Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-Gi-Oh! ZEXAL
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Autore: Nazuhi    05/04/2015    2 recensioni
Questa è una piccola fic che ho deciso di scrivere per il primo anniversario della fine della serie Zexal, ma che sono riuscita a caricare solo oggi. E' ambientata nel primo periodo di convivenza tra Astral e Yuma, prima che inizi il "Carnevale Mondiale dei Duelli", ed è incentrata sull'amicizia che lega i due.
"Un giorno Astral vede uno strano oggetto misterioso e che non aveva mai visto prima spuntare da un vecchio baule e inizia a chiedersi di cosa si possa trattare. Alla fine decide di chiedere a Yuma, il quale..."
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Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Asutoraru /Astral, Yuma/Yuma
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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-Yuma, cos’è questo oggetto?-chiese il fantasma, indicando un misterioso oggetto. Il ragazzino si voltò verso l’amico, lanciandogli un’occhiata tra il confuso e lo scocciato.
Ormai erano passate diverse settimane da quando Astral era giunto sulla Terra e Yuma aveva smesso di sorprendersi per le sue domande. I primi giorni erano stati i più duri; doveva abituarsi all’idea di poter vedere una creatura che nessun altro intorno a lui poteva vedere e doveva abituarsi a dividere ogni suo momento libero, anche quelli più privati, con la figura invadente della creatura astrale, sebbene l’altro non volesse esserlo. Era anche normale, da un certo punto di vista. Astral era giunto in un luogo completamente diverso dal suo pianeta d’origine e aveva perso tutti i suoi ricordi; probabilmente si sentiva spaesato e confuso. Per non parlare di tutti gli oggetti che non conosceva e che vedeva per la prima volta. Proprio come un bambino. O come un esploratore nel momento in cui scopriva una terra straniera e inesplorata. Probabilmente suo padre provava le stesse emozioni quando scopriva un nuovo tesoro. Yuma se l’era sempre chiesto. Si era sempre chiesto cosa provasse suo padre Kazuma quando trovava un oggetto di un’epoca passata sommerso di terra, ghiaccio o sabbia. Ricordava che sorrideva come un bambino, come faceva lui quando la nonna gli preparava il suo piatto preferito, o come faceva Akari quando trovava uno scoop eccezionale. Doveva essere un vizio di famiglia, quel loro sorriso spontaneo e genuino, che riusciva sempre a contagiare gli altri. O forse sarebbe stato più giusto chiamarla virtù. Perché far sorridere le altre persone doveva essere per forza; almeno era questo che continuava a pensare Yuma.
-A cosa ti riferisci?-chiese il ragazzino, scendendo dall’amaca e avvicinandosi per vedere cosa stesse indicando l’amico invisibile.
-Questa strana scatola nera.
-Quella è una macchina fotografica!-esclamò l’altro, afferrando l’oggetto con entrambe le mani e togliendola dal baule di legno in cui si trovava, insieme a tante altre cianfrusaglie, per farla vedere meglio all’amico. Si trattava di una polaroid, uno di quei vecchi modelli che stampavano direttamente le fotografie, senza bisogno di andare a far sviluppare il rullino. Non era una di quelle macchine fotografiche super tecnologiche che suo padre utilizzava sempre durante le sue spedizioni. Era un apparecchio piuttosto vecchiotto, anche per una polaroid, e ricoperto di polvere; probabilmente era stato messo in soffitta per essere sostituito da uno più nuovo e moderno. Difatti Yuma non ricordava di aver mai visto suo padre utilizzarla; probabilmente risaliva a molti anni prima, forse anche a prima della sua nascita.
“Forse Akari se la ricorda…” pensò, mentre toglieva grossolanamente la polvere dalla sua superficie con un lembo della maglietta.
-Una macchina fotografica? Davvero interessante! A cosa serve?-chiese Astral, avvicinando il volto all’oggetto misterioso per osservarla meglio e cogliere tutti i suoi dettagli, anche quelli più piccoli e insignificanti.
-Serve per fare le fotografie. Non dirmi che non ne hai mai vista una?!
-Ne dubito. In base ai miei ricordi, non c’è niente di simile nel mondo da cui provengo. Comunque sia, è davvero interessante!
-Davvero non avete niente di simile?
-Nei miei ricordi non c’è traccia di un oggetto simile, perciò ne dubito. Piuttosto, cosa sarebbe una fotografia?-chiese di nuovo il fantasma, mentre cercava inutilmente di toccare l’oggetto nero che il ragazzino stringeva in mano. Yuma gli lanciò un’altra occhiata sconcertata; non riusciva a credere che non sapesse cosa fosse una fotografia. Credeva che durante la sua permanenza sulla Terra avesse imparato a conoscere almeno gli oggetti quotidiani.
-Sono come dei quadri, soltanto che sono stampati su carta e non sono dipinti o disegnati a mano, ma sono dei momenti reali immortalati da questo oggetto.
Il tono di Yuma era molto vago e la sua spiegazione talmente confusa e disordinata che Astral sollevò il sopracciglio, in segno di disappunto. Non capiva cosa stesse cercando di dirgli l’amico.
-E cosa sarebbe un quadro?
-Non conosci nemmeno quello?!
Il fantasma scosse la testa. Il ragazzino lo fissò per qualche minuto, cercando di pensare a come spiegare all’altro cosa fossero. Poi, si ricordò di avere qualche fotografia nel cassetto di un mobile al piano di sotto e, dopo aver detto ad Astral di aspettarlo, scese velocemente al piano sottostante. Dopo aver cercato per qualche minuto, trovò ciò che stava cercando e ritornò al piano di sopra con un piccolo album.
-Cos’è quello?-chiese il fantasma, non appena vide l’amico fare capolino.
-Un album. Noi umani mettiamo le fotografie qui dentro, per poterle conservare ed evitare che si sciupino.
-Una mossa astuta, non c’è che dire. La carta si rovina facilmente.
Yuma abbozzò un sorriso di fronte all’osservazione dell’altro, ma non aggiunse niente. A volte non sapeva proprio cosa dire.
Aprì l’album ed iniziò a sfogliarlo, di fronte alla curiosità di Astral, indicandogli ogni tanto qualche fotografia e raccontandogli chi o cosa rappresentasse, quando era stata scattata e per quale motivo.
-E’ molto interessante…-commentò il fantasma, non appena Yuma terminò di raccontare l’ultima fotografia e chiuse l’album.
-Di solito, scattiamo fotografie per avere un ricordo di qualcosa o di qualcuno, soprattutto se quella persona non ci rimarrà vicini per sempre.
-Capisco…-mormorò l’altro, abbassando lo sguardo verso l’oggetto che era stato appoggiato sul coperchio di un baule lì vicino.
-C’è qualcosa che non va?
-Stavo solo pensando che mi piacerebbe molto avere una fotografia con te…
-Credo che sia impossibile; tu sei invisibile e non puoi comparire in una fotografia.-disse l’altro, sorridendogli come per tirarlo su di morale, sebbene non sapesse se fosse veramente abbattuto. A volte era talmente impassibile che era difficile riuscire a capire cosa provasse realmente e Yuma non poteva fare altro che sorridergli.
-Però possiamo sempre provare! Anche se questa macchina fotografica è vecchia dovrebbe comunque funzionare. Non mi sembra rotta; se si accende possiamo provare a vedere se compari in una fotografia.
Detto questo, il ragazzino si mise ad armeggiare con i pochi pulsanti dell’apparecchio finché non sentì un leggero clic e il rumore del motorino che si trovava all’interno, segno che si era appena accesa.
-Che bello, funziona!-esclamò Yuma, iniziando a saltellare per la stanza dalla felicità. Astral lo osservò quasi divertito; gli piacevano molto le reazioni dell’amico. Era talmente espansivo, genuino e ingenuo che non riusciva a non sorridere di fronte alle manifestazioni delle sue emozioni. Lui non riusciva a nascondere niente, nemmeno il dolore o la tristezza. Era fatto così! Il suo era un modo di fare che Astral non riusciva a comprendere, ma che ammirava profondamente. Yuma e il suo ottimismo era ciò che legava Astral a questo mondo ed era l’unica cosa che lo faceva sentire parte di quel mondo sconosciuto. E probabilmente era quello il motivo per cui si stava affezionando a quel fragile umano e al suo piccolo mondo.
-Allora, ci facciamo questa fotografia?-chiese il ragazzino, voltandosi verso l’amico fluttuante. Il fantasma fece un breve cenno d’assenso, poi, seguendo le indicazioni del dodicenne, si mise in posa, accanto all’altro, cercando di emulare il sorriso dell’amico. Una piccola luce si accese e lampeggiò per qualche minuto, poi si spense del tutto. Subito dopo si sentì un rumore provenire dall’interno dell’apparecchio e, dopo qualche minuto, un pezzetto di carta, quadrato e grande quanto il palmo della mano di Yuma, uscì da una fessura posta sul lato inferiore della polaroid. Il ragazzino la afferrò, curioso di vedere se l’amico era stato catturato dalla lente dell’oggetto.
-Che peccato…-mormorò Astral, incrociando le braccia al petto e sorridendo all’amico. Sembrava leggermente abbattuto, sebbene non si potesse dire con certezza. La sua espressione era troppo misteriosa per poter stabilire cosa stesse provando in quel momento. Probabilmente non lo sapeva nemmeno lui.
-Non ti preoccupare, so io come fare per rimediare!-esclamò l’altro, posando l’apparecchio sul suo tavolino e appoggiando lì accanto il pezzo di carta. Poi prese un pennarello blu e iniziò a scarabocchiare qualcosa sulla fotografia. Stesse diversi minuti in silenzio, continuando a tracciare strani segni, senza dire nemmeno mezza parola e talmente concentrato da non sembrare nemmeno lui. Una volta terminato il lavoro, lo osservò con un’espressione fiera sul volto, poi si alzò e si diresse verso un piccolo mobiletto che si trovava dall’altra parte della stanza, mezzo sommerso di oggetti e manufatti. Aprì un cassetto, estrasse una scatola di puntine, ne prese una e si diresse verso la finestra. Astral lo seguì con lo sguardo, curioso di sapere cosa stesse architettando l’amico. Non aveva idea di cosa avesse scarabocchiato e non riusciva ad immaginare niente di razionale. Yuma appuntò il quadrato di carta sullo stipite della finestra, proprio all’altezza del suo volto quando si sdraiava sull’amaca.
-In questo modo, anche tu puoi comparire in una fotografia!
-Disegnare non è proprio il tuo forte, però grazie!-disse Astral, facendolo arrossire leggermente.

Nel piccolo riquadro, accanto a Yuma, dove avrebbe dovuto trovarsi solo un cumulo di cianfrusaglie, c’era una macchia azzurra, tracciata con il tratto impreciso di un pennarello blu ed una mano poco esperta, con le fattezze di una persona, che fluttuava a mezz’aria, come se stesse volando. Aveva gli occhi strabici e una mano molto più grande dell’altra, ma sorrideva, esattamente come Yuma, con lo stesso sorriso genuino del ragazzino umano.
  
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