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Autore: kumiko095    06/04/2015    4 recensioni
" Fu lì che la incontrai, angelo caduto dal cielo, anima marcia che, come me, si aggirava in questo mondo sudicio.
Ogni giorno ce ne stavamo seduti sul marciapiede e ridevamo della sorte nefasta, aspettando qualcuno che ci comprasse per un’ora di passione.
I nostri corpi, merce di scambio in una società dove quello che conta sono solo i putridi soldi.
Annabelle – questo era il suo nome sul posto di lavoro, l’unico che mi rivelò mai – aveva, naturalmente, molti più clienti di me.
Era doloroso vederla avvicinarsi ad un auto, contrattare un prezzo e andar via con quegli striminziti abiti addosso che raccontavano di un decoro sottomesso al dio denaro.
Facevo fatica a lavorare.
Non erano in molte le donne che chiedevano la prestazione di un prostituto; tanti, invece, gli uomini che cercavano una scappatoia da questo mondo che chiede solo apparenze, non verità.
La vita scorreva lentamente su quell’asfalto lurido che puzzava di gasolio e umanità venduta a basso prezzo e, prima che me ne accorgessi, mi innamorai di lei. "
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
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CRONACHE DI UN MONDO MARCIO
 
Mi sono sempre chiesto come funzioni la mente umana.
Quando ero un bambino continuavo a guardarmi intorno, chiedendomi perchè mi piacesse quel determinato colore, perchè pensassi che quella persona fosse simpatica, perchè adorassi quella canzone.
Perchè? Perchè? Perchè?
La mia mente era un turbinio di domande continue che ponevo, senza sosta, a chiunque mi si parasse davanti.
Mary, perchè non mangi?
Mia sorella maggiore non mi disse mai che non mangiava perchè conviveva con l’anoressia. Dovetti capirlo da solo, crescendo, che essere così magri da poter sentire le ossa sotto le dita non è sinonimo di bellezza, ma di malattia.
Papà, perchè hai tirato un pugno alla mamma?
Mio padre, invece, rispondeva sempre con schiaffi e urla.
Non sapevo quale cosa si mettesse in moto nella sua testa, ma ogni volta che le sue labbra toccavano il vetro limpido di una bottiglia di birra, la sua mano calava prepotentemente su chiunque si trovasse davanti. Mary, me, ma soprattutto la mamma.
Era il suo bersaglio preferito.
Le si gettava addosso con ferocia, la tirava i capelli e la insultava, ma lei resisteva in silenzio, purché non facesse niente a noi due.
In quei momenti mia sorella mi portava nella nostra cameretta e mi faceva stendere dentro il lettone, mi accarezzava lentamente i capelli e mi raccontava storie di principesse bellissime e cavalieri gentili, vicende fantastiche che non appartenevano alla nostra realtà. La vedevo singhiozzare e non capivo.
Mamma, perchè piangi?
Mia madre mi guardava, il volto tumefatto, e mi abbracciava stretto.
La mamma è tanto triste. Ma non importa, passerà presto
.
Rispondeva sempre con la stessa frase, e un certo punto iniziai a credere alle sue bugie.
Iniziai a credere che quei brutti meccanismi che s’ innescano nel cervello degli uomini potessero essere solo reazioni momentanee, che ci fosse possibilità di riscatto per tutti, che la redenzione esistesse veramente.
Trascorse un po’ di tempo, tra le mie domande e i pugni di mio padre, ma tutto sembrò effettivamente volgere al meglio.
Una mattina, quando mio padre era a lavoro, la mamma svegliò me e Mary e ci disse di lavarci e vestirci, di fare in fretta.
Mary saltò fuori dalle coperte, quasi avesse degli spilloni sotto la pelle, e io la osservai mentre prendeva in fretta una t-shirt e un paio di jeans dall’armadio, le braccia così magre da sembrare ombre nel suo pigiama lilla.
Mia madre raccolse tutti i nostri vestiti, li sistemò in una grande valigia che non avevo mai visto prima. Io ero ancora seduto tra le coperte, con il mio pinguino pezzato tra le braccia, quando lei se ne accorse e mi sorrise dolcemente, come non l’avevo mai vista fare.
Il suo viso era radioso di felicità.
Te l’avevo detto che sarebbe passato, no? Ora la mamma è felice.
Le volevo chiedere perchè, ma mi trattenni. Sapevo che mi avrebbe rifilato solo un’altra bugia.
Dopo aver preso tutto quello che ci apparteneva, ci fece salire in auto. Lei e Mary continuavano a parlare, parlare, a dire cose sul futuro radioso che ci aspettava, a nominare qualcuno, un magnifico benefattore che ci avrebbe amato, che ci avrebbe dato la vita che meritavamo. Io le guardavo, confuso, e me ne stavo zitto con il mio peluche tra le braccia.
Non capivo.
Mamma, perchè ce ne siamo andati?
La mamma si voltò a guardarmi a quella domanda, rise e mi rispose con una delle sue solite bugie.
Perchè andremo in un posto migliore.
Non era vero. Ma del resto, quante delle sue parole lo erano?
Ci fermammo davanti a una casa color fango. Ad attenderci sulla porta c’era un uomo, con un bel viso e un magnifico sorriso che si allargò ancor di più quando mi vide scendere dall’auto.
Finalmente sei qui, Paige.
La sua voce era velluto, accarezzava mia madre come una dolce illusione, e lei sorrideva raggiante, mentre gli andava incontro, stringendo la mia mano e quella di mia sorella.
E loro sono i tuoi piccoli angeli, vero?
Diede una carezza ai capelli di Mary, che gli sorrideva compiaciuta, poi si inginocchiò davanti a me e mi guardò con i suoi occhi color ghiaccio, che sembravano volessero trafiggermi l’anima.
Io sono il tuo nuovo papà.
Lo guardai, il viso in un cruccio di confusione, poi mi volsi verso mia madre e mia sorella.
Proprio come faceva quell’uomo, anche loro sorridevano, ma io non riuscivo quasi a contenere le lacrime, perchè quel viso angelico mi incuteva una terribile paura.
Mi nascosi dietro le gambe di mia madre e gli altri risero, scambiando la mia inquietudine per timidezza infantile.
Ma il timore non se ne andò mai e man mano, iniziarono i segni di quella che avevo avvertito come una temibile realtà.
Lui mi seguiva, sempre, come un’ombra. Mi sfiorava i capelli, e  mi diceva che i miei occhi erano troppo grandi e limpidi per essere quelli di un maschio, che ero troppo delicato e grazioso.
Quando il pomeriggio la mamma andava a lavorare e io tentavo di fare i compiti - mentre la mia testa si colorava dei mille soliti perchè - lui arrivava in cucina e insisteva nell’aiutarmi, benché non ne avessi bisogno. Mi costringeva a sedersi sulle sue gambe e mi accarezzava le gambe e il petto, con una naturalezza che mi lasciava sempre spiazzato e incapace di reagire.
Qualche settimana dopo Mary iniziò ad uscire con il suo fidanzato - quello che era sicura l’amasse perchè era finalmente tanto magra e bella - e allora iniziò il mio incubo.
Mi conduceva nella sua camera da letto, quella dove dormiva con la mamma, e mi faceva spogliare, minacciandomi di farmi male se non gli avessi ubbidito. Più tempo passava, più le sue avances si facevano ardite.
Pensavo che mio padre fosse cattivo, ma il modo in cui quell’uomo seppe distruggermi non era paragonabile a nessun’altra cosa al mondo.
Questa storia andò avanti per molto tempo. Più crescevo, più diventavo bravo a fingere che andasse tutto bene.
La mamma si accorse che qualcosa mi turbava e qualche volta mi chiese anche se fosse tutto apposto, ma non indagò a fondo, non quando il seme del sospetto era ormai radicato nella sua mente.
Sapeva bene quello che succedeva, ma la vita finalmente girava a sua favore e per una volta scelse di essere egoista, chiudendosi nella sfera di cristallo della sua falsa vita perfetta, lasciandomi cadere nell’oscurità.
Non mi rimase che piangere.
Scivolavo sempre più in basso ogni giorno, sotto l’umiliazione  che provavo nell’acconsentire alle sue richieste, sotto lo sguardo lascivo con cui guardava il mio corpo ormai adolescente.
Pensavo di aver toccato il fondo e che non ci fosse niente peggiore di tutto questo.
Mi sbagliavo.
Tutto avvenne così velocemente che, ancora oggi, quando ci penso, non riesco a trovare una risposta ai miei perchè.
Mia sorella se ne andò di casa non appena compì la maggiore età, lasciò la sua famiglia problematica per inseguire quel tanto agognato per sempre felici e contenti con cui concludeva le fiabe che mi raccontava da piccolo, convinta che il suo principe azzurro amasse le sue ossa e non il suo animo puro di sognatrice.
Non la rividi più. Così come non rividi più mia madre.
Lei, al contrario di Mary, non inseguì l’ennesima falsa speranza, non credette più alle sue stesse bugie. Si fece sopraffare dal dolore, dall’incapacità di proteggere i suoi figli, da un’altra possibilità sprecata.
Si uccise.
Inginocchiato davanti alla sua lapide, inerme, le feci la stessa domanda che le ponevo sempre da piccolo.
Mamma, perchè piangi?
Ma le mie domande, come al solito, non ebbero mai una vera risposta.
Non so come successe, ma quell’uomo mi abbandonò e quell’attimo di libertà che provai nel vederlo finalmente lasciarmi solo si trasformò in una vita di stenti e miseria.
Finì su una strada provinciale a svendere il mio corpo. Passavo più ore lì, a consegnare ciò che ormai consideravo senza più un valore, di quanto tempo trascoressi a dormire e mangiare.
Fu lì che incontrai lei, angelo caduto dal cielo, anima marcia che, come me, si aggirava in questo mondo sudicio.
Ogni giorno ce ne stavamo seduti sul marciapiede e ridevamo della sorte nefasta, aspettando qualcuno che ci comprasse per un’ora di passione.
I nostri corpi, merce di scambio in una società dove quello che conta sono solo i putridi soldi.
Annabelle – questo era il suo nome sul posto di lavoro, l’unico che mi rivelò mai – aveva, naturalmente, molti più clienti di me.
Era doloroso vederla avvicinarsi ad un auto, contrattare un prezzo e andar via con quegli striminziti abiti addosso che raccontavano di un decoro sottomesso al dio denaro.
Facevo fatica a lavorare.
Non erano in molte le donne che chiedevano la prestazione di un prostituto; tanti, invece, gli uomini che cercavano una scappatoia da questo mondo che chiede solo apparenze, non verità.
La vita scorreva lentamente su quell’asfalto lurido che puzzava di gasolio e umanità venduta a basso prezzo e, prima che me ne accorgessi, mi innamorai di lei.
Io e Annabelle eravamo entrambi vittime della crudeltà umana, e ne parlavamo, quasi fossimo grandi filosofi,  nella pausa tra un cliente e un altro. Non sapevamo se ringraziare il Cielo che esistesse la lussuria a guidare gli istinti più carnali della gente, così che noi potessimo sfamarci, o maledirlo perchè ci avesse ridotto a dare via anche l’ultimo pezzo della nostra dignità.
Non ci scambiammo mai parole dolci. L’amavo in silenzio, di un amore che non potesse ferirla come facevano le mani grandi degli uomini sulla sua pelle delicata.
Era forte lei. Diceva che un giorno sarebbe riuscita a sfuggire a questo destino infame, che avrebbe aiutato quelli che come noi andavano avanti nell’ombra, che avrebbe cancellato le scelleratezze di questo mondo crudele.
In quei momenti io ridevo e le si incazzava, diceva che la prendevo in giro e faceva la finta offesa.
Nella mia testa circolavano infinite domande.
Perchè pensi di poter fare la differenza?
L’umanità è sempre stata marcia e nulla poteva cambiare il fatto che noi fossimo lì a metterci in vendita, schiavi di noi stessi.
Forse lei fu l’unica a dare una vera risposta ai miei quesiti illogici.
Perchè nella disperazione, tutto quello che rimane è la speranza.
Mi resi conto che aveva ragione.
Per tutta la mia vita avevo continuato a chiedermi il motivo di tanta sofferenza, guardando sempre alle ferite sotto la mia pelle, cicatrici indelebili dell’anima, ma non avevo mai volto lo sguardo al futuro.
Sapevamo entrambi che l’avvenire per noi sarebbe stato uguale al presente: vivere ai margini del sottomondo come i ratti vivono ai margini delle ricche metropoli.
L’umanità aveva ormai innescato questo meccanismo di schiavismo, dove il più debole deve servire il più forte, inginocchiarsi ai suoi piedi, piegarsi al suo volere.
I miei perchè non sarebbero serviti a nulla.
Sarebbero rimasti vuoti, vacillanti nell’aria, mentre io avrei continuato a chiedermi come funzioni la mente umana, perchè si sceglie di asservire qualcuno, perchè bisogna soffrire, perchè la speranza non può risolvere nulla.
Annabelle non riuscì mai a coronare il suo sogno, e io non la vidi mai sorridere per una mia carezza.
Benché i miei dubbi danzassero ancora nell’aria, continuammo ad andare avanti alla giornata, sapendo che nulla sarebbe cambiato mai.
Fummo ciò che non volevamo essere.
Mi sono sempre chiesto, perchè?
Ma non c’è una risposta.
Del resto, la nostra vita non fu nient’altro che la colpa di una sorte bendata, disgraziata figlia del caso, in un marcio mondo di merda.

 
*****
Eyah popolo di EFP!
Sono qui con questa... cosa.
Definire questa oneshot è difficile, perchè è semplicemente un collage di idee che mi sono passate per la mente questa settimana, tra un dolce pasqualizio e un altro.
Ahimé la dieta.
Anyway, credo che siamo un po' tutti vittime della società o del tempo in cui viviamo, qualunque esso sia, semplicemente in quantità e forme diverse.
Siamo, in un certo senso, schiavi di noi stessi e delle nostre convinzioni, dei nostri perchè.
Passo il tempo a chiedermi continuamente il perchè delle cose, proprio come il protagonista senzanomesenzafuturo di questa cosa cososa (ma sì, inventiamo aggettivi a caso!). Non vi è risposta a molto, in realtà. Quel colore ci piace perchè è insito nel nostro DNA, quell'ossessione anche.
Ma questo non vuol dire che la società non possa cambiare, che la schiavitù delle anime e dei corpi non possa essere abolita.
Questa è una critica al mondo? Forse. O forse sono solo incazzata e dispiaciuta che la gente debba vendere anche la propria dignità per riuscire a comprare un pezzo di pane . E l'odio mi riempe i polmoni come una nube tossica quando sento dire "ci sono le prostitute che fanno questo mestiere perchè a loro piace". Basta denigrare le donne, alcune lo fanno già abbastanza da sole mettendo in mostro sedere e seno, come se fosse la vera cosa di cui vantarsi. E basta sottovalutare la realtà di tanti uomini. Tutti hanno, purtroppo, la possibilità di soffrire allo stesso modo.
Detto questo, beh, non è comunque ben chiaro perchè io abbia iscritto questa cosa.
Non lo è neanche a me. Diciamo ispirazione letteraria, va.
Recensite e fatemi sapere cosa ne pensate, se vi è piaciuto o meno (le critiche costruttive sono sempre bene accette!)
Kissuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu
Kumiko095


 
  
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