Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: WashingtonKing98    05/04/2015    1 recensioni
Il Mastino dei sette regni ha una storia, una storia mai raccontata o se raccontata, mai declamata del tutto.
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Gregor Clegane, Sandor Clegane
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La sera era fredda e buia fuori, ma allo stesso tempo piacevole ed intensa vicino al focolare. Sandor aveva finito la sua porzione di montone con purea di rape bianche, formaggio e pane e aveva iniziato ad agitarsi sulla sua sedia, tanto che la madre, lady Allen Boltivarn  lo aveva fatto andare nella sua stanza.
- Sei proprio un birbante - gli disse con un leggero sorriso mentre gli scompigliava i capelli
- Posso giocare con i cavalieri di Gregor, Madre - ? Chiese il bambino. La madre deglutì profondamente e parve rabbuiarsi - Sai che lui non vuole, Sandor… non vuole che usi i suoi giocattoli -
- Ma lui ha i cavalieri più belli - replicò il bambino imbronciato.
- Non entrare nella camera di tuo fratello, Sandor; gli dei sanno che cosa ti farà se ti scoprirà.
-Va bene, va bene, vado in camera mia -
Sua madre lo baciò sulla fronte - Bravo bambino - gli disse e Sandor partì di corsa verso le sue camere. A quel tempo aveva otto anni mentre suo fratello ne aveva quasi dodici; Sandor aveva capelli neri cascanti, che gli arrivavano oltre le orecchie e occhi color pece, la struttura fisica normale e un altezza ben superiore alla norma, ma quello che sua madre preferiva di più era la sua pelle rosea, liscia e perfetta.
Suo nonno, Damon Clegane, era il maestro dei cani di Castel’Granito e quando salvò Lord Tytos Lannister dai suoi stessi cani rimettendoci una gamba, ricevette il rango di lord e il castello ribattezzato Fortezza dei Clegane proprio per lui e scelse come stemma tre cani neri su sfondo giallo.
A Sandor quel castello piaceva fino a un certo punto: a volte alcuni corridoi piombavano nel buio più totale senza un vero e proprio motivo, servi e servette scomparivano senza la minima traccia e le guardi del castello, incaricate dal lord suo padre, incutevano vero e proprio terrore.
Sandor raggiunse la sua stanza a tutta velocità e si precipitò a giocare con i suoi guerrieri di legno che il lord suo padre gli aveva donato; a dire il vero, lord Castor Clegane aveva donato a lui e a suo fratello venti piccoli soldati di legno, ma Sandor dovette cedere alla prepotenza del fratello e tenere quelli meno belli.
“Se fossi alto come lui, gliela farei vedere io” pensò Sandor “prenderei quella sua mazza ferrata e gliela spaccherei in testa e poi prenderei i miei giocattoli” fu in quell’istante che a Sandor venne in mento una brillante idea: raccolse i suoi giocattoli di legno e uscì dalla sua stanza, proprio di fronte c’era la camera di suo fratello; scrutò il corridoio  a destra e a sinistra e vi si intrufolò. La camera era pressoché uguale alla sua per le dimensioni, ma per il contenuto era tutta altra storia: dove lui aveva piccoli omini di legno e libri che sua madre gli leggeva la sera prima di farlo scivolare nel sonno, suo fratello aveva lancia, mazze chiodate e sulle pareti, dove lui aveva arazzi preziosi, suo fratello aveva armature e asce da guerra.
Quella stanza lo metteva a disagio. L’ultima volta che vi era entrato era per pregare che suo fratello guarisse dalla febbre, un anno prima, e allora era già adornata da strumenti di guerra, ma ora pareva proprio un armeria. Quel giorno, suo fratello e suo padre erano andati ad inseguire un cinghiale nel bosco a sud-est del castello, lasciandolo solo con sua madre e tutta la servitù… o chi ne rimaneva.
Mentre girava per la stanza con il naso all’insù per vedere quella collezione di sinistre armi arrugginite, Sandor inciampò in qualcosa, che rotolò fino al camino, dentro al quale ardeva un fuoco scoppiettante; si avvicinò a quel piccolo oggetto e riconobbe uno dei cavalieri giocattolo di suo fratello; lo raccolse e tornò dove era prima; ad aspettarlo c’era un esercito di legno che era rimasto oscurato dalla penombra del letto.
Sandor non ricordò quanto giocò e quanto si divertì con quei piccoli soldati: minuti, ore... Si ricordò però dello schianto che fece la porta della stanza, un boato che fece tremare le pareti e vibrare le armature appese. Sulla soglia si ergeva suo fratello, Gregor Clegane, con una cotta di maglia ricoperta dalla sua armatura con al centro del petto lo stemma della loro nobile casa. I suoi amici, se così si possono definire, lo chiamavano “Montagna”, per la sua impressionante altezza.
La “Montagna” scrutò la stanza e vide subito suo fratello che giocava… giocava con i suoi giocattoli.
- Che cosa ci fai nella mia stanza -? Tuonò Gregor dalla porta ed iniziò ad attraversare ad ampie falcate la stanza. Sandor sbiancò dalla paura e cerco di spiegare balbettando: - Fr-Fratello… ti prego…  volevo s-solo giocare… io non… - ma prima che riuscì a finire La Montagna gli diede un pugno guantato in acciaio nel ventre, che fece contorcere il povero bambino, che si piegò in avanti e cadde in ginocchio carponi; il fratello gli diede dunque un calcio nelle costole e lo fece rotolare vicino al camino, dove ancora zampillava il fuoco; Sandor cercò di girarsi sul ventre, ma appena lo fece, il fratello gli fece sbattere la faccia contro il pavimento, rompendogli il naso. Gregor parve allontanarsi e Sandor ne fu grato; per lo meno non lo aveva ucciso, ma il dolore nel basso ventre era lancinante, persino respirare provocava dolori insopportabili.
Il sangue gli scorreva a fiotti dalle narici, sporcandogli la maglia di lana. - Fratello… io… - non ebbe il tempo di finire che Gregor si avventò nuovamente su di lui, lo afferrò per i capelli e lo alzò di peso. Per la forza che ci stava mettendo, Sandor temette che gli avrebbe staccato la testa… e forse sarebbe stata la cosa migliore. Gregor premette la faccia del fratello sui tizzoni ardenti del camino, pigiando la parte sinistra del volto di Sandor sulle braci sfrigolanti. L’urlo che fece il minore si sentì probabilmente per tutti i Sette Regni, da Dorne alla Barriera, da Castel’ Granito ad Approdo del Re. Sandor sentì il suo piscio infradiciargli le brache, le urla di sua madre e le sue calde lacrime cadergli sulla parte ustionata del volto, la puzza di carne bruciata e di piaghe che scoppiavano, le parole di suo padre che parlava con il loro Mastro guaritore della Cittadella, parole che non avrebbe mai dimenticato, fino alla sua morte: - Non è successo nulla, è scivolato su quegli aggeggi di legno e il volto gli è finito sulle braci. Dategli del latte di papavero-. Fu l’ultima cosa che senti quel giorno e per i futuri quattro giorni, quando dormì nel suo letto con accanto sua madre e le ancelle di lei che pregavano, il maestro che preparava unguenti medicamentosi sulla sua faccia…  suo fratello che si allenava con spada e scudo nel cortile… assieme a suo padre.
   
 
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