Anime & Manga > Cross Ange
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Autore: Carlos Olivera    02/04/2015    1 recensioni
Non possiamo morire.
Non ora.
Dobbiamo tornare indietro.
Al rifugio.
Lì dove si trova Ange.
Dove la nostra… no, la mia luce, mi sta aspettando.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Momoka, Tusk
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Ti guardo mentre mi osservi, gli occhi sbarrati e l’espressione incredula, subito dopo che ti ho ammanettata ai comandi del mio mezzo.

Che strano. Mi sembra di leggere della paura sul tuo volto.

Ma non avevo scelta.

So bene quanto eri affezionata a Momoka, e temo per quello che potresti fare se ti lasciassi qui.

D’altra parte, Embryo non ci permetterà mai di fuggire. Qualcuno deve restare indietro.

Verrà il tempo della vendetta; il momento in cui quel pazzo edonista pagherà per tutto quello che ha fatto. Anche se non sarà oggi.

«Devi vivere.» ti dico dopo aver impostato il pilota automatico verso l’unico luogo in cui ti saprò al sicuro.

Mi guardi di nuovo, sempre più incredula, mentre nel tuo sguardo vedo montare la paura.

Probabilmente pensi che sia sul punto di commettere qualche sciocchezza.

Ma non temere. Non ho alcuna intenzione di morire.

Devo tornare da te. Tu sei la mia luce, il calore che mi ha riscaldato la mia vita, proprio quando stavo per convincermi che non dovesse esservi più alcuna ragione per voler andare avanti.

Tu mi hai dato quella ragione: quello scopo. Proteggerti è diventata la mia missione.

Non perché sono il Cavaliere del Villkiss.

Perché ti amo.

Ti amo, Ange.

E appena tornerò da te, ho intenzione di dirtelo una volta per tutte, sperando che non finisca come al solito; mi domando come faccia ad essere ancora vivo dopo tutte le volte che mi hai picchiato, frustato, legato e sparato.

Ma è anche questo che mi piace di te: il tuo fuoco.

La tua anima è rossa come i tuoi occhi, un fuoco divampante capace di restituire la speranza anche in un mondo marcio e corrotto come il nostro.

Ma ora quegli occhi sono velati, umidi, e quando me ne rendo conto mi viene da sorridere.

Chi l’avrebbe mai detto che tu fossi capace di piangere?

Chissà per quanto tempo ti sei tenuta dentro quelle lacrime, presa com’eri dalla necessità di apparire forte, quel maschiaccio incorreggibile che forse non sei mai stata: non fino infondo, almeno.

In te c’è ancora qualcosa della Principessa Angelise; la parte più pura, l’unica che valesse la pena conservare, e che fino ad oggi hai sempre voluto tenere nascosta, nel timore di apparire una debole; o forse, perché ti ricordava ciò che eri, e che adesso detesti con tutte le tue forze.

Quelle lacrime sono come lame.

Non sopporto di vederti piangere.

È la vera Ange che voglio vedere: la guerriera. Perché la vera battaglia è solo all’inizio, e ora più che mai abbiamo tutti bisogno di quel calore che solo tu sai sprigionare.

«Tornerò al tuo fianco» ti rassicuro. «Te lo prometto.»

«Non farlo, Tusk!» mi urli con uno sguardo che non ti ho mai visto.

È troppo. Non ce la faccio più.

So che non è il momento migliore, ma è più forte di me.

Mi protendo in avanti, veloce, cogliendoti impreparata, sfiorando le tue labbra con le mie. In un’altra occasione probabilmente mi avresti sparato, invece ora sembri quasi assecondarmi.

E allora, la mia memoria corre alla prima volta, a quella fredda notte.

Ne approfitto per metterti in mano il pendente, quel regalo che mi hai fatto quel giorno, in un momento in cui, per un breve periodo, siamo stati felici.

È un modo per assicurarti per tornerò: spero solo che tu lo capisca. Non potrei mai separarmi da un oggetto così prezioso, come non potrei separarmi da te.

Il veicolo si mette in moto; faccio qualche passo indietro, ma continuo a guardarti, ostentando quel mio sorriso infantile che tante volte hai criticato, e dal quale ora invece sembri non volerti più staccare.

Il suono della tua voce sovrasta per un attimo ogni cosa.

«Tusk

Ma non ho tempo di risponderti.

Embryo è ancora qui. E sembra anche parecchio incavolato.

Dura per un narcisista simile accettare l’idea di vedere la propria donna nelle braccia di un altro.

Seguo con l’udito il rumore del veicolo, per accertarmi che sia abbastanza lontano.

Ecco. Ora sei in salvo.

Probabilmente pensa di catturarti di nuovo subito dopo che avrà sistemato me, ma non immagina neanche quale sorpresa io abbia in serbo per lui.

«Lurida scimmia!» urla, e spara l’ultimo colpo del suo revolver.

Ancora una volta il giubbotto di kevlar fa il suo dovere, anche se il colpo fa saltare via la cintura della pistola.

Poco importa. Ormai non mi serve più.

«Detesto quelli che no si arrendono!» urlo tirando fuori tutta la mia rabbia.

Anche io non vedo l’ora di sventrare questo maiale, ma so bene che per ora mi è impossibile.

Eppure, non posso fare a meno di sentire un sentimento gagliardo montarmi dentro nel vederlo farsi bianco come un lenzuolo quando, aprendo il giubbotto, gli faccio notare il regalino che ho legato attorno al torace.

Per essere uno che si crede un Dio si è fatto cogliere piuttosto impreparato.

Davvero pensava che mi sarei limitato a restare immobile a farmi sparare?

Forse non posso ancora uccidere il suo vero corpo, ma godrò nel sapere almeno questo ridotto a brandelli.

Ma se spera con questo di non rivedermi più, si sbaglia di grosso.

Io non posso ancora morire.

Devo tornare da lei.

Anche se, per ora, è più prudente lasciare che mi creda morto; chissà che così non abbassi la guardia, dandoci un vantaggio al momento della rivincita.

Senza farmi vedere, lascio cadere una granata luminosa, che esplode al contatto col terreno.

Sarà pure immortale, ma neppure i suoi occhi di sedicente dio possono sopportare tremila watt di luce improvvisa, che infatti lo lasciano momentaneamente accecato e stortido.

Quell’istante è tutto ciò che mi serve.

Con il congegno di emergenza apro la cintura e allo stesso tempo la attivo, gettandomi subito dopo giù dal tetto dritto nel precipizio.

L’esplosione per poco non mi investe, portandosi via un intero piano del palazzo e facendomi piovere addosso una raffica di macerie.

Lancio il rampino telescopico, ma l’appiglio non è dei più solidi, anche se fortunatamente mi rallenta quanto basta per salvarmi l’osso del collo, e i rami degli alberi sottostanti fanno il resto.

Per un attimo ho pensato che non ce l’avrei fatta.

Invece, aperti gli occhi, mi ritrovo lì, nel boschetto ai piedi della rupe, il cielo rosso per le fiamme e annerito dal fumo.

Ce l’ho fatta.

Ange dopotutto ha ragione a dire che sono uno che non muore neanche se lo si ammazza.

Potrei fare concorrenza ad Embryo.

Provo a rialzarmi. Sono tutto un dolore.

Per fortuna i flaconi di antidolorifico sono ancora intatti, anche se me ne servono due per riuscire quantomeno a zoppicare.

Comincio a camminare, diretto verso la baia, quando uno strano bagliore verde smeraldo, circondato dal rosso vermiglio del fuoco, cattura la mia attenzione.

È il Mana.

Le guardie imperiali mi hanno già trovato!?

No, impossibile. Per quanto ne sa, Embryo mi ha appena visto saltare per aria. E poi quella luce resta immobile, seminascosta tra i cespugli bruciati o anneriti.

Qualcosa mi suggerisce di andarle incontro, mentre un sospetto ai limiti dell’impossibile si fa strada nella mia mente.

Quando, varcato l’ultimo ostacolo, un albero centrato in pieno da un pezzo di autocarro e sradicato di netto con tutte le sue radici, mi trovo dinnanzi ad un corpicino svenuto, non riesco a non lanciare un’esclamazione di stupore.

«Momoka!?»

Incredibile.

Altro che il sottoscritto. È quella cameriera a prima vista così timidina e remissiva ad avere sette vite come i gatti. La luce del Mana la avvolge completamente, tenendola al sicuro dalle fiamme che le avvampano intorno.

Mi viene da ridere. Chissà se l’aveva preventivato o se si è trattato solo di un incredibile colpo di fortuna. Si vede ancora il buco nella sua veste, lì dove Embryo le ha sparato, e mi pare di scorgere una superficie metallica al di sotto di esso.

Sarà mica un robot? Questo spiegherebbe la sua invincibilità.

Fattomi strada tra le fiamme, la prendo delicatamente tra le braccia, e lei sentendosi muovere, apre gli occhi, riprendendo conoscenza per qualche attimo.

«T… Tusk…»

«Và tutto bene, Momoka. Ci sono io qui.»

«A… Angelise-sama…»

«È in salvo. Grazie a te.»

Lei sorride, quindi, di colpo, si addormenta, mentre la luce attorno a lei si spegne; tra il volo dal precipizio e l’uso di tutto quel Mana, poverina, deve essere esausta.

Ma non c’è tempo di stare a guardarla mentre dorme.

Embryo manderà sicuramente qualcuno a cercare tracce di noi.

Dobbiamo tornare indietro.

Al rifugio.

Lì dove si trova Ange.

Dove la nostra… no, la mia luce, mi sta aspettando.

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

Questa è la mia prima fanfic introspettiva in prima persona, quindi vi prego di non essere troppo cattivi.

Ricordo ancora i giorni passati a disquisire all’indomani dell’episodio in cui Tusk e Momoka apparentemente si sacrificavano per salvare Ange.

Sono morti? Non sono morti?

E anche dopo, quando sono tornati, le polemiche non si sono placate, con un mare di speculazioni e supposizioni circa gli eventi avvenuti che non hanno mai trovato una conferma.

Così, ho voluto provare io ad ipotizzare un possibile svolgimento dei fatti, approfittandone anche per cimentarmi in un genere a me completamente nuovo.

Spero che sia stato di vostro gradimento.

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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