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Autore: AileenGrace    04/04/2015    2 recensioni
Conoscete il mito di Apollo e Dafne?
Una storia sospesa tra Amore e Odio, per una scommessa patetica.
Apollo, il vanitoso e l’innamorato,
Eros, il vincitore,
Dafne, una ninfa innocente in preda all’odio.
Siete pronti a conoscere la verità?
***
[dal testo]
– Per una fanciulla bellissima.
Dafne fece un’ennesima smorfia e lanciò un’occhiataccia al ragazzo. Cercò comunque di perdere tempo.
– Perchè allora non gliela porti, a questa “bellissima fanciulla”? – disse gelida, con un sorriso tirato.
Una risata cristallina spezzò il silenzio. – Perchè quella sei tu.
Genere: Drammatico, Fluff, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Apollo, Eros/Cupido, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi! Allora, volevo tanto costruire una storia fra Apollo e Dafne, ed ecco quello che ne è uscito!
Uhm... volevo avvertirvi che qui le cose vanno più o meno come dice la leggenda, solo con i particolari.
Scusate per gli eventuali errori!

Adoro la loro storia, e adoro voi che state leggendo. Grazie di tutto! (Oddei, troppi punti esclamativi)
Buona lettura, Aileen <3
P.s. munitevi di fazzoletti, se non volete allagare il vostro computer/cellulare!


 


– Ha! Caro, caro Eros... – Apollo sfoggiò un ghigno. – Tu sei solo un incapace! Ma guardami! Tu tante prede non saresti stato capace di prenderle!
“Ti distruggo, piccolo bambino con il pannolino” pensò Apollo, sogghignando. Probabilmente Eros intuì i pensieri di Apollo, perchè strinse i pugni.
Eros, fumante di rabbia, guardò i cadaveri degli animali che Apollo aveva preso – ed erano tante – con indifferenza. Lui era il dio della passione, in un certo senso dell’Amore proprio e vero, e non si cimentava alla caccia.
– Io potrei distruggerti, se volessi. – dichiarò sicuro il piccoletto. – Senza fatica, anche.
Apollo alzò un sopracciglio, poi scoppiò in una sonora risata. – Tu? Scommettiamo che non ci riusciresti?
Eros, con gli occhi fiammeggianti, allugò la mano in direzione del biondino.
“Vanitoso e patetico.”
Apollo si avvicinò e anch’egli allungò la mano, stringendo quella del castano.
 – Scommetto di si. – sorrise glacialmente Eros, prima di sparire con un lampo.
Eros, dall’alto del bosco, vide Apollo che se la rideva, e prese una freccia dalla sua faretra di cuoio. La esaminò. Era dorata, con la punta a forma di cuore, e le piume rosa. Ghignò malignamente. Gliela avrebbe fatta pagare a quell’insuso di un dio. Accarezzò l’arco, prese la mira e scoccò la freccia.
Eros volò verso un fiume. Se ricordava bene era del dio... Peneo. Quel vecchio gentile. Vide nel fiume delle naiadi, tutte bellissime che giocavano. Una in particolare spiccava per la sua bellezza. Aveva i capelli castani con riflessi dorati, e la pelle bianca come il latte. Era bellissima. Con somma soddisfazione, Eros tirò fuori dalla sua faretra un’ennesima freccia: era di piombo, con la punta spezzata e le piume nere. Perfetta per l’occasione. Finalmente si sarebbe vendicato di Apollo. Prese di nuovo la mira e lasciò che la freccia dividesse l’aria con la sua velocità.
 
Era una giornata come tante.
Dafne si spostò una ciocca dei suoi capelli oro e castani dietro l’orecchio ridendo, mentre con le sue amiche, giocava nel fiume cristallino di suo padre, Peneo. Schizzò una delle cinque naiadi, e cominciarono così una guerra di schizzi, tra risate e spruzzi d’acqua. Dopo un pò, però, decise di uscire dall’acqua allontanadosi dalla riva, strizzando il suo vestito. Mentre si asciugava con un panno, fece una preghiera a sua madre Gea, la quale rispose facendo spuntare un dente di leone, il suo fiore preferito.
Era una giornata perfetta: il sole riscaldava la sua pelle dolcemente, e un leggero venticello le scompigliava piano la chioma. Eppure, Dafne aveva un brutto presentimento. Era inquieta, e guardandosi intorno si chiese il motivo della sua preoccupazione. Staccò il fiore giallo dolcemente, e si incamminò verso la riva, volendolo donare a suo padre. Mentre camminava però, un fruscio attirò l’attenzione di Dafne, che si girò verso il rumore. La sua tensione crebbe, quando si ritrovò di fianco ad un ragazzo –anche carino- biondo, asciutto e alto, con uno strumento strano in mano. Lui le sorrise, e Dafne fece una smorfia, allontanandosi.
Tutto in lui irradiava fascino e calore. Ma il ragazzo non si arrese, avvicinandosi a Dafne, la quale iniziò ad arretrare più velocemente. Fece un altro passo, finchè non sbattè la schiena contro un grande masso. Lo tastò lentamente, osservando con timore il ragazzo avvicinarsi piano.
– Salve, dolce naiadina, mi chiamo Apollo.
Quella voce. Era dolce e solare, ma per Dafne era solo irritante. Poi, quel nomignolo... naiadina.
 Il cosiddetto Apollo si avvicinò di più alla ragazza, ormai in trappola. “Oddio, ora che vuole fare?” si chiese, allarmata. Dafne ovviamente sapeva che Apollo era un dio, e sapeva anche delle sue numerosissime conquiste.
– C-che vuoi? –Dafne spostò il suo peso da un piede all’altro, mentre cercava una soluzione per scappare dal ragazzo. Non sapeva che stava succedendo: sapeva che il ragazzo era dolce e carino, ma il suo corpo lo diprezzava. Come se lo schifasse.
– Non lo so, mi piaci. – Il dio fece un sorriso da ebete, mentre Dafne si strofinava il braccio, nervosa. La stava letteralmente abbordando.
– Uhm... beh, ne sono lusingata, ma... ecco, io non...
La ragazza fu interrotta da una sensazione di solletico, fastiodioso, sul suo zigomo sinistro. Apollo appoggiò una mano sulla guancia di Dafne, ancora sgocciolante. Raccose sulla punta delle dita una goccia, e ci soffiò sopra. Questa parve duplicarsi, finchè non divenne una bellissima collana di diamanti. Sorrise e la porse a Dafne, sempre con il suo solito sorriso abbagliante.
– Per una fanciulla bellissima.
Dafne fece un’ennesima smorfia e lanciò un’occhiataccia al ragazzo. Cercò comunque di perdere tempo.
– Perchè allora non gliela porti, a questa “bellissima fanciulla”? – disse gelida, con un sorriso tirato.
Una risata cristallina spezzò il silenzio. – Perchè quella sei tu.
Dafne doveva scappare, allontanarsi da quell’Adone. Prese delicatamente la collana dalla mano di Apollo, senza neanche sfiorarlo e sorrise glacialmente. La fece cadere per terra alzando gli occhi al cielo.
– Ops! Che sbadata che sono! – si mise una mano davanti alla bocca, con finta sorpresa. Non sapeva però cosa inventarsi. – Beh, mi... mi... mi fa male la schiena! Me lo puoi raccogliere, per favore?
E indicò innocentemente la collana per terra. Apollo sorrise e le sfiorò la schiena con il dorso della mano. Dafne, schifata, si scansò leggermente, mentre Apollo si chinava per raccogliere la collana. Ormai, la sola vicinanza di quell’essere la turbava parecchio. Iniziava ad odiare sia lui che la situazione. Sfruttando la situazione, Dafne fuggì letteralmente dal dio, dandogli una sonora spinta sul fianco. Al che, però, le cadde il dente di leone. Non ebbe tempo per raccoglierlo, che si mise a correre.
 – Aiuto! Aiutatemi per favore!
Mentre correva si voltò, e vide il viso del giovane contratta in una smorfia di sorpresa, poi lo vide rabbugliarsi. Poi però cominciò a chiamarla, rincorrendola.
– Fanciulla! Fanciulla-graziosa-che-scappa! – si stava avvicinando sempre di più. – Non scappare! Torna!
Dafne stava iniziando a sudare, e Apollo guadagnava sempre più terreno. Si girò un’altra volta; Apollo era a pochi passi da lei. I capelli le si appiccicarono sulla schiena sudata e nuda. Si tirò frettolosamente la spallina del vestito bianco, che sie era rotta a causa di un ramo. Era tutta graffiata e le dolevano i piedi. Si diperò. La sua coscienza le diceva di fermarsi, e magari sapere cosa voleva quel dio, ma il suo stesso corpo – e probabilmente anche parte del suo cervello – voleva e doveva continuare a correre. “Non fermarti. Non. Fermarti.”
Allora iniziò a supplicare la madre, Gea, per aiutarla.
“Oh, madre, ti supplico!” Pregava, mentre delle calde e veloci lacrime le inondavano il viso. “Se ho fatto qualcosa di male, se ti ho mai deluso, ma salvami. Ti prego...”
Dafne riusciva a sentire il respiro pesante di Apollo, mentre correva. Ad un tratto, si dovette fermare, perchè un formicolio si diffondeva dai piedi. Se li guardò spaventata, e fece appena in tempo a girarsi per vedere Apollo che la raggiungeva. Egli si passò una mano sui capelli, sorridendo beatamente, come se lei non fosse mai scappata da lui. Le si avvicinò e le spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, come era solito fare lei.
Dafne provò a scansarsi, ma era come inchiodata al suolo. Posò lo sguardo sui suoi piedi scalzi, e li trovò in parte sotterrati nella terra morbida. “Oddei.”
Stava per parlare, ma Apollo la precedette. – Cara, cara Dafne... io, non so come, e neanche il perchè, ma sento di amarti. Ti prego, se mi fai spiegare...
Non potè finire, perchè Dafne cacciò un urlo. Le sue dita si stavano lentamente allungando, mentre i suoi capelli si stavano arricciando verso l’alto. Apollo la guardò allarmato. – Luce dei miei occhi, Musa del mio canto, che sta succedendo?
Dafne capì che Gea la stava aiutando.
Si accucciò per terra, mentre le lacrime le scendevano sul suo viso pallido, quasi trasparente. “Apollo, taci!” avrebbe voluto urlargli, ma non ce la fece. Scoppiò a singhiozzare, per la sua sorte, e per non aver potuto regalare quel fiore a suo padre. “Perdonami...” fu l’unica cosa che potè pensare.
– Tesoro, perchè piangi?
No, Dafne non voleva ascoltarlo, voleva essere ancora tra le sue amiche, e voleva consegnare quello splendido fiorellino a Peneo. Ma continuava a tacere.
– Rispondimi, perchè tu...?
Un’altro formicolio, questa volta sul ventre. Iniziò ad irrigidirsi, la schiena dritta con le dita delle mani spalancate. I singhiozzi non finivano. Ma non faceva male, no, ma il dolore della sua vita, della sua gioventù sprecata la faceva uscire di testa. Apollo cercò di abbracciarla, ma Dafne gli diede uno schiaffo in faccia. Era stato uno schiaffo non solo duro, ma ruvido, come se fosse stato colpito da un ramo. – No! Non osare toccarmi! È... è colpa tua! È tutta colpa tua! Ora... ora io morirò!
E ricominciò a piangere. Ormai era quasi del tutto trasformata. Chiuse gli occhi, e i suoi capelli la circondarono tutta, come se fosse una coperta. Apollo la fissò a lungo, mentre la accarezzava, perchè non voleva dimenticarla. – Mi dispiace! Mi dispiace!  –mormorava piangendo, come una cantilena.
Dafne si ritrovò immersa nel buio.
I suoi capelli biondi, i suoi occhi celesti con delle pagliuzze verdi, e la sua pelle diafrana. Fu tutto quello che Apollo riuscì a ricordare. Un fruscio, e Apollo si ritrovò ad abbracciare un cespuglio.
Alloro.
Una voce gutturale aleggiò nell’aria per qualche secondo.
Apollo ricominciò a piangere, disperatamente. Non smetteva di singhiozzare. Non voleva dimenticarla, e soprattutto il senso di colpa gli stringeva lo stomaco e il cuore.
"Maledizione!"
Si coprì la testa con le mani, mentre allungava la mano per staccare un rametto, intrecciandolo e mettendolo in testa. Si cullò abbracciando l'alberello.  – Tu non morirai, dolce Alloro...
   
 
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