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Autore: M4RT1    06/04/2015    1 recensioni
Ma, d’altronde, c’era un motivo se lui era il ladro e non il poliziotto. Se in quel momento, in quel salotto, davanti a quel camino, era lui sull’orlo delle lacrime e con la coscienza a pezzi. Se, pur di non ammettere di essere affascinato da Peter più che dai Devor, aveva provato a ripetersi che non era nella sua natura, che lui era un truffatore. Come se fosse una condizione impossibile da cambiare.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Neal Caffrey, Peter Burke
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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― Peter, posso?

Il giorno in cui l’agente speciale Burke rischiò seriamente di morire c’era il sole. Il cielo era celeste pallido, limpido nell’aria ghiacciata di metà inverno; la neve aveva smesso di cadere una settimana prima, eppure le scuole erano ancora chiuse per la recente emergenza – era per questo che, nel parcheggio in cui ci fu la sparatoria, c’erano così tanti bambini a zonzo.

Era il quindici gennaio e l’ambulanza impiegò appena sei minuti a raggiungere il luogo del tentato omicidio, superando ingorghi e semafori rossi a sirene spiegate. I paramedici corsero giù dal veicolo, ignorando il caos di agenti e rapinatori in fuga, non degnando di un’occhiata il consulente sporco di sangue che se ne stava immobile accanto alla figura accasciata sul selciato. Caricarono l’uomo ferito su di una barella e scomparvero nel traffico, senza una spiegazione né una parola di conforto.

Quel giorno, Neal Caffrey ebbe davvero paura di perderlo. Perché c’era sangue ovunque, perché era svenuto, perché ben due proiettili (due!) l’avevano colpito in punti imprecisati del corpo. Ma, in definitiva, aveva paura perché sarebbe stata colpa sua.

― Peter, posso?

Fu per questo che, in quella domanda posta quel pomeriggio di due settimane dopo, ci mise tutte le scuse e l’ansia e la paura mai espresse.
Vestito con uno dei suoi soliti completi eleganti, era immobile dietro la porta chiusa del soggiorno di casa Burke, stretto tra il corridoio e l’ingresso della cucina – senza trovare il coraggio di entrare, per la prima volta in vita sua. Lui, che era sempre così estroverso, tanto da sembrare invadente, in quel momento si sentiva terribilmente in colpa al solo poter camminare e sorridere e respirare senza il ricordo di quei momenti di panico – o meglio, senza il ricordo del dolore e della paura di morire che Peter, supino sull’asfalto, doveva aver provato poco prima di perdere i sensi.

― Certo che puoi, Neal. Che ci fai lì fuori?

La sua risposta non fu poi così inaspettata. D’altronde, lui non si era neppure reso conto che i criminali puntavano al suo consulente. Non se n’era accorto perché era troppo impegnato a proteggere quel ragazzino biondo dagli occhiali spessi che se ne stava immobile pochi centimetri dietro il bersaglio. E lui, ovviamente, perché Peter Burke aveva protetto Neal fin dal principio.

Eppure, nonostante il senso di colpa gli stringesse la gola come un cappio, entrò nella stanza. Era tutto in ordine, come sempre – camino acceso, mensole spolverate, tappeto pulito, eppure qualcosa di strano c’era. Perché Peter, per quanto Neal ne sapesse, non si era mai concesso più di cinque minuti su quel divano, soprattutto di mercoledì. Eppure, in quel momento il truffatore poteva scorgerne la figura sdraiata sotto il pesante plaid rosso cupo che gli copriva i pantaloni della tuta, la tshirt bianca e le fasciature color panna che gli rivestivano la gamba destra e la spalla.

― Come va, Peter?

Camminò titubante, Neal Caffrey. Non che avesse sul serio paura dell’uomo – andiamo, come si poteva averne? – ma si sentiva a disagio, sì. 

― Oh, non male Neal. Non male. Mi piacerebbe poter camminare, però.

Per l’ennesima volta, il ragazzo si chiese se non fosse il caso di fuggire via, di corsa. Senza spiegazioni, andarsene via e basta, tornare a casa e darsi alla progettazione di qualche megatruffa con Moz. E per l’ennesima volta si rispose con un “no” secco, come se il solo pensiero di abbandonare quell’uomo lo facesse vergognare ancora di più. 

Avrebbe voluto rispondere, dire qualcosa di pungente, magari, di sarcastico, ma non ci riuscì. 

― Neal Caffrey a corto di parole ― commentò Peter, affacciandosi dalla spalliera del divano. ― Roba da non credere. 
Si lasciò andare a una risata nervosa, incapace anche di mascherare del tutto la sua ansia.
― Su, vieni! Non ti arresto mica!

Finalmente, raggiunse il sofà. In piedi accanto all’altro, tese le mani per scaldarsi al fuoco del camino, lo sguardo fisso su un orribile quadro che El doveva aver ricevuto in regalo da un’amica molto cara (era l’unica spiegazione per cui non lo aveva ancora gettato tra le braci, probabilmente).

― Non ti facevo così impressionabile, Caffrey ― commentò Peter e Neal, nonostante non lo stesse guardando in faccia, capì che stava sorridendo. Che i suoi occhi probabilmente ammiccavano in sua direzione, bonari, le pieghe ai lati della bocca erano increspate in quel modo particolare e la fronte distesa, rilassata. E si dette dello stupido per aver rischiato che tutto quello andasse perso per sempre.

― Non sono impressionabile ― rispose.

― No? E allora perché sei girato dall’altra parte?

Chiuse gli occhi, Neal. Per un istante si permise quella debolezza, il pensiero che evitando di guardare tutto sparisse e che potesse tornare al momento prima che i ladri facessero fuoco. Si concesse di immaginare di essersi frapposto tra i proiettili e Peter, magari di essere sdraiato su quello stesso divano dove era accomodato l’agente – poi riaprì le palpebre e il fuoco era ancora lì, scoppiettante, e Peter era ancora tra i cuscini morbidi e il vassoio del pranzo.

Si voltò.

L’uomo non era diverso dal solito. Se ne stava quasi seduto, un libro aperto sulle ginocchia e l’espressione fin troppo serena per una persona che ha rischiato di non camminare mai più. Lo guardava in silenzio, studiandolo, aspettando la sua mossa.

― Neal, che c’è che non va? ―  chiese infine, sospirando. ―  Ti comporti in modo strano: c’è qualcosa che dovrei sapere? Che hai combinato, stavolta?

Ed eccolo lì, l’integerrimo agente che l’aveva arrestato per due volte, seguendo minuziosamente ogni pista lasciata aperta, ogni indizio, ogni insignificante prova. Anche in quel momento, anche dopo quindici giorni di ricovero, riusciva a leggergli la mente meglio di chiunque altro – anzi, come sempre era l’unico in grado di intuire cosa si celasse dietro lo sguardo di quel truffatore tanto abile da ingannare chiunque altro.

― Non c’è niente, Peter ― . Lasciò che la sua abilità nel fingere prendesse il sopravvento, come un pilota automatico. Era quello che aveva sempre fatto, d’altronde.  ― Va tutto bene, sul serio. Anzi, guarda qui! Ti ho portato delle carte da gioco, così posso insegnarti qualche trucco da prestigiatore!

Tirò fuori delle carte francesi, il sorriso sul viso più naturale possibile, e gliele porse. 

― Oh, ti ringrazio! ― esclamò l’altro, accondiscendente. ― Ma sono un agente dell’FBI, Neal, non ho bisogno di-

― Hai bisogno di distrarti, Peter. E io sono pronto ad aiutarti a farlo!

Forse aveva esagerato. Forse il cambiamento così brusco aveva fatto insospettire Peter, perché l’uomo fece una smorfia e poi chiese, di nuovo:
― Neal, che succede?

― Non succede nulla.

― Ti ho arrestato due volte, conosco i tuoi punti deboli. E conosco i tuoi comportamenti meglio di chiunque altro: che succede?

Silenzio. Per l’ennesima volta in quel giorno, nel soggiorno cadde il peggiore dei silenzi.

― Al mazzo manca una carta ―  mormorò infine Neal, scuotendo le spalle. ― Volevo imbrogliarti, ma non ci sono riuscito. Guarda.

Prese a contare le carte, cercando di cambiare argomento. Gli raccontò di quando aveva truffato Mozzie, il primo giorno in cui si erano visti. Gli parlò di un tizio ispanico che aveva provato a ingannare lui. Alla fine, però, Peter tornò sulla stessa domanda e lui fu costretto a rispondere.

La pioggia batteva forte, quel giorno, allagando cortili e strade. La finestra era inzuppata e le gocce erano simili a lacrime che si facevano strada tra quel mare d’acqua. Neal ne aveva osservata qualcuna, delineandone il percorso nella mente, pensando a un possibile quadro che avrebbe potuto farne. 

― È colpa mia ― aveva mormorato infine. ― Colpa mia.

Peter si era accigliato.

― Cosa è colpa tua? ― aveva domandato.

― Questo. La tua gamba. Tutto.

Il nodo alla gola si era fatto liquido, mentre confessava, facendogli pizzicare gli occhi pieni di quelle settimane d’angoscia. La mano era salita a compiere un gesto vago, come se volesse racchiudere tutta la situazione tra le dita.

― Non dirlo nemmeno, tu non c’entri. 

Peter sembrava sicuro, come se fosse stato abbastanza lucido da accorgersene, in quegli istanti. Neal scosse la testa.

― Certo che sì ― sussurrò. ― Era a me che dovevano sparare.

Incapace di sostenere lo sguardo dell’altro, tornò a fissare il camino. Sulla mensola che lo sovrastava c’erano una dozzina di libri in ordine cromatico, tutti tomi spessi e polverosi che, probabilmente, non erano mai stati aperti.

― Non è vero, Neal ― si ostinò Peter, scuotendo il capo. ―  Avrebbero sparato a chiunque. 

― Ma tu non te lo meritavi.

In quel momento, pronunciando quella frase con voce acuta, Neal si sentì più infantile e stupido di quanto volesse sembrare – un bambino deluso dal regalo ricevuto, un adolescente frustrato dalla sua vita. 

― La gente non ha quel merita, ma quello che gli capita. ―  sospirò Peter. ― A me è capitato un proiettile in una gamba e non dico di esserne contento, ma non ti incolpo per questo. Non dovresti farlo nemmeno tu.

Era una battaglia persa, lo sapeva. Perché Peter era buono – buono di quella bontà che Caffrey invidiava, quella ingenua e gratuita che lo spingeva a fare cose tipo accettare la libertà condizionata dell’uomo che aveva inseguito per mezzo decennio e sopportarlo in casa ogni giorno, con le mani nei suoi cereali. Buono come Babbo Natale quando, da piccolo, Neal si comportava male eppure riceveva lo stesso i regali. E Neal avrebbe voluto essere come lui. Avrebbe voluto avere la stessa fermezza nel guardarlo negli occhi e dirgli che era vero, che lui si sarebbe frapposto tra lui e il rapinatore se solo ne avesse avuto il tempo – ma non poteva, perché il tempo l’aveva avuto eppure era rimasto paralizzato dal terrore.

Ma, d’altronde, c’era un motivo se lui era il ladro e non il poliziotto. Se in quel momento, in quel salotto, davanti a quel camino, era lui sull’orlo delle lacrime e con la coscienza a pezzi. Se, pur di non ammettere di essere affascinato da Peter più che dai Devor, aveva provato a ripetersi che non era nella sua natura, che lui era un truffatore. Come se fosse una condizione impossibile da cambiare.

― Si possono dire tante cose, ma ci sono silenzi in grado di farti capire cose che nessuna voce può spiegare.

― Cosa?

― È una citazione, l’ho sentita da qualche parte.

Peter era del tutto seduto, ormai, e lo fissava con curiosità. Il solo fatto che avesse cominciato a citare personaggi famosi come Mozzie avrebbe spaventato l’altro – il fatto che lo facesse nel bel mezzo di una specie di confessione, lo sorprese ancor di più.

― Il tuo silenzio non promette nulla di buono, Neal ― aggiunse, ritornando al tono consueto.

― La sintonia fra due persone si misura in quante spiegazioni non hai bisogno di dare ―  ribatté l’altro, inarcando un sopracciglio. ― Si vede che mi conosci molto bene.

Peter cercò di sorridere.

― È una gara di citazioni, Caffrey? ― domandò.

― Non ti conviene, agente. Ti straccerei.

Le rughe ricomparvero agli angoli della bocca di Burke, che imbastì una finta espressione assorta.

L’errore peggiore è pensare che quel conta più di tutto in una partita sia vincere.

Ma se ci fosse indifferente vincere o perdere?

Chi perde la fiducia, non può perdere nulla di più.

Fidarsi è già farsi uccidere un po’.

Su quella frase, la voce di Neal tornò a incrinarsi. Peter aprì la bocca per ribattere quando vide qualcosa che lo indusse a fermarsi – a immobilizzarsi con la bocca aperta e lo sguardo perso: una lacrima. Una lacrima scivolava sulla guancia di Neal Caffrey, lasciando una comunissima scia umida sul percorso. Una goccia salata che gli scomparve sul mento, finendogli nel colletto della camicia e perdendosi chissà dove.

― Vedi, ho vinto ― mormorò solo, asciugandosela con stizza. ― Ora devo andare.

Si alzò velocemente e si era già voltato quando Peter lo fermò.

― Mi sono sempre fidato di te, per le cose importanti, eppure non mi pare di essere morto ― commentò con tranquillità, mantenendo una calma e una naturalezza invidiabili.

― Hai avuto solo fortuna, Peter. E comunque, ci sei andato vicino, fidandoti di me – dovevo coprirti le spalle, o sbaglio?

― L’hai fatto! Quell’uomo mi ha sparato davanti!

Neal era sulla soglia, diviso tra la certezza della sua colpa e il dubbio, fantastico e leggero, di essere innocente. Non lo era mai stato prima.
Peter se ne accorse, probabilmente, perché continuò con più enfasi:
― Mi hai salvato molte volte, Neal. Ricordi? Forse più di quante ne voglia ammettere a te stesso – ma non devi sempre incolparti. L’essere stato un criminale non vuol dire che tu non abbia mai commesso una buona azione. 

E, alla fine, Neal si arrese. Tornò indietro e prese posto sul bordo del divano, lì dove c’era un po’ di spazio. Cercò di darsi un contegno, di sorridere a Peter, di citare altri autori, ma tutto quello che riuscì a fare fu sentirsi leggero tanto da volare – se Peter non lo riteneva colpevole, allora non lo era. Perché nessuno poteva giudicare meglio di lui.
  
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