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Autore: skippingstone    04/04/2015    1 recensioni
La ragazza si alzò e ritornò a mettere in ordine le varie cose che le sembravano avere un posto sbagliato. Avrebbe voluto ordinare anche la mente di quel ragazzo che le sembrava così spaesato, indifeso ma, al tempo stesso, forte e coraggioso. Infatti, se la sua debolezza era il lasciare fuori tutti, la sua forza era il riuscire a rialzarsi da solo.
«E non ti preoccupare, io già mi sono guadagnata un posto nel tuo mondo.»
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2. Con fare dolce e distruttivo - tatto

«Si rivesta signor Bianchi.»
«Grazie, eh!»
Flavio teneva le mani poggiate sul bordo del letto su cui soleva star seduto. Si era, ormai, abituato a quella stanza che era diventata casa. Conosceva, bene o male, l'angolo di mondo in cui stava ogni mattina, anche se quella sala era un luogo sconosciuto ai suoi occhi.
«Si guardi, ultimamente sta migliorando.»
Nella sua mente iniziarono a vagare tanti, tantissimi insulti per quel dottore. Si sorprendeva, ogni giorno di più, per le parole che uscivano da quella insulsa e stupida bocca.
«Non posso guardarmi... o l'ha dimenticato?»
Il dottore alzò lo sguardo dalle cartelle mediche e scrutò il fisico del paziente che rimaneva fermo nella sua posizione.
«Io intendevo dentro di sé.»
«Come non vedo ciò che c'è fuori, non vedo ciò che c'è dentro di me.»
«Beh, allora dovrebbe semplicemente seguire i miei consigli.»
«Per rimanere traumatizzato a vita!»
Non c'era mai stata questa gran chimica tra loro due. Flavio era molto scontroso, soprattutto nei confronti di quest’uomo troppo egocentrico che sicuramente faceva il dottore per sentirsi lodato e non per il bene degli altri. Proprio per questo, Flavio evitava tutte quelle parole dolci e quelle trappole messe davanti ai suoi occhi non vedenti che, nonostante tutto, sarebbero rimasti inutilizzabili. Non esisteva un modo per tornare a vedere, non esistevano occhi nuovi.
«Oh, dottoressa Grandi...» - il dottore, con tono alquanto felice, annunciò l'arrivo della dottoressa - «Dia una mano al signor Bianchi, io ho delle cose importanti da fare.»
Erano passate quasi tre settimane da quando una nuova presenza si aggirava tra i corridoi del centro di cura. Questa nuova presenza si chiamava Sara e Flavio l'aveva accolta a braccia aperte. L’aveva fatto perché, da quando era arrivata lei, si respirava un nuovo profumo nelle stanze e lui sorrideva. Non sorrideva, forse, da quando giocava a pallone nel campo con i suoi amici. Gli amici… Pietro che fine aveva fatto? Matteo ci provava ancora con quella ragazza? Luca ancora si lamentava di quello che la madre gli cucinava?
Flavio si chiedeva spesso queste cose e si rispondeva pensando che non gli fregava un cazzo di Pietro (d’altronde Pietro si chiedeva che fine avesse fatto lui?), che Matteo sicuramente si sarebbe fatta scappare la ragazza (e la ragazza non sbagliava nel farselo scappare) e che Luca poteva evitare di lamentarsi in quanto lui poteva ancora vedere. Ma, con l’arrivo della dottoressa Grandi, smise di porsi queste domande. I suoi pensieri erano annebbiati da tante altre cose strane come l’America, le more e la voce di quella nuova presenza.
Invece le vecchie presenze non riusciva proprio a farsele piacere. Infatti Flavio commentò, come sempre, le azioni del dottorino che credeva andato via.
«Sicuramente andrà a farsi qualche sigaro e poi andrà a chiudersi in un ristorante per soddisfare il suo appetito da porco menefreghista.»
«Signor Bianchi, prima di far commenti si assicuri che il diretto interessato non ascolti! Ora vado, davvero.»
Sara vide il dottore andare via e chiuse la porta cercando di non ridere ma, ovviamente, non riuscì a trattenersi.
«Bella figura, sfigato!»
Flavio si girò lentamente e iniziò a fare dei passi in avanti per avvicinarsi a Sara. Mentre camminava, continuava, con le mani, a toccare ciò che gli stava attorno, cercava di orientarsi.
«Le persone preferiscono dire bugie e non la verità perché hanno paura che gli altri la dicono a loro! La verità, al dottore, non va detta perché, dopo, lui dovrebbe dire che non esiste cura per la cecità!»
Anche se Sara non diede risposta, le parole appena sentite erano rimaste incollate ad un pezzo della sua mente perché quello che Flavio aveva appena detto era, probabilmente, più che vero.
«Ora permetti che io ti vesta.»
«Come sono, Sara?»
Sara aveva appena preso la maglia di Flavio dal lettino per poterlo aiutare a vestirsi ma si fermò quando ascoltò quella domanda curiosa.
«Cosa intendi?»
«Come sono fisicamente. Guardami e dimmi cosa vedi.»
Lasciò la maglia e si avvicinò a lui.
«Hai dei piedi grandi, davvero. Non so come abbiano fatto a trovare un paio di scarpe così grande.»
Flavio rise e lo fece anche lei ma, poi, ritornarono seri. Lei si inginocchiò e, con fare dolce, toccò le caviglie del ragazzo.
«Le gambe sono forti e stabili, anche se i tuoi passi non lo sono affatto.»
Pian piano iniziò ad alzarsi da terra e a salire con le mani come se la sua mano fosse un auto e il corpo di Flavio una strada.
«Hai due nei carini sulla gamba.»
Con l'indice puntò i due nei e poi continuò a salire.
«La zona x lascio a te scoprirla.»
«Stupida!»
Ritornarono a sorridere e questo riuscì a calmare il respiro e il battito di Flavio. Era la prima ragazza che stava toccando, interamente, il corpo di Flavio che era a torso nudo. Questo inaspettato contatto con le dita delicate di lei lo avevano spiazzato e, quasi incredulo, iniziava a sentire la voglia di avere quella donna per sé.
«Ti sei mantenuto allenato perché il tuo corpo è asciutto, non hai un fisico da buttare.»
Le dita di lei continuavano a viaggiare sul corpo di lui che era vittima di dolci brividi. Arrivata al petto, con l'indice, scrisse la parola Flavio.
«Hai delle dita lunghe e delle vene visibili. Ho una strana ossessione per le vene.» - la dottoressa prese con una sua mano la mano del ragazzo e, con l’indice della mano libera, seguiva quelle vene.
Rimasero per qualche secondo in silenzio, poi ripartì il viaggio di Sara sul corpo di Flavio. Percorrendo la salita, Sara si soffermò sul contorno delle labbra.
«Le tue labbra non sono come le mie. Le mie sono molto più carnose. Le tue sono sottili, rosee e, quando sorridi, una fossetta appare al lato destro. Dovresti sorridere di più.»
Mentre continuava a sfiorare le labbra, Sara raccontava le piccole particolarità del viso del ragazzo che continuava a sentire, dentro di sé, qualcosa di nuovo, qualcosa che lo faceva sentire instabile ma, al tempo stesso, felice.
«Non hai, fortunatamente, un naso all'insù, ma uno proporzionato al tuo viso. I capelli sono di un nero fortissimo. E i tuoi occhi...»
Sara accarezzò la palpebra dell’occhio sinistro con le falangi delle dita.
«Non aver paura di me, Flavio. Puoi aprire gli occhi.»
Flavio, quando ascoltò quelle parole inaspettate, tornò a sentire il cuore battergli come un pazzo. Quella non era una richiesta ragionevole, non era una cosa da poter domandare così facilmente.
«Non agitarti, Flavio. Non sono gli unici occhi visti in vita mia.»
«Sì, ma non hai mai visto gli occhi di un cieco.» – così rispose Flavio che spostò il viso provando ad allontanare le dita di Sara con questo unico gesto di distacco.
«Non importa… davvero.» - Sara sorrise e ritornò a sfiorare il volto del ragazzo. - «Gli occhi di chi non si meraviglia, di chi non prova nulla… quelli sono gli occhi più brutti che ci siano, non i tuoi. Perché tu ancora ti meravigli, Flavio, vero?»
Sarà, però, non poteva sapere che lui, proprio in quel momento, stava provando qualcosa, qualcosa che superava la meraviglia, solo grazie a lei.
 
Erano, come sempre, nella stanzetta 428. Parlavano. Non se ne accorgevano ma, tra loro, scorrevano fiumi di parole. Non smettevano mai di dirsi la loro, mai di scambiarsi informazioni o opinioni, mai di parlare di musica.
«Sara, perché non mi racconti un po' di te?»
Da quando era diventato cieco, Flavio aveva preso il vizio di poggiare la schiena su qualsiasi parte solida: pareti, schienali, mobili. Non lo faceva neanche volutamente ma cercava degli appoggi, forse quelli che le persone e la vista gli avevano distrutto.
«Devo iniziare a preoccuparmi, Flavio? Ieri mi hai chiesto di descrivere il tuo fisico, oggi mi chiedi di me… cosa passa nella tua testolina?» – Sara sorrise rallegrata. Questo suo rapporto complice con Flavio le faceva bene, le faceva piacere di più quel posto e il suo lavoro.
«No, son solo curioso di sapere… di più.»
«Sapere qualcosa in più di me? Non c'è molto da dire.»
Sara continuava a fare avanti e indietro nella stanzetta, non riusciva a star calma. Prendeva la cartella clinica, la controllava e poi la posava sulla scrivania. Metteva in ordine sedie, penne, matite, tutto quello che poteva.
«Allora facciamo un gioco: io descrivo te, tu descrivi me... questa volta caratterialmente.»
Sara fece cenno di sì col capo involontariamente, spesso dimenticava che aveva di fronte una persona che non la poteva guardare. Prese posto accanto a lui e cercò di prestare tutta l'attenzione possibile. Amava quando qualcuno la giudicava.
«Flavio, mi raccomando: senza peli sulla lingua. Io non sono come tutte le persone che odiano sentirsi dire la verità.»
«Bene, così dopo sarai anche tu sincera con me.»
«Proprio come la logica che mi hai spiegato ieri.»
Flavio sorrise soddisfatto. Quando ciò che dici resta nella mente di qualcuno, non puoi che esserne fiero.
«Tu... tu hai degli ideali che mandi avanti con coraggio...» - iniziò a dire quel che pensava di lei - «...Sei diversa dalle altre e non so dirti il perché.»
Adesso che doveva parlare di lei, Flavio aveva avuto un tentennamento. Le parole che stava usando non erano giuste, per niente. In testa sapeva bene quello che voleva dire ma, trasformandole in parole, quelle idee sembravano essere stupide e infantili.
«Ti sei sprecato con le parole, eh?»
«Dai, sono un tipo timido io.»
«Si, timido... Quando dormi. Ora tocca a me.»
Sara tirò un sospiro, pensava quale parte omettere del discorso e cosa dire, ma non riuscì a farlo. Lasciò che le parole prendessero il proprio corso senza censurare nulla.
«Sei codardo. Hai paura di ammettere agli altri che hai bisogno di loro. Cerchi di trattare male tutti, li mandi a quel paese e li allontani perché hai paura. Hai una dannata paura di dover, poi, dipendere da loro. Non capisci, però, che devi donare la tua fiducia a qualcuno, lasciare che quel qualcuno ti accompagni e non perché sei cieco, no. Tutte le persone, se sono sole, non ce la fanno. Questo mondo, anche se sta cambiando, sarà sempre duro. Con te, con me, con qualcun altro là fuori. Tante saranno le occasioni in cui dovremmo metterci in gioco e tante saranno le volte in cui perderemo e, quando perderai, con chi potrai sfogarti? Quando vincerai, con chi potrai gioire se sei solo? Non ti metti in gioco perché sei cieco? Il tuo cuore non è cieco. La tua mente non è cieca. Puoi ancora giocare, non sei stato sconfitto. Hai scelto tu di sederti in panchina.»
Seguirono attimi di silenzio dopo quelle parole che si erano rivelate forti, fatali come la forza di uragano che riesce a distruggere tetti e pareti. Ecco, Flavio aveva perso il tetto e le pareti a causa dell'uragano Sara che era arrivato con fare dolce e distruttivo.
«Se lasci entrare qualcuno nel tuo mondo, Flavio, sta' sicuro che sarà difficile abbandonarti.»
Sara accarezzò la guancia di Flavio, lui si lasciò andare a quel piccolo gesto. Prima, però, di lasciarsi andare completamente a quella ragazza che iniziava a comprenderlo davvero, aprì il suo cuore con parole che le chiedevano di non fargli male. Il mondo gliene aveva già procurato abbastanza.
«Sara, non ingannarmi come fanno i miei sensi. Se ti lasciassi entrare, se creassi un posto per te nel mio mondo, resteresti?»
«Cambia il mondo, cambiano i rapporti. Potrei entrare ma potrei anche uscire. Tu inizia a cambiare il modo di interagire con le persone.»
La ragazza si alzò e ritornò a mettere in ordine le varie cose che le sembravano avere un posto sbagliato. Avrebbe voluto ordinare anche la mente di quel ragazzo che le sembrava così spaesato, indifeso ma, al tempo stesso, forte e coraggioso. Infatti, se la sua debolezza era il lasciare fuori tutti, la sua forza era il riuscire a rialzarsi da solo.
«E non ti preoccupare, io già mi sono guadagnata un posto nel tuo mondo.»
 
  
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