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Autore: The Ghostface    05/04/2015    2 recensioni
Sono passati tredici anni…tredici lunghissimi anni da quando Ghostface è stato rinchiuso nel Tartaro.
Di lui non resta che un vago ricordo, voci, leggende urbane…tutto sbiadito dal tempo…dalla magia…
Sulla Terra le cose sono cambiate, nonostante il tempo trascorso i Titans sono rimasti uniti…e con un membro in più, un vecchio rivale pentito…
Alcuni si sono sposati, alcuni hanno avuto dei figli…alcuni nascondo terribili segreti nel profondo del loro animo che mai mai e poi mai dovranno essere svelati.
Il ritorno in circolazione di un noto avversario da un occhio solo terrà alta la guardia dei nostri eroi.
Ma quello che tutti loro non sanno…e che sono finiti tutti nel mirino dell’ormai leggendario…Ghostface.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Ghostface, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Rigor Mortis'
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CAPITOLO 9
 
Dopo gli schianti, le grida, e il frastuono solo il silenzio regnava tra le lamiere contorte, solo un lungo impenetrabile silenzio.
Una portiera fu sbalzata via, e un uomo cadde a terra dal pick-up nero che aveva provocato l’incidente.
Il viso era coperto da un grande casco nero, l’intero corpo da una tuta dello stesso colore ma era evidente da come si muoveva che era tutt’altro che illeso.
A fatica scavalcò il divisore della corsia barcollò verso la prima auto fermatasi lì in mezzo per vedere cos’era accaduto, sulla strada diretta a  Jump city.
Spalancò la portiera e, afferrato il guidatore, lo scaraventò a terra co un gesto violento.
-Cavati! Ho un appuntamento- grugnì sputando a terra un grumo di sangue, salì in auto ancora intontito dal colpo e col volto bagnato di sangue, sotto il casco.
Chiuse la portiera e partì ingranando la quarta verso la città.
L’uomo che di colpo si era trovato col culo sull’asfalto aveva assistito a tutto incredulo e incapace di reagire.
-Chi cazzo era quello?-
 
-Fottiti!!! Fottiti!! Beccati questo bambaccione! Ma vieni!! Ma vieni!! Ma chi sono!!?- April saltellava come un’ossessa attorno a Bruce, che con una faccia da chiodi sopportava, sbuffando come un toro, le parole di sfottimento della ragazzina.
-Tredici a zero! Tredici a zero!!Fai schifo, fai! Fai schifo!! - continuò lei agitando la console davanti all’amico – È la tredicesima volta che ti faccio il culo a Call of Duty MW2. Crepa schiappa!!!-
I due ragazzi avevano un modo tutto loro di giocare al videogioco, stancatisi rapidamente delle normali missioni avevano approfittato del “fuoco amico” per trasformare tutto in un unico campo di battaglia tra loro due.
Si divertivano ad ammazzarsi a vicenda, facendo ovviamente attenzione ai normali nemici virtuali, in modo da essere da soli contro tutti e l’uno contro l’altra.
E per la tredicesima volta April aveva ammazzato l’avatar di Bruce, anzi per umiliarlo particolarmente stavolta l’aveva ucciso non con un fucile, non con una granata, ma con un coltello!
Dopo questo non tanto breve lasso di tempo i due si lasciarono andare sul divano semi circolare della Ops Mains Room.
Erano quasi le sette di sera, il giorno era trascorso senza che nulla di particolare accadesse: Cyborg e Iella erano partiti di buon mattino e da allora nessuno li aveva più sentiti, probabilmente avevano qualcosa di meglio da fare, Robin e Stella erano usciti per i fatti propri mentre Corvina e BB erano andati a far la spesa con Ruby.
Il piccolo Rick con l’influenza era rimasto alla Torre coi due adolescenti, che l’aveva prontamente messo in quarantena rinchiudendolo nella stanza che un tempo era appartenuta a suo padre, incuranti delle lamentele e dei pianti del bambino. 
Il resto del pomeriggio lo avevano passato a divertirsi tra loro da buoni amici.
Ora insieme si riposavano stravaccati l’uno accanto all’altra sul divano.
Si sorrisero a vicenda.
-Che hai, Bruce?- chiese April ansimando leggermente per lo sprizzante ballo della vittoria –Di solito ti batto undici a cinque, ma oggi ti ho davvero stracciato e non è che mi sia impegnata più del solito. Sei fuori allenamento?-
Il ragazzo arrossì volgendo lo sguardo dall’altra parte.
-Non è niente…- bofonchiò- Sono solo distratto…-
-E da chi? Non sarai mica innamorato???- ridacchiò lei balzandogli addosso, scompigliandogli i capelli rosso fiamma e ribelli come quelli del padre.
I due iniziarono a lottare giocosamente sul divano, cercano di immobilizzarsi a vicenda –Dimmi chi è!  Dimmi chi è!- rideva April cercando di far parlare l’amico, che si ostinava a negare l’evidenza.
Alla fine Bruce riuscì a bloccare l’amica afferrandole i polsi, e grazie alla sua forza era lui a dirigere le braccia di lei.
April, restava però a cavalcioni sul petto di Bruce, col petto che le batteva, se non a mille almeno a 500, e i capelli tutti scompigliati che le cadevano paralleli al capo, chino su quello del mezzo sangue alieno.
-Ho vinto io- sorrise Bruce, lieto di averla scampata.
-No- replicò April –Sopra ci sono io, quindi secondo le regole a tappeto ci sei finito tu. E ora vuota il sacco!-
Abbassando un momento lo sguardo, Bruce sospirò, in fondo prima o poi doveva accadere….perché non ora allora? Dopotutto era una ottima occasione quella.
Ed era da tanto che si teneva quel peso dentro.
-Vedi April…quando ti hanno rapita…io ho avuto tanta paura…-
-Non certo quanto me- ribatte lei spensierata, troppo spensierata per accorgersi di cosa stava accadendo –Su, non divagare- lo incitò ascoltandolo attentamente.
-April…io non so come dirtelo- ammise imbarazzatissimo il ragazzo che mai si era trovato in una situazione più scomoda di quella.
-Dirmi cosa?- lo incalzò ancora lei, avvicinando di più il suo viso a quello dell’amico.
I lunghi capelli viola pendevano nascondendo entrambi i visi come dietro una tenda di fili lisci e setosi che generava in loro un sentimento di profonda intimità.
Bruce sentiva il cuore scoppiargli, ormai non ce la faceva più…e non si trattenne.
<Vada come vada, io mi butto!>
Allungò il collo, e più rapidamente di quanto April si aspettasse, appoggio le sue labbra su quelle pallide della ragazza.
In breve anche la lingua chiese di entrare, e non incontrò resistenza, ma nemmeno accoglienza: la lingua di April restava immobile nonostante tutto.
La cosa l’aveva lasciata allibita, stupefatta…con gli occhi sgranati vedeva il ragazzo sotto di lei che le aveva preso il suo primo vero bacio.
A poco a poco la ragazza iniziò a reagire agli stimoli di lui, rispondendo colpo su colpo all’intreccio delle lingue tra le loro labbra, chiuse gli occhioni viola e sentì la mano di Bruce risalirle i capelli e accarezzarle la nuca, un tocco che le parve molto molto più caldo e delicato di quando poco prima si erano rotolati l’uno sull’altra…non sapeva dire a se stessa se la cosa le piacesse davvero…ma era un bella sensazione.
I visi si separarono, uno più rosso dell’altro, infiammati sulle gote dall’imbarazzo del momento e dai raggi del sole del venerdì che tramontava, la cui luce vermiglia oltrepassava la barriera dei capelli di lei, accendendo di luce rossa entrambi i volti incerti e insicuri, che si guardavano profondamente negli occhi.
Col cuore che le batteva all’impazzata, così quasi per caso, ad April riemerse un pensiero riguardo al tramonto del venerdì che ora li abbracciava caldo coi suoi raggi.
-April, io…- la ragazza scattò in piedi interrompendo il giovane.
Afferrò il mantello di Midnight, che teneva sempre a portata di mano, e corse verso la porta.
La sciando Bruce ammutolito ancora steso sul divano.
-Mi dispiace- gli disse sulla soglia –Devo andare- pochi secondi dopo era già svanita, forse inghiottita da una delle sue illusioni ottiche per sfuggire alla tensione e all’imbarazzo del momento.
Ma non sarebbe certo riuscita a fuggire altrettanto facilmente dalla vera e propria rivoluzione che le sue emozioni stavano compiendo in lei, scompigliandole l’animo e mettendole a ferro e fuoco il cuoricino.
Bruce si rimise seduto sospirando deluso.
Aveva rovinato tutto.
Afflitto per le sue delusioni amorose, guardò quasi con svogliatezza il piccolo rinoceronte verde col moccio al naso che era apparso di colpo trottando del salone, calpestando quanto incontrava sul suo cammino.
-Dà retta a me, Rick. Non crescere mai-
 
 
-Vieni, amore mio- Slade si protese verso la giovane donna che finalmente, dopo tanti anni di coma, usciva dal suo stato vegetativo.
Terra avanzò smarrita i primi passi incerti, uscendo dalla capsula d’incubazione, svuotata del suo liquido, dopo tanto tempo usciva da quell’utero artificiale, entrando di nuovo in contatto col freddo e duro mondo esterno.
Era come nascere di nuovo.
La pelle nuda rabbrividì a contatto con l’aria, Terra arretrò tornando in quel loculo di sicurezza che aveva abitato per tutti questi anni.
Era come una bambina smarrita.
-Su, non aver paura- la incoraggio ancora lui.
La giovane si fece coraggio ed uscì dalla capsula d’incubazione, percorrendo la corta passerella che l’avrebbe condotta fino al suolo.
Vacillò.
Slade fu pronto a sorreggerla affinché non cadesse, per la prima mezz’ora sarebbe stata come una neonata, con le ossa deboli, la pelle fragile e delicata, e completamente dimentica di tutto ciò che le era accaduto, sperduta come un animaletto, come un cucciolo dimenticato, incapace persino di emettere suoni se non qualche verso spaurito.
Poi il suo corpo avrebbe reagito alla vita, adattandosi rapidamente all’età che possedeva, anche il suo cervello avrebbe riacquistato tutte le sue facoltà intellettive…o quasi.
Ben memore di quanto era accaduto anni orsono, il criminale aveva provveduto a rimuovere dalla mente della ragazza i bei momenti passati coi Titans, le giornata felici di una vita passata, facendole dimenticare il modo in cui l’aveva sconfitto e quello in cui lui l’aveva trattata.
Erano però rimasti ben in pressi nella sua memoria l’odio nei confronti dei suoi vecchi amici, e la focosa passione nei confronti di quell’uomo innanzi a lei, quell’amore proibito che l’aveva spinta a tradirli.
-Coraggio, prendi la mia mano- disse lui con voce calda, tendendo il palmo scoperto, senza i suoi fedeli guanti  a coprirlo.
Anche il viso era allo scoperto, senza la maschera a celarle il viso.
Un bel viso, solcato da una benda sull’occhio destro, dai capelli argentati dal ciuffo ribelle e dalla corta barba.
Un’espressione dolce e rassicurante dipinta sopra, un’espressione che da anni non compariva su quel viso indurito dalla vita del ricercato.
La ragazza, titubante, avvolta nei lunghissimi capelli d’oro per nascondere le nudità, tese la mano piccola e affusolata fino a stringere quella di lui, grande, callosa ma dal tocco incredibilmente vellutato.
-Brava. Vedrai, presto starai meglio-
 
 
La Roccia del Gufo.
Un monolito di circa due metri, un tempo era stato più alto, scolpito a forma di gufo, patrimonio archeologico della città.
Era situato al centro del bosco di Jump city, in una piccola radura non più larga di una quarantina di metri quadri, circondata ovunque da alti alberi spogli dal tronco nero, le foglie gialle, rosse e arancioni tappezzavano il suolo tutt’intorno alla roccia.
Pareva proprio che gli alberi si fossero capovolti, con le chiome a terra e le radici per aria.
La leggenda diceva che le tribù indigene venerassero quel luogo come Swikiswat “il-luogo –ove-gli-spirti-toccano-la-terra” dove Manitu risiedeva durante l’autunno, un luogo sacro a tutte le tribù.
Ora il culetto di April poggiava sulla testa di pietra del Gufo, in mezzo alle due orecchie appuntite che svettavano sulla testa della scultura.
Con le gambe a penzoloni e i gomiti sulle ginocchia aspettava che il suo “amico” si presentasse.
Coi pugni pigiati sulle guance cercava di non pensare a quello che era appena successo.
Bruce era innamorato di lei…ma lei poteva ricambiarlo?
O era solo un amico?
Gli voleva bene, bene come un fratello e forse anche di più…ma non sapeva se poteva amarlo in quel modo, se tra loro avrebbe funzionato o avrebbe solo rovinato il loro legame così profondo e stretto.
Era sola e stranita in quel confronto con se stessa, era tutto così nuovo, coì diverso ed era accaduto dannatamente in fretta!
Ormai non ci capiva più niente, le sue emozioni erano tutte in subbuglio, ognuna diceva la sua e nessuna riusciva a prevalere.
Sperava che andando ad allenarsi avrebbe liberato la mente, ma lui non si presentava.
April, sola con se stessa credeva di dover impazzire.
All’interno del suo piccolo petto il cuore le scalpitava come uno stallone per l’emozione, per l’insicurezza, per l’ansia di quello che era successo che non si accorse nemmeno della stoccata che la buttò giù dalla Roccia del Gufo, facendola cadere a terra, dentro una buca profonda, abilmente scavata e coperta di foglie fino ad essere invisibile.
April si mise seduta massaggiandosi la testa dolorante, mugugnando per il colpo ricevuto, ma almeno era servito a riscuoterla dai suoi pensieri.
Guardò verso l’alto e lo vide, avvolto in quel suo tetro abito da becchino, che si stagliava contro il cielo che andava oscurandosi.
Nella destra stringeva un lungo bastone di legno levigato e la fissava da dietro quegli impenetrabili occhiali scuri.
-Jonathan!- tuonò April –Ma si può sapere che diavolo ti passa per la testa!! Prima arrivi in ritardo, poi questo! Sei pazzo o cosa?!- sbraitò offesa a dir poco.
-Diciamo che per te sono stato un “angelo” ma puoi chiamarmi “matto” – rispose quello –Prima lezione: effetto sorpresa. Non penserai che i tuoi avversari ti manderanno un bigliettino con data e ora dello scontro, vero? Devi sempre essere preparata, ti sei fatta cogliere alle spalle come fossi una…una carota. Seconda lezione: sempre controllare il campo di battaglia. Bastava qualche palo appuntito e la nostra carotina diventava uno spiedino- detto questo allungò il bastone nella fossa, April lo afferrò e iniziò a risalire puntando i piedi contro la parete di terra in verticale, reggendosi con le braccia al bastone, era salita solo di un metro e mezzo che Ghostface mollò il bastone, facendola precipitare rovinosamente a terra, non senza dolori.
-Ah!- esclamò lei dolorante.
-Terza lezione- concluse Ghostface –Non fidarti di nessuno, conta solo su te stessa-
April allora fluttuò fuori dal buco atterrando di fronte a lui, che la squadrò da cima a fondo.
-Jeans attillati e maglietta righe gialle e rosa non sono l’ideale per combattere in un bosco né per passare inosservati- commentò.
-Non è che tu sia poi così preparato. Combatti in spolverino, mocassini e pantaloni da matrimonio!- replicò quella, infastidita dalle critiche al suo look.
-Io so badare a me stesso al contrario di te. Se mai sarai al mio livello potrai essere una minaccia che vestita da hamburger. E comunque questi sono pantaloni da funerale-
April decise che era meglio lasciar perdere e rimediare al suo pessimo inizio cercando di far bella figura.
-Comunque mi sono preparata- sorrise sfilandosi jeans e maglietta, rivelando che sotto gli abiti borghesi teneva pronto il costume immacolato di Midnight, eccezion fatta per gli stivali troppo ingombranti per essere ignorati da chi le fosse passato accanto per le vie.
-Taa-daa-  disse aspettandosi almeno un’accendo di complimento.
-Fa sparire quegli orecchini e la collana. E togliti quel mantello ridicolo-
La ragazza era davvero sorpresa da quell’aspro commento, non sui gioielli, ma sul mantello.
Tutti i migliori supereroi hanno il mantello!!
-Ma mia madre lo porta sempre e…-
-Taci- la zittì lui- Eravamo d’accordo che avesti obbedito senza fiatare-
-Il mantello è pensate e ingombrante- continuò Ghostface – Ti ostacola e ti rallenta. Niente mantello-
Rassegnata si sciolse il mantello lasciandolo cadere a terra, tra le foglie, assieme agli orecchini e la collanina.
-E non provare più a mettere le tue chiappette su i luoghi sacri delle altre civiltà, ci siamo intesi? Se ti ribecco seduta su quel monolito ti rifilo tante di quelle sberle che le tue melette posteriori diventeranno rosse e mature come mai prima d’ora-
Detto questo le porse un secondo bastone, più adatto alla minuta statura di lei.
-Avanti- la incitò- Colpiscimi. Vediamo che sai fare-
Si allenavano ormai da un’ora e mezza.
April, stanca, rossa in viso per la fatica e la frustrazione, con le dita serrate fino a far sbiancare le nocche sul manico del bastone, era al limite della sopportazione.
Un’ora e mezza passata ad attaccare senza interruzione e non era riuscita a sfiorarlo neppure una volta, anzi dopo ogni attacco era lei che, con un semplice gioco di mano del suo istruttore, finiva col culo per terra.
Era piena di acciacchi.
Ghostface non era neppure sudato né tanto meno aveva avuto bisogno di riprendere la sua arma.
-Ti vedo assente, April. Non riesci a concentrarti.
C’è qualcosa che ti turba?- le chiese mentre la ragazzina, tutta un livido ormai, trovava la forza di rialzarsi ancora una volta.
-In effetti…sì- ammise April, sfinita.
-Qualcosa di brutto?- azzardò Ghostface, il quale rimase parecchio stupito quando ricevette in risposta un commentò non addolorato, la ragazzina aveva solo detto “qualcosa di strano”.
<Possibile che tenga così poco ai suoi due amici?> rifletté tra sé e sé il vecchio, pensando a Cyborg e Iella, ma la ragazzina era totalmente all’oscuro di quanto era accaduto ai suoi zii
-C’è un ragazzo…- iniziò April, fiduciosa in un consiglio –Io gli piaccio, gli piaccio molto intendo. E anche io gli voglio bene, un mondo di bene…ma non so…non so se nello stesso modo in cui lui ne vuole a me…- sospirò alzando gli occhi verso Jonathan –Tu che faresti?-
Ghostface rimase sorpreso da quella risposta, che dirle?
-Vedi, piccola. L’amore non è né bianco né nero. È difficile sapere cosa si prova per una persona se non ti ci metti direttamente, ma mantenere le distanze non credo che aiuterà. Che tu lo ami o no dovrai parlargli faccia a faccia di questo.
Credimi, le emozioni sono traditrici, capaci di pugnalarti alle spalle da un momento all’altro.
Non posso dirti se tra voi funzionerà, non posso dirti se tu lo ami o no, dovrai scoprirlo da te. Ma se l’indecisione persiste, ascolta le parole di chi abita questo mondo da più tempo di te….meglio avere rimorsi che rimpianti.
La vita è un’avventura, vivila. Non stare ferma a guardare-
April sorrise rincuorata da quelle parole.
Ormai era buio, il buio freddo dell’autunno inoltrato che già apriva le porte all’inverno.
-Grazie, Jonathan. Lo terrò a mente. Ma ora è tardi, devo proprio andare- disse raccogliendo la sua roba da terra, rivestendosi con gli abiti civili sul costume sporco di terriccio.
Indossò il mantello e sforzando le gambette doloranti per le molte cadute si diresse verso il sentierino che conduceva alla civiltà.
-Ah, cucciola- la richiamò il vecchio prima che se ne andasse –Lezione numero quarantadue: mai dare le spalle al nemico ancora in piedi. E poi non preoccuparti delle tue relazioni: amici e fidanzati vanno e vengono….i nemici, quelli si accumulano. È di loro che devi preoccuparti-
April ricambiò la “perla di saggezza” con un sorriso e dopo pochi passi sparì tra gli alberi.
Ghostface rimase immobile nel buio a fissare il vuoto.
Sospirò stanco della sua vita.
-E ora al lavoro- si disse.
April arrivò alla Torre sudata, dolorante ma felice, era riuscita almeno un po’ a schiarirsi le idee e a sgombrarsi la mente.
Quando la porta dell’ascensore si aprì sulla Ops-Mains Room rimase a bocca aperta per lo stupore.
Sua madre era in piedi, appoggiata con la schiena contro il muro, con un’espressione così afflitta in viso che mai April credette di averla vista più triste di allora.
Stringeva ancora nella destra il telefono.
Suo padre invece, col viso nascosto tra le mani le dava le spalle, e piangeva in silenzio.
C’erano anche Stella Rubia e Bruce, il figlio cercava di consolare la madre, che versava lacrime amare, affondando il viso in un cuscino.
Come entrò Corvina si girò subito verso di lei –April, dove sei stata? Perché sei ridotta così?-
-Ero andata a fare una passeggiata nel bosco, per schiarirmi le idee e sono caduta in una trappola per conigli. Ma piuttosto che è successo qui? Perché piangete? Dov’è  zio Rob?-
-Robin sta bene…è nella sua stanza. Vuole stare solo- rispose Corvina amareggiata, coi lucciconi agli occhi.
-Siediti April. Dobbiamo parlare- lei obbedì in silenzio sempre più preoccupata da quel tono pesante, mesto e spezzato che aveva la madre.
-I tuoi fratelli ancora non lo sanno, ti prego quindi di non dire loro nulla-
-Insomma vuoi dirmi che succede?- disse April che non sopportava quella sensazione così opprimente, essere tenuta sulle spine in quel momento era una situazione per lei insostenibile.
Voleva sapere cos’era accaduto e subito.
La madre la guardò con occhi spenti -…c’è stato un incidente….-
 
 
Chiuso nella sua stanza Robin guardava il buio, il vento freddo entrava dalla finestra schiaffeggiandogli il viso.
-Non può essere- pensava ad alta voce -Cyborg non può essere morto…no. Qualcosa non quadra…lui non si sarebbe mai fatto coinvolgere in uno sbaglio di precedenza. Era un guidatore troppo attento.
Qualcosa deve essere andato storto…io non posso credere.. che lui…che lui sia…-
-BU!- alla finestra apparve il viso spettrale di Ghostface.
-AAAAA!!!- Robin arretrò spaventato, cadendo sul letto alle sue spalle, il vecchio ridacchiò malevolo.
Era appeso a testa in giù fuori dalla finestra, si reggeva solo con la mano sinistra all’architrave leggermente sporgente della finestra, dando prova di grandi doti ginniche.
Le gambe rannicchiate e l’altra mano sospesa a mezz’aria.
In quella posizione pareva quasi quel famoso eroe di New York, “l’arrampicamuri”.
Da quella scomoda ma appariscente posizione Ghostface si calò dentro la stanza.
-Ciao Robin che bello vederti-
-Che ci fai tu qui!?- disse quello atterrito e incredulo – Dovresti essere…-
-Nel Tartaro?- completò il vecchio- Quel cumulo di rottami è precipitato nel Kansas settimane orsono-
Riscossosi dallo spavento iniziale Robin passò all’attacco, scattando in avanti e inchiodando il vecchio contro la parete, schiacciandogli la gola col gomito con tutto il suo peso.
-Perché sei tornato!? Che cosa vuoi!!??-
-Calma, clama. Sono qui solo per parlare- biasciò quello, con la trachea strozzata.
-Perché mai dovrei voler parlare con te??!-
Ghostface lo guardò in quegli occhi, nascosti dalla mascherina bianca  e nera.
-Dimmi come hai fatto, Robin- gli chiese con l’aria di chi non si aspetta una risposta.
-A fare che??!-
-A dimenticare- Robin lo guardò interdetto –Sono passati tredici anni, lo so, sembra un sacco di tempo. Ma non è così. Ho duecento anni, ho avuto27 figli e 26 ne ho seppelliti. E tutt’ora non passa notte in cui io non riveda uno per uno i loro volti, in cui non riviva ogni singolo istante passato insieme. Eppure tu, la mia cara nipotina, e tutti qui dentro sembrate esservi dimenticati di lei in così poco tempo. Vi ho osservati, sai? Niente foto, niente discorsi su di lei, niente lapidi commemorative, nemmeno una tomba al cimitero, sono sicuro che il fratello non sa neppure che è esistita …com’è possibile?-
Robin non capiva, spinse ancora più forte il braccio contro la parete –Di chi diavolo stai parlando, vecchio pazzo!!??- ringhiò schiumante di rabbia.
-Di Mar’i-
Il ragazzo mascherato ebbe un tuffo al cuore.
Mar’i.
Quell’unico nome fece riaffiorare nel suo animo, già sconvolto per l’incidente accaduto ai suoi amici, tutti i ricordi che la magia di Corvina aveva occultato.
-M-Mar’i…- balbettò lasciando andare il vecchio, che trasse un roco respiro, tossendo.
-Mar’i…- cadde in ginocchio col cuore straziato al ricordo.
Una lacrime cristallina gli solcò le guance rosee.
-Già, la tua primogenita…ora ricordi tuto, vero?-
Robin alzò il viso con uno sguardo assatanato sopra, dietro la maschera gli occhi erano iniettati di sangue, intrisi di odio nero come la pece.
-Ricordo che tu l’hai ammazzata, figlio di puttana!!- si slanciò verso di lui, ma dovette fermarsi quando si ritrovò un coltellaccio lungo e sottile, di una cinquantina di centimetri puntato alla gola.
-Fermo là- lo ammonì Ghostface –Io non volevo che lei morisse. Avevo mirato alla troia col mantello. Ora sta buono e rifletti- disse con voce di ghiaccio, fredda quasi quanto la sua postura apatica e i suoi occhi cadaverici – Vuoi che Stella ricordi? Non so come ma la vostra mente pare aver rimosso tutto, eppure basta pronunciare quel nome per farvi tornare la memoria. Ho sentito quella canzoncina che Corvina cantava ai suoi figli, la sciocca “filastrocca dell’uomo che fa paura”.
Ormai io per voi appartengo al passato, non è così? Ebbene sono tornato dal passato per rievocarti un ricordo, il ricordo di tua figlia.
Devo farlo anche a tua moglie? Vuoi costringermi a darle questo dolore?!
Sai bene quanto me cosa succede alle tamaraniane che perdono il frutto del proprio grembo…-
-Non funzionerà…- disse Robin a denti stretti, con la punta della lama sul pomo d’Adamo.
-Abbiamo un altro figlio ora. Stella non si lascerà morire, non lo farà. Ama troppo Bruce-
Ghostface ghignò, un ghigno spaventoso e raccapricciante –Allora mi costringi a ripetermi…- con l’altra mano estrasse da una tasca interna al soprabito un piccolo detonatore.
-Prendendo ispirazione da un mio collega*, ho iniettato all’interno del tuo caro figlioletto delle micro sonde, un po’ diverse da quelle dell’ultima volta. Si tratta di bio-sonde automatiche, una specie di virus artificiale per così dire. Si attaccano alle cellule sane e restano latenti fino al comando, dato loro da questo detonatore, il comando di distruggere le cellule cerebrali di un corpo provocando una dolorosissima ma tuttavia rapida morte.
Il tuo ragazzo ne è pieno.
E dato che c’ero ne ho messo un paio anche dentro i marmocchi della strega.
Un vero peccato che il vostro esperto di robotica abbia avuto un piccolo incidente-
Robin sgranò gli occhi fissandolo allibito –Tu….-
-Esatto- sorrise quello.
Robin si sarebbe slanciato su di lui con tutta la sua forza, gli avrebbe cavato gli occhi, spaccato i denti, e strappato quel cuore nero che aveva, ma fu costretto a trattenersi, per Bruce e per Stella.
Dovette ingoiare lacrime e rabbia in un unico amaro boccone ….Il leader dei Titans si rese conto di avere le mani legate.
Con la testa bassa e la voce  debole disse –Che cosa vuoi?-
-Devi fare alcuni lavoretti per me.
Il primo è consegnare questo disco al tuo amico mutaforma, e dire che Cyborg te lo aveva dato prima di partire, dicendo che non poteva tenersi un simile segreto dentro- e gli porse un DVD che teneva nella tasca in cui custodiva il detonatore.
Robin lo prese gettandogli una rapida occhiata.
-Di cosa si tratta?- gli chiese il ragazzo fissandolo con odio e disprezzo.
-Diciamo che è un filmino amatoriale…dai contenuti molto interessanti, in grado di…vediamo…rovinare un matrimonio. Guardalo e reggimi il gioco altrimenti…- alzò il pollice sul detonatore pronto a calarlo su esso –Intesi?-
-Perché fai queste cose? Cosa conti di ottenere così?!- gli rispose quello duro e serio.
-Sono affari miei- gli rinfacciò il vecchio, tenendo sempre salda in mano la lama.
-Tu sei malato-
-Non più, sono guarito. Tredici anni passati nel Tartaro come cavia umana per esperimenti indicibili sono traumatizzanti per chiunque…tuttavia nel mio caso devo dire che sono stati terapeutici. Sono stato sottoposto tante di quelle volte alle angherie del Dottor Tod che un giorno, operandomi a cranio aperto senza anestesia, senza saperlo raschiò via il cancro radicato nel mio cervello.
Quando mi rigenerai le mie cellule erano sane. Ora ragiono in modo lucido, so perfettamente quello che faccio…e non vedo più rosso. Tu non fare domande, non dire niente a nessuno di noi…e la tua famiglia resterà intatta. Te lo giuro. In fondo, anch’io voglio bene a Stella. Non la farò soffrire se non mi obbligherai a farlo. Obbediscimi e andrà tutto bene, per te. Pensa a tuo figlio, e fa la scelta giusta-
Detto questo arretrò fino alla finestra, pronto a fuggire come un’ombra nella notte.
Robin premette l’allarme.
Le uscite si barricarono, spesse saracinesche di metallo scesero velocissime da ogni entrata, sigillando ermeticamente la stanza.
-Non cederò al tuo ricatto, Ghostface- lo minacciò Robin –Questa stanza è sigillata con me e te dentro e quando si aprirà, la fuori ci sarà una marea di eroi pronti per te.
Queste saracinesche sono di vibranio, un metallo che respinge qualsiasi tipo di vibrazione, il tuo detonatore non può inviare il suo messaggio, non serve a nulla ora.
Inoltre questo metallo è pressoché infrangibile, non c’è un materiale al mondo in grado di perforarlo-
Robin sapeva che i suoi amici sarebbero giunti di lì a pochi secondi.
Si mise in posizione d’attacco aspettandosi la violenta reazione del folle intrappolato.
Tuttavia, Ghostface, con molta calma, si avvicinò alla finestra corazzata accarezzando il liscio metallo.
-Vibranio, hai detto? Non male, dev’esservi costato un occhio della testa. In tutta la mia vita ho sempre avuto penuria di grana, ma che ci vuoi fare, nessuno è perfetto-
Estrasse il lungo coltello e passò l’indice sul filo della lama affilata, tagliandosi.
Il sangue percorse l’arma fino all’elsa e gocciolò in terra.
-Dimmi, non è che per caso quell’unico materiale in grado di tagliare il vibranio è l’adamantio?- detto questo infilzò la saracinesca col coltellaccio, passandola da parte a parte come fosse di burro.
Robin restò sbalordito davanti a questa scena assolutamente inaspettata.
L’adamantio era il metallo più raro e prezioso che esistesse, come aveva fatto un evaso senza mezzi né soldi come lui a procurarselo?!
-Carino, eh?- sorrise Ghostface ritraendo la lama e iniziando a giocarci facendola roteare vorticosamente tra le dita –Certo, l’avevo chiesta un po’ più lunga per Natale, ma sono stato cattivo e Babbo Natale mi ha portato solo questo bel coltello, io però mi so accontentare-
Il vecchio tornò di colpo serio, tagliando una via d’uscita nella finestra come se affettasse l’aria.
Appollaiato sul davanzale gettò un’ultima gelida occhiata a Robin, abbassandosi gli occhiali e pietrificandolo con quello sguardo atroce che priva della volontà, rendendolo incapace di reagire, di provare a fermarlo.
Puro terrore nero che attanaglia il cuore con fredde dita di ghiaccio.
Così poteva essere definito lo sguardo della Morte,.. lo sguardo di Ghostface.
Poi saltò nel vuoto, nel buio della notte.
Robin si affacciò dalla finestra ma non vide nulla, pareva essersi volatilizzato come quando ancora possedeva le sue qualità evaporative.
E se l’effetto dell’azoto nel sangue stesse finendo?
 
I Titans accorsero pochi attimi dopo, disattivando le saracinesche in vibranio.
-Cos’è successo?!- domandò Stella allarmata.
-Niente- rispose con la voce roca e con la testa bassa –Ho…ho solo sbagliato a premere il pulsante. Scusate-
Non era mai successo prima che Robin si confondesse in quella Torre che lui stesso aveva contribuito a costruire, ma visto la tragedia che li aveva colpiti nessuno si stupì che anche il loro leader avesse vacillato un attimo nella sua afflizione.
 
 
Terra guardava il soffitto, era stanca, sudata  e terribilmente a disagio.
Stesa con le gambe leggermente divaricate sotto le lenzuola alternava la vista tra l’intonaco delle pareti e il corpo caldo che giaceva accanto al suo.
Doveva amarla davvero molto visto con quanta cura si era occupato di lei per tutti quegli anni.
Appena era tornata in sé Slade aveva ceduto alla passione e presto si erano ritrovai entrambi nudi su un letto color zafferano, un letto nel quale i capelli d’oro di lei si disperdevano e si confondevano tra le lenzuola.
Con quale voga l’aveva presa, con un cieco e violento e sensuale desiderio che anni fa l’avrebbe estasiata, ma ora, dopo aver passato anni e anni chiusa in se stessa, avendo solo la propria mente su cui basarsi Terra aveva finalmente trovato la risposta alle tre persone che si contendevano il suo cuore.
Sapeva chi realmente desiderava al suo fianco, e non era quell’uomo che vi si trovava, dopo tanti anni di solitudine, di pre-morte, avrebbe fatto di tutto per averla; aveva sperimentato la morte, ora si sarebbe goduta ogni singolo giorno della sua nuova vita.
Ripensò a quei tre volti.
Il primo nascosto e misterioso di Slade, quella tra loro era stata una breve e frastagliata relazione, conclusasi violentemente per entrambi, era rimasta attratta dai suoi modi, dal suo fare educato e malvagio allo stesso tempo, dal misterioso fascino che si portava dietro…ma aveva imparato a conoscere che tipo di crudele uomo fosse, e quel desiderio si era dissolto come cenere nel vento.
BB…quella con lui era stata solo una breve cotta adolescenziale, giusto per distrarsi in quel buio periodo della sua vita, per alleggerirsi un po’ ed essere più integrata nella squadra, per avere qualcuno su cui contare all’interno dei Titans.
Poi c’era lei.
Lei con i suoi modi scontrosi, il suo fare distaccato e saccente.
Ironica e tagliente allo stesso tempo, chiusa e riservata, affasciante e misteriosa ancor più di Slade, un mistero profondo e impenetrabile che persiste nel tempo.
Lei, così delicata, e sensibile, così dura e sfrontata, così integra, così contradditoria, così acida, così fragile, così diffidente e così intima….lei.
Non pensava ad altro.
Ricordava bene com’era iniziato tutto, lei le aveva chiesto quasi per gioco di fare l’amore insieme, solo sesso, così per divertirsi, erano entrambe vergini e tra donne sarebbe stato più…delicato.
Non seppe mai quale follia la spinse ad accettare, sarà che aveva sempre avuto una morbosa attenzione per le donne, sin da quando nel collegio rubava le mutandine alle compagne per masturbarsi pensando a loro, non seppe mai il perché, lei la spaventava all’epoca, ma lo fece.
Fu una notte magica per entrambe.
Si incontrarono molto molto più spesso da allora, unite sì dal desiderio ma anche da qualcosa di più che stava nascendo tra loro, che entrambe sentivano.
Si era resa conto di essersi innamorata di quella eterea figura dalla pelle perlacea.
E quando glielo confessò, Terra svenne letteralmente sapendo di essere ricambiata, sapendo che lei era pronta a starle accanto per sempre, ad amarla; quando le aveva aperto il suo cuore lei aveva fatto altrettanto, le disse che era pronta a rinunciare alla loro relazione segreta e a confessare al mondo il loro unico vero e sincero amore e non lasciarla mai più….tutto sembrava dover essere perfetto.
Ma poi venne Slade, che le corruppe l’animo e il cuore con le sue parole avvelenate, e le sue droghe mentali.
La deviò al punto da spingerla ad attaccare, a tentare di uccidere la donna che amava, entrambe le ragazze si erano violentemente scontrate, nessuno era stato più agguerrito di loro, perché erano spinte  non dall’odio ma da una forza più grande, dal dolore di vedersi l’una schierata contro l’altra.
Per lei doveva essere stato durissimo: il suo tradimento, lo scontro, sapere che la tradiva con un altro in tutti i sensi…doveva averle spezzato il cuore, era senz’atro quella che più di tutti aveva ferito…e lei era rimasta in silenzio, preservando nel suo cuore il loro segreto, custodendo gelosamente i preziosissimi ricordi di quei giorni e quelle notti passate insieme, passate nella felicità e nell’amore. L’aveva fatto solo per lei, perché in fondo sapeva che la sua Terra era ancora lì, era ancora la ragazza che amava e lei l’avrebbe aspettata.
Di questo Terra era certa, il loro amore era stato troppo sincero perché potesse essere sostituito.
Lei la stava aspettando.
Si maledisse per tutti gli errori che aveva fatto.
Con due mute lacrime che le solcavano il viso guardò un’ultima volta il corpo lui che dormiva rigirato nel letto, stanco per il desiderio consumato con lei.
Si volse ancora verso quell’intonaco grigio come la morbida pelle della ragazza che amava, chissà com’era cambiata in quegli anni, ma una cosa era certa, l’avrebbe ritrovata e non si sarebbero separate mai più.
Il sonno e la stanchezza ebbero la meglio su di lei, sentì le membra intorpidirsi e le palpebre farsi pesanti, poco prima di assopirsi, Terra trovò la forza di mormorare con un fil di voce quell’unico nome che in tanti anni di coma le aveva permesso di tirare avanti, di lottare per continuare a vivere:
-…Corvina…-
 
 
*Vedi  “l’apprendista 1 e 2”
 
Aspettatevi altre sorprese nei prossimi capitoli, i Titans dovranno mettercela tutta per restare uniti, fidarsi gli uni degli altri e vincere mentre le forze del male combattono per separarli.
Ce la faranno?
 
Io non ci giurerei
 
Ah, BUONA PASQUA!!
 
Ghostface
  
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