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Autore: samleo11    06/04/2015    3 recensioni
Come sia iniziata, forse non saprei davvero dirlo. Cercando di evitare il destino, sono inciampato nella storia della mia vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Never let me go


Premessa

Anni dopo mi appresto a scriverci un racconto. Una novella. Un piccolo libricino, nulla di che. Oh, se mi potesse leggere lei. Si infurierebbe. “Un piccolo libricino? Ci vuole almeno una saga. Di 5 libri.” Comunque tralasciando i ricordi sfocati di un vecchio, mi appresto finalmente a raccontare la mia storia. La nostra storia. Tutto quello che mi rimane ora che lei è andata via, sono i ricordi. E voglio sistemarli per bene.

Non so davvero dove sia iniziata. Ero lì a cercare di completare in maniera chirurgica la mia astuta missione di “salvataggio”. E invece, mi sono ritrovato a vivere la più grande storia della mia vita. Le cose più importanti, arrivano quando smetti di aspettarle, no? Vediamo un po’.. Ecco potremmo iniziare dal 22 aprile. Ma prima occorre una premessa. E con premessa intendo un nome. Arthur.

Arthur era un ragazzotto semplice. Cresciuto a un paio di isolati da casa mia. Alto e snello, capelli biondicci e occhi scuri. Non aveva grande fascino, ma ci sapeva fare. Io e lui ci siamo scambiati macchinine e ragazze sino ai 20 anni. Quando poi incontrò lei, tutto cambiò. Mise la testa a posto, come fanno un po’ tutti. O almeno, così diceva. Sì, perché io sono partito il giorno stesso in cui i loro sguardi si sono incrociati per la prima volta.

Arthur era di ritorno dall’aeroporto. Era una mattina uggiosa, l’umidità nell’aria giocava calma con le prime gemme verdastre sui rami degli alberi. Marzo è un mese strano. Non è primavera, ma non è più inverno. È festa, ma non lo è davvero. Esce il sole, ma non puoi esserne sicuro davvero. Ed è forse per questo che dava un’aria ancora più malinconica alla mia partenza. Arthur mi aveva accompagnato, mi aveva stretto forte in uno di quegli abbracci fraterni ed ora era in cammino verso casa. Lo immagino svoltare, fermarsi agli stop, magari imprecare sottovoce dietro qualche piccolo teppistello che ha attraversato all’improvviso la strada.

Poi, si è fermato. Ad un bar.

Ci avete mai fatto caso? Il destino, o chi per lui, inizia a tessere la trama quando meno ve lo aspettate. Basta mollare la presa un po’. E uno mica se ne accorge. Sei lì, a fare la tua vita e… ZAC! Il destino ti fotte.
E nemmeno Arthur, come tutti quanti noi, era conscio quella mattina. Lo immagino entrare spavaldo con la sua camicia a quadri e ordinare un caffè. Perché fare altri 20 km e prepararlo a casa era troppa fatica. Ma Arthur è fatto così. E il destino, placido tessitore, gli avvicina una donna.

Ha 20 anni anche lei. Gli occhi verdi e i capelli di un rosso che incanta. Sta aspettando degli amici, delle amiche, un caffè o chissà cos’altro. O forse sta aspettando lui. Voi donne siete così. Lo sentite. Avete un sesto senso che vi avvisa. “Stasera, trovo quello giusto”. Chissà se stava davvero pensando a questo. Chissà se sapeva. Se aveva intuito.

Si avvicina calma al bancone, e sorseggia il suo espresso. Non ho bisogno di immaginare la conversazione. Conosco Arthur come le mie tasche, l’ho visto migliaia di volte avvicinare la ragazza più carina (molto spesso anche con il mio zampino). Avrà fatto una battuta o un commento sul bar e avrà attirato la sua attenzione. E poi magari un paio di frasi su luoghi comuni buttati un po’ lì, un bel sorrisino ed il gioco è fatto. Ma questa è diversa. Non si piega. Gira il discorso, sorride, ammicca, ma niente. Proprio niente. Lei sorride appena, più che di piacere, gli sembra di pena. Ma non demorde, Arthur. Lui è fatto così. Continua anche sotto la porta e alla fine, dopo un vero lavoro da maestro, le strappa il nome e il numero.

Torna a casa e lancia il telefono sul letto. Poi esce fuori sul balcone della sua camera e si accende una sigaretta. Ha già dimenticato la bella sconosciuta? Chi lo sa. Per ora i suoi pensieri vagano lì dove non posso arrivare. Arthur è un tipo amichevole. L’amico sbronzo ma sempre simpatico delle feste. Quello con cui sai che ti divertirai. Io ero quello riflessivo. Lui, l’impulsivo. Faceva qualcosa, poi cambiava idea ed eccolo a buttarsi a capofitto su un altro progetto. Prendeva tutto poco sul serio, dava forti pacche sulle spalle, ammiccava alle ragazze per strada e urlava “arbitro cornuto” allo stadio, anche se l’arbitro non aveva fatto nulla. Gli piaceva essere al centro dell’attenzione. Adorava ridere e far ridere. Non l’ho mai visto giù per una ragazza, anche se mai una lo ha davvero rifiutato. Aveva un modo tutto suo di risplendere e la gente, lo vedeva. Lo percepiva da lontano. Dalle sue smorfie, dai suoi sorrisi, dal suo modo di arruffarsi i capelli solo per sembrare più buffo. Ma c’era dei momenti, dieci piccoli minuti a giornata, in cui Arthur si assentava. Si isolava dal mondo e rimaneva in silenzio. A meditare. O forse a lasciare un po’ liberi a spasso i suoi mostri.

Sì, i suoi mostri. Persino lui, aveva i suoi mostri. Ognuno di noi ne ha un paio. Chi più brutti, chi più grandi, chi più numerosi. Ma nessuno ne è libero. Il mostro che conoscevo meglio aveva una data ben precisa. 19 gennaio 1996. La data incisa sulla lapide di sua madre. Forse in quegli istanti, in quei dieci minuti, Arthur la ricordava. I suoi ricordi sono sfocati, ricorda una voce, due occhi, qualche movimento. Ricorda il profumo. Ma nulla di più. Aveva tre anni quando è uscita di casa, senza più tornare. Un pirata della strada, gli dissero. Ma un bimbo di tre anni, un pirata lo immagina con una bandana e un occhio bendato. E magari una gamba di legno. E non guasterebbe un bel vascello. Non ci crede mica che abbia una macchina. E poi, la storia che la mamma non torna più? Massì che torna. Mamma torna sempre, esce per un po’ e poi torna. E porta sempre qualche regalino. Del cioccolato, un budino o una macchinina nuova. Mamma torna, sempre.

E forse quei dieci minuti al giorno, lui la aspettava ancora. E sono sicuro che la perdonerà per il ritardo. Forse la intravede, in qualche solitaria donna che passeggia svelta per strada o ne vede i lineamenti sfocati nella nuvoletta di fumo che sparge la sua sigaretta.

Suonano al citofono. Spegne la sigaretta, rinchiude i suoi mostri e corre a rispondere. Sono i suoi amici. Infila il giubbotto, scende di corsa le scale, acchiappa al volo le chiavi ed esce. Avrà indossato sicuramente il suo sorriso migliore e sarà andato a spasso a divertirsi.


                                                                            ***

Sono le 2 e un quarto, circa. Arthur rientra piano in camera sua, come un ladro, in punta di piedi per non svegliare suo padre e la sua compagna. Si sdraia sul letto. Sente qualcosa di duro sotto la schiena. Si gira. È il cellulare. Lo sblocca. C’è un mio messaggio, lo avviso di essere arrivato sano e salvo a Boston. E poi nota il numero di quella tipa. Mi chiama, facciamo una lunga conversazione sul tempo di merda che ho trovato al mio arrivo e che no, non mi sono scopato nessuna hostess. Lui non mi accenna al suo incontro. Non perché non gli da peso, ma perché lo reputa importante. Me ne parlerà solo quando finalmente riuscirà a conquistarla.

Quel giorno, alle 5 di mattina, mi chiamò trafelato, urlando “Ce l’ho fatta! E vedessi come è bella.”

Capii subito. Lo capii all’istante che era importante.

E i fatti lo dimostrarono. Due anni di fedele amore. Mentre io dall’altro capo del mondo, ricevevo la telecronaca costante dei loro incontri, dei loro scontri e alcune volte (mio malgrado) delle loro scopate.

È importante quindi, che ricordiate. Che ricordiate che Arthur la amava. Che lei amava lui. E che erano una
coppia felice, tutto sommato.
 
 
Note dell’autrice

Salve! Premetto che questa è la prima storia che scrivo in vita mia, e ho paura di aver fatto un po’ una gran ca*ata ma era da molto tempo che mi frullava in testa questa idea e voglio vedere i suoi sviluppi. Spero siate clementi! E spero di avervi incuriosito almeno un po’.
PS: potreste lasciarmi un commento con i vostri consigli sulle eventuali parti sbagliate o sulle eventuali parti giuste? Come ho già detto, è la mia prima storia e vorrei avere un po’ di pareri.
Grazie mille, S.
 
   
 
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