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Autore: Calenzano    04/04/2015    6 recensioni
Il delirio di cui sotto è nato da una recensione di un anonimo utente Tripadvisor, che in un italiano sfornato dal traduttore Google raccomandava il locale per “quando mi sento come il sushi”.
Ansiosa di sentirmi sushi per una sera, ho provato a mettermi nei panni (…) della stuzzicante pietanza giapponese. Questo è il risultato.
Genere: Comico, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dapprima era stata la carezza morbida dell'acqua.

Sentivo di stare perdendo la mia parte più ruvida, primordiale, ma la cosa non mi dispiaceva più di tanto. È difficile, per la verità, dire che cosa provassi esattamente in quel momento. La mia percezione di me stesso era tenue, imprecisa, frammentata in migliaia e migliaia di piccoli chicchi giocosi che il getto fresco faceva turbinare, prima di tornare a confondersi nella molle sicurezza del mucchio. Posso solo dire che mi percepivo protetto, quella sensazione di galleggiamento mi era familiare, seppur priva dell'aroma della terra e della clorofilla, e dei raggi indolenti del sole.

Poi era iniziato un piacevole massaggio. Mi sentivo leggero, mentre ogni mio grano veniva gradevolmente scosso e frizionato, e poi lasciato ricadere giù.

Era finito fin troppo presto, lasciandomi un po' deluso. In compenso, la massa liquida che mi circondava aveva iniziato ad aumentare la sua temperatura, divenendo in breve piuttosto calda. Forse un po' troppo, ad essere sincero. Ma mi ero adattato in fretta, ammorbidendomi placido in quell'abbraccio borbottante, ottusamente beato come un bimbo rannicchiato nel grembo della madre, sazio e felice.

 

Per questo, quando ne ero stato estratto, era stato un trauma. Di colpo, ero passato dal tepore avvolgente dell'acqua all'aria fredda e pungente, ed ero stato rovesciato senza tanti complimenti in un cumulo disordinato. Non solo: mentre giacevo ancora confuso, mi era piovuta in testa una doccia di un acre liquido trasparente, con cui ero stato costretto a familiarizzare senza cerimonie allorché un grosso cucchiaio di legno aveva preso a girarmi e rigirarmi con ampi gesti.

Ben presto avevano ottenuto il loro scopo: il mio essere aveva perduto l'ingenua semplicità originaria, e aveva dato origine a qualcosa di nuovo, coadiuvato dall'aria spinta tra le mie fibre dall'agitarsi di un ampio ventaglio di carta, sventolato con forza ora di qua, ora di là.

Ero frastornato. Troppi cambiamenti, in così poco tempo. Un attimo prima ero nel mio elemento, adesso mi ritrovavo in un mondo nuovo e forse ostile, sicuramente ben poco propenso a rispettare la mia natura gioconda e genuina.

 

Ma ignoravo che qualcosa di ben peggiore mi stava aspettando. Di lì a poco avrei compreso che i tempi della mia infanzia erano finiti, e l'avrei scoperto nel più doloroso dei modi.

Dapprima era stata la scoperta, conturbante, di una nuova natura, viscida e odorosa. Sapeva di sale, di branchie argentee, di spasmi viscerali. Adesso ero freddo e solido, e giacevo riverso su un sudicio foglio di carta opaca. Un dito invadente mi aveva premuto con insistenza, su e giù, verificando la mia compattezza. Poi, evidentemente soddisfatto del risultato, mi aveva posizionato su un gelido banco di metallo. Uno strano attrezzo aveva iniziato a grattarmi la pelle, ma senza la piacevolezza di prima, quando ancora ero riso. Adesso mi stavano scorticando selvaggiamente, e le mie squame cadevano giù a pioggia, lasciandomi indecorosamente nudo. Avrei gridato la mia protesta, se avessi potuto. Ma l'unica cosa che potevo fare era far assumere un'aria indignata al mio grande occhio rotondo, fisso sul soffitto.

Del tutto incurante del mio sdegno, l'utensile aveva terminato il suo compito; ed era stata la volta del coltello. L'incisione era stata così netta e precisa da non farmi provare neppure dolore, così come non ne avevo avvertito quando la mia testa era stata recisa dal resto dell'organismo, e scartata. Il disagio era sopravvenuto nel ritrovarmi diviso in due, e privato della mia pelle argentea dal procedere della larga lama a piccoli colpi obliqui. Mi sentivo lacerato, sezionato, violato fin nel più profondo del mio essere. E tuttavia stringevo i denti, intuendo in qualche modo che quanto mi stava accadendo, per quanto doloroso, era forse necessario, e avrebbe portato alla luce il meglio di me. Sì, era ciò che si dice sul purificarsi attraverso la sofferenza, o qualcosa del genere. L'acciaio lucente, con sapiente maestria, aveva quindi operato una serie di lunghi e netti tagli trasversali lungo le mie fibre, staccando piccoli rettangoli e riallineandoli sul piano di lavoro, come tanti soldatini in parata.

Ero fiero di me stesso. Avevo affrontato la prova della lama, e ne ero uscito vincitore. Non ero più un ingenuo pesce grezzo, no. Adesso ero filetto, ero adulto.

 

Era giunto il momento di riunire le mie due anime in un connubio sacro ed eterno, in cui avrei trovato il vero scopo della mia esistenza.

Fu un pizzico di una pasta verdastra e piccante a sancire la mia riunificazione. Una forte sensazione pungente mi aveva solleticato, quando la sostanza mi era stata spalmata addosso con una rapida ditata. Poi un sorprendente senso di compattezza collosa, mentre i miei chicchi venivano compressi tra loro, sperimentando un'inedita e cameratesca unione di corpo, e infine, in un brivido di emozione, eccolo arrivare: l'abbraccio a lungo anelato, che aveva portato il mio più dolce e riuscito trancio ad adagiarsi sulla pallina di riso, ricoprendone il candore col suo brillante rosso-arancio. Subito l'olezzo selvaggio della mia parte ittica era stato catturato da quello spugnoso e lievemente etilico del cereale intriso della sua preparazione, impregnandosi a vicenda e dando vita a un nuovo, composito aroma.

 

Era fatta. Ero stato posato su una raffinata tavoletta di legno chiaro, e la delicata fragranza del bambù mi aveva riempito le narici. Un roseo ciuffetto di zenzero sotto aceto mi era stato posto accanto, quale rinfrescante bouquet, ed ero stato dichiarato ufficialmente perfetto. Avevo le lacrime agli occhi per la felicità. Mi sentivo riunito in me stesso, meravigliosamente completo, realizzato; e lo ero davvero. Non mi importava cosa sarebbe accaduto, da quel momento in poi. Ero gioia per gli occhi, delizia per il tatto, estasi per il palato.

Ero Sushi.






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Non so qualificare esattamente questa cosa. Inno alla (divina) cucina giapponese, delirio letterario-gastronomico, postumi da alga nori fumata male. Così come non so se la sua lettura abbia fatto provocato voglia di sushi, o non abbia piuttosto convertito al veganesimo lo sfortunato lettore. Che, in ogni caso, ringrazio per essere passato di qui, e ancor più se vorrà lasciare la sua impressione, quale che sia!



 

  
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