Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: ejamary    05/04/2015    1 recensioni
Horas ha un'ambizione: costruire la nave più veloce delle Isole di Ferro. E' solo un manovale, ma nelle sue vene scorre un sangue antico e una determinazione fuori dal comune. La stessa determinazione che possiede Alla, sua figlia, cresciuta orfana di madre tra il sale e il ferro. Quando all'alba di un mattino di fine inverno la Sposa di Sale prende il largo con la sua ciurma di uomini induriti, Alla, la danzatrice della spada, crede sia per una comune razzia. Non può certo immaginare che un solo mattino basterà per metterla alla prova e per cambiare, indelebilmente, tutti gli altri mattini.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Mastro Horas?
-Al vostro servizio.
-Vedo che avete pagato un prezzo di ferro abbastanza alto stamane.
-Cosa volete, gli affari sono affari. Non c’è molta legna da queste parti.
-I lupi del nord dicono sempre che l’inverno sta arrivando. Avete del sangue di lupo nelle vene? Perché per essere estate siete decisamente troppo previdente.
-Non è legna da bruciare questa, e non finirà in nessun camino.
-Allora forse vorrete dirmi a cosa vi servono tutti questi tronchi.
-Una nave.
-Una nave?
-La più veloce delle Isole.
-Siete solo un manovale.
-Sono anche un falegname.
-Quello che volete. Una nave è oltre le vostre abilità. Figurarsi poi la più veloce nave delle Isole di Ferro.
-Lo vedremo. Con permesso.
-Dove andate mastro Horas?
-A casa mia. Devo scaricare tutto prima che faccia buio e arrivi il temporale.
-Avete una donna che vi aspetta?
-Sì.
-Dove l’avete presa?
-Non è una moglie di sale. È mia figlia.
-Quanti anni ha?
-Perché vi interessa così tanto?
-Perché un uomo che possiede una barca ha diritto di parola nelle assemblee e nelle acclamazioni. E come lord mi interessa conoscere gli uomini che hanno diritto di parola ad Orkmont.
-Ha undici anni.
-E sua madre?
-E’ morta lo scorso raccolto.
-Era una donna libera?
-Era mia moglie.
-Spero abbiate fortuna con la vostra nave. Si annunciano tempi duri per chi è abituato al prezzo di ferro come noi.
-Finché i pesci continueranno a riprodursi nel mare e le donne partoriranno figli non ci saranno tempi duri, solo più faticosi.
-Possiate avere ragione. Vi saluto, mastro Horas. Ah, un’ultima cosa. Come si chiama vostra figlia?
-Alla.
 
CAPITOLO 1.
 Cosa sai del mare?
Che ha lo stesso colore della canapa mangiata dalla salsedine, e delle rocce incrostate di alghe. Respira. Il rollio delle onde è la mia ninna nanna da quando ho dodici anni. Da quando la Sposa di Sale ha preso il largo per la prima volta. Lo ricordo quel giorno. Mio padre mi mise in mano una spada e mi disse:-Appena raggiungeremo la terra ferma non devi fare altro che uccidere chiunque ti trovi davanti che non sia dei nostri.
-Come si uccide?- ricordo di aver chiesto ingenuamente.
-Con la punta- aveva risposto mio padre. Ho ucciso il mio primo uomo ancor prima di fiorire come donna. Quel giorno mio padre mi ha nominata ufficialmente vice in comando sulla Sposa. Lo sono tutt’ora.
Cosa sai del mare?
Tra i suoi flutti un uomo adulto con tanto di armatura dei regni ad est può affogare in meno di tre minuti. Ma gli uomini di ferro vestono solo tela bucata e cuoio non conciato; e tra le onde nuotano come pesci. Il Dio Abissale ci ha creati dai leoni di mare e dalle sirene perché non dimenticassimo mai che ciò che muore nel sale non muore più. Ma non ho mai visto un pirata di Lannisport resuscitare dalle profondità dove l’avevo mandato. Lannisport è la più semplice da depredare. Dalla loro fortezza-roccia i re dell’Ovest, con i loro nomi altisonanti, guardano le nostre navi arrivare all’alba e ripartire a mezzogiorno, prima ancora che loro abbiano avuto modo di radunare anche solo una guarnigione; e il popolo paga il prezzo di ferro. Io sono il vice in comando: significa che sbarco per prima e risalgo a bordo per ultima. Mi occupo di tutto qui sopra; posso ballare sul ponte come e meglio che sulla terra ferma e governare le vele ad occhi chiusi; so fiutare le tempeste che vengono da ovest, da oltre l’arcipelago, e quelle che vengono da est, dalle terre verdi e dorate. Le prime portano vento e onde alte come le colline di Orkmont; le seconde, nuvole di scafi e pioggia di dardi.
Cosa sai del mare?
 L’alba non è ancora sorta. Un velo di nebbia è sospeso sul pelo delle onde nere, mentre il cielo sopra la mia testa è color viola scuro. La flotta di mio padre, la mia flotta, cammina nella sabbia fredda e umida che si appiccica alla suola degli stivali. Nella baia rocciosa aspetta, ormeggiata, la nave di mio padre. Il freddo penetra fin nelle ossa e il respiro si condensa in nuvole bianche. Al fianco sento il peso della spada che mi sbilancia verso sinistra mentre cammino anch’io. Non è acciaio di Valyria, ma non è comunque una spada che una ragazza della mia età potrebbe maneggiare: è lunga, pesante e deve essere impugnata con entrambe le mani. Ma io non sono una ragazza come le altre. Io impugno armi e navigo da quando ero ancora una bambina. E con il tempo sono diventata forte e abile come un uomo. Anche se formalmente non lo riconosceranno mai, gli uomini di mio padre eseguirebbero ogni mio ordine, se mio padre venisse a mancare, senza discutere una sillaba. E non perché sono sua figlia: ma perché so danzare la danza dell’acciaio meglio di chiunque altro. A volte ho sorpreso mio padre a dire che sarei dovuta nascere con il cazzo e mi sarei dovuta chiamare Al.
-Alla- mi disse una volta un rematore, un uomo con i capelli neri come le ali dei corvi e il viso abbronzato segnato dalle rughe di salsedine –Se il giovane Moryn non sostenesse di aver preso la tua verginità avrei seri dubbi su cosa tieni in mezzo alle gambe.
Porto alla cintura lo scalpo del giovane Moryn; e mio padre quello dell’uomo, del rematore. Sulle isole non è considerato reato mutilare chi offende un uomo o una donna liberi, se la faccenda si risolve ad armi pari. In mezzo alle gambe, ben stretto, ancora il mio fiore intatto.
La Sposa di Sale è la più veloce tra le navi delle Isole. Non assomiglia alle navi cigno che provengono da oltre il Mare del Tramonto e nemmeno ai pesanti scafi di Arbor o di Vecchia Città. Lo scafo è lungo e stretto, la struttura slanciata e affusolata. La stiva è capiente, ma quanto basta perché vi si stringano non più di venti ostaggi per volta; in compenso è facile da manovrare perfino tra isola e isola, dove spesso si annidano infidi banchi di sabbia o scogliere affioranti. I rematori si posizionano sui loro bauli e prendono i lunghi remi. Io ho il mio posto in cima all’albero: mi ci arrampico e mi accovaccio nell’intreccio di corde e vele ripiegate. Sarò io a spiegarle quando usciremo dall’arcipelago, navigando in mare aperto. Aspiro profonde boccate e beata ascolto il vento che mi accarezza gentilmente i lunghi capelli scuri. Per raggiungere la Sposa ci siamo immersi fino alla cintola nell’acqua gelida del mare e le braghe di tela mi si appiccicano alla pelle. Aspiro l’odore forte del mare mentre la marea discende e lentamente i rematori iniziano a spingere lo scafo fuori dalla baia rocciosa di Orkmont. Il mare sciaborda appena sui fianchi della sensuale donna nuda che, sulla prua, mette in mostra i seni prosperosi e intagliati. Ha la testa di un drago marino a fauci spalancate e il corpo, a detta di mio padre, di mia madre. Non il mio, questo è poco ma sicuro. A soli sedici anni ho il seno ancora piccolo e i fianchi stretti; ma rifiuto di vestire gli abiti smessi di mio cugino. Tutto quello che porto, dal pantalone di tela agli stivali bassi di cuoio alla camicia e alla tunica di capra è stato fatto su misura per me, perché non sembrassi un palo di staccionata con su messi degli stracci bucati. In realtà so di essere molto più attraente con vestiti che ricalchino le forme del mio corpo lungo e snello come questa barca piuttosto che con abiti inamidati, perciò mi sento a mio agio. Il vento mi sussurra segreti all’orecchio mentre io, privilegiato gabbiano, scruto il mare dall’alto. Conosco queste coste come conosco il palmo delle mie mani, ma superati gli ultimi promontori si spalanca un abisso viola e nero che mette i brividi a guardarlo. Brividi di piacere. Con le mani intirizzite dal freddo slego i nodi e lascio che le due vele quadrate penzolino per un attimo senza vita prima di scivolare lungo l’albero di abete e di legare le sartie e i pennacchi. Le corde schioccano leggermente e le vele si gonfiano della brezza dell’alba. Mi prendo un attimo ancora per guardare il mare che mi si apre davanti. Cosa so del mare? Quello che nella sua grandezza il Dio Abissale mi ha dato modo di scorgere: le tempeste, le correnti, le maree, i venti e i banchi di sabbia nascosti. Ad est una striscia arancio e porpora che brilla come una fornace rende visibile il contorno nero delle terre. Mentre i gabbiani stridono sopra la mia testa io osservo la scia bianca che la Sposa di sale lascia nelle acque ora color ardesia. Le stelle iniziano a spegnersi e la nebbia si dirada. La mattina sarà serena e senza vento, il mare una tavola. Tra me e me sorrido, esaltata. Stamane faremo pesca grossa.
 
Mi lascio scivolare giù dall’albero fin sul ponte. Il cielo sta schiarendo velocemente e la ciurma sta remando vigorosamente perché il vento è troppo debole per mandare avanti la nave. Cerco con lo sguardo mio padre e lo vedo impegnato a dare il ritmo ai rematori con il suo gigantesco tamburo di pelle di foca. Guardo i volti dei rematori, questi uomini segnati, aspri, a cui il sale si è appiccicato alla pelle dopo tutti questi viaggi e che sanno maneggiare con la stessa abilità il remo e la spada; questi cacciatori del mare che rivaleggiano con gli squali e che hanno paura solo di non vedere più le onde sull’orizzonte. Mi apposto a poppa, accanto al timoniere, e per un po’ rimango a guardarlo. Quando ero piccola il timoniere si chiamava Luin ed era uomo enorme con un ventre prominente da bevitore. Aveva gli occhi verde nocciola e i riccioli scuri lunghi fino alle spalle. È lui che mi ha insegnato tutto quello che so sui banchi di sabbia, le tempeste e su come controllare una nave in mezzo a cavalloni alti quanto te. Poi una volta mentre risalivamo il corso della Zanna Dorata fummo attaccati da un vascello; Luin fu il primo a lanciarsi all’arrembaggio. Non tornò più. Adesso il timoniere si chiama Guilin ed è un giovane di qualche anno più grande di me, orfano. Ha i capelli corti come un lord, biondo sabbia, e grandi occhi azzurri. Questo tipo di bellezza è raro sulle isole di ferro, dove siamo quasi tutti scuri e cotti dal sole, e Guilin sarebbe molto attraente se non gli mancasse metà faccia. Infatti durante l’incendio che ha ucciso i suoi genitori è rimasto ustionato a vita e la pelle della guancia è completamente erosa e scorticata. Metà della sua bocca rimane piegata in un’espressione concentrata, l’altra metà è come fusa con tutto il resto; per questo è un tipo silenzioso, di poche parole. Nonostante ciò, è piuttosto desiderato dalle donne. Considerano il suo silenzio affascinante. A me piace guardarlo dalla parte di viso integra mentre fa volare la Sposa di Sale sulle onde del Golfo di Ferro, fino a Lannisport.
Ma oggi è caccia grossa. Oggi i leoni di Castel Granito possono dormire sonni tranquilli senza temere che un uomo di ferro tagli loro la gola. La stagione è propizia, l’inverno è ancora rigido sulle isole, ma nelle terre del sud inizia già a cadere la pioggia della primavera. È lì che andiamo, verso le feconde Isole Scudo. E questa sera staremo tutti banchettando, con il bottino o nelle sale del Dio Abissale.
Le Isole Scudo compaiono all’orizzonte quando ormai il sole sta sorgendo. Abbiamo girato al largo dalle coste delle terre dell’ovest e ora l’aria è più calda e in un certo senso più dolce. Il Mare del Tramonto si incendia mentre il disco solare fa capolino dalle pianure dell’altipiano e l’alba dalle dita di rosa accarezza la barca e gioca sul riflesso della schiuma. I rematori sono coperti di sudore e le loro maglie di cuoio indurito sono chiazzate di acqua salata. Io mi accuccio sul fondo e ascolto il lento sciabordio delle onde. È una purissima mattina, l’inverno sta per finire e l’odore del sangue, che posso fiutare ancor prima che venga versato, mi rende decisamente euforica.
 
Quando sbarchiamo io mi arrampico sull’albero e ammaino le vele. Ci nascondiamo dietro un’insenatura rocciosa, il basso scafo che affonda leggermente nella sabbia bianca. Uno ad uno scendiamo dalla nave e con l’acqua alla vita camminiamo verso la riva. Ognuno di noi ha un’arma addosso, un pugnale o una daga o una spada o un’ascia, che tiene alta sopra la testa per non farla bagnare. Quando mio padre recluta nuovi rematori o garzoni per riparare le vele ed impeciare lo scafo tutti mi guardano chiedendosi se io sappia davvero maneggiare la spada che porto al fianco. Un vecchio con la barba bianca di molti anni mi ha chiesto una volta quale arma preferissi, se l’ago o il veleno. –La spada, ovviamente- ho risposto sprezzante. Anche se le donne sulle isole di ferro combattono con i denti e gli artigli quando serve, è raro che portino armi. Ancora più raro che le sappiano usare. Ma mi sembra di averlo già detto, io non ho ricevuto un’educazione come tutte le altre. Io sono cresciuta nel mare, e il mare vuol dire ferro e sale. Solo questo importa davvero. Le Isole Scudo sono così chiamate perché la loro posizione è strategica per la difesa dell’Altopiano. È passato però talmente tanto di quel tempo dall’ultima volta che gli uomini di ferro hanno attaccato qui che nessuno si ricorda più da cosa dovrebbero fare scudo. È anche vero che si aspettano una flotta numerosa, come la scorsa volta. Invece siamo solo una ventina di persone. È raro che un nave attacchi da sola, questo è vero; ma nessun altro riuscirebbe a starci dietro, e attaccare a scaglioni è troppo pericoloso. L’effetto sorpresa va a farsi fottere. Abbiamo attraversato senza farci notare gli stretti e siamo approdati sulla Scudo di Quercia, famigerata per le splendide pellicce che i suoi conciatori producono. Che poi, dico io, cosa se ne fa delle pellicce un’isola il cui clima è quasi sempre dolce e mite? È un incoraggiamento a razziare. Risaliamo in perfetto silenzio la spiaggia mentre il sole appena tiepido risplende nel cielo turchino. Se anche sentissi freddo, non ci sarebbe tempo di tornare indietro e cercare una coperta da usare come mantello. Da qui in poi si va solo avanti. C’è un solitario villaggio sulla costa. Ha dimensioni così ridotte che quasi passerebbe inosservato, ma c’è opulenza da queste parti. Come lupi ci appostiamo tutt’attorno. Guilin mi rivolge la parte sana del suo viso e mi fa cenno di affiancarmi a lui. Lavoriamo bene insieme perché lui è implacabile e veloce con la spada tanto quanto io sono elegante e precisa. Una donna attraversa la strada con un secchio in mano. Ha i capelli biondi raccolti in modo complicato ma pulito dietro la testa e una tunica semplice di un rosa chiarissimo. Cammina con portamento eretto mentre l’acqua straborda dal secchio e le bagna i piedi. Vedo Guilin guardarla con desiderio. Tanto meglio se oltre alle pellicce è interessato anche alle donne. Noi non rifiutiamo nulla. Mio padre, appostato a pochi passi, mi guarda. Ha la barba folta e nera e gli stessi occhi castano rossiccio che ho ereditato anch’io. Si appoggia alla sua ascia da guerra e capisco cosa vuole dire. È solo questione di attimi prima che dia il segnale, e io dovrò dare l’esempio e attaccare per prima. Prendo un respiro.
-Paura?- la bocca di Guilin a malapena si muove. –No- rispondo, e sono sincera. L’unica cosa che mi spaventa è che il segnale arrivi quando già mi sarò consumata i piedi a forza di scalpitare.
 
   
 
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