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Autore: DanzaNelFuoco    06/04/2015    3 recensioni
pre-slash Johnlock, hint Mystrade, post-Reichenbach senza Mary
Questa storia partecipa al contest "Tutti in scena" indetto da AmahyP sul forum di efp.
Questa storia partecipa al quinto turno della "Fandom League" di Mari di Challenge - prompt: punizione.
- Intro:
Il corpo giaceva prono e scomposto al centro del palco, avvolto nel broccato del costume di scena.
John trasalì notando quanto, nonostante tutto, la vittima, così alta, magra e pallida, con i capelli corvini e gli occhi cerulei spalancati nel vuoto, assomigliasse a Sherlock.
“Georgie Wilson, 31 anni.” snocciolò Lestrade, mentre Sherlock si chinava sulla donna per esaminarla meglio. “Interpretava Giulietta.”
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sherlock Holmes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Murder in Verona - Indagine in tre atti


 

Personaggi (in ordine di apparizione):

Sherlock Holmes - consulente investigativo

John Watson - dottore, blogger, coinquilino di Sherlock

Gregory Lestrade - detective di Scotland Yard

Georgie Wilson - attrice, interpreta come ruolo principale Giulietta

Philip Anderson - dipendente di Scotland Yard, sezione “scientifica”

Marguerite Hunt - regista, proprietaria della compagnia teatrale

Richard Hunt - attore, interpreta come ruolo principale Frate Lorenzo, marito di Marguerite

James Wright - attore, interpreta come ruolo principale Mercuzio, compagno di Georgie

Meredith Abbington - costumista

Richard Mason - attore, interpreta come ruolo principale Paride, socio di Marguerite

Emily Taylor - attrice, interpreta come ruolo principale la Nutrice di Giulietta

Pamela Huston - attrice, interpreta come ruolo principale Benvoglio, compagna di Meredith

Ryan Price - attore, interpreta come ruolo principale Romeo

Jocelyn Smith - attrice, interpreta come ruolo principale Tebaldo, compagna di Ryan

Eva Thompson - attrice, interpreta come ruolo principale la Madre di Giulietta

 

 

 

 

 

(Si spengono le luci in sala, il sipario rimane chiuso, si sente uno scalpiccio sul palcoscenico, poi due voci indistinte bisbigliano.)

 

“Sta per scoprirlo.”

“Come lo sai?”

“Ha cominciato a farmi delle domande, pensa di essere discreta, ma non è così. Presto verrà direttamente da te a chiedere.”

“Cosa proponi di fare?”

“Eliminare il problema.” 

“Quel tuo ghigno è inquietante...”

 

(Confusione sul palco per alcuni minuti, poi un urlo interrompe ogni rumore.

Silenzio.

Si apre il sipario)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Atto I 

Scena I

(Giorno 1)

 

Ore 07:45, Victoria Street, Apollo Theatre

Il contrapposizione tra il legno chiaro del parquet e la pozza di sangue rappreso era inquietante a detta di John. 

Sherlock non vi aveva nemmeno fatto caso - il contrasto cromatico non era una prova, sebbene con un certo gusto del macabro si potesse apprezzare il richiamo del colore rosso nel pesante velluto del sipario. 

Il corpo giaceva prono e scomposto al centro del palco, avvolto nel broccato del costume di scena. 

John trasalì notando quanto, nonostante tutto, la vittima, così alta, magra e pallida, con i capelli corvini e gli occhi cerulei spalancati nel vuoto, assomigliasse a Sherlock.

“Georgie Wilson, 31 anni.” snocciolò Lestrade, mentre Sherlock si chinava sulla donna per esaminarla meglio. “Interpretava Giulietta e da quello che abbiamo potuto capire è stata uccisa con un oggetto di scena.”

A John la cosa sembrava abbastanza improbabile. Anche se il pugnale piantato nel petto della giovane sembrava effettivamente antico, non si supponeva che il materiale scenico fosse sicuro? Insomma, quella daga non sarebbe dovuta essere di plastica? 

“Questo è un succhiotto.” disse Sherlock, mentre le esaminava il collo. “Attentamente nascosto dal vestito, ma anche da strati di fondotinta.” Sembrò soppesare l’informazione, mentre le dita scorrevano ad una velocità impressionante sullo schermo del cellulare. “Non voleva che si vedesse.”

“Certo che no, nessuno mette in mostra i succhiotti.” sbuffò Anderson. 

“Ma nemmeno si adopera per nasconderli così tanto, non lei.” Sherlock, sollevando gli occhi al cielo, mostrò ai presenti una foto della ragazza con il suo fidanzato; il segno di un morso era ben visibile sulla sua spalla. Toccò con un dito lo schermo e la foto cambiò, mostrando l’attrice durante una festa, mezza nuda e dedita a scambiarsi effusioni poco caste con un ragazzo. “È evidente che non avesse problemi con la sua sessualità e con quello che gli altri avrebbero pensato di lei, dunque perché adoperarsi tanto per nascondere il fatto che faceva sesso?” domandò retoricamente, per poi riprendere, senza dare tempo a nessuno di provare a rispondere. “Semplice. Aveva un amante, probabilmente nella stessa compagnia teatrale.” 

Sherlock tornò a chinarsi sul corpo, analizzando attentamente ogni singolo centimetro della sua pelle. “La mano.” indicò, mostrando a tutti il palmo destro della ragazza. Tracce di inchiostro erano ben visibili, sebbene le parole fossero a rovescio e non del tutto distinte. 

…tra mezz’ora… provare la scena… 

Fu tutto quello che Sherlock riuscì a decifrare. La ragazza doveva aver posato la mano sull’inchiostro ancora fresco. Chi le aveva dato quell’appuntamento doveva aver usato una stilografica. 

Sherlock non trovò nient’altro e lasciò che il corpo venisse portato via dalla scientifica, anche se avrebbe di gran lunga preferito analizzare lui stesso il cadavere, piuttosto che lasciarlo nelle mani incompetenti di Anderson. 

“Dovrò parlare con gli altri membri della compagnia.” 

Uscì dalla porta, trascinandosi dietro John, senza nemmeno aspettare la risposta di Lestrade che si trovò ad assentire ad una stanza vuota. 

“Fantastico!” borbottò il detective prima di seguire la scientifica. Si domandò se non fosse il caso di mettere Sherlock in punizione un'altra volta. Si trastullò con l'idea di irrompere a casa sua, rivoltarla come un calzino in cerca di droga e sequestrargli tutti gli organi umani illegalmente trasferiti dal St. Bartholomew. Ma poi John lo avrebbe ammazzato, visto che sarebbe toccato a lui rimettere tutto a posto. Gregory scartò l'idea. Sherlock non aveva appena detto che avrebbe dovuto interrogare i testimoni? 

 

 

Ore 08:15, Victoria Street

“L’arma del delitto é veramente il pugnale di scena?” chiese John, mentre faticava per tenere il passo del coinquilino. 

“Sì.” assentì. “Avevano scelto una daga di metallo non affilata piuttosto che la plastica, ma qualcuno ci ha pensato da solo.” 

“Vuol dire che qualcuno ha arrotato il pugnale?” 

“Sì. È abbastanza semplice se si ha una cote. Non è niente di così inusuale da poter supporre che solo l’assassino ne possegga una. Sempre che non se ne sia già liberato. Quel genere di pietra non è rara e non costa molto, l’avrà pagata in contanti in una qualsiasi ferramenta. Irrintracciabile, oltre che del tutto circostanziale. No, dobbiamo puntare su altro.”

“È stato un uomo, comunque.” 

“Come puoi esserne così sicuro?”

John sapeva che era una domanda trabocchetto. Gli sembrava di essere tornato all’Università, quando durante un orale il professore chiedeva con voce melliflua se fosse sicuro della risposta che aveva dato, per poi provvedere a farlo sentire un imbecille smontando il ragionamento che aveva costruito nella mezz’ora che aveva parlato. 

Ciò nonostante, decise di rispondere. 

“Beh, anche se l’arma è stata affilata, ci vuole comunque una notevole forza per fargli oltrepassare la carne, la gabbia toracica e arrivare al cuore.” 

Sherlock si concesse un sorrisino. “Sì, potrebbe essere. Tuttavia…” il consulente si leccò le labbra, pregustando il momento. “Tuttavia l’angolazione della ferita mostra chiaramente come il pugnale sia stato conficcato dall’alto verso il basso. Anche una donna avrebbe potuto provocarla, se si fosse appoggiata con tutto il suo peso sull'arma.”
John dovette ammettere che Sherlock aveva come al solito ragione. 

“Quindi siamo punto e a capo?”
“Tutt’altro.” rispose Sherlock. “Chiunque abbia ucciso Georgie Wilson lo ha dovuto fare da distanza ravvicinata. Devono essere rimaste delle tracce di sangue sugli abiti dell’assassino. Se anche lui indossava il costume di scena… Uno sciocco caso da tre, non saprei neanche perché mi sono scomodato a uscire di casa. Tuttavia un delitto così premeditato mi fa pensare che il colpevole non sia così stupido.”
Infatti saltò fuori che l’omicida era stato tanto furbo quanto Sherlock aveva preventivato. Nessun costume di scena mancante, nessuna traccia di sangue della vittima e finché non avessero interrogato i membri della compagnia non avrebbero avuto uno straccio di prova per chiedere un mandato per esaminare le stanze private degli attori. 

 

 

 

 

 

 

Atto I 

Scena II

(Giorno 1)

 

Ore 09:30, Broadway, New Scotland Yard, sala interrogatori 

“Dunque, signora Hunt, lei è la regista, nonché comproprietaria, della compagnia, non è vero?” chiese Lestrade alla donna seduta di fronte a lui. Aveva quarantotto anni ben portati, un corto caschetto di capelli biondi evidentemente tinti e una chirurgia agli zigomi dannatamente evidente.

“Sì.” 

“Cosa può dirmi di Georgie Wilson?”

“Era una puttanella senz'arte né parte.” fu il suo giudizio implacabile.

“Prego?”

“Esattamente quello che ho detto. Non l'avrei mai presa nel mio spettacolo se fosse stato per me. Sfortunatamente la compagnia non è completamente mia, chi paga gli assegni purtroppo ha il diritto di prendere determinate decisioni, anche se di arte non capisce nulla.” Sembrava piuttosto risentita.

“Perché dice questo?”

“Era più brava ad aprire le gambe che a recitare e di sicuro le piaceva di più.” disse, irata.

Lestrade sollevò un sopracciglio con fare indagatore, ma attese che fosse la donna a continuare. 

“Il suo scopo non era recitare la migliore Giulietta che avesse mai calcato un palcoscenico, no, era più interessata a cercare di portarsi a letto l'intera compagnia.” scosse la testa. “Georgie credeva che nessuno la vedesse, ma non era così discreta come pensava.” 

“Con chi intratteneva relazioni la signorina Wilson?”

“Più o meno con chiunque avesse un pene. Ha messo molta zizzania tra la compagnia sin dal primo momento che è arrivata. Ho quasi rischiato di perdere Emily, quando quella sgualdrina le ha rubato il fidanzato.” Si lasciò sfuggire più di quanto intendesse. 

“Emily?”

“Emily Taylor, interpreta la nutrice di Giulietta. Quando ha scoperto Georgie e James nella sala costumi…” 

“Mi scusi, signora Hunt, chi sarebbe James?”

“James Wright, interpreta Mercuzio. È l'ex-fidanzato di Emily da quando l'ha trovato a sollazzarsi con Georgie. Colti sul fatto. Emily ha fatto una scenata e ha minacciato di andarsene, ma sono riuscita a calmarla. Si sarebbero dovuti sposare tre mesi dopo. Ovviamente il matrimonio è stato annullato.” 

“Ovviamente.” si ritrovò a concordare Lestrade. “Chi altri?” 

“Come chi altri?”

“Con quali altri uomini della compagnia intratteneva relazioni?" chiese controllando la lista degli attori sul suo taccuino. 

“Io... nessuno, credo.”

Lestrade si appoggiò allo schienale della sedia. "Mi ha appena detto che la vittima era interessata ad avere relazioni sessuali con tutta la compagnia e che lei se ne era accorta, ora mi dice che l'unico è stato James Wright. Quale delle due è una bugia?” 

La donna rimase in silenzio, rifiutandosi di rispondere.

“Magari aveva una relazione con Ryan Price?” chiese Lestrade, controllando il nome dell'attore che interpretava Romeo. Dopotutto, insieme a Wright, Price, con i suo ventinove anni era il ragazzo più probabile. 

“No! Certo che no!” si affrettò a rispondere, quasi offesa. “Ryan è un ragazzo molto buono e fedele, non tradirebbe mai Jocelyn. No, ispettore, le assicuro che Ryan non c'entra nulla.” 

Una rapida occhiata agli appunti rivelò a Lestrade che Jocelyn Smith altri non era che l'attrice che interpretava Tebaldo. 

“Allora forse… Richard Mason?” Lestrade non credeva davvero che la giovane Georgie Wilson avrebbe potuto avere una relazione di qualunque tipo con il cinquantenne che interpretava Paride, ma stava prendendo tempo per metterla davanti al fatto che probabilmente la vittima se la faceva con Frate Lorenzo, Edward Hunt, il marito della regista. 

“Non ne sono certa.” ribatte fredda, rispondendo alla domanda. “Ma si faccia due domande ispettore: è Richard che paga i conti, lui ha voluto Georgie nella compagnia. Io mi chiederei perché.” insinuò, subdola. 

“E che mi dice di suo marito, signora Hunt?”
“Mio marito non aveva nulla a che fare con quella donna.” Forse fu perché aveva risposto troppo in fretta o forse per il tono gelido e sdegnato che aveva usato, ma Lestrade non credette per un solo istante che stesse dicendo la verità. Così come non vi credette Sherlock  che osservava da dietro il vetro a specchio. 

Marguerite Hunt era appena entrata a far parte della rosa dei sospettati, così come suo marito.

“Un ultima cosa, signora Hunt. Dove si trovava ieri sera tra le nove e le dieci?”

“Non l’ho uccisa io, se è questo che crede.”

“Non l’ho mai detto.”
“Ero con Richard Mason, il mio socio. Dovevamo discutere di alcuni dettagli riguardanti la compagnia.”

“Dettagli di che tipo?”
“Dettagli… personali. Niente che la riguardi.”

Ancora una volta sia Lestrade che Sherlock percepirono che c’era qualcosa sotto.

L’interrogatorio di James Wright sarebbe stato posticipato. Prima dovevano parlare con il marito di Marguerite Hunt. 

 

Ore 10:23, Broadway, New Scotland Yard, sala interrogatori

“Buongiorno.” disse Lestrade, non appena l’attore sedette sulla sedia di fronte a lui. “Intratteneva una relazione di natura sessuale con la signorina Wilson?”

L'uomo trasalì. “Come?” Non si aspettava un approccio così diretto. “No, ecco, io…”

“Non menta, signor Hunt.”

“Io sono un uomo sposato, detective.” replicò preso in contropiede, passandosi la mano tra i capelli brizzolati.

“Di solito questo non ferma le persone.” gli sorrise il detective, complice. “Allora, intratteneva sì o no una relazione sessuale con la vittima?”    

“Mia moglie…”

“Sua moglie non lo verrà a sapere. Avanti, risponda.” 

Edward Hunt sembrò riflettere alcuni secondi, poi rispose. “Sì.” Distolse lo sguardo, come pentendosi di averlo confessato. 

“Sapeva che Georgie Wilson aveva una relazione con James Wright?”
“Sì, non era un segreto. Voglio dire, dopo che Emily li aveva trovati insieme… Difficilmente qualcuno nella compagnia non lo avrebbe saputo.”
“Eppure la signorina Wilson si incontrava anche con lei. Come mai?”

“Penso che fosse perché James la annoiava. Georgie è… voglio dire, era tentata dal fascino del proibito. Adorava fare tutto quello che la società considera immorale e ancora di più adorava che lo sapessero tutti. Droga, alcool, sesso. La sua pagina di Facebook ne è piena.”

“E la sua relazione con lei dove si pone?”

“Georgie non era stupida. Non importava che fosse Richard a pagare, se mia moglie ci avesse scoperto sarebbe stata sbattuta fuori dalla compagnia senza nemmeno darle il tempo di raccogliere le sue cose.”

“Quindi Georgie non avrebbe avuto alcun motivo per rendere pubblica la vostra relazione?”
Edward si umettò le labbra prima di rispondere. “No. Non credo nemmeno che si potesse definire relazione.”

“E cos’era allora, signor Hunt?”

L’uomo rifletté brevemente. “Occasionali appaganti incontri…” cercò un termine con cui completare la definizione. “Senta, scopavamo, ok? Se ne avevamo l’occasione, ci piaceva farlo, ma non è mai stato niente di più serio.” 

“Da quanto tempo?”
“Circa un anno. Dalla prima dell’Amleto.”

“Pensa che Georgie si sia confidata con qualcuno?”

“No. Georgie non aveva amiche.”

“Non… non aveva amiche?” 

“No. Lei tendeva a… ecco, andare a letto con i loro fidanzati.”

“Oh.” Lestrade sembrò elaborare il fatto. “Nessuna amica, dunque? Confidente? Persona con cui andava a prendere un caffè?”

Edward si morse il labbro inferiore. “Magari potreste parlare con Meredith Abbington, la costumista. È l’unica donna con cui l’abbia mai vista parlare senza litigare.”

“E cosa la renderebbe diversa dalle altre?”

Edward si strinse nelle spalle. “Sta con Benvoglio.”

A Lestrade ci vollero solo pochi secondi per controllare chi interpretasse Benvoglio e a capire perché Georgie non sarebbe stata una minaccia. 

“Pamela Huston?”

Edward si strinse nelle spalle. “Provate con Meredith. Pamela… diciamo che non era la sua fan numero uno.”

“Come mai?”

“Il fatto che non la vedesse come una minaccia non significa che approvasse il suo stile di vita.”

Lestrade annuì, prendendo nota della cosa. “Un’ultima domanda, prima di lasciarla andare. Dove si trovava ieri sera tra le nove e le dieci?”
“In un locale. Un bar. Sono stato lì fino a mezzanotte.”

“Qualcuno può confermarlo?” 

“Per lo meno il barista.”

Il detective eliminò con una spunta il nome dell’attore dalla lista delle persone da interrogare, ma non da quella dei sospetti. Gli alibi erano ancora tutti da confermare. 

Era il momento di parlare con il fidanzato della vittima. 

 

Ore 11:05, Broadway, New Scotland Yard, sala interrogatori

Gregory si prese il tempo di esaminare il suo principale sospetto prima di entrare. James Wright ostentava sicurezza col solo stare seduto. Teneva la schiena dritta, ma la postura non era rigida. Non sembrava troppo preoccupato.

“Sapeva che Georgie aveva una liason con Edward Hunt?”chiese Lestrade a tradimento, sedendosi di fronte al ragazzo. 

“Sì.” rispose tranquillamente l’uomo che aveva rotto un fidanzamento di tre anni per la vittima, fissando il DI con i suoi profondi occhi neri. 

Questo prese in contropiede Lestrade.  “E non ha fatto niente?”
“No.”
“Davvero?” 

“Sì. Io non la amavo. Nè lei amava me. Ma Marguerite non poteva permettersi di perdere Emily ed Emily non avrebbe accettato nient’altro che una promessa di amore eterno.”
“Si spieghi.” 

“Emily mi avrebbe perdonato se mi fossi comportato…” cercò il termine corretto “da cavalier cortese. Dissi di essermi perdutamente innamorato di Georgie, ma di non voler mancare alla parola data. Io ed Emily dovevamo sposarci e non volevo rompere il fidanzamento, anche se avevo improvvisamente trovato la mia anima gemella. Purtroppo ero stato colto da un momento di debolezza e eravamo caduti l’uno nelle braccia dell’altra.” un espressione di disgusto aveva accompagnato tutto l’ironico racconto. “Non avrebbe accettato di essersi innamorata di uno schifoso bastardo.” schioccò la lingua, irritato. “Marguerite è stata piuttosto convincente, mi ha costretto a inventarmi questa patetica storiella e la cosa più assurda è che Emily mi ha persino dato la sua benedizione.” Picchiettò un dito sulla tempia, illustrando la sua opinione sulla sanità mentale della donna.
“La signorina Taylor vi ha dato la sua benedizione?” Lestrade era stupefatto.

“Non a noi, solo a me. Emily accettava e rispettava i miei sentimenti, ma aveva paura che Georgie potesse trascinarmi a fondo con sé. Sapeva che tipo di persona fosse.”

“E che tipo di persona era?”

“Georgie era… autodistruttiva. Non appena la sua vita cominciava ad andare bene, faceva qualcosa per rovinare tutto. Non era conscio, certo, ma… Non riusciva a relazionarsi bene con le persone.”

“Qualcosa a che fare con la sua smania di impressionare tutti?” 

“Probabile. Una volta mi disse che era colpa di sua madre.”
“Sua madre?”
“Georgie disse che qualunque cosa facesse non era mai abbastanza. Un giorno aveva semplicemente smesso di cercare di arrivare all’impossibile e aveva deciso che se non poteva renderla fiera, allora l’avrebbe semplicemente fatta vergognare. Era parecchio ubriaca, ma, come si dice, in vino veritas. Anche se penso che fosse più vodka.” James fece un sorriso amaro. “Siamo una compagnia di matti, detective.” 

“Questa sua autodistruzione… faceva qualcosa per curarla?”

James scosse la testa. 

“Niente psicologi?”

“No.”

Lestrade controllò gli appunti alla ricerca di qualcosa a cui appigliarsi per la domanda successiva. “La signorina Taylor quindi era a conoscenza di questa sua tendenza autodistruttiva?”

“Non è una cosa che passa inosservata. Gli attori teatrali difficilmente hanno la stessa pubblicità mediatica di quei cani che tentano di recitare davanti ad una cinepresa. Georgie ce l’aveva. Non che fosse notorietà positiva, ma c’è chi dice che la cattiva pubblicità non esiste.” 

“Qualche invidia nella compagnia?”
“Davvero?” James si chinò sul tavolo, protendendosi verso Lestrade. “Detective, si fidi di me. Questo è un ginepraio. Scoprirà che tutti odiavano Georgie Wilson.” Si risollevò, appoggiandosi allo schienale della sedia. “So che sospetta di me. Non è sempre il fidanzato l’assassino? Quando non è il maggiordomo, ovvio.” Ridacchiò della sua stessa battuta. “Non l’ho uccisa io. Ci sono persone che avevano molti più motivi di me per ucciderla.” 

“Quindi dov’era ieri sera tra le nove e le dieci?”

“Con una ragazza. Francis Hills. Potrà confermare tutto.”

La ragazza aveva davvero confermato l’alibi di James e Lestrade aveva eliminato con un sospiro James Wright dalla lista dei sospettati. Non gli era sembrato colpevole, ma difficilmente gli assassini andavano in giro con “omicida” scritto in fronte. 

 

Ore 13:15, Broadway, New Scotland Yard, sala interrogatori

Meredith  Abbington era l'ultima persona che Lestrade avrebbe immaginato far parte di quella compagnia di matti. Sedeva composta e anonima sulla sedia di metallo, i capelli grigio topo che le incorniciavano il viso e spessi occhiali rotondi sul naso. 

“Da quanti anni lavora per la compagnia, signorina Abbington?” 

“Dieci.”

“E da quanti anni lavorava con voi Georgie Wilson prima che fosse uccisa?” 

“Quattro.”

“Era molto amica di Georgie?”

La donna si morse il labbro superiore, prima di rispondere. “Sì, penso che potremmo dire di sì. Ero la sua unica amica.”

“E da quanto tempo eravate amiche?”

“Tre anni più o meno. Da dopo lo scandalo di Emily.”

“Non prima?”
“Prima eravamo a malapena conoscenti. Facevamo due chiacchiere mentre le sistemavo il costume, ma nulla di più. Dopo che Emily minacciò di lasciare la compagnia, la maggior parte degli attori le riservò il trattamento del silenzio.”
“Il trattamento del silenzio? Non è un po’… infantile?”

“Sì, detective, lo è. Georgie parlava, ma nessuno la ascoltava. Era circondata da attori, sapevano come fingere. Marguerite non aspettava altro per sbatterla fuori, se non fosse stato per Richard avrebbe perso il lavoro. Lui e James erano gli unici che ancora le rivolgevano la parola. Lo stress le aveva fatto perdere tre chili in due settimane, era diventata uno scheletro con la pelle attaccata e Marguerite le fece dire da Richard di farsi sistemare il costume. Quando venne da me non ebbi cuore di fare come mi aveva consigliato Pamela. Sapevo che quello che Georgie aveva fatto era sbagliato, ma… essere ignorata per due settimane… deve essere stato tremendo. Georgie non aveva nessuno. Quando varcò la porta non riuscii a stare zitta, la salutai e le chiesi se si voleva provare il vestito.” Il viso della costumista si aprì in un sorriso nostalgico. “Mi guardò come se avessi avuto due teste, poi scoppiò a piangere e mi abbracciò. Ero l’unica che le avesse dimostrato un po’ di umanità, è stato naturale che diventassimo amiche.”

Lestrade elaborò il racconto, cercando di comprendere come esseri umani adulti di età compresa tra i ventisei e i quarantacinque anni potessero volutamente ignorare per due settimane una ragazza con il solo scopo di punirla. 

“Anche Richard Mason parlava con lei?”

“Sì, lui è sempre stato gentile con tutti.”

“Aveva un motivo particolare per essere così gentile?”

“No! Certo che no!” Meredith sembrò quasi oltraggiata dall’insinuazione. “So cosa pensate di Georgie, ma vi assicuro che non è così. Lei e Richard non… No!”

“Ne è così sicura?”
“Sì. Georgie mi diceva tutto.”
“Tutti hanno dei segreti.”
“Non Georgie. Non con me. Lei mi diceva tutto. Tutto. Persino che…” Meredith si passo una mano sul viso, asciugandosi gli occhi umidi, mentre Lestrade le dava il tempo di riprendersi. “Mi disse che era rimasta incinta.” tirò su col naso un paio di volte, cercando di ricomporsi.

“Lei cosa-?” 

“Aspettava un bambino.” ripeté fissandosi le mani strette in grembo. “Mi chiese di non dirlo a nessuno, nemmeno Pamela lo sa, ma suppongo che vista la sua morte, dirlo alla polizia non sia considerato un tradimento della fiducia.” soppresse un singulto.

“Chi era il padre?”

Meredith scosse la testa. “Non lo so. Georgie non lo sapeva. Diceva che avrebbe fatto il test del DNA. Le erano arrivati i risultati ieri, ma non ha voluto dirmi nulla.”

“Allora non le diceva proprio tutto.” Lestrade non poté trattenersi dal punzecchiarla, vista la sua precedente sicurezza. 

“No, non ne ha avuto il tempo.” ribatté piccata. “Mi disse che prima voleva parlarne con il padre del bambino. Suppongo sia legittimo.”
Il detective annuì. “Mi scusi.”

L’aggressività della donna si sgonfiò di botto. “No, mi scusi lei. Georgie è morta e io non posso fare a meno di pensare che se solo lei ne avesse parlato prima con me ora non sarebbe morta. Avrei potuto aiutarla o… non lo so, fare qualcosa.”

“Non è stata colpa sua, signorina Abbington. Mi creda, prenderemo l’assassino.”
Meredith sospirò, annuendo poco convinta. 

“Un ultima domanda, una mera formalità. Dove si trovava tra le nove e le dieci di ieri sera?”
“A casa con Pamela. Lei vi dirà tutto.”

“Grazie, può andare.” la congedò, indicandole la porta con un cenno, ma la donna non si alzò.

“Detective… Georgie non sapeva chi fosse il padre, ma… ecco, mi ha detto chi pensava che potesse essere.”

“Chi?”

“Secondo i suoi calcoli la rosa dei candidati si riduceva a due: James Wright e… Edward Hunt, il marito di Marguerite. Vi prego non ditele che ve l’ho detto io, se scopre che io sapevo, l’appoggio di Richard non basterà per non farmi cacciare.”

“Signorina Abbington, eravamo già a conoscenza dei rapporti tra Georgie e il signor Hunt, lui stesso ha confessato.”

Meredith sospirò di sollievo, visibilmente più rilassata. 

“Un’altra cosa, signorina Abbington. Sembrate tutti terrorizzati da Marguerite Hunt e da quello che potrebbe fare. Perché?”

“Marguerite è una donna molto forte e la sua opinione vale moltissimo nel mondo del teatro. La sua compagnia è una delle più famose in quest’ambito e se lei ti licenzia… allora è meglio che il prossimo lavoro che cerchi sia come cassiera in uno Starbuck perché nessuna compagnia teatrale ti assumerà mai.” 

Lestrade la fissò per qualche istante, valutando le informazioni appena ricevute. “Quanto esattamente determinata può essere Marguerite Hunt?”
“Oh, molto determinata. Non perdona facilmente. Ha mai sentito parlare di Elinor Richmond?”

“No.” scosse le spalle il detective.

“Beh, non mi meraviglia. Era la ragazza che Georgie sostituì quattro anni fa. La stella della compagnia, la nuova Eleonora Duse. Era meravigliosa. Quattro anni fa la compagnia metteva in scena il Macbeth, lei era ovviamente Lady Macbeth, aveva provato fino a sapere a menadito la parte, ma… il giorno della prima si ammalò. Influenza. Aveva la febbre alta, ma non poteva abbandonare tutto, così salì sul palco comunque. Fu un interpretazione magistrale, almeno fino al quinto atto. Si bloccò a metà di una battuta. Furono i due minuti più lunghi della mia vita e sicuramente anche della sua, la platea era congelata. Poi lei riprese a parlare, esattamente da dove si era interrotta. Marguerite la cacciò via subito dopo. L’ultima volta che l’ho vista faceva la lavapiatti da Garfunkel’s. Marguerite può essere così tanto determinata.” 

 

Ore 14:27, Broadway, New Scotland Yard, sala interrogatori

Lestrade pensò che solo una parola potesse descrivere Richard Mason: prostrato. 

Due vistose occhiaie spiccavano sul suo viso, sotto gli occhi rossi di pianto. Non faceva altro che passarsi le mani sul viso, i gomiti appoggiati sul tavolo, cercando inutilmente di eliminare i segni della sua distruzione psicologica, per poi tenere la testa tra le mani.

Solo in quel momento Gregory si rese conto che, di tutta la compagnia, Richard Mason e Meredith Abbington erano state le uniche persone a portare il lutto per la morte di Georgie.

Si schiarì la voce, entrando, attirando l'attenzione dell'attore che sollevò la testa.

Se stava fingendo, era dannatamente convincente.

“Signor Mason… Sono addolorato per la sua perdita, ma devo chiederglielo: che tipo di rapporto c’era tra lei e Georgie Wilson?”

Mason si massaggiò le tempie con la mano destra, il pollice e il medio che percorrevano piccoli cerchi sulla pelle. 

“Non lo sapeva nessuno, ho fatto in modo di tenerlo nascosto a tutti, non posso permettere che si sappia, direbbero che ho fatto dei favoritismi, io…”

“Signor Mason, la prego, si calmi.” non si aspettava una reazione così emotiva da un uomo grande e grosso come lui. Gli porse la propria bottiglietta d’acqua. “Ecco, faccia un bel respiro e mi dica in che rapporti era con la vittima.”
Richard bevve un sorso e sospirò pesantemente. “Georgie era mia nipote.”
“Come?” Lestrade era davvero sorpreso. Ma che diamine era successo al mondo? Quando le persone avevano iniziato ad essere così complicate?

“Georgie era la figlia del mio defunto fratello. Lei non sapeva che fossimo parenti.”
“Non lo sapeva?”

“No. Dopo la morte di mio fratello, venticinque anni fa, non ho più parlato con mia cognata. Georgie era troppo piccola per ricordarsi di me come di suo zio, ma io sapevo esattamente chi lei fosse. Diciamo che l'ho sempre tenuta d'occhio, mi sono interessato alla sua carriera scolastica e quando, circa cinque anni fa, Anne, sua madre, mi ha chiamò per dirmi che Georgie si era appena diplomata alla AADA...”

“La AADA?”

“Sta per American Academy of Dramatic Arts.”

“Grazie. Continui, la prego.”

“Dunque, Anne mi disse che Georgie si era diplomata, stava tornando da Los Angeles e stava cercando un lavoro, quindi la proposi come sostituta dell'attrice precedente.”

“Elinor Richmond?”

Richard non sembrava sorpreso. “Sì, esatto.”

“So che fu la signora Hunt a volere che se ne andasse, lei non influì in nessun modo nella sua decisione?”

Le labbra dell'uomo si piegarono in una smorfia di disappunto. “So cosa sta insinuando, ma no. Marguerite stessa le potrà dire che ho cercato di convincerla più di una volta a non licenziare Elinor. Non ho in alcun modo favorito la carriera di mia nipote, se non mettendo una buona parola per lei al momento dei provini. La scelta è stata interamente di Marguerite. Può essere che si sia pentita dopo, ma quando ha scelto Georgie è stata solo una sua decisione.”

“Quindi qual è esattamente il suo ruolo all'interno della compagnia?”

“Io e Marguerite fondammo la compagnia non appena lei ebbe preso il diploma dove avevo frequentato anche io, alla LAMDA.” Questa volta Lestrade non ebbe bisogno di chiedere per sapere che Mason e la Hunt avevano frequentato la London Academy of Music and Dramatic Arts. “Ci conoscevamo fin da bambini, recitare era sempre stato il nostro sogno. Io avevo preso il diploma due anni prima di lei, ma non avevo mai fatto altro che il figurante in commedie di basso livello. Avevo messo da parte un po' di soldi lavorando come cameriere e decisi di investirli sulla nostra idea. Ero un discreto attore e un bravo economista, ma pessimo a gestire il talento altrui, così decidemmo che io avrei gestito la parte finanziaria e Marguerite quella artistica. Ecco il mio ruolo nella compagnia.”

“E che tipo di rapporto c'è tra lei e Marguerite Hunt?”

“Prego?” lo sfidò a ripetere la domanda di nuovo. 

“Dov'era ieri sera tra le nove e le dieci?”

“Con Marguerite.”

“Stavate discutendo di questioni relative alla compagnia.”

“Sì.” 

“Non è quello che ha detto la signora Hunt. Cosa stavate facendo?”

“Non credo siano affari suoi.” rispose bruscamente.

“Ha una relazione con Marguerite Hunt?”

“Non credo siano affari suoi.” ripeté, scandendo le parole come se Lestrade fosse un idiota.
“Io credo di sì, dal momento che stiamo parlando di un’indagine per omicidio.”

“Non vedo come questo possa aiutarla a…”

“Edward Hunt aveva una relazione sessuale con Georgie.” lo interruppe bruscamente il detective.

Richard reagì come se gli avessero dato uno schiaffo. “Sapevo… Voglio dire… Io…” balbettò, scuotendo la testa. Si prese la testa tra le mani, cercando di calmarsi. “Marguerite mi aveva detto che suo marito la tradiva, io non immaginavo…” Strinse il ponte del naso tra le dita, strizzando gli occhi nel tentativo di schiarirsi le idee. “Io e Marguerite siamo stati insieme per un po’, quando eravamo giovani, prima che lei conoscesse suo marito, ma… Ecco, non era mai il momento giusto. Lei non era pronta per una relazione seria come lo ero io e decidemmo di prenderci una pausa. Dopo, se ero libero io, era impegnata lei e viceversa. Fino all'anno scorso. Bussò alla porta del mio camerino dicendomi che sapeva che suo marito la tradiva, fu per questo che cominciammo a… Non c’è bisogno che glielo spieghi, vero? Se solo avessi saputo che si trattava di Georgie… Dio, quel figlio di puttana!” sbatté il pugno stretto contro il tavolo di metallo, la disperazione che sembrava diventata rabbia cieca. “Sarebbe potuto essere suo padre, quel lurido bastardo! Lei era la mia bambina e quel… quel… quel cane! Dio mio!” La sua rabbia, veloce come era arrivata, se ne andò, lasciandosi alle spalle un Richard Mason quasi lacrimante. “Io… Mi dispiace. Georgie era… per me era come una figlia. Mi scusi, detective.”

Gregory aveva assistito impassibile alla sfuriata. “Non fa niente, signor Mason, non si preoccupi.”

Avrebbe voluto aggiungere che andava tutto bene, ma la nipote dell’uomo in quel momento giaceva sul tavolo della sala settoria, pronta per l’autopsia. Non andava tutto bene.

 

Ore 15:35, Broadway, New Scotland Yard, sala interrogatori

La prima cosa che Lestrade aveva pensato guardandola era stata che James Wright era un idiota. Per quanto Gregory avesse apprezzato la bellezza particolare di Georgie, Emily Taylor era decisamente meglio. Se solo avesse avuto dieci-quindici anni in meno e la ragazza non fosse sospettata di omicidio, ci avrebbe provato all’istante. 

Doveva ammettere che tutto l’intrigo in cui l’avevano trasportato i precedenti interrogatori gli avevano messo addosso una certa aspettativa nei confronti di quella ragazza. 

“Non ho ucciso io Georgie. Non dico che due anni fa non mi sarebbe piaciuto farlo, però non l’ho fatto.” Emily fu franca, schietta e decisamente affascinante. 

“Bene. Sarà mio piacere credere alla sua dichiarazione non appena mi dirà dove si trovava ieri sera fra le nove e le dieci.”

“Ero con Eva, Eva Thompson. Serata tra ragazze. Sa cosa intendo, no?”

“Perché non me lo spiega?” 

“Una bottiglia di vino, un film strappalacrime, un sacco di kleenex e quando si è abbastanza brille e il film è finito si comincia a parlare male dei propri ex-ragazzi. Vuole sapere altro? Se le interessa il film di ieri sera era P.S. I love you.” 

Lestrade sorrise. “Quindi pensa di cavarsela con così poco?” 

“Ha altro da chiedermi?”

“Non si risponde ad una domanda con un altra domanda.”
“La sua domanda era retorica, detective.”

In quel momento il cellulare di Lestrade vibrò nella sua tasca. “Mi scusi un istante.”

Emily sorrise, accondiscendente. “Oh, ma è poco professionale, detective. Lasciare una ragazza così, in sospeso, proprio durante il clou, per un messaggio.”

Gregory non rispose. L’aveva messa in sottofondo non appena aveva estratto il cellulare dalla tasca. Sul display bianco si stagliarono nette le lettere nere dell’SMS. 

È una sospettata, SMETTI di flirtare! SH

Lestrade si concesse uno sbuffo e si voltò per riservare un’occhiataccia al vetro a specchio, consapevole che sarebbe arrivata a chi di dovere, sebbene non sarebbe servito a molto. 

“D’accordo, signorina Taylor. In che rapporti era con la vittima.”
“Non lo sa già?”

“Le sto chiedendo di usare parole sue.”

La vibrazione di un nuovo messaggio lo distrasse ancora. 

Ho detto smetti. Se non sei lucido, la interrogo io. SH

Lestrade pensò che se Sherlock avesse varcato la soglia della sala interrogatori l’avrebbe picchiato. Quindi compose un nuovo messaggio. 

Fermalo.

Sperò che John avesse il buon senso di opporsi e tornò a rivolgersi alla ragazza. “Allora?”

“Non sopportavo Georgie…” la ragazza fu interrotta da un tonfo pesante proveniente dal vetro a specchio. Pochi secondi dopo il cellulare di Lestrade vibrò di nuovo. 

Fatto.

“Prego, prosegua.”

“Tutti i suoi interrogatori sono così?”
Gregory scosse la testa. “No. Sembra che solo lei sia la fortunata. Ora la prego, continui. Non dovrebbero esserci più interruzioni.”

“Non era un segreto per nessuno che non sopportassi Georgie. All’inizio la reputavo una ragazza abbastanza simpatica, un po’ particolare forse, ma pensavo fosse a posto. Certo, prima di beccarla con il mio fidanzato. Avrei voluto lasciare la compagnia, ma Marguerite fu piuttosto convincente. Disse che non dovevo permettere che l’ultima arrivata mi rovinasse la carriera, disse che sarebbe durata poco visto quanti guai combinava. In definitiva disse che se me ne fossi andata avrei fatto la fine di Elinor Richmon. Sa chi è Elinor, non è vero?”
“Sì, sì, ne ho sentito parlare.”

“Beh, Marguerite sa essere molto convincente. Si inventò non so che patetica storiellina di facciata per chiunque chiedesse qualcosa e convinse James a raccontarmi la balla del… come l’aveva chiamata Marguerite? Ah sì! La balla del cavalier cortese. James gliene avrà parlato sicuramente. Avrei fatto finta di credere che quei due bastardi si amassero alla follia e sarei stata la ragazza comprensiva che non si oppone al vero amore. Quante puttanate…” scosse la testa con aria divertita. “Meno male che sono una brava attrice, no?”

Gregory assentì con il capo. “E non le dava fastidio fingere?”

“Oh, all’inizio sì, ma poi ci sono state le due settimane del silenzio. Una delle soddisfazioni più grandi della mia vita. E in fin dei conti, mi ha anche fatto un favore facendomi evitare di sposare James.” sorrise in un modo che Lestrade giudicò inquietante. “James… Oh, quanto avrei voluto evirarlo. Lui era il vero colpevole nei miei confronti, non lei, sebbene anche lei avesse la sua parte di colpa. Comunque il fatto che si dovessero sopportare a vicenda per me era già una grande soddisfazione.” spostò una ciocca di capelli castani dietro l'orecchio. “Quindi, vede detective, avevo raggiunto un equilibrio.”

Lestrade controllò i suoi appunti, cercando in particolare un passaggio dell'interrogatorio di James Wright. “Sia lei che il signor Wright avete riferito le parole cavalier cortese in relazione alla storia di facciata. Perché?” 

“Era il termine che aveva usato Marguerite, penso ci sia rimasto in mente.”

“Mi parli un po' del suo rapporto con Marguerite.” 

“Marguerite…” Emily cercò le parole. “Marguerite è una donna forte. È una amica, ma prima di tutto è il mio capo. Si aspetta un certo livello di professionalità.”

“Sapeva della relazione tra Georgie ed Edward Hunt?”

La ragazza ebbe un istante di esitazione. “No. No, non lo sapevo.” 

Lestrade fu certo che stesse mentendo. “Ne è certa?”

“Sì.” 

“C’è qualche motivo in particolare per cui potrebbe stare mentendo a un detective della omicidi? Il suo lavoro vale così tanto?”
“Non sto mentendo!” si affrettò a rispondere lei, con una nota di panico nella voce. 

“Nemmeno se le dicessi che Marguerite ne era già al corrente?” 

Emily sembrò visibilmente sollevata. “Non sto mentendo, non ne ero al corrente, ma se ipoteticamente lo fossi stata, quale sarebbe la sua prossima domanda?”
Lestrade sfoderò la sua migliore espressione di soddisfazione. “Se, ipoteticamente certo, mi avesse mentito, sarebbe stato a causa di Marguerite?”

Emily non rispose, ma Gregory non ne aveva bisogno.

 

Ore 16:17, Broadway, New Scotland Yard, sala interrogatori

Pamela Huston era ostile. Gregory poté dirlo solo guardando la sua postura. Schiena rigida, braccia incrociate strette contro il petto e uno sguardo che sembrava voler trapassare il vetro a specchio. Questa sarà un osso duro, pensò prima di varcare la soglia della sala interrogatori.

“Buon pomeriggio, signorina Huston.” cercò di essere il più cordiale possibile.

“Non direi, detective. Mi avete fatto aspettare tutto il giorno su una scomodissima sedia di plastica.” 

Gregory respirò profondamente, preparandosi psicologicamente ad affrontare l’interrogatorio.

“Ci dispiace, signorina Huston, ma non è stato possibile fare altrimenti.”

Pamela sbuffò. “Facciamo in fretta. Cosa deve chiedermi?”

“Mi parli del suo rapporto con Georgie Wilson.”
Pamela sbuffò, sollevando gli occhi al cielo. “Senta, detective, so che non si parla male dei morti e tutte quelle cose lì, però… Non posso mentirle e dirle che Georgie era la mia migliore amica. Non la sopportavo. Non le parlavo che in scena.”
“Come mai?”
“C’è bisogno di chiederlo?” ghignò sarcastica. “Era una stronza. Ci sono certe cose che non si possono fare. E Georgie prontamente le faceva tutte.”

“Cose illegali?”

“Intendevo cose non etiche come andare a letto con un ragazzo fidanzato che non le interessava solo perché poteva o presentarsi alle prove ubriaca, ma sì, anche illegali. Georgie si drogava, l’ultima volta che ho controllato non era legale farlo.”

“Non che io possa metterla in galera, adesso.” replicò il detective. “Questo è il solo motivo della sua ostilità?”
“Senta, detective, io mi sono diplomata alla LAMDA con una borsa di studio e lavorando di sera, mi sono fatta il culo per arrivare dove sono, misere particine di contorno, ma va bene, non è questo il problema. Non so che tipo di agganci avesse, una può anche tornare da Los Angeles e trovare lavoro alla prima audizione che fa, ma non può non venire licenziata se si presenta alle prove ubriaca la metà delle volte e fatta l’altra metà. Non quando Elinor ha perso il lavoro per molto meno. C’è qualcosa di fondo che tocca, non trova, detective? Io non ho mai venduto il mio corpo per mantenere un lavoro.”
“Neanche Georgie lo ha mai fatto.” rispose Lestrade. “Richard Mason era suo zio.”

Pamela aprì e richiuse la bocca un paio di volte, sbalordita. Poi scosse la testa, sospirando. 

“Ok, è un po’ meglio di come sembrava. Nepotismo invece di prostituzione, d’accordo. Questo non toglie che lei fosse privilegiata.” 

“No, ovviamente no.” sospirò Lestrade, stanco.. “C’è altro che pensa potrebbe aiutarci?” 

“No, Detective.”

“Mi può dire dove si trovava ieri sera tra le nove e le dieci?”

“Ero con la mia ragazza, Meredith.”

Gregory annuì alla conferma dell’alibi che la costumista tuttofare aveva dato per entrambe nell’interrogatorio precedente.

“Cosa pensa dei rapporti tra Georgie e il resto della compagnia.” 

“Con il resto della compagnia intende Emily?” chiese, suonando quasi maliziosa.

“Anche. In realtà ero più interessato a Marguerite.” 

“Marguerite? Perché?” chiese, circospetta. La domanda sembrava averla messa in allarme.

“È al corrente della relazione tra la vittima e il signor Hunt?” 

Pamela sembrò indecisa su come rispondere. La sua sicurezza vacillò, mentre cercava di riflettere velocemente. Poi si rese conto che i tempi scenici erano andati a puttane e che anche se avesse negato Lestrade avrebbe capito che stava mentendo. 

“Sì. Sì, ne ero al corrente. Penso che lo sapesse praticamente tutta la compagnia.” 

“Sembra terrorizzata dalla possibile reazione della signora Hunt a questa affermazione…” 

“No. Marguerite è il mio capo, ma non può biasimarmi per aver fatto finta di non vedere quando lei stessa faceva la stessa cosa.”

“Prego?”

“Io... So che Marguerite sapeva. L'ho sentita litigare con Richard. Non volevo origliare, ma le loro voci si sentivano a chilometri di distanza, così ho sentito che Marguerite voleva cacciare Georgie e Richard si era opposto.” 

“Quando è accaduto questo?”

“Due giorni fa.”

Lestrade prese un altro appunto sul taccuino. Da questa discussione avrebbe potuto rivolgere altre domande alla signora Hunt e al signor Mason. Perché nessuno dei due gliene aveva parlato?

“Cosa mi dice di Emily, invece?”

Pamela inarcò le sopracciglia. “Emily è stata molto intelligente a non farsi rovinare la carriera da quell’idiota.” 

Lestrade le rivolse uno sguardo interrogativo. 

“Se Emily se ne fosse andata, Marguerite non l'avrebbe presa bene.” Spiegò Pamela, senza bisogno che il detective formulasse una vera e propria domanda. “Ha un certo potere in questo ambiente. Diamine, non sono la prima che interroga, le avranno già raccontato tutta la storia di Elinor Richmond.” 

Gregory annuì.

“Fu il caso più eclatante, ma non l'unico. Un sacco di persone che avevano il potenziale per diventare qualcuno, una volta licenziate da Marguerite, hanno dovuto cambiare settore. Per questo credo che Emily sia stata molto intelligente a non voler avere più nulla a che fare con Georgie. Ha trovato un suo equilibrio. Se avesse continuato a litigare con lei... Marguerite avrebbe cacciato Emily, Georgie era protetta.”

Lestrade annuì, riflettendo. 

“C'è altro, detective?”

“No, la ringrazio. Può andare.”
“Finalmente.”

 

Ore 17:12, Broadway, New Scotland Yard, sala interrogatori

Da quello che Lestrade aveva potuto capire nel corso della sua lunga carriera le ultime testimonianze erano utili solo a confermare quello che gli altri gli avevano già detto. Si tenevano per ultimi quelli con i moventi più deboli, quelli che effettivamente non avevano granché da guadagnare dalla morte della vittima. Fortunatamente gli rimanevano solamente tre persone. Con un sospiro si apprestò ad ultimare gli ultimi interrogatori.

A guardarlo da lontano Ryan Price sembrava dispiaciuto, non stava piangendo certo, ma non sembrava nemmeno troppo felice della prematura dipartita di Georgie Wilson. 

“Buon pomeriggio, signor Price.” accennò con il capo, sedendosi.

“Buon pomeriggio, detective. Come posso aiutarla?” rispose gentilmente.

“In che rapporti era con Georgie Wilson?”

Ryan scrollò le spalle. “Nessuno in particolare. Eravamo colleghi.”

“Nessun astio?”
“No. Nessuno. Non parlavamo molto.”

“La signorina Huston mi ha raccontato di certi atteggiamenti poco professionali di Georgie. Cosa mi dice a riguardo?”

Ryan si umettò le labbra. “Ognuno fa della sua vita quello che ritiene più giusto.” scrollò le spalle di nuovo. “Non sta a me giudicare se quello che faceva Georgie fosse giusto o meno. Sì, aveva vita facile, ma è finita uccisa.” Si mordicchiò il labbro inferiore, indeciso se continuare. “Mi dispiace per lei. Non vorrei sembrare cattivo, ma chi semina vento raccoglie tempesta. L’ultima volta che mi ha rivolto la parola era talmente fatta che mi ha confuso con un suo compagno di università.”
“Si spieghi.”

“Io sono Americano, detective, e, al contrario di quasi tutto il resto della compagnia, ho studiato in America, alla Julliard. Georgie era incredibilmente convinta, nei fumi della droga, che fossi un suo compagno di scuola della AADA. Era una ragazza così giovane e si è rovinata così in fretta.”
“Quando è accaduto questo?”
“Tre-quattro giorni fa. Non ci siamo più parlati da allora. Non avevamo molti rapporti, gliel’ho già detto.”

Gregory annuì. 

“Mi dica, signor Price, Georgie ci ha mai provato con lei?”

Ryan si prese qualche secondo di tempo per rispondere, fissandosi le mani intrecciate in grembo. “Sì, ci ha provato con me. È stato tre anni fa, prima che io e Jocelyn ci mettessimo insieme. Georgie mi lanciava frecciatine da mesi, poi una sera tentò di portarmi a letto. Io la rifiutai-”

“La rifiutò?”

“Avevo una cotta terribile per Jocelyn, lei stava a malapena iniziando ad accorgersi di me, non potevo rischiare di rovinare tutto solo per una scopata, non crede?”

Lestrade annuì, invitandolo a proseguire.

“Quando Jocelyn seppe che che tra me e Georgie non c’era stato nulla, mi diede una possibilità. Il giorno dopo Emily la beccò con James. Ho sempre pensato che si fosse fatta scoprire apposta per dimostrarmi qualcosa. Penso che quello sia stato il punto di rottura.”

“Il punto di rottura?”

“Sì. Georgie non era mai stata rifiutata. Dopo tutto il casino con James ed Emily e aver rischiato di essere cacciata è peggiorata. È andata giù di testa, ha cominciato a drogarsi.” sospirò. “Io… non riesco a fare a meno di pensare che lei non sarebbe morta se non fosse stato per me.”

“Non è colpa sua, signor Price. Sono cose successe anni fa.” tentò di rassicurarlo Lestrade.
Ryan annuì, mordendosi il labbro. 

“Un ultima cosa, signor Price. Dove si trovava ieri sera tra le nove e le dieci?”

“Ero con Jocelyn. Siamo andati a mangiare in un ristorante italiano vicino al nostro appartamento. Poi io mi sono sentito male e siamo tornati a casa. Non vorrei indulgere in orribili dettagli, ma ho passato tutta la notte in bagno con Jocelyn che faceva la spola con la cucina per portarmi dell’acqua e bicarbonato. Verso le due del mattino siamo andati al pronto soccorso, ma non é che potessero fare molto per un'intossicazione alimentare, quindi ci hanno rispedito a casa.”

 

Ore 17:58, Broadway, New Scotland Yard, sala interrogatori

Jocelyn Smith lo accolse con un sorriso. 

Erano quasi le sei di sera, Lestrade aveva interrogato quasi tutti gli attori della compagnia e l’unica cosa che era riuscito a cavarne fuori era un dannato mal di testa. 

Gli agenti della scientifica avevano lavorato tutto il giorno alla scena del crimine per poter rendere accessibile il palco per il giorno successivo. Gli attori dovevano assolutamente provare, la prima dello spettacolo era tra quattro giorni e la compagnia aveva appena perso l’attrice principale. 

Gregory aveva ricevuto pressioni per sbrigare in fretta gli interrogatori degli attori e lasciarli liberi di tornare al loro lavoro. Come se il lavoro di Gregory fosse meno importante di una stupida recita. 

“Buonasera, signorina Smith. Mi scusi se non mi perdo in troppi convenevoli. Che rapporto c’era tra lei e la vittima.”
“Georgie era una collega.”
“Incomprensioni? Astio? Rancori?”

“No.” Jocelyn scrollò le spalle. “Voglio dire, non pensavo che Georgie fosse una bella persona, ma non la volevo morta. In realtà avrei dovuto ringraziarla. Se non ci avesse provato con James, adesso non starei con lui.”

“Che relazioni aveva Georgie con il resto della compagnia?”

Jocelyn rifletté per qualche istante. 

“Non era in buoni rapporti con la maggior parte dei miei colleghi. Sa benissimo cosa ha fatto a Emily e Marguerite non la poteva vedere.”

“Georgie faceva uso di droghe?” cambiò repentinamente discorso Lestrade. Se avesse sentito ancora una volta quanto Emily fosse stata maltrattata gli sarebbe esplosa la testa. 

“Sì. Personalmente l'ho vista più di una volta sotto farmaci.” 

“Sa che tipo di droghe prendesse?”

“No, detective. Non ne ho idea.”

“Più o meno quando ha cominciato a drogarsi?”

“Non saprei, all'incirca un anno fa.”

“Il suo fidanzato pensa che abbia iniziato a drogarsi per essere stata rifiutata da lui.”

Jocelyn sorrise. “È abbastanza pretenzioso, non crede? Pensare di essere tanto importante da mandare in crisi una ragazza, intendo.”

“Pensa che ci fossero altri motivi per cui Georgie possa aver cominciato a fare uso di sostanze?”

“Non lo so, detective.” Jocelyn scrollò le spalle. “Sicuramente il fatto che Ryan l'abbia rifiutata non ha aiutato, ma... arrivare a drogarsi? Penso sia più probabile che fosse la sua reazione al fatto di aver rischiato di essere cacciata.” 

“Quanto esattamente era arrabbiata la signora Hunt?”

“Abbastanza. L'ira di Marguerite è una delle cose più spaventose al mondo.” 

“Per le conseguenze che porta alla carriera?”

“Sì…"

“Ma?” Chiese Lestrade, intuendo che la ragazza gli stesse nascondendo qualcosa. 

“Quando Marguerite è arrabbiata vorresti solo essere in un altro posto, non importa se non farai mai più il tuo lavoro. Voglio dire, è davvero terribile. Ti fa sentire come... come... come se fossi un incompetente che non merita di stare al mondo, che lei vorrebbe eliminare dalla faccia della Terra.” 

Il detective inarcò le sopracciglia, perplesso. “Che lei vorrebbe eliminare dalla faccia della Terra?”

“Oh, detective, non mi fraintenda! Marguerite non farebbe male ad una mosca, ma…" 

“Ma?” la incalzò il detective. La ragazza desiderosa di collaborare era appena scomparsa per lasciare il posto a Miss Labbra Cucite. Avrebbe dovuto tirare fuori con le pinze ogni parola. 

“A volte dà l'impressione che potrebbe farti molto male.” mormorò.

“Ha mai avuto la sensazione di essere in pericolo? Che la signora Hunt volesse fare del male a lei... o a un qualunque altro membro della compagnia?”

“Marguerite non ha ucciso Georgie, se è quello che mi sta chiedendo!” Jocelyn sembrava molto sicura di sé, ma per Lestrade era abbastanza evidente come la ragazza stesse semplicemente tentando di coprire il suo capo. 

Decise di smettere di insistere dal momento che non aveva in mano nessuna prova per poter anche solo fingere di accusare la signora Hunt. 

“Che mi dice del suo alibi? Dov'era ieri sera tra le nove e le dieci?”

“Con Ryan. Eravamo usciti a cena, ma lui si è sentito male. Intossicazione alimentare. Siamo tornati a casa verso le nove e siamo usciti verso l'una, l'una e mezza per andare al pronto soccorso. Non che siano stati molto utili, beninteso. Si sono limitati a dirmi di fargli acqua, bicarbonato e limone... come se glielo non avessi già fatto a casa!”

“Verso che ora siete rientrati?”

“Circa verso le tre e mezza.”

Gregory non si era aspettato molto dagli ultimi interrogatori, così non fu troppo deluso nel congedare Jocelyn Smith.

 

Ore 18:49, Broadway, New Scotland Yard, sala interrogatori

Lestrade sospirò davanti alla sala interrogatori. Eva Thompson era l'ultima delle persone che avrebbe dovuto interrogare e, nonostante avesse un disperato bisogno di cibo e avrebbe venduto un organo - poteva fare a meno di un rene, no? - pur di poter mettere le mani su qualcosa di più solido dello scadente caffè del Dipartimento, era soddisfatto di sé stesso. Dieci testimoni in un giorno, aveva battuto il suo record.

Pregò solo di non aver dimenticato di chiedere qualcosa di essenziale nel tentativo di finire in tempo. Si sa che la gatta frettolosa fa i gattini ciechi. 

“Buona sera, signorina Thompson.” la salutò gentilmente.

“È signora.” lo corresse quella, piuttosto seccata.

“È sposata?”

“Vedova.”

“Mi scusi, signora Thompson. Che rapporti aveva con la vittima?”

Eva Thompson sorrise acida. “Sono lieta di poter dire che non ne avevo alcuno.” 

“Ne è sicura?”

“Certo che ne sono sicura. Quella ragazzina insopportabile! Non posso negare di non essere contenta che sia morta. Ma non sono stata io ucciderla, se è questo che pensa, detective.”

“Non stavo di certo insinuando questo, signora Thompson.”

“Certo che no, vorrei ben vedere.” replicò quella tranquillamente. 

“Mi stavo solo chiedendo cosa ne pensasse lei della ragazza dal momento che ho già ascoltato il parere del resto della compagnia.”

“Oh, detective, sta scherzando? Non è ovvio? Di certo non si aspetterà che le dica che la apprezzavo. Era semplicemente una sciacquetta. Nient'altro. E ha avuto la fine che si meritava, a mio modesto avviso.”

“Non le sembra un giudizio un po' severo?”

“Se lei l'avesse conosciuta, direbbe la stessa cosa.”

“Si spieghi.”

“Oh, non mi costringa ripeterle quello che avrà già sentito decine di volte, oggi. Quella ragazzina era un idiota. Aveva l'opportunità di una vita, recitare con la compagnia teatrale migliore di Europa, e cosa fa? La getta via, vieni alle prove ubriaca, fatta, scarmigliata, fuori di sé. Marguerite avrebbe così tanto desiderato cacciarla, ma non poteva perché Richard non gliel'avrebbe permesso. Non mi chieda che rapporti c'erano tra Georgie e Richard, non sono affari miei, ma posso dirle che qualcosa non tornava.”

“Sapeva che Georgie era la nipote di Richard?”

“Nipote?”

“Richard Mason era suo zio.”

Il volto di Eva si aprì in un'espressione di sorpresa. “Non ne ero a conoscenza.”  Rifletté sulla notizia. “Io... Non le nascondo che la notizia mi ha sorpreso parecchio. Sono certa che sia stata la reazione di chiunque lo abbia saputo. Georgie era così... disinibita, che qualcuno avrebbe potuto pensare male di lei.” ammiccò con espressione maliziosa. 

“Sì, mi pare di averlo già sentito dire oggi. Quindi non è per niente dispiaciuta della sua morte?”

“Non mi pare sia un reato. Se l'avessi uccisa, certo, sarebbe stata tutta un'altra storia, ma non è il mio caso. Le sembrerò colpevole o forse solo stupida, ma non mentirò dicendo che era una brava persona e che sono sempre i migliori ad andarsene. Le dirò che spesso quello che si fa torna indietro, tanto nel bene quanto nel male.” 

“Quindi secondo lei essere uccisa cos'è stato? Una punizione karmica?” chiese Lestrade irritato. Quella povera ragazza era morta, aveva un dannato coltello piantato nel petto e ce lo aveva messo un essere umano, non una dannatissima divinità vendicativa o che altro. Era stanco di sentire i suoi testimoni dire che la ragazza non sarebbe stata una perdita per il mondo. 

“Se la vuole mettere così…” rispose la Thompson, senza accorgersi del tono pericoloso nella voce del detective. 

Quello scattò in piedi, facendo tremare il tavolo metallico. “Era un essere umano, dannazione! Cosa mai potrà averle fatto per meritare di venire assassinata! Georgie Wilson non é semplicemente morta, signora Thompson, è stata uccisa da qualcuno e io troverò quel qualcuno e farò in modo che passi gran parte della sua vita in una prigione.” Si passò una mano sul viso, calmandosi. “Rimanga qui.” disse imboccando la porta. “Verrà un mio collega a raccogliere la sua deposizione sull’alibi.” 

Eva lo fissò uscire, stralunata. Che cosa era appena successo?

Lestrade si appoggiò al muro non appena ebbe chiuso la porta alle sue spalle. Che donna insopportabile! Si poteva arrestare qualcuno per cattiveria? No, ma era un peccato. Anche se avrebbe dovuto arrestare quasi l'intera compagnia, almeno avrebbe avuto il gusto di vedere quell'orribile ghigno cancellato dal viso di quella donna. 

Recuperato il controllo, si infilò nella stanza accanto dove sapeva si trovavano Sherlock e John. 

“Sherlock, è tutto il giorno che ti lamenti che non ti lascio interrogare i testimoni…” disse, senza neanche degnarli di uno sguardo. “Vai, è tutta tua.” Pensava che Sherlock sarebbe stato una punizione sufficiente per chiunque. 

Il minore degli Holmes tuttavia lo sorprese. “No, so già quello che devo sapere. Manda Donovan. Sono sicuro che nonostante tutto sia in grado di svolgere un compito così semplice. Ti aspettiamo nel tuo ufficio.” 

“Abbiamo ordinato cinese.” aggiunse John, cercando di rabbonirlo. 

Gregory sbuffò e andò a cercare Sally, ben consapevole che Eva Thompson nona avrebbe fatto altro che confermare l'alibi di Emily, dicendo che avevano visto un film insieme, e che tutto quello alla fine si sarebbe risolto con lui che firmava un sacco di scartoffie burocratiche. 

 

 


 

 

Atto I 

Scena III 

(Giorno 1)

 

Ore 20:57, Broadway, New Scotland Yard, ufficio di Gregory Lestrade

“Sembra una puntata di Beautiful.” sbuffò Lestrade pescando con le bacchette un pezzo di pollo alle mandorle dalla scatola di cartone. “Potrebbe averla ammazzata chiunque. E non possiamo essere nemmeno certi di chi stai dicendo la verità. Sono tutti dei dannati attori! Come distinguiamo chi sta recitando?”

“Se solo tu mi avessi lasciato parlare con gli attori…”

“No, Sherlock, vorrei ancora avere un lavoro alla fine di questo caso. Inoltre è stata la tua punizione per avermi lasciato come un allocco sulla scena del crimine.” 

Sherlock sbuffò. “Come se io non lo facessi tutte le volte! Quindi hai preferito sabotare il caso piuttosto che lasciarmi interrogare i sospettati?”

“Non ho sabotato il caso!” 

Prima che la conversazione degenerasse in un infantile battibecco, John si affrettò ad intervenire, cambiando abilmente discorso. “È già arrivato il rapporto della scientifica?”

Sherlock borbottò qualcosa di molto simile ad un insulto sull'incapacità di Anderson di svolgere anche il più semplice dei compiti, ma sia Gregory che John fecero finta di non averlo sentito. 

“Sì. Era davvero incinta, il mio caso è appena diventato un duplice omicidio.” 

“Sappiamo chi è il padre?”

“Sì, tenetevi forte perché è Edward Hunt.” rivelò Lestrade. “Ma la scientifica non ci può dire molto altro. Hanno trovato in un cassonetto il biglietto da cui veniva l’inchiostro sulla mano della vittima, ma non corrisponde a nessuno dei campioni di scrittura che abbiamo preso oggi ai testimoni. Inoltre mi hanno potuto dire solo che è stata uccisa con un pugnale di acciaio affilato manualmente e poco precisamente, il filo si ingrandisce e si restringe senza alcuna logica, quindi almeno sappiamo che chiunque sia stato non è un esperto.” 

“E ha premeditato l’assassinio.” aggiunse John. “Abbiamo l’imbarazzo della scelta.” sbuffò. 

Lestrade annuì con un cenno del capo, poi cominciò a contare sulle dita. “Edward Hunt potrebbe averla uccisa perché voleva rivelare che aspettava un bambino e che era suo. Marguerite Hunt potrebbe averla uccisa per lo stesso motivo. James Wright potrebbe aver mentito ed essere stato davvero innamorato di lei e averla uccisa per gelosia, forse una volta saputo del bambino fingere di non sapere non era più un’opzione praticabile. Emily Taylor potrebbe averlo fatto per vendetta, dopotutto James ha rotto il fidanzamento per una che è rimasta incinta di un’altro. Poi c’è Richard Mason, che non mi sembra il tipo, ma ora come ora non sono certo di nulla. Ed Eva Thompson, cielo, quanto vorrei fosse stata lei solo per poterla arrestare!”

“C’è qualcosa che non mi torna.” lo interruppe Sherlock improvvisamente. 

“Cosa?” chiese il detective. 

“Il movente. Hanno tutti lo stesso movente.”
“Quindi?”

“Mi manca un tassello. C'è qualcosa che non sono riuscito a capire, ma ho un piano per venirne a capo.”

“Oh, cielo!” John alzò gli occhi al cielo.
“Quale?” chiese invece Lestrade.
“Non hai notato la somiglianza fisica tra me e la defunta signorina Wilson?”
“Non vorrai…?”
“Certo, intendo prendere il suo posto nella compagnia.”

“Cosa?!” esclamarono Greg e John quasi all' unisono.

“Non mi ci vorrà più di qualche ora a imparare la parte.”

“Non è questo il punto…” tentò di farlo ragionare John, senza successo.

“Essere all’interno mi permetterà di investigare meglio.”
“Certo, sarebbe utile.” convenne Lestrade. “Ma come pensi di fare.”

Sherlock ghignò. “Qui entri in gioco tu. Devi chiamare mio fratello.”

Gregory lo fissò accigliato. Mycroft? Perché mai lui avrebbe dovuto chiamare Mycroft?

“Non di nuovo con questa storia, Sherlock!” si lamentò John. 

Il consulting detective si limitò a lanciargli lo sguardo di chi è consapevole di avere ragione. “Avanti.” porse a Gregory il telefono.

“Scusa,” aggrottò le sopracciglia quello, “quando esattamente mi avresti rubato il cellulare?”

“Mi annoiavo.”

Lestrade digitò il numero, senza nemmeno tentare di obiettare un’altra volta.Quando Sherlock si metteva in testa di fare una cosa non c’era nulla che si potesse fare per fargli cambiare idea. 

 

 

 

 

 

 

Atto II

Scena I

(Giorno 2)

 

Ore 07:22, Victoria Street, Apollo Theatre

John aveva pregato diverse divinità che Sherlock cambiasse idea. Era l’idea più stupida che avesse avuto e, per essere un genio, Sherlock aveva avuto parecchie idee stupide. 

John sbatté le palpebre ancora pesanti per il sonno, cercando di svegliarsi. Aveva trascorso tutto il suo giorno di riposo dietro al vetro a specchio di una sala interrogatori con Sherlock e quel giorno sarebbe dovuto andare al lavoro, quindi si era dovuto alzare due ore prima per poter accompagnare il suo folle amico nella sua folle impresa di interpretare Giulietta.

Il dottore si disse che avrebbe fatto decisamente meglio a rimanere a casa a dormire, invece che seguire il suo coinquilino nella tana del lupo. Marguerite Hunt fissava Sherlock con astio malcelato e nessuno degli altri attori sembrava particolarmente contento del nuovo acquisto.

Giulietta era una donna e i tempi di Shakespeare, quelli dove solo gli uomini potevano recitare, erano finiti. La regista avrebbe voluto per una volta scegliere senza pressioni dall’esterno, ma quello di Giulietta sembrava essere un ruolo destinato alle raccomandazioni. Quando era stata informata che Sherlock Holmes, il famoso detective, avrebbe preso il posto di Georgie Wilson, in un primo momento aveva pensato a uno scherzo. 

“Sì, molto divertente.” aveva risposto all’uomo dall’altro capo del telefono. 

Poi quello le aveva dimostrato che aveva il potere di far sì che la sua compagnia non recitasse mai più in alcun teatro, avrebbero fatto la fine di Elinor Richmond e questo Marguerite non poteva permetterlo. 

Tuttavia, guardando l’uomo di fronte a lei, si sentì spacciata. Nonostante la sua somiglianza con Georgie, la donna era certa che Meredith non avrebbe mai potuto truccarlo e vestirlo in modo tale da sembrare una donna. Era impossibile, sarebbe stato un disastro, un suicidio, portare in scena la tragedia in quelle condizioni. 

Ma non aveva altra scelta. Oltretutto non avrebbe mai potuto trovare un’altra attrice in grado di imparare in meno di una settimana la parte a memoria, mentre Sherlock aveva iniziato a snocciolarle l’intero copione, imparato in una notte. Era capitata in un incubo e aveva le mani legate. 

“D’accordo, sei dei nostri.” lo liquidò con un gesto di disgusto. “Iniziamo le prove generali tra due ore, passa da Meredith e vedi se riesce a farti un miracolo.” sbuffò. “E il tuo ragazzo non può stare qua.” disse, indicando John. 

John alzò gli occhi al cielo e aprì la bocca per ribattere che dannazione, no, non erano una coppia. Ma tanto era fiato sprecato con chiunque, per cui si limitò a sbuffare e ad andarsene. Era comunque di nuovo in ritardo per il lavoro, non poteva permettersi di perdere altro tempo o Sarah avrebbe finito per licenziarlo davvero. 

 

Ore 8:00, Victoria Street, Apollo Theatre

“Sai, non sono sempre così. Se li conosci meglio, finiscono per essere simpatici.” Meredith terminò di stringergli il vestito sui fianchi. 

“Qualcuno ha ucciso la tua amica e nessuno sembrava molto dispiaciuto.” la freddò Sherlock. 

“Non posso credere che sia stato uno della compagnia.” 

Sherlock non rispose, si supponeva che lui non sapesse nulla, sebbene Marguerite Hunt potesse aver sospettato qualcosa. In ogni caso, gli attori non avevano il tempo di leggere il blog di John, impegnati a esibirsi di teatro in teatro, di città in città.

Meredith tirò su con il naso. “D’accordo. Il vestito dovrebbe andare bene.”

Sherlock non degnò la sua immagine nello specchio nemmeno di uno sguardo. Non gli importava molto della tragedia, era lì solo per un’indagine e, per quello che lo concerneva, avrebbe anche potuto indossare solo un lenzuolo. 

“Magari con un po’ di trucco potrei metterti a posto.” disse lei. 

“Fa quel che devi” Poi Sherlock si chiuse nel palazzo mentale a riorganizzare le idee. Era più che certo che l’assassino non fosse Meredith, ma non si poteva mai dire. 

Un ora dopo la donna lo costrinse ad ammirare la sua immagine allo specchio. 

“Sai, sei strano.” gli disse. “Abbiamo donne che interpretano personaggi maschili, ma… nessun ragazzo si era mai proposto di interpretare un ruolo femminile.” 

“Immagino leda la loro virilità.” disse, cercando di far cadere il discorso il più in fretta possibile, ma Meredith sembrava decisa a intrattenere a tutti i costi una conversazione. 

“Uhm, sì, immagino che aiuti il fatto che tu sia gay.”

Sherlock non rispose. Davvero questa donna non aveva nient’altro da fare se non parlare? 

“Beh, che ne dici? Sei quasi credibile come donna. Vediamo che ne pensa il resto della compagnia.”

 

 

 

 

Atto II

Scena II

(Giorno 2)

 

Ore 19:30, Baker Street, 221B

“Come è andato il tuo primo giorno di lavoro, Giulietta?” lo prese in giro John a fine giornata. 

Sherlock per tutta risposta si lasciò cadere sul divano. 

“Dicono che non sono bravo a recitare, che non ci metto abbastanza pathos. Non è colpa mia se quello che devo dire è assurdo.”

“Assurdo?” John sedette sulla sua poltrona. “Come può essere assurdo? È Shakespeare!”

Sherlock alzò gli occhi al cielo. “Oh, John, ti prego! Tu m’ami?” iniziò a citare la sua parte. John lo fissò per un istante, boccheggiando, senza sapere cosa dire prima che Sherlock proseguisse. “So che mi rispondi “Sì”, ed io ti prenderò sulla parola; ma non giurare, no, perché se giuri, potresti poi dimostrarti spergiuro. Degli spergiuri degli amanti - dicono - ride anche Giove. O gentile Romeo, se m’ami, dimmelo con lealtà; se credi ch’io mi sia lasciata vincere troppo presto, farò lo sguardo truce e, incattivita, ti respingerò, perché tu sia costretto a supplicarmi… Ma no, non lo farei, per nulla al mondo! Che senso dovrebbe avere? In che modo dovrei dire una cosa del genere? È frustrante.”

“No, Sherlock!” sbuffò John “È romantico. Giulietta è innamorata.”

“Oh, per favore, innamorata!” Sherlock congiunse le mani sotto il mento con uno sbuffo. “Devo rendere il mio personaggio più realistico.”

“E scoprire chi abbia ucciso Georgie.” gli ricordò John. 

“Ovviamente.” 

Il silenzio calò nella stanza, Sherlock sembrava essere entrato nel suo Mind Palace. John si stiracchiò sulla poltrona, si guardò in torno con fare annoiato, poi si decise a rompere il silenzio. 

“So già che me ne pentirò, ma… vuoi una mano a ripassare il copione?”

Sherlock sembrò ridestarsi, improvvisamente attento. “Ma io so già il copione a memoria…”

“Ah, lascia perdere!” sbuffò John. 

“No, no, no! Ti stavi proponendo di aiutarmi a recitare?”

“Sì. Lascia perdere è stata un’idea stupida.” prima ancora che potesse finire di parlare Sherlock era in piedi e gli aveva lanciato in grembo il copione, aperto alla prima battuta di Giulietta. 

“No.” disse John dopo aver letto le prime battute della terza scena del primo atto. “Non ti chiamerò “farfalletta” né “agnellino”!”

“Oh, andiamo John, è solo un copione! Non fare il bambino.”

John aprì la bocca pronto a ribattere per le rime, per chiedere da che pulpito venisse la predica, ma sarebbe stato come parlare con un muro. Quindi la richiuse stizzosamente, osservando il copione.
Ebbene, farfalletta! Agnellino! Ma dove s’è cacciata? Dio ce ne guardi! Dov’è questa figliola? Giulietta, dove sei?

Che c’è? Chi chiama?” 

Tua madre.” 

Sono qua, signora madre. Desiderate?

“Oh, Sherlock, sei terribile!” lo interruppe John

“Ma non ho detto nemmeno tre frasi!”

“Ma sei terribile lo stesso. Ricominciamo da capo.”

Ore 22:30, Baker Street, 221B

John si lasciò andare contro lo schienale della poltrona, esausto. 

Allora sì, la luce del suo viso farebbe impallidire quelle stelle, come il sole la luce d’una lampada…” continuò a leggere. Era in quella parte della serata in cui le difese con cui circondava il cervello cominciavano ad abbassarsi e la mente divagava. John avrebbe quasi potuto dire che le parole che stava leggendo si adattavano perfettamente a Sherlock, se non fosse stato che nessun maschio eterosessuale lo avrebbe mai detto. “… e tanto brillerebbero i suoi occhi

su per i campi del cielo, che gli uccelli si metterebbero tutti a cantare credendo fosse finita la notte.” No, gli occhi di Sherlock non erano così luminosi. Forse solo un pochino. In fondo aveva quel luccichio negli occhi solo ogni volta che doveva indagare su un omicidio… No! John tentò di ricomporsi. “Guarda com’ella poggia la sua gota a quella mano... Un guanto vorrei essere, su quella mano, e toccar quella guancia!

Ahimè.”

“Dannazione! Sherlock, sei una quattordicenne innamorata, non un annoiato trentenne, mettitelo in testa! Sei disperata perché il tuo unico amore è a senso unico! Ci sono convenzioni sociali che vi impediscono di stare insieme e sai che la persona che ami non ti ricambierà mai.” cercò di istruirlo. 

Sherlock lo fissò in silenzio. “Sì, credo di capire cosa intendi.” rispose, guardandolo negli occhi, e John si sentì improvvisamente a disagio. Non era del tutto certo di voler sapere quale fosse il significato nascosto di quelle parole. 

“D’accordo. Riproviamo. Un guanto vorrei essere, su quella mano, e toccar quella guancia!

Ahimè!” ripeté Sherlock, fissandolo. Non sembrava esattamente qualcosa che avrebbe detto, ma il tono con cui l’aveva detto costrinse John ad alzare gli occhi dal copione. Sì, c’era decisamente un qualche significato nascosto dietro quello che aveva detto prima. 

“La tua battuta, John.”

“Oh, sì, certo. Dice qualcosa! Parla ancora, angelo luminoso…” John terminò il resto della frase, lasciando che Sherlock rovinasse una delle battute più famose dell’intera opera.

Romeo, Romeo! Perché sei tu Romeo? Ah, rinnega tuo padre, ricusa il tuo casato! O, se proprio non vuoi, giurami amore, ed io non sarò più una Capuleti!” incredibilmente, la battuta suonò estremamente naturale sulle labbra di Sherlock.  “Sai, credo di cominciare a capire questa Giulietta.” 

John finse di ignorare il suo sguardo. 

 

 

 

 

 

 

Atto II

Scena III

(Giorno 3)

 

Ore 12:45, Victoria Street, O Restaurante Português 

Sherlock avrebbe dovuto sinceramente ringraziare John per l’aiuto della sera prima. Persino Marguerite si era ritrovata vagamente sorpresa dal lieve miglioramento. Forse non sarebbe andato tutto a piedi per aria. 

Gli altri attori si erano dimostrati persino amichevoli nei suoi confronti.

“Ehi, amico, ti andrebbe di venire a pranzo con noi?” gli aveva chiesto James Wright, prima di staccare. “Andiamo in un ristorante portoghese qui vicino, se ti va di unirti a noi. Ryan ha fatto amicizia con il proprietario e ci fanno lo sconto!”

Sherlock aveva visto l’opportunità di studiare più da vicino i suoi sospettati, così ora si trovava seduto ad un tavolo con il resto dei suoi nuovi colleghi, strizzato tra James e Ryan, costretto ad ascoltare conversazioni insulse e assolutamente inutili. 

“Nos levarias três pastéis de bacalhau, dois cozido à portuguesa, quatro caldeirada de peixe, uma francesinha e... tu cosa prendi Sherlock?” ordinò Ryan, in un portoghese dall'accento marcato. Sherlock frugò nelle stanze del suo Mind Palace per cercare di riconoscere l'esatta zona di provenienza.

“Um caldo verde” rispose direttamente al cameriere nella sua stessa lingua. 

“Mesmo que você fala Portogues?” gli chiese il cameriere sorpreso. Erano molti quelli che provavano ad ordinare in un portoghese stentato, solo per mettere alla prova il corso di lingue del martedì tra lo yoga e il corso di cucina, ma raramente gli capitava qualcuno che sapesse rispondergli decentemente. 

“Eu aprendì há algum tempo atrás.” Era vero, lo aveva imparato qualche tempo prima. Una delle tate che lui e Mycroft avevano avuto era brasiliana. 

“Volto imediatamente com suas ordens.” Il cameriere gli rivolse un cenno con il capo prima di rassicurarli sul fatto che sarebbe tornato subito con i loro ordini. 

“Anche tu parli portoghese, allora?” gli sorrise Ryan. 

Sherlock annuì. “Sono stato un po' di tempo in Portogallo.” Al tempo però non aveva avuto modo di fare molte chiacchiere, impegnato com'era a smantellare la rete di Moriarty. 

“Anche io.” rispose quello, il tono di voce un po' meno entusiasta. 

“Il tuo accento, però, non è portoghese.” sembrò riflettere Sherlock. “Nemmeno brasiliano. Sembra più… di Capo Verde.”

Ryan fece un sorriso tirato. “Mai stato a Capo Verde in tutta la mia vita.” 

Sherlock seppe immediatamente che stava mentendo. L’unica domanda era: perché? Cosa aveva da nascondere?

Capo Verde… Capo Verde… “È un paese senza estradizione.” disse il Mycroft del suo Mind Palace.  

Ricordati cosa ha detto Ryan al suo interrogatorio.” prese la parola Lestrade. “Georgie lo aveva confuso con un suo vecchio compagno di scuola. Forse non lo aveva confuso, forse era davvero lui.

E quanto è facile corrompere un funzionario per cambiare nome a Capo Verde?” gli diede man forte Mycroft. 

Un movente completamente diverso…” comprese Sherlock. “Potrebbe funzionare! Suppongo dovrò cominciare a seguire questa pista.

“Ah, il mio orecchio non è più quello di una volta, però Capo Verde sembra un bel posto da visitare.” abbozzò allora, nel tentativo di non metterlo in allarme. 

Ryan ne convenne e la conversazione ritornò su binari più sicuri. 

Sherlock finse di ascoltare attentamente ciò che diceva chi lo circondava, in realtà chiusi in sé stesso cercando di analizzare la nuova scoperta. 

Lestrade aveva detto che l'alibi era stato confermato. L'infermiera di turno si ricordava di Ryan, gli aveva somministrato 20 mg di Domperidone, sotto ordine del medico, e gli aveva consigliato acqua e bicarbonato. A suo avviso, il ragazzo non sarebbe potuto andare da nessuna parte senza un secchio a portata di mano, era abbastanza improbabile che fosse stato lui ad uccidere Georgie. 

Eppure...

 

 

 

 

 

Atto II

Scena IV

(Giorno 3)

Ore 19:35, Baker Street, 221B

“Tu hai fatto cosa?” sbraitò John, quasi istericamente.

“Ho invitato a cena Ryan Price e Jocelyn Smith.” replicò quello, molto tranquillamente.

John annaspò. Doveva dire qualcosa, qualunque cosa che esprimesse la completa insensatezza delle azioni di Sherlock e che gli dimostrasse come in alcun modo questo non si sarebbe potuto realizzare. Così disse la prima cosa che gli venne in mente. “Non ti aspetterai che cucini io!” 

“E chi altro dovrebbe farlo?”

“Sherlock, giuro che un giorno di questi ti ammazzo!” 

“Suvvia, John, non è la fine del mondo.” 

“Non è- Non è la fine del mondo? Sherlock, hai invitato a casa nostra un omicida e la sua fidanzata!” 

“È la sua complice.” Lo corresse l'altro. “Ad ogni modo, non ho ancora provato che sia un assassino. È a questo che serve la cena di domani.”

John si lasciò cadere sulla poltrona. “Spiegami, come sei arrivato a credere che il colpevole fosse una delle poche persone che sembravano innocenti?”

Sherlock sorrise, come faceva ogni volta che doveva spiegare le sue geniali intuizioni. Dannato pavone vanitoso!

“Mi ha insospettito il fatto che avesse mentito sul suo portoghese. Aveva un accento particolare e…”

John strabuzzò gli occhi. “Accento portoghese?”

“È una lunga storia, non divagare. Comunque diceva che aveva imparato la lingua in Portogallo, ma l'accento corrispondeva con quello di Capo Verde, uno stato senza estradizione. Quindi mi è tornato in mente che all'interrogatorio con Lestrade aveva detto che Georgie lo aveva confuso con un suo compagno di scuola.” 

“E quindi?” chiese John confuso. Sherlock non poteva davvero star suggerendo che Ryan avesse mentito sulla sua identità. 

“Ho fatto una telefonata alla Julliard. Ryan Price non si è mai diplomato.” 

“Ok, ha mentito sulla sua carriera scolastica, non credo che…”

“No.” lo interruppe Sherlock, tirando fuori una foto da uno dei fascicoli che ricopriva il tavolino del salotto. “Questo è Ryan Price.”

“Oh.” fu l'unica risposta di John osservando il ragazzo nella foto. “Chirurgia estetica?” tentò di scherzare.

“Non ti sembra strano che una ragazza lavori a stretto contatto con un ragazzo per quattro anni e si accorga solo adesso che assomiglia incredibilmente ad un altro ragazzo?”

“Era drogata... Non è detto che non si sia comunque confusa.” 

“Oh, John, non hai letto il rapporto completo dell’autopsia?” 

John stiracchiò le labbra, colpevole. Non aveva avuto tempo di leggerlo. 

“Da quando aveva scoperto di essere incinta Georgie aveva smesso di drogarsi. Non si faceva da due mesi e mezzo.”

“Era pulita.” si sorprese il dottore.

“Sì. Ho controllato la sua cartella clinica. Georgie aveva iniziato a drogarsi a quindici anni, Richard Mason ha confermato che l'unico modo che la madre trovò per farla smettere fu permetterle di andare a studiare recitazione all'estero. Era il suo sogno e si era mantenuta pulita da allora. Poi tre anni fa ha ricominciato a farsi.” 

“Tre anni fa?” Tentò di approfondire John, cominciando a capire dove voleva andare a parare.

“Tre anni fa. Nello stesso giorno in cui Emily trovò James nel mezzo del coito con lei.” 

“Non era pienamente in sé quando accadde.”

“E il giorno prima ci aveva provato con Ryan, a detta sua.” 

“È stato lui a drogarla!” esclamò quasi sotto shock. 

“Esatto. Non lo aveva avvicinato per portarselo a letto, ma per chiedergli perché stesse mentendo sul suo nome.”

“E l'ha drogata! Cristo!” esclamò, sconvolto.

“Sì. Una volta ricominciato, la droga aveva schiacciato la sua volontà. Ha trovato la forza di smettere solo per il bambino. L'astinenza in quelle settimane deve essere stata una tortura.” 

John cercò rapidamente qualcosa per portare avanti il discorso, consapevole del falò che Sherlock stesse parlando per esperienza personale. “Poi, una volta sobria, è tornata a chiedere spiegazioni a Ryan e lui l'ha uccisa.” 

“Corretto.”

“Ma perché? Cosa aveva da nascondere?”

“Ancora non lo so. Ho inviato una foto del nostro Ryan al Detective Gregson di New York, mi doveva un favore per un paio di casi che lo avevo aiutato a risolvere. Dice che mi darà una risposta domani, così sapremo la vera identità del nostro assassino.” 

John si lasciò andare contro la poltrona. “Sai già che è lui, perché l'hai dovuto invitare a cena?” 

“È stato lui a ucciderla, sono sicuro. Ma non posso provarlo finché non smonto il suo alibi.”

“E ti servirà una cena per farlo?”

“Aspetta e vedrai.” 

 

 

 

 

 

Atto II

Scena V

(Giorno 4) 

 

Ore 13:00, etere

 

“Pronto?”

“So cosa ha fatto Ryan Price.”

“Buongiorno anche a te, Sherlock.”

“Sta zitto e non farmi perdere tempo. Ho solo qualche minuto prima di dover tornare sul palco. Gregson ha risposto alla mia e-mail. Il nostro uomo si chiama Paul Ellis, ricercato per l'omicidio di un agente di polizia durante una rissa in un bar di Austin.”

“Ed è fuggito dall'altra parte del mondo?” 

“In Texas c'è la pena di morte per l'omicidio di un membro della forza pubblica.” 

“Oh.”

“Già. E indovina che accademia di recitazione ha frequentato?”

“La AADA.”

“Esatto. È fondamentale smontare il suo alibi, stasera. Cosa cucinerai?”

“Sherlock! Scordatelo!”

 

 

 

 

 

 

Atto II

Scena VI

(Giorno 4)

 

Ore 19:00, Baker Street, 221B

Invece John alla fine aveva cucinato. Quasi. Se solo la metà degli accidenti che gli aveva augurato mentre metteva l'arrosto preparato da Mrs Hudson in forno fossero davvero accaduti a Sherlock, per l'ora di cena quello sarebbe morto in almeno cinque costruttivi e fantasiosi modi diversi.

Il dottore cercò di evitare di far attaccare il sugo per la pasta e aprire il forno contemporaneamente, mentre il trillo insistente del timer gli ricordava che doveva assolutamente tirare fuori l'arrosto ora, in quel preciso momento e istante. Se solo Sherlock non si fosse chiuso in bagno non appena arrivato, rimanendoci un'ora, ma gli avesse dato una mano, forse ora John non starebbe combattendo contro l'intera cucina. 

In quel mentre il campanello suonò. 

“Sherlock, vai ad aprire!” gli ordinò John, cercando di chiudere il forno con un piede e non far cadere la teglia. 

Dal bagno giunse solo uno sconsiderato grugnito e un rumore metallico. 

“Sherlock, che diavolo stai facendo? Vai ad aprire!”

Solo allora il suo coinquilino si decise ad uscire dal bagno, con uno sbuffo. Si tolse la maglietta mezza bagnata - causando quasi un colpo apoplettico a John che di certo non se lo aspettava, ma era solo la sorpresa, certo, perché lui era indiscutibilmente eterosessuale, nessuna reazione davanti al petto marmoreo dell'uomo con cui condivideva la vita - e la gettò, insieme all'oggetto che aveva causato il rumore metallico di poco prima, alla rinfusa nella sua camera, infilandosi una camicia dalla testa mentre andava ad aprire. 

“Non ti chiederò cosa ci facevi con una chiave inglese nel nostro bagno, non lo voglio sapere.” disse John, non appena ebbe recuperato l'uso della parola. 

Sherlock non rispose, preferendo aprire la porta ai suoi ospiti. 

“Buonasera.” li salutò facendosi da parte per lasciarli entrare. “Posso prendere i vostri cappotti?”

“Sì, grazie.” Jocelyn fu la prima a rispondere. “Cielo, che bella casa che avete!” sembrava entusiasta. 

In quel mentre John uscì dalla cucina per accogliere gli ospiti. “Buonasera.” 

“Oh, tu devi essere John.” Jocelyn gli tese la mano. “È stato molto gentile da parte vostra invitarci a cena.” 

John gliela strinse cordiale, mentre Ryan appioppava a Sherlock una teglia di quella che sembrava torta di mele. 

“Jocelyn ha insistito per portare il dolce.” spiegò quello. 

“Lo porto subito in cucina.” disse e si volatilizzò, lasciando che fosse John a vedersela con tutti i convenevoli. Una cena gli era sembrata una buona idea per ottenere il suo scopo, ma ora si chiese se non sarebbe stato più facile e sicuro attuare il suo piano a teatro. Non che Sherlock fosse particolarmente empatico, ma, a giudicar dal piuttosto elevato numero di volte in cui John aveva assolutamente negato di essere gay, era piuttosto sicuro che il fatto di aver detto ai loro ospiti di essere una coppia lo avrebbe irritato - ma dire loro che John voleva assolutamente conoscerli, visto che erano le uniche due persone con cui avesse per lo meno scambiato due chiacchiere, era stato l'unico modo per convincerli ad accettare l'invito. 

Sedettero al tavolo della cucina - opportunamente liberato da qualunque pezzo di esperimento stesse conducendo al momento, pulito, disinfettato, spostato in salotto e apparecchiato dal solo John, cosa che era costata a Sherlock e ai suoi ospiti assassini una buona mezz'ora di improperi da parte dello stesso dottore, che aveva cominciato a sentirsi sempre più una casalinga.

Tutto sommato le cose stavano andando parecchio bene, constatò Sherlock a metà della cena. Il bicchiere di Ryan era costantemente pieno o di vino o di acqua e Sherlock era stato molto attento ad essere sempre lui a versare le bevande al ragazzo. 

Controllò l'orologio, prima di fingere di prestare ascolto all'ennesimo aneddoto di Jocelyn sulla vita da attore. Secondi i suoi calcoli presto il suo piano sarebbe andato a buon fine. 

Jocelyn stava appunto raccontando di uno spettacolo che la compagnia aveva portato in scena poco tempo prima e di come il giorno della prima fosse andato quasi tutto a rotoli, quando Ryan la interruppe, con grande soddisfazione di Sherlock.

“Scusate, dovrei usare il bagno…”

Gli indicò la porta, sogghignando internamente. Ancora qualche secondo e il suo piano sarebbe riuscito. Jocelyn intanto aveva ripreso a raccontare come il sipario si fosse aperto per il terzo atto al momento sbagliato, prima che tutti fossero ai loro posti, ma fossero riusciti comunque a portare a termine lo spettacolo senza intoppi. 

“Ehm, mi spiace davvero tanto, ma credo che ci sia un problema con lo sciacquone.” disse desolato Ryan uscendo dal bagno. 

Sherlock scattò in piedi prima ancora che il ragazzo avesse finito di parlare. “Oh, lo fa sempre. Non ti preoccupare, ci penso io.” lo rassicurò. 

John non fece nemmeno in tempo ad aggrottare le sopracciglia che Sherlock era già sparito, chiudendosi la porta del bagno alle spalle. Che cavolo aveva in mente adesso?

“Oh, ehm, sì, è una casa vecchia.” non trovò niente di meglio da dire. In assenza di un piano si mantenne sul vago. “Pensavo che fossimo riusciti ad aggiustarlo…” 

Sherlock tornò qualche minuto dopo, palesemente soddisfatto. 

“Ecco fatto, nessun problema.” 

John lo fissò, cercando di capire quale passaggio fondamentale si fosse perso. Sherlock per tutta risposta si limitò a lanciargli un'occhiata maliziosamente soddisfatta, come quella di un bambino che sia riuscito a mangiare la marmellata senza farsi beccare. “Un altro po' di vino, John?”

John pensò che se avesse voluto arrivare vivo in fondo alla serata ne avrebbe avuto bisogno. “Sì, grazie.” 

“Oh, siete una coppia così carina.” proruppe Jocelyn, con lo stesso tono con cui avrebbe parlato di un cucciolo di delfino. “Si vede proprio che vi volete bene.” 

“Ecco, noi non siam- ouch!” Un calcio sotto il tavolo costrinse John a tacere. 

“Non siamo così perfetti come ci dipingono, vero, John?” Lo interruppe Sherlock. 

Per tutta risposta il dottore lo incenerì con lo sguardo e strinse le labbra. “Infatti. Tu per esempio a volte sei insopportabile.” John sbatté il tovagliolo sul tavolo e si alzò, facendo strisciare la sedia. “Mi aiuteresti a portare l’arrosto?”

“Ma ce la fai benissimo da solo.” rispose quello candidamente.

“Sherlock…” 

Fu il tono a dir poco minaccioso della sua voce a convincerlo. “Molto bene.” 

“Cosa ti salta in mente!” lo aggredì l'altro, attento comunque a non alzare troppo il tono di voce, non appena furono in cucina. 

“È stato l'unico modo. Non sarebbero venuti altrimenti.” 

“E spiegami perché hai dovuto per forza invitare a cena un assassino!” soffiò sotto voce. 

“Ho manomesso il bagno…”

“Me ne sono accorto!” 

“...e gli ho versato del diuretico nel bicchiere per poter raccogliere un campione della sua urina. La analizzerò per verificare che non abbia assunto sostanze emetiche.” 

La rabbia di John sbollì immediatamente, la sua attenzione catturata dal caso. “Credi che abbia preso qualcosa per provocarsi il vomito?”

“Credo che sia l'unica spiegazione.” 

John sbuffò. “D'accordo torniamo di là. Ma questa me la segno.” 

 

 

 

 

 

Atto II

Scena VII

(Giorno 5) 

 

Ore 11:52, Broadway, New Scotland Yard, ufficio di Gregory Lestrade

 

“Paul Ellis?” Lestrade confrontò la fotocopia del documento di identità dell'americano e non poté che riconoscervi l'attore che aveva interrogato giorni prima. “D'accordo, ma aveva un alibi…”

“Posso dimostrare che il vomito era auto-indotto.”

“Puoi?”

“L'ipecacuana è un potente emetico, agisce in quindici, venti minuti al massimo, e la sua traccia rimane nelle urine dai trenta ai sessanta giorni. Ho controllato. È nelle sue urine.” 

“Non ti chiederò come tu abbia fatto ad avere le sue urine.” disse Lestrade, scacciando il pensiero con un gesto della mano. “Ma la sua fidanzata…?”

“Ha mentito per proteggerlo. Non può davvero essere un alibi credibile.” 

“No. sbuffò Lestrade. Ma dovrò attendere domani sera per arrestarlo.” 

“Come? Perché?” si sorprese Sherlock.

“La prima. Mi fanno pressioni perché lo spettacolo si faccia. Non posso arrestare due attori il giorno prima.” 

“Ma…" 

“Tu li controllerai. Non sospettano che noi sappiamo, non hanno motivo di fuggire.” 

“Il mio lavoro è finito al teatro. Non era nei piani che io restassi più del tempo necessario alle indagini.”

“Sherlock! Non puoi abbandonarli!” osservò Lestrade, sotto shock per il fatto che l'altro avesse anche solo potuto pensarci. 

“No, certo che no, visto che non farai il tuo lavoro!” ribatté Sherlock, quasi stizzito. “Ora, se vuoi scusarmi, devo tornare alle prove.” Prove che non aveva preventivato sarebbero mai servite ad altro che permettergli di conoscere meglio i sospettati. “A quanto pare domani ho uno spettacolo.”

 

 



 

Atto III 

Scena I 

(Giorno 6)

 

Ore 20:45, Victoria Street, Apollo Theatre, platea

Questa non me la voglio proprio perdere.” sghignazzò Anderson. 

John seduto una fila dietro si trattenne dal colpirlo sulla nuca. Sherlock non aveva davvero voluto recitare quel ruolo, lo aveva fatto per il caso, per poter scoprire l'assassino di Georgie Wilson, e si era ritrovato intrappolato in quella parte. 

Grazie al cielo, per fedeltà alla sua vera recita - quella che lo vedeva nel ruolo di attore impegnato - aveva passato l'ultima settimana a ripetere la parte di Giulietta con John così tante volte che persino lui aveva imparato le battute e ora il consulting detective poteva salire sul palco. 

John ringraziò il fatto che a Sherlock non importasse nulla di quello che pensavano gli altri, perché in platea seduti davanti e accanto a lui c'erano almeno cinque agenti di Scotland Yard, compreso Lestrade e Donovan - e Anderson che aveva insistito parecchio per poter vedere lo strambo vestito da donna. Una volta terminato lo spettacolo avrebbero arrestato Paul per duplice omicidio e Jocelyn per complicità. 

Le luci si spensero in sala. 

John, nel buio del teatro, sentì qualcosa agitarglisi nel petto. Modulò il respiro, cercando di calmarsi. Che diamine gli stava succedendo?

Marguerite Hunt, nel suo semplice abito da narratore, uscì da dietro il sipario ancora chiuso.

“Buonasera, signori e signore.” esordì e a tutti fu chiaro che quello non era parte dello spettacolo. “Se avete letto i giornali in questi giorni, saprete che la nostra attrice protagonista, Georgie Wilson, la nostra Giulietta, è sfortunatamente venuta a mancare. Vi chiediamo di osservare un minuto di silenzio in sua memoria, prima che lo spettacolo inizi. Grazie per essere venuti.” 

John sapeva che tutto ciò era estremamente ipocrita da parte di Marguerite dal momento che non era mai stata davvero dispiaciuta per la morte di Georgie, eppure lo trovò un gesto carino. 

Il silenzio calò sulla sala, mentre persino la regista chinava il capo in un minuto di raccoglimento. 

Poi il sipario si aprì e Marguerite raggiunse il centro del palco. 

“Nella bella Verona, dove poniamo la scena…”

 

Ore 21:30, Victoria Street, Apollo Theatre

Che c’è? Chi chiama?” 

In platea John trattenne il fiato. Sapeva che quella voce fuori scena apparteneva a Sherlock, sebbene quello l'avesse modificata apposta per farla sembrare femminile. Era questione di secondi prima che uscisse dalle quinte e allora John si sarebbe trovato nell'imbarazzante situazione o di provare tutta la vergogna che Sherlock non era in grado di provare o di doversi trattenere dal picchiare Anderson.

Tua madre.” rispose la nutrice dalla scena. 

Poi Sherlock uscì. “Sono qua, signora madre. Desiderate?

John non ascoltò una sola parola di quello che seguì, troppo concentrato a fissare la figura pallida e longilinea avvolta in un pallido vestito azzurro abbastanza largo da camuffare la mancanza di forme femminili. Meredith gli aveva fissato sul capo una parrucca nera intrecciata a mascherare i suoi corti capelli maschili e lo aveva truccato in modo da ammorbidire i tratti affilati.

“Ma Sherlock non interpretava Giulietta?” Anderson si chinò a domandare sulla spalla di Lestrade, sorpreso.

“Credo che quello sia Sherlock.” rispose l'altro. 

John non sentì una sola parola. 

 

 


 

Atto III

Scena II

(Giorno 6)

 

Ore 23:15, Victoria Street, Apollo Theatre, quinte

Era una cosa stupida da fare, Sherlock lo sapeva, il suo John interiore - quello che ancora a volte spuntava fuori se il John vero non era nei paraggi - glielo stava urlando in un orecchio. 

Sherlock però si annoiava.

Era appena iniziato il quinto atto, Ryan era in scena, così come Jocelyn nelle vesti dello speziale. 

Si era assicurato che nessuno fosse nei paraggi e si era infilato nel camerino di Romeo per curiosare in giro. 

Non che fino a quel momento avesse trovato molto. 

Non avrebbero potuto provare che fosse stato Ryan a drogare Georgie, ma avrebbero potuto provare almeno il movente, stupidamente lo stesso Ryan durante l'interrogatorio aveva ammesso, credendo che nessuno sarebbe riuscito ad arrivarci, che Georgie sapeva che lui non era chi diceva di essere. 

Ormai non aveva più molto tempo. Jocelyn sarebbe uscita di scena appena in tempo per infilarsi un saio e tornare sul palco per la scena successiva come Frate Giovanni, mentre Ryan aveva a malapena dieci minuti prima della terza scena in cui avrebbe dovuto uccidere Paride. 

Frugò nelle tasche dei jeans abbandonati su una sedia e vi trovò un biglietto. Lo degnò a malapena di uno sguardo e fece per riporlo. Poi lo guardò di nuovo. 

Era la stessa calligrafia del biglietto che i detective avevano trovato nel cassonetto, quello che anonimamente dava appuntamento a Georgie in teatro per provare di nuovo, solo che questa volta questo era firmato con amore.

“Sherlock, che fai qui?” 

Sherlock sollevò di scatto la testa, ritrovandosi davanti un ingenuamente incuriosito Ryan Price. 

“Non sei stato tu.” Sherlock spostò lo sguardo da Ryan al biglietto che teneva in mano. “Non sei stato tu. È stata Jocelyn. Tu sei solo il movente.” 

Ryan parve spaesato. “Come?”

“Non hai ucciso tu Georgie Wilson. L'ha uccisa Jocelyn.” 

Il ragazzo sbarrò gli occhi, guardandosi intorno come sperando che gli giungesse l'illuminazione. Poi fece un passo indietro e lo chiuse dentro il camerino, sbarrando la porta.

“Tu non sei un assassino.” gridò Sherlock, cercando di farsi sentire oltre la porta chiusa. “Quel poliziotto, in Texas, è stato un incidente. Tu non saresti in grado di uccidere qualcuno. Apri la porta.” gli ordinò, senza troppo successo. 

Stava scappando, Sherlock non poteva permetterlo. 

Avrebbe avuto pochi minuti di vantaggio dal momento che avrebbe dovuto aspettare Jocelyn per fuggire e poco tempo prima che gli altri attori si accorgessero che Giulietta, che doveva essere già sul palco in stato comatoso, non si trovava da nessuna parte e venissero a liberarlo. In ogni caso nella confusione del cambio di scenografia non era detto che non riuscissero a defilarsi.

Scrutò la porta alla ricerca del punto più debole su cui esercitare una pressione sufficiente per romperla, mentre all'esterno il brusio cresceva. 

Evidentemente non riuscivano a trovarlo. 

“Sherlock?” chiese la voce famigliare di James Wright abbastanza vicino perché lui potesse rispondere.

“Sono qui. Sono chiuso dentro.”

“Arrivo subito.” 

Sherlock udì i passi di James allonarsi di corsa e dopo alcuni istanti riavvicinarsi con la stessa fretta. Qualche secondo dopo la porta venne aperta con una chiave passe-partout.

“Cosa ci facevi nel camerino di Ryan?”

“Non adesso. cercò di liquidarlo, correndo verso l'esterno.

“Ma dove vai?” cercò di trattenerlo per un braccio. “Il palco è dall'altra parte, devi andare in scena.” 

“No, non possono scappare.” disse, liberandosi con uno strattone. 

“Ma chi? Senti dobbiamo tornare indietro! Marguerite ha già chiesto al pubblico qualche minuto di pazienza per inconvenienti tecnici, se non torni sul palco ora non reciterai mai più da nessuna parte! Il tuo prossimo lavoro sarà da lavapiatti!” 

Sherlock si limitò a sbuffare. “Che mente ristretta! Ho già un lavoro.” 

Improvvisamente alla fine del corridoio gli si pararono davanti gli agenti di Scotland Yard, capitanati da Lestrade e John. 

“Sono scappati!” li informò Sherlock senza smettere di correre. 

“Abbiamo immaginato che fosse successo qualcosa.” gli rispose Lestrade, fermandolo. 

“Non è stato Ryan, è stata Jocelyn.” spiegò Sherlock porgendogli il biglietto. 

“D'accordo, li fermeremo, ma tu devi tornare sul palco.” fece un cenno ai suoi agenti che cominciarono a inseguire i due fuggiaschi.

Sherlock scosse il capo. “In ogni caso manca Romeo.” 

“Torna sul palco, ce ne occupiamo noi.” gli disse Lestrade, voltandosi per seguire i suoi agenti. John fece per accompagnarlo, ma quello lo fermò. “No, John. Anche tu sei un civile, conteniamo i danni, questo è un caso internazionale, non voglio che mi annullino l’arresto.” 

John fece per protestare, ma sapeva che Lestrade aveva ragione. 

“Greg ha ragione, torna sul palco, hanno bisogno di te. Hai provato talmente tanto che ormai lo so anche il copione!” gli sorrise, indicando con un cenno del capo James che stava in piedi e li fissava senza capire nulla di quello che era accaduto e stava accadendo. In quel mentre li raggiunse Marguerite, al limite dell'isteria. 

“Ti ripeto, non abbiamo più un Romeo.” rispose Sherlock a John senza badarle. 

“Come?” Strillò la regista, istericamente. “Dove si è cacciato! Abbiamo bisogno di lui! Questo è un disastro! La scena del suicidio, quella più importante!” 

“È fuggito per evitare un'accusa di duplice omicidio. Insieme alla sua fidanzata.” 

Gli occhi di Marguerite si spalancarono. “È un disastro! Non posso sostituire Romeo per l'ultima scena! Con chi poi?” si guardò intorno freneticamente quasi come se una soluzione le potesse arrivare per grazia divina. Poi il suo sguardo si fissò su John. “Tu! Hai detto di aver provato con Sherlock tanto da sapere il copione, no?”

“È un modo di dire.” tentò di svicolare. “So a malapena le battute che precedono quelle di Giulietta.” 

“Non importa.” disse Marguerite nella follia della disperazione. “Taglieremo un po' la parte iniziale, ucciderai Paride subito, poi bevi il veleno e rimani fermo sul palco e non fai nient'altro, ok? Lo sai il pezzo in cui Romeo beve il veleno, vero?” 

“S-sì, ma…”

“Niente ma. Avanti. In scena.” 

A John sembrò di sentire Sherlock trattenere una risata. Si chiese cosa avesse fatto di male per meritare una punizione simile. 

 

 

 

 

 

Atto III

Scena III

(Giorno 6)

 

Ore 23:35, Victoria Street, Apollo Theatre, palcoscenico

Paride si ritrasse nell'ombra per lasciar entrare John negli abiti smesso di James Wright. Mai scena fu messa in piedi in meno tempo. 

“Mi recherò ora ad ammirare la mia sposa, oh fato crudele che me l'hai strappata.” 

Così, con una riga, ne aveva appena riassunte circa quaranta. 

Paride uscì dall'ombra per entrare nell'occhio di bue con Romeo. 

Costui è quel bandito orgoglioso Montecchi che uccise il cugino dell'amor mio, per il cui dolore si crede che la bella creatura sia morta, ed è venuto qui sicuramente a profanare questo poveri morti: io lo arresterò. Cessa la tua empia fatica, vile Montecchi! Può la vendetta essere spinta oltre la morte? Infame bandito, io ti arresto: obbedisci e vieni con me, poiché tu devi morire.”

“E per morire sono giunto. Ti prego, lascia in pace un uomo disperato. Non costringermi a battermi, che l'unico che desidero ferire oggi è me stesso.” John sapeva che aveva criticato Sherlock per la sua pochezza interpretativa, mentre lui stava facendo ben di peggio, riassumendo interi brani in poche righe, mentre Richard, di fronte a lui, adattava le sue parole a quelle che improvvisava l'altro.

Io sfido i tuoi scongiuri e ti arresto qui, come un fellone.”

“Tu vuoi provocarmi? Allora in guardia!”

L'intero duello di ben tre minuti, costato ore di faticose prove a Richard e Ryan, era stato liquidato con John che tendeva la spada un po' alla cieca e l'altro che quasi vi si buttava sopra. 

“Oh, sono ferito! Se hai pietà di me, permettimi di giacere accanto a Giulietta.” 

John si chinò su Richard sollevandolo di peso e trascinandolo verso il punto del palco indicato con una "X". 

“Lo farò…” gli sussurrò l'intera battuta Richard e John ripeté diligentemente. 

Lo farò, ma ora che vedo questa faccia più da presso... È il conte Paride, il parente di Mercuzio! Che cosa diceva il mio servitore mentre cavalcavamo quando la mia mente turbata non badava a lui? Mi pare ch'egli mi dicesse che Paride avrebbe sposato Giulietta; non disse così? O me lo sono sognato? O sono io un pazzo a pensare che egli dicesse questo, sentendolo parlare di Giulietta? Dammi la tua mano, tu che fosti inscritto con me nell'amaro libro della sventura! Io ti seppellirò in una tomba splendida; una tomba? No, una cupola di luce, poiché qui giace Giulietta e la sua bellezza trasforma questa tomba in una sala piena di festa e di luce. Morto, mettiti dunque là a giacere per mano di un uomo che è già morto.” 

Abbandonò Richard, attento ad appoggiargli delicatamente la testa sul pavimento. Adesso era da solo. Nessun suggerimento. 

Deglutì. 

Lui non era un attore, lui era un medico. Dannazione! 

Guardò la platea, profili neri, indistinguibili. Lì sarebbe dovuto essere lui, dall'altra parte della quarta parete, non sul palco. 

“Com’è vero che gli uomini, morendo, hanno un fugace tratto di letizia, il lampo della morte.” cominciò, la voce non del tutto ferma. Sperò di ricordare ciò che doveva. “Oh, ma posso io chiamarlo soltanto un lampo in te? La morte non ha ancor conquistato la tua bellezza! Ancor le tue labbra e le tue guance risplendono rosee: su te la Morte non ha issato il suo pallido vessillo.” prese fiato, umettandosi le labbra nel tentativo di calmarsi. Spostò lo sguardo dalla platea a Sherlock. “Oh mia Giulietta, debbo credere l’immateriale spettro della Morte ti mantenga per sé qui, nella tenebra, perché vuol far di te la propria amante? Io resterò qui con te, in eterno; e più non lascerò questa dimora, qui, qui, voglio restare.” No, guardare Sherlock era peggio, era dannatamente imbarazzante, anche se lui aveva gli occhi chiusi e non poteva vederlo. Sembrava così poco lui in quel vestito. “Occhi, guardatela un’ultima volta! Braccia, carpitele un ultimo abbraccio! E voi, mie labbra, porte del respiro, suggellate con un pudico bacio un contratto indefinito con la Morte che tutto rapisce! Ecco, a te, amor mio!” le ultime parole gli spezzarono la voce. Prese la fiala che Marguerite gli aveva sbattuto in mano dieci minuti prima e ingollò l'acqua come se ne andasse la sua vita. “Oh fidato speziale! Le tue droghe sono davvero rapide d’effetto. Così, in un bacio, io muoio.” si chinò su Sherlock, dando le spalle al pubblico. Era così vicino che poteva sentire il fiato dell'altro sulla sua guancia. Attese qualche secondo, poi si accasciò a terra con un sospiro di sollievo. Aveva finito. 

“Ottima interpretazione.” gli sussurrò Sherlock, la voce coperta da quelle stentoree di Frate Lorenzo e del servitore di Romeo. 

“Grazie.” 

“Se solo non avessi tagliato metà del copione…” John sapeva che stava sogghignando, anche se non poteva vederlo.

Sbuffò. “Rimani morto, ok?” 

Eva lasciò la scena, andando a prepararsi per tornare nei panni della madre di Giulietta, e Sherlock si preparò.

“Romeo!” esclamò Edward. “Oh, com’è pallido! E quest’altro? Paride? Ah, quale sciagurata ora è rea di questa sorte sciagurata! La ragazza si muove…” disse, mentre Giulietta si risvegliava.

“Oh, Fra’ Lorenzo! Che conforto vedervi! E il mio signore? Dov’è? Ricordo bene adesso il luogo

dove dovevo trovarmi per lui e qui mi trovo. Ma il mio Romeo dov’è?” chiese come se fosse possibile ignorare John sdraiato accanto a lui. 

“Figliola mia, un potere, cui non possiamo opporci perché a noi superiore, ha contrastato il nostro piano. Vieni. Tuo marito è lì, morto sul tuo petto; e Paride con lui. Andiamo, vieni. Penserò io a procurarti asilo fra una comunità di pie sorelle. Non indugiare a farti domande adesso, sta venendo il guardiano.” rispose Edward.

Va’ pure, tu: io resto qui.” Non appena l'altro lasciò il palco, Sherlock si chinò su John. “E questa che cos’è? Tra le sue dita stringe una fiala il mio fedele amore? Veleno!” disse, dopo aver esaminato la fiala. John, che lo stava osservando attraverso le palpebre socchiuse, si trattenne dal ridere, notando che la sua Giulietta aveva trattato la boccetta di vetro come avrebbe trattato una prova di un caso.  “È stato questo la sua fine. Cattivo! L’hai bevuto fino in fondo, senza lasciarmene una goccia amica che m’avrebbe aiutato! Bacerò le tue labbra: c’è rimasto forse un po’ di veleno, a darmi morte come per un balsamico ristoro.” Sherlock si chinò su di lui. John chiuse gli occhi immaginando che avrebbe usato lo stesso trucco che aveva usato lui poco prima. Quando li riaprì Sherlock era un po' troppo vicino, talmente vicino che capì non si sarebbe fermato. Le sue labbra furono sulle sue solo per pochi secondi. John lo fissò shockato, ma Sherlock lo ignorò continuando a guardarlo negli occhi. “Come son calde ancora le tue labbra!” John arrossì furiosamente. 

Sherlock si sollevò, tendendo platealmente le orecchie. “Ah, dei rumori… Allora non c’è tempo” replicò, in risposta alla battuta fuori scena del guardiano che si avvicinava. Ma quando esattamente aveva parlato il guardiano? Era un po' difficile concentrarsi mentre le mani di Sherlock erano sulla sua gamba, così vicina al suo inguine. Da dove veniva tutta quella consapevolezza improvvisa? Sherlock dopotutto stava solo cercando la daga che John aveva infilato nella cintura. 

Pugnale benedetto, ecco il tuo fodero. Qui dentro arrugginisci e dammi morte!”

Il corpo di Sherlock si accasciò sul suo, premendogli contro, la testa appoggiata contro il suo ventre e il respiro caldo che gli sfiorava la pelle, attraverso la stoffa leggera della camicia. 

Attorno a loro il resto degli attori si muovevano sulla scena e John si sforzò di concentrarsi sulle loro battute. Non che fosse facile mentre il peso - o il contatto? - di Sherlock gli impediva quasi di respirare. 

Quando dieci minuti dopo il sipario si chiuse, John si sorprese della sua voce roca. “Credo... Credo che dovresti alzarti.” 

Sherlock si alzò in piedi e gli porse la mano per aiutarlo, fissandolo. John la afferrò, sostenendo il suo sguardo, senza neppure considerare il fatto che quella mano tesa potesse significare altro se non quando Sherlock gli sorrise in risposta. Poteva accettare tutto quello che quella mano tesa significava? 

“Dammi... Dammi tempo.” gli bisbigliò mentre si dirigevano al centro del palco insieme agli altri attori. 

Poi il sipario si sollevò di nuovo e l'applauso scrosciante del pubblico li assordò. 

 

 

 

 

 

 

Atto IV

Scena unica

(Giorno 7) 

 

Ore 00:17, Victoria Street

“Mi dispiace essermi perso proprio il finale.” si scusò Lestrade. “Il lato positivo è che abbiamo arrestato sia Jocelyn che Ryan.” 

“Lo estraderanno?” chiese John. 

“No. Ryan ha confessato l'omicidio di Georgie.” spiegò il detective.

“Ma non è stato lui. Avrebbe potuto uccidere anche me, avere più tempo per fuggire, invece ha preferito chiudermi nel suo camerino.” disse Sherlock

“Non possiamo dimostrare che sia stata lei, visto il movente.” 

“Ci dovrà essere un modo per convincerlo ad accusare lei.” cercò una soluzione John.

“Se verrà condannato - e verrà condannato - in Inghilterra gli daranno l'ergastolo. Se cercasse di far ricadere la colpa Jocelyn e ci riuscisse, verrebbe estradato in America per rispondere dei suoi crimini lì e…”

“Rischierebbe la pena di morte.” terminò per lui il dottore.

“Già.” 

Rimasero in silenzio per un po', respirando l'aria fredda della notte. 

John si infilò le mani in tasca. “Sarà meglio andare, è stata una giornata lunga. Non salirò mai più su un palco.”

“Fermo un taxi.” se ne andò Sherlock, salutando Lestrade con un cenno del capo. 

Quello sorrise e si rivolse a John. “Meglio che torniate a casa, piccioncini.”

“Picc-? Scusa, come?” lo fissò stralunato.

“Anderson era in platea. Mi avete fatto perdere venti sterline.” 

“John, il taxi!” lo chiamò l'altro. 

“Ne riparliamo. Vado.” salutò Lestrade, prima di allontanarsi a grandi passi. “Sherlock! Cosa ho fatto di male nella mia vita passata per avere te come punizione?”  lo sentì sbraitare Lestrade. 

“Come se fosse un segreto.” si strinse nelle spalle per allontanarsi in direzione opposta.



N.d.A. 
Spero che l'OOC non sia troppo marcato, verso la fine di queste quasi 17.000 parole non sapevo più nemmeno come mi chiamavo e per questioni di tempistiche delle pubblicazioni non ho inviato il testo alla mia beta. 
Non parlo portoghese, mi sono affidata ai vari traduttori online, esattamente come non conosco le differenze tra i diversi accenti portoghesi (anche se sono abbastanza certa che esistano). I piatti citati li ho presi da qui, se la cosa vi incuriosisce.
L'idea era di scrivere di un indagine ambientata a teatro, essendo la mia prima storia di questo genere spero che i ragionamenti filino come filavano nella mia testa e di non aver peccato di ingenuità in certi punti. A mia discolpa vi ricordo che Sherlock è un genio e il suo cervello fa imponenti salti logici. 
Ah sì, ovviamente il mio intento era che non arrivaste al colpevole fino alla fine, indicandovi prima Marguerite e poi Ryan come sospettati. Spero di esserci riuscita o, se avete pensato che fosse troppo palese, che almeno abbiate sospettato di tutti meno che di Jocelyn. 
Per le informazioni che trovate nel testo mi sono affidata alla ricerca online, quindi con ricerche approfondite fino ad un certo punto.

 

  
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