena, il suo sguardo amichevole e la piacevole sensazione che aveva provato dopo essersi confidata con lei. Guardò il suo cellulare, tentata, ma qualcosa ancora la frenava.
Dimosta loro che non sei così asociale come dicono suggerì il suo lato ragionevole.
Prima che avesse il temo di ripensarci, allungò la mano per prendere il telefono, cercò in rubrica il numero di Serena e premette il tasto “chiama”.
-Em?- esordì incerta Serena, dopo pochi secondi di attesa. -Va tutto bene? Hai sbagliato numero?-.
Em fu tentata di rispondere di sì e riagganciare, invece fece un lungo respiro e decise di andare fino in fondo. Era ora di uscire dal guscio.
-No, Serena, ecco volevo sapere…hai voglia di fare due chiacchiere?-.
   
 
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