Polis
Eiléithyia
“Quanti bei ricordi…”, pensò Lamù osservando con un
pizzico di nostalgia il paesaggio caratteristico del suo pianeta natale. Il
clima era come sempre piuttosto caldo, ma la totale assenza di umidità ed una
piacevole brezza rendevano la giornata assolutamente
piacevole.
La
bella aliena ricordava con affetto le innumerevoli giornate della sua infanzia
trascorse nella natura fra scorpacciate di frutta, bagni nelle sorgenti d’acqua
fresca e giochi con i numerosi animali del luogo, terminati nella stragrande
maggioranza dei casi con lo sfinimento di questi ultimi a causa della natura
pestifera della piccola Lamù.
Erano passati tanti anni e, da allora, la bella
oni si era resa protagonista di innumerevoli avventure ai quattro angoli
dell’universo, ma nessuno di questi avvenimenti era stato per lei più memorabile
di quanto accadutole soltanto l’anno prima. Al termine di quattro anni trascorsi
fra litigi, minacce e lanci di scariche elettriche, Ataru non soltanto si era
finalmente deciso a dichiararle apertamente i propri sentimenti, ma l’aveva
perfino condotta all’altare, coronando così il loro amore nato quasi per caso al
termine della celeberrima gara di corsa che aveva visto tramontare i sogni di
conquista della Terra da parte degli oni.
Lamù si voltò e vide suo marito sdraiato ad
osservare con aria pensierosa il cielo dai mille colori del pianeta Uru,
passandosi continuamente fra i denti uno stelo d’erba.
La
giovane si avvicinò a lui e domandò accarezzandogli il volto: “A cosa stai
pensando, tesoruccio?”.
“Non trovi incredibile tutto questo?”, disse
quest’ultimo afferrando la mano della moglie senza tuttavia incrociare il suo
sguardo.
“Che vuoi dire?!”, chiese la bella oni
aggrottando le sottili sopracciglia.
“Beh… fino allo scorso anno non facevo altro che correre
dietro alle altre ragazze… col solo risultato di ricevere sonori ceffoni o
scariche elettriche da parte tua! E ora…”. Ataru interruppe la frase per dare
un’occhiata alla sua mano sinistra, il cui anulare era cinto dalla fede nuziale.
“… ora siamo qui, sposati ufficialmente già da più di un
anno!”.
“Dimentichi una cosa…”, puntualizzò Lamù posando
entrambe le mani sul suo grembo.
“…
con te al mio fianco che porti in grembo i nostri figli”, concluse il
giovane Moroboshi posando la mano sinistra sulla pancia di Lamù. Sebbene la
ragazza indossasse un più sobrio vestito lungo di foggia cinese (assai simile a
quelli indossati solitamente dalla madre) in luogo del consueto bikini tigrato,
ciò non bastava a nascondere il suo ventre gonfio che denunciava una gravidanza
giunta ormai allo stadio conclusivo.
“Se
vuoi saperlo, non lo trovo affatto incredibile”, disse Lamù lasciando Ataru
quasi sconcertato. “Ormai non sei più il ragazzo che pensava unicamente al cibo
e alle ragazze disprezzato e deriso da tutti. Sei diventato un uomo fantastico…
il mio uomo!”.
“E
tu sei la donna che qualsiasi uomo vorrebbe al suo fianco come compagna per il
resto della vita!”, affermò Ataru prima di posare le sue labbra su quelle della
consorte. Detto ciò, il giovane signor Moroboshi cinse con un braccio le spalle
di Lamù; quest’ultima afferrò un ciondolo d’argento a forma di cuore che portava
al collo e lo aprì, rivelando una loro foto in abiti nuziali: si trattava del
regalo che Ataru le aveva fatto in occasione del loro primo anniversario di
matrimonio.
“Sai, non è stata la prima volta in cui ti ho vista con
l’abito bianco… ma quel giorno eri semplicemente meravigliosa!”, disse Ataru con
gli occhi fissi sulla foto mentre nella sua mente ricordava il giorno del
tentato matrimonio con Lamù al termine della loro avventura sul pianeta El e la
sua successiva fuga precipitosa poco prima del sì.
“In
fondo sei stato tu a regalarmelo!”, fece notare la ragazza mentre il giovane
marito ricordava con una certa apprensione la pila di cambiali firmate per
acquistare l’abito.
“Tuttavia c’è una cosa che ancora non capisco, dopo
tutto questo tempo: come ti è venuto in mente di regalarmi un vestito da sposa?
Fino a quel momento, non volevi saperne minimamente di sposarmi…!”, disse la
bella extraterrestre.
Suo
marito emise un sospiro e rifletté intensamente per qualche minuto, prima di
rispondere: “In verità, è un po’ complicato da spiegare…”, esordì Ataru, “… dal
momento in cui sei entrata nella mia vita, è stato come se dentro di me fossero
state innalzate delle barriere, come per impedirmi di comportarmi con te come ho
sempre fatto con tutte le altre ragazze! Da allora, però, non ho fatto altro che
continuare a sfuggirti e a comportarmi da stupido egoista…
finché…”.
“Cosa?”.
“…
finché quelle stesse barriere non sono improvvisamente crollate una dopo
l’altra, come le tessere del domino. A quel punto dovevo e volevo
sposarti, ma dopo tutto quello che ti avevo fatto patire a causa del mio
sciagurato comportamento, dovevo dimostrarti che le mie intenzioni erano
sincere. Così… ho avuto l’illuminazione!”.
“Ed
è stato il più bel regalo che tu mi abbia mai fatto!”, disse la bella aliena
ricordando l’immensa gioia provata dopo aver letto la lettera attaccata al pacco
in cui era confezionato l’abito nuziale.
“Dopotutto, non potevo di certo dichiararmi con una
banale letterina d'amore…”, ribadì Ataru prima di scoppiare in una gioiosa
risata. Subito dopo, però, il suo sguardo si fece improvvisamente serio. “Sei
sicura che sia stata una buona idea organizzare questa scampagnata sul tuo
pianeta?”, domandò alla giovane moglie. “Voglio dire, nelle tue
condizioni…”.
“Non devi preoccuparti di questo”, lo interruppe Lamù.
"Ricordati che con noi ci sono anche Ten e i miei genitori... perfino mia zia si
è presa un breve periodo di congedo dal lavoro pur di starmi vicina! E poi mi
sembra doveroso festeggiare, dal momento che hai superato l’esame di ammissione
all’università dopo mesi e mesi passati sui libri!”.
“Dovevo farlo”, si giustificò Ataru notando una leggera
nota di rimprovero nelle parole della consorte. “Dopo tutto il tempo che ho
sprecato al liceo andando a caccia di ragazze, ho dovuto studiare giorno e notte
per superare l’esame!”.
"Se
tu mi avessi dato retta fin dall’inizio, non sarebbe stato necessario!”, lo
rimproverò la bella oni.
“Già…!”, si limitò a dire Ataru poco prima che la
consorte scoppiasse in una risata argentina che contagiò anche lo stesso
ragazzo.
Proprio in quell’istante, ad interrompere quel momento
di allegria, arrivò Ten in sella al suo piccolo scooter a
levitazione.
“Il
pranzo è pronto, piccioncini!”, annunciò il piccolo oni schernendo i due
giovani sposi.
A
dimostrazione della sua ormai raggiunta maturità, Ataru non reagì alla
provocazione della piccola peste in pannolino tigrato e, dopo aver aiutato Lamù
ad alzarsi, si diresse verso l’astronave situata a poca distanza da un ruscello,
all’interno della quale i suoceri di Ataru e la madre di Ten stavano per
l’appunto preparando il pranzo.
Non
appena entrò all’interno della navicella, gli occhi di Ataru si illuminarono
alla vista della tavola imbandita posta al centro esatto dell’astronave, su cui
troneggiavano una capiente pentola di rame contenente sukiyaki ed una
grande pentola per il riso.
“Accomodatevi, ragazzi”, disse la madre di Ten, con in
mano l’inseparabile stendardo dei vigili del fuoco
intergalattici.
“Ma
come…?!”, protestò Lamù all’indirizzo della madre. “Perché non hai cucinato le
stelline piccanti che mi piacciono tanto?”.
“Lo
sai benissimo il perché!”, disse suo padre. “Il medico ti ha proibito
categoricamente di mangiarle in gravidanza: dopo che le ha assaggiate, è stato
ricoverato per due settimane per un attacco di gastrite
acuta!”.
Per
tutta risposta, la ragazza assunse un’espressione imbronciata mentre Ataru si
portò la mano alla bocca per evitare di ridere. “Lamù è una moglie fantastica…
ma in quanto alla cucina, mia suocera la batte su tutta la linea!”, si disse
mentalmente.
Ciò
nonostante, il pranzo trascorse in allegria: le donne dispensavano di consigli
Lamù su come affrontare al meglio la sua prossima vita da madre, mentre il padre
della bella aliena rassicurava il genero garantendogli l’adeguato sostegno
finanziario al mantenimento dei nipotini, finché il ragazzo non si fosse
laureato e avesse trovato un lavoro ben retribuito.
“Che noia, questi discorsi!”, pensò annoiato il povero
Ten dopo aver emesso un sonoro sbadiglio. Fortunatamente per lui, il pranzo finì
nel momento in cui la suocera di Ataru portò in tavola una torta guarnita con
uno strato di glassa gialla con strisce di cioccolato fondente. Come tutti i
bambini, Ten guardava il dolce con avidità e lanciò un’occhiata di sfida ad
Ataru, ma quest’ultimo stava già brindando con del sakè insieme al padre di
Lamù.
“Fino a non poco tempo fa avremmo litigato come pazzi!”,
pensò il cuginetto di Lamù ricordando con nostalgia le innumerevoli sfide con
Ataru a base di padellate e fiammate… nostalgia che svanì non appena la madre
gli presentò davanti agli occhi una grossa fetta del
dolce.
Anche Lamù si stava apprestando a mangiare, ma
all’improvviso avvertì un forte dolore a livello della zona soprapubica,
costringendola a portarsi entrambe le mani sul ventre.
“Che ti succede?”, domandò preoccupato Ataru,
precipitatosi al suo fianco.
“Ti
senti bene?”, chiese Ten.
La
giovane aspettò qualche istante prima di rispondere, finché non piegò il capo in
avanti dopo aver avvertito una nuova contrazione, ancora più dolorosa della
precedente.
“Credo… credo che sia arrivato il momento!”, annunciò
Lamù con una certa ansia e preoccupazione.
“Com’è possibile?!”, esclamò il padre, anch’egli
tutt’altro che tranquillo. “Secondo quanto ha detto il medico, il parto sarebbe
dovuto avvenire fra una settimana!”.
“E
invece i bambini vogliono venire alla luce adesso”, disse per tutta
risposta la madre di Ten mentre la sorella tranquillizzava la figlia con parole
incomprensibili - alle orecchie di Ataru - nella lingua degli oni. “Non
perdiamo tempo in osservazioni inutili e metti in moto la
navicella!”.
Senza ulteriori indugi, il suocero del giovane Moroboshi
si mise ai comandi dell'astronave e, dopo pochi minuti, avevano già oltrepassato
l’atmosfera del pianeta Uru.
“Dove ci stiamo dirigendo?”, domandò Ataru cercando in
tutti modi di restare calmo, nonostante la situazione.
“Su
Polis Eiléithyia!”, disse il conducente della navicella con gli occhi fissi sul
monitor che indicava la rotta da seguire.
“Che cos’è? Dove si trova?”, domandò nuovamente il
consorte di Lamù.
“Si
tratta di un asteroide-ospedale situato ai confini della costellazione
dell'Unicorno”, rispose la madre di Ten. “E’ lì che andiamo a far nascere i
nostri figli!”.
“Quando ci arriveremo?”, chiese di nuovo
Ataru.
“Se
inserisco la velocità luce, dovremmo arrivare fra poco più di un’ora!”, rispose
il suocero poco prima di eseguire la citata operazione.
***
“Siamo arrivati!”, annunciò il padre di Lamù, mentre
dagli oblò dell’astronave si intravedeva un asteroide abbastanza grande da
ospitare una cittadina grande quanto Tomobiki, sul quale sorgevano delle
strutture coperte da alcune cupole in vetro e acciaio.
“Era ora…!”, sbuffò Ataru cercando con tutte le sue
forze di restare calmo.
Lamù, intanto, era ormai entrata nella fase più delicata
del travaglio e faceva dei respiri profondi per far fronte alle contrazioni
sempre più forti e frequenti.
L’astronave atterrò nella pista di atterraggio e, non
appena il portellone si aprì, il gruppetto si precipitò all’ingresso della
struttura principale, dove si trovavano due infermiere che stavano discutendo
fra di loro: una era una giovane oni ed era vestita con il consueto
camice bianco, mentre l’altra, anch’essa proveniente dallo stesso pianeta, ma
più robusta di costituzione e più in avanti negli anni, indossava un camice
verde ed aveva l’aria di un’ostetrica con molti anni di esperienza alle spalle.
Quest’ultima notò immediatamente Lamù aiutata a camminare dalla madre e dalla
zia ed ordinò all’infermiera di portare una sedia a rotelle per far sedere la
ragazza.
“Non abbia paura, signorina. Andrà tutto bene!”, disse
l’ostetrica per tranquillizzare la ragazza e i suoi familiari. Subito dopo Lamù
fu fatta sedere sulla sedia e venne portata in sala parto.
“Voi aspettate qui!”, ordinò l’ostetrica in camice verde
all’ingresso della sala.
Poco prima che la ragazza fosse condotta al suo interno,
Ataru la guardò negli occhi per infonderle coraggio; dopodiché, le porte si
chiusero e una spia rossa posta sopra la porta si illuminò ad indicare l’inizio
dell’operazione.
***
In
preda all’ansia, Ataru percorreva avanti e indietro il corridoio della sala
d’attesa con le mani giunte dietro la schiena. I genitori e la zia di Lamù,
invece, erano seduti su delle sedie mentre Ten restava sospeso in aria con le
mani dietro la testa.
“Cerca di calmarti”, suggerì il cuginetto di Lamù ad
Ataru.
Per
tutta risposta, il giovane diede un pugno alla parete. “E come faccio?!”, disse
quest’ultimo con tono agitato. “Lamù è lì dentro da quasi due ore, mentre io
sono qui senza poter fare nulla per esserle d’aiuto. Mi domando cosa stia
succedendo…!”.
A
dispetto della situazione, suo suocero si mise a ridere e gli confidò: “Sai una
cosa, ragazzo mio? In questo momento mi ricordi me stesso il giorno in cui
nacque Lamù!”.
“Davvero?”, domandò il ragazzo.
“Proprio così. Anche se ero più grande di te, ero
talmente agitato che alla fine tirai un pugno ad una sedia, frantumandola in
mille pezzi!", rispose il corpulento oni mentre la moglie si copriva gli
occhi con la mano scuotendo la testa in segno di evidente
imbarazzo.
“…
ma poi, quando nacque Lamù e la presi per la prima volta fra le mie braccia -
così piccola e fragile - è stato il momento più felice della mia vita!”,
concluse il suocero di Ataru ricordando con nostalgico affetto quel
momento.
Pochi minuti più tardi, Ataru sentì delle voci a lui
familiari venire verso la sala d'attesa e, poco dopo, vide tutti i suoi amici
più cari: Shinobu, Shutaro, Benten, Oyuki e Ran.
“Come siete arrivati fin qui?”, domandò il giovane
Moroboshi, visibilmente sorpreso.
“Semplice!”, affermò Benten parlando a nome di tutti.
“Ten ci ha avvisati e così ho noleggiato un autobus dell’agenzia spaziale Galaxy, grazie al quale ora ci troviamo
qui!”.
Ataru rivolse lo sguardo verso il cuginetto di sua
moglie e gli disse, guardandolo storto: “Ora capisco perché ci hai messo così
tanto tempo a ritornare qui, con la scusa di dover andare in
bagno…!”.
“Io… io pensavo che Lamù sarebbe stata felice di
ricevere la visita dei nostri amici!”, si giustificò Ten toccandosi gli
indici.
Ataru tuttavia si limitò a scuotere la testa e avrebbe
voluto chiedere cosa conteneva il pacco che portava Shutaro, ma non lo fece
poiché notò che la spia rossa posta sopra la porta della sala parto si era
spenta e, subito dopo, un’infermiera con in mano una cartella clinica domandò:
“Chi di voi è il signor Ataru Moroboshi?”.
“Sono io!”, disse tutto d’un fiato il giovane, seguito
dagli altri.
L’infermiera gli rivolse un sorriso e annunciò:
“Congratulazioni. Lei è padre di due splendidi bambini!”.
Immediatamente Ataru cacciò la testa all'indietro e, con
le mani giunte come in una preghiera, ringraziò mentalmente tutti i kami
del pantheon shintoista insieme a tutti i suoi amici.
“E
Lamù come sta?”, domandò Shutaro all’infermiera.
“La
paziente è ancora affaticata, ma sia lei che i neonati godono di buona salute”,
rispose quest’ultima. “Ha chiesto con insistenza di poter vedere il marito e
presentargli i bambini”.
“Vai da lei, Ataru”, suggerì Shinobu posando una mano
sulla spalla del giovane Moroboshi. “Noi aspetteremo qui ancora per qualche
minuto”.
A
quel punto il ragazzo si fece guidare dall’infermiera fino alla camera n°4,
all’interno della quale vide sua moglie seduta sul letto che cullava il
figlioletto fra le braccia, mentre l’ostetrica si occupava della
bambina.
“Come ti senti?”, domandò Ataru scostando una ciocca di
capelli dalla fronte ancora umida di sudore di Lamù.
“Mai stata meglio!”, rispose la puerpera prima di posare
nuovamente i suoi occhi luccicanti di gioia immensa sul bambino, che dormiva
beato fra le sue braccia.
Con
sua sorpresa, il neopapà notò due minuscole corna dorate che spuntavano fra i
capelli castano chiari del neonato.
“Mi
chiedo se abbia ereditato i poteri di Lamù…!”, si domandò Ataru mentre sfiorava
con le dita le guance paffute del figlioletto.
“Credo che la signorina qui presente voglia conoscere il
suo papà!”, disse l’ostetrica poco prima di lasciare la bambina fra le braccia
di Ataru. Al contrario del fratellino, la piccola teneva i suoi occhi azzurri
ben aperti e, istintivamente, protese le piccole braccia verso il
padre.
“Incredibile! Assomiglia tantissimo alla madre…!”, pensò
il giovane Moroboshi osservando le piccole corna dorate che emergevano dalla
capigliatura verde marino della figlia, mentre quest’ultima afferrava fra le sue
manine il dito indice del padre.
“Avete già deciso i loro nomi?”, domandò la donna con il
camice verde ai giovani genitori.
“La
femminuccia si chiamerà Shinobu, mentre il nome del maschietto sarà Shutaro!”,
annunciò Ataru dopo essersi scambiato uno sguardo d’intesa con
Lamù.
“Non potevi scegliere dei nomi migliori per i tuoi
figli!”, disse il rampollo della famiglia Mendo, non appena entrò nella stanza
con il resto del gruppo.
“A
proposito, che hai in quel pacco?”, domandò Ataru notando l’oggetto fra le
braccia dell’ormai ex rivale.
“Un
regalo per tuo figlio”, rispose Shutaro poco prima di aprire il pacco e di
tirare fuori un polipetto di peluche. “Dovete sapere che, nella mia famiglia, è
tradizione regalare al figlio primogenito un peluche che lo accompagnerà nei
primissimi anni di vita. A me è toccato questo polipetto e, in un certo senso, è
stato il mio primo amico!”, concluse il giovane Mendo poco prima di consegnare
il giocattolo ad Ataru.
“Ti
ringrazio, ma non capisco perché voglia fargli proprio questo regalo…!”, disse
dubbioso il neopapà.
“Non posso permettere che un bambino che porta il mio
nome diventi uno smidollato farfallone come te, fino a poco tempo fa!”, rispose
Shutaro. “Deve diventare un ragazzo intelligente, affascinante e raffinato,
conteso dalle ragazze come il sottoscritto!”.
Non
appena il rampollo dei Mendo ebbe terminato, dalle manine della piccola Shinobu
partì una scarica elettrica sufficientemente potente da far rizzare i capelli di
Shutaro. Tutti i presenti rimasero a bocca aperta.
“A
quanto pare, la bambina ha ereditato i poteri della madre”, osservò Oyuki,
mentre il giovane Mendo si sistemava i capelli con l’ausilio del pettine fra
l’ilarità generale.
“Che cosa ne dite di scattare una foto ricordo?”,
domandò Benten con in mano una macchina fotografica.
La
dea della fortuna consegnò la macchinetta nelle mani dell’ostetrica e tutti si
misero in posa, con Ataru e Lamù in primo piano con i loro figlioletti in
braccio.
“Fate tutti un bel sorriso!”, disse la donna prima di
scattare.
***
“Che giornata meravigliosa!”, pensò Lamù mentre posava
su una tovaglia un grande vassoio ricolmo di dango e un tèrmos pieno di
tè verde.
Intorno a lei, i ciliegi in fiore del parco di Tomobiki
offrivano un superbo spettacolo naturale, mentre i petali rosa ricoprivano
interamente il terreno.
“Smettetela di giocare e venite a mangiare!”, disse la
giovane signora Moroboshi all”indirizzo del marito e dei figli che giocavano a
qualche metro di distanza. Approfittando delle loro difficoltà nel volare, Ataru
si divertiva a far sventolare sulle loro facce un ramo fiorito di ciliegio,
facendoli starnutire.
“Smettila, papà!”, si lamentò Shinobu mentre si puliva
il naso con l’orlo del kimono.
“Sei la solita piagnucolona!”, la schernì
Shutaro.
“Tuo fratello ha ragione!”, disse Ataru, rincarando la
dose.
Decisamente indispettita, la bambina giunse le mani e
lanciò una scarica elettrica contro il padre; nonostante fosse di debolissima
intensità, il ragazzo finse di essere stato fulminato e crollò a
terra.
Lamù si precipitò immediatamente sul posto e rifilò un
ceffone alla figlia. “Ti ho detto mille volte di non usare i tuoi poteri su
papà!”, disse severamente la bella oni.
“Io… io non v-volevo. Non l’ho f-fatto apposta…!”, si
lamentò la piccola Shinobu, singhiozzando.
All’improvviso Ataru balzò in piedi con un grido,
spaventando il resto della famiglia.
“Ci
vuole ben altro che una scossa di quell’intensità per mettermi al tappeto!”,
esclamò il giovane gonfiando il petto con sfacciato
orgoglio.
In
risposta del suo scherzo, Shutaro scoppiò a ridere, mentre Shinobu si aggrappò
al vestito della madre piangendo.
“Smettila di fare scherzi simili, tesoruccio!”, disse
Lamù con in braccio la figlioletta.
“Non sapete stare agli scherzi!”, disse Ataru, prima di
correre verso il vassoio di dolci con lo scatto di un centometrista. Il ragazzo
stava per raggiungere la meta, quando venne investito da uno dei fulmini
lanciati dalla moglie!
“Così la prossima volta papà ci penserà su due volte
prima di fare il dispettoso!”, disse Lamù ai figlioletti, che risero a
crepapelle.
“Se
non vi sbrigate, tutti i dango finiranno nel mio stomaco!”, minacciò
Ataru, rimessosi subito in piedi.
“Non vale!”, protestarono Shinobu e Shutaro spiccando il
volo con la paura di restare senza cibo.
“Non cambierà mai…”, si disse Lamù osservando Ataru
giocare e scherzare in allegria con i due bambini, “… rimarrà sempre il mio
tesoruccio!”.
Fine
Note dell’autore: per il nome dell’asteroide-ospedale mi
sono ispirato alla saga di Star Wars e alla mitologia greca.
Come si è visto nel terzo film La vendetta dei
Sith, Padmé Amidala partorisce i gemelli Leila e Luke Skywalker su un
asteroide di nome Polis Massa poco prima di morire. Eiléithyia, invece, è il
nome greco di Ilizia, figlia di Zeus ed Era e dea protettrice del parto presso
gli antichi Greci.
Se
volete sapere di più sulla prodigiosa “metamorfosi” di Ataru da libertino a
padre di famiglia, vi consiglio di leggere La storia segreta dei SISAS scritta da
Andy Grim.
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