Serie TV > Teen Wolf
Ricorda la storia  |      
Autore: CHAOSevangeline    06/04/2015    2 recensioni
{ Sterek | Human!AU }
"Stiles aveva pensato più volte che qualcosa dentro di sé non andasse, perché l’unico punto a favore di quel suo interesse per il vicino di casa era il suo essere bello e tenebroso, e anche misterioso; era un aggettivo che condiva il tutto rendendolo abbastanza succulento per Stiles: considerando la sua curiosità era impossibile che non fosse attratto da lui come da una calamita."
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Generalmente inserisco le note alla fine della storia, ma questa volta ho deciso di metterle prima fondamentalmente perché è la prima volta che pubblico in questo fandom e devo dire di essere un tantino spaventata.
La storia è leggera e spero, spero davvero di non aver combinato pasticci con la caratterizzazione dei personaggi: è la prima volta che scrivo una Sterek e stravolgere i caratteri senza volerlo è sempre la mia più grande paura.
L'idea alle spalle della fanfiction è nata da un prompt di cui sfortunatamente non ricordo l'origine, probabilmente tumblr. Nel caso in cui lo ritrovassi linkerò certamente qui tra le note il blog.
Sperando che la storia possa tenervi compagnia e che vi vada di dirmi, eventualmente, cosa ne pensate, vi auguro buona lettura!



 
Operazione Derek Hale



Quando, per andare al college, Stiles si era trasferito con il suo migliore amico in un appartamento in città per evitarsi una levataccia e un tragitto esageratamente lungo in macchina ogni giorno, non avrebbe mai pensato che la sua vita sarebbe cambiata così tanto.
Sfortunatamente, Stiles non aveva inteso “cambiamento” nello stesso modo di quasi tutti i giovani nella sua stessa situazione; certo, c’era da abituarsi alla nuova scuola, ad essere più che proiettati nel proprio futuro, a doversi gestire da soli e ad avere nostalgia di casa, ma tutto questo era un cambiamento a parte, era un cambiamento che aveva metabolizzato troppo in fretta – anche se occasionalmente gli mancava sentire suo padre rincasare e talvolta si ingozzava di cibo spazzatura pur di non cucinare. Tutto a causa di un singolo dettaglio. Un minuscolo, insignificante dettaglio che forse avrebbe potuto anche non affliggere la sua esistenza.
Ora, come vien da sé pensare visto che Stiles viveva in un appartamento di un bel quartiere residenziale, è ovvio che nel palazzo dove si trovava casa sua risiedessero diverse altre persone.
Anche se non si trattava di una costruzione particolarmente imponente poteva vantare diversi abitanti e, proprio per questa sua caratteristica, reincarnava il tipico cliché di condominio: vantava l’adorabile vecchietta del primo piano – che per la cronaca aveva preparato a lui e Scott una torta buonissima, quando erano arrivati; la famigliola felice – con addirittura gatto e cane; il gruppo di studentesse universitarie che condividevano l’appartamento all’ultimo piano; la coppia di amici che cercava di spalleggiarsi per affrontare la vita del college – ovvero Scott e Stiles – e, per finire, il vicino esageratamente bello.
Era lui, il problema. L’ultimo elemento della lista. Quello che, per la mentalità chiusa di molti, non sarebbe dovuto essere una complicazione quanto invece il gruppo di studentesse universitarie.
Stiles non era riuscito a capire bene come si sentisse nei confronti di quell’uomo, anche perché non aveva affatto senso che gli piacesse: era certamente più grande di lui, non sapeva se avessero interessi in comune perché non avevano mai parlato, e proprio per questo motivo non riusciva nemmeno a scagionarlo dall’essere esageratamente antipatico – per non essere volgare – come pareva voler dimostrare con smania tutte le volte che lo fulminava quando si incrociavano al portoncino d’ingresso.
Stiles aveva pensato più volte che qualcosa dentro di sé non andasse, perché l’unico punto a favore di quel suo interesse per il vicino di casa era il suo essere bello e tenebroso, e anche misterioso; era un aggettivo che condiva il tutto rendendolo abbastanza succulento per Stiles: considerando la sua curiosità era impossibile che non fosse attratto da lui come da una calamita.
C’era qualcosa che gli sfuggiva e che gli impediva di far quadrare davanti ai propri occhi l’immagine di quell’uomo e, visto che Stiles odiava non capire, aveva tutta l’intenzione di trovare l’elemento mancante o per lo meno di conoscerlo e comprenderlo, un po’ come quando costringeva suo padre ad accettare il suo aiuto per risolvere un caso.
Il mistero di Derek Hale sarebbe stato svelato, magari con un metodo più ortodosso di quello che aveva usato per scoprire come l’anagrafe lo conoscesse, ovvero chiedendo il nome a Scott, che gli si era presentato per un caso fortuito, e leggendo il cognome sul campanello che, fra l’altro, si trovava esattamente di fronte al suo visto che abitavano allo stesso piano.
Stiles avrebbe ricordato per sempre la missione per scoprire il cognome del suo vicino, essendo quasi stato scoperto da Derek.
Non era uno stalker e per questo non conosceva gli orari dell’uomo, ma Stiles era abbastanza certo che nessuno sarebbe uscito alle tre di notte – orario che raramente vedeva anche lui fuori casa, fatta eccezione per quella volta.
Derek era uscito proprio mentre lui stava leggendo il campanello, e Stiles aveva fatto appena in tempo a precipitarsi di fronte al portoncino di casa propria, armeggiando con le chiavi per aprirlo.
Derek l’aveva visto, Stiles aveva sentito il suo sguardo scorrergli addosso e, quando si era girato per salutare, Derek l’aveva fulminato e se n’era andato senza dire nulla.
Decisamente Scott lo voleva morto quando lo consigliava dicendogli che parlare con Derek era l’unica scelta per rompere il ghiaccio.
Già, perché come era solito fare, con Scott Stiles si era confidato: da un certo punto di vista era quasi del tutto certo che l’amico lo conoscesse meglio di quanto non facesse lui.
Dopotutto l’aveva fiancheggiato per anni nella sua cotta per Lydia Martin – cotta che era stata resa forte da una specie di storia durata qualche mese, però –, perché non ci sarebbe dovuto riuscire ora che gli piaceva un ragazzo?
Pensandoci bene, sembrava che nelle persone che gli interessavano ricorresse sempre uno schema, quasi come in una serie di omicidi: gli piacevano quelli irraggiungibili.
Pensarla in quell’ottica però era l’ultima cosa che sarebbe riuscita ad aiutarlo, per questo si concentrò sulla nuova missione da compiere, codificata da lui come “Conquista Derek Hale”, con tanto di sottotitolo incoraggiante alla “Non temere, Stiles, puoi farcela anche se sei tu”.
Lui e Scott avevano già pianificato come fare e il tutto sarebbe accaduto una delle sere successive.
Visto che l’ansia dell’attesa già cominciava a divorarlo, Stiles pensò bene di sbollirla raggiungendo il discount sotto casa per comprare qualche schifezza in cui affogare le preoccupazioni.
Peccato solo che appena messo piede fuori di casa si era trovato faccia a faccia con la persona che cercava di scacciare dalla propria mente.
« Ehilà! »
Parlò prima di rendersene conto e, anche di quello si rese conto tardi, Derek gli rispose.
« Ciao. »
Stiles rimase interdetto, chiedendosi se quello fosse un sogno o se si trattasse del paradiso. Nessuna opzione includeva la realtà, comunque.
Realizzò di essere venuto meno al piano e, anche, di notare una pila di scatoloni che non gli piaceva per nulla di fianco alla porta di casa di Derek.
« Come mai quegli scatoloni? »
« Vado a stare da mia sorella. »
Dunque Derek aveva una famiglia. Stiles avrebbe dovuto aggiornare il suo taccuino di studi inerenti il ragazzo, giusto perché non era uno stalker.
Il vero problema, cioè che se ne stesse andando in modo anche abbastanza permanente, date le scatole, gli giunse dopo.
« Oh, e quando? »
« Tra un paio di settimane. »
Dal tono del suo interlocutore, Stiles capì di star iniziando a superare il numero limite di domande che un emerito sconosciuto può permettersi di fare.
« Capisco. Beh… vuoi una mano a portare giù quegli scatoloni? »
Derek parve scrutare con troppa intensità le sue braccia gracili, come chiedendosi se fosse davvero certo di poterlo aiutare in quel modo.
Alla fine parve decidere che sì, una mano non gli sarebbe dispiaciuta anche se non era solito accettare l’aiuto altrui, perciò evitò qualsiasi commento tagliente e gli indicò la scatola in cima alla pila con un cenno del capo.
« Prendi quella. »
Stiles si sarebbe anche annotato che non aveva affatto torto circa l'essere antipatico del suo vicino di casa: non aveva udito neanche un grazie.
Sollevò lo scatolone con troppa nonchalance e rischiò per un momento di perdere l’equilibrio, ma si riprese in fretta quando si accorse che Derek lo stava controllando.
Ora che ci faceva caso, il ragazzo non aveva poggiato nemmeno per un minuto il contenitore di cartone che reggeva quando l’aveva visto. Doveva avere dei bicipiti d’acciaio, ma aveva già creduto fondata quella conclusione vedendolo di tanto in tanto con delle maglie a maniche corte.
Le due rampe di scale per raggiungere presumibilmente l’auto di Derek – anche se gli pareva strano che nella sua macchina entrassero tutte quelle scatole – gli sarebbero dovute bastare per conversare un po’, ma non trovò poi molte idee. Anzi, alcune gli balenarono per la mente, ma fecero in modo di sembrargli quanto meno adatte possibili.
Riuscì a trovare un valido – anche se questa considerazione era opinabile – argomento solo quando uscirono dal portoncino.
« Dunque, Derek! Sembra che stia per piovere, non è vero? »
Derek si fermò di fianco a un piccolo furgoncino – che Stiles giudicò poco adatto al ragazzo, ma se voleva trasportare quelle scatole era probabilmente l’unica opzione –, poggiando a terra lo scatolone che stava portando.
« Non so se giudicarti di più perché sai il mio nome senza che io te l’abbia mai detto, o perché stai cercando di fare conversazione parlando del tempo. »
« Potresti farlo perché il mio era giusto un esperimento per scoprire qual è la lunghezza massima di una tua frase. »
Derek gli avrebbe potuto spaccare la faccia, Stiles se lo sentiva, ma si limitò invece a caricare gli scatoloni nella vettura.
Lo aiutò a portare altro paio di contenitori, fino a quando la sua caviglia destra non decise di storcersi e di farlo cadere atrocemente per le scale. Non poi così atrocemente a dire il vero, era lui che esagerava tutto.
Fortunatamente si limitò a sedersi e non a ruzzolare, ma aveva già abbastanza male così: la sua caviglia gli provocava così tante fitte da fargli sperare che si trattasse solo di una storta.
Quando Derek sentì il botto, parve preoccuparsi prima della condizione della scatola che Stiles teneva ancora saldamente e che adesso si trovava sulle sue ginocchia, piuttosto che di lui.
« E’ tutto a posto? »
« Sì, sto ben-… », Stiles si interruppe, notando che lo sguardo di Derek non era rivolto a lui. « Sì, penso che la tua scatola stia bene. » la spostò, spingendola di lato sul gradino.
Solo a quel punto Derek parve interessarsi a lui, appoggiando a propria volta lo scatolone e avvicinandosi.
« Ce la fai a salire le scale? »
« Certo, ho solo preso una storta », Stiles si aggrappò al corrimano e si tirò in piedi, barcollando in avanti. « Ok, forse mi ci vorrà un po’. Tu va pure, non è un problema. Rimarrò qui ad aspettare che mi passi almeno un po’. »
Il più grande lo guardò e si lasciò sfuggire un sospiro. Prima che Stiles se ne rendesse conto, si trovò a penzolare come un sacco di patate dalla spalla di Derek, ottenendo una panoramica fin troppo invidiabile del suo fondoschiena e anche una buona presa sui suoi… muscoli dentati, probabilmente? Beh, non che avesse tutti gli elementi per capirlo solo grazie al tatto, visto che non lo stava palpando, ma solo cercando di mantenersi saldo per evitare di cadere.
Quella situazione si stava rivelando tutto fuorché poco imbarazzante, ma impose alle proprie guance di non prendere colore.
In una decina di minuti, Stiles era riuscito a far avere di sé la perfetta immagine del vicino molesto. Ne fu ancor di più convinto quando, una volta con i piedi per terra di fronte all’ingresso di casa propria, si toccò le tasche e si accorse che erano vuote, fatta eccezione per quella contenente il telefono.
Sbuffò sonoramente.
« Perfetto. »
« Qualcos’altro non va? »
« Ho scordato le chiavi. »
« Mi sembra giusto. » Derek roteò gli occhi.
« Senti, beh, ovviamente non mi sono storto la caviglia perché portavo la tua scatola, quindi non serve che ti preoccupi così tanto. Scott tornerà a casa tra poco, credo, quindi puoi anche fare come se niente fosse. »
L’impressione che Derek stava avendo di quel ragazzo era che stesse trovando ogni pretesto per farlo sentire in colpa: le sue occhiate, le sue parole, tutto gli gridava che sì, era tutta colpa sua, e che era anche abbastanza egoista a non volerlo aiutare.
Sorprendentemente, con quella tattica, stava riuscendo a toccare il bottoncino del suo cuore che attivava il profondo senso di colpevolezza.
Non credeva però che il ragazzo fosse davvero consapevole di suscitare una reazione del genere in lui, perciò decise che l’avrebbe aiutato.
« Devi metterci del ghiaccio, se non vuoi che si gonfi », indicò con un impercettibile gesto del capo la porta di casa propria. « Ne ho un po’ in frigo. »
Nonostante il dolore alla caviglia, Stiles non potè far altro che pensare di essere schizzato dalla prima fase – ovvero salutare Derek –, alla terza – entrare in casa sua, preceduta da offrirgli un caffè al bar sotto casa – e il tutto in molto meno tempo di quello che aveva stimato se avesse seguito per filo e per segno il piano elaborato con Scott.
Non che le fasi avessero poi così tanta importanza ormai, visto che aveva avuto un contatto approfondito con Derek nemmeno al primo appuntamento. Sempre che farsi portare di peso fosse un contatto approfondito e che aiutarlo a portare in macchina degli scatoloni potesse considerarsi un appuntamento.
« In un linguaggio meno criptico, mi stai invitando in casa tua? », gli domandò.
« Ti hanno mai detto che sai essere abbastanza inadeguato? »
« Sì, è successo. »
Derek gli parve quasi offendersi e si diresse a passo spedito verso il proprio appartamento. Stiles desiderò di non averlo fatto arrabbiare, perché avrebbe davvero avuto bisogno che lo sorreggesse di nuovo fino alla porta di casa, visto che saltellare gli faceva sentire ugualmente il dolore.
Si bloccò sull’uscio, rendendosi conto di aver saltato un punto eccessivamente importante.
« Comunque Stiles. » Derek si voltò a fissarlo. « Sai, così non puoi dire di aver fatto entrare uno sconosciuto in casa tua. »
« So come ti chiami. Chiudi la porta e siediti sul divano. »
Obbedì al tono intransigente del padrone di casa e qualche attimo dopo si trovò comodamente spaparanzato sul divano di Derek.
« Un momento. Hai detto che era inquietante che sapessi il tuo nome senza che tu ti fossi mai presentato. » Lo guardò arrivare con il sacchetto del ghiaccio. « Perché dovrebbe essere meno inquietante che tu  sappia il mio nome senza che io mi sia presentato? »
« Perché è stato il tuo coinquilino a nominarti. »
« E non hai pensato che potrebbe essere proprio grazie al mio coinquilino che so come ti chiam-… »
Invece di porgergli il ghiaccio, Derek glielo fece cadere spietatamente sulla caviglia, portando Stiles a raccogliere la gamba al petto e a gemere contorcendosi.
« Sei crudele! »
« Consideralo un esperimento per scoprire se ci fosse un modo per farti stare zitto. »
Stiles riconobbe fin troppo bene la citazione e anche se avrebbe preferito sfoggiare il proprio sarcasmo per averla vinta, decise che per quella volta avrebbe battuto in ritirata per tornare all’attacco in un secondo momento.
Ora aveva altro di cui preoccuparsi, come ad esempio il fatto che la sua meta prima di incontrare Derek sul pianerottolo fosse il discount.
Quando Stiles andava al supermercato sotto casa alle sette di sera per comprare del cibo spazzatura, poteva voler dire due cose: o che era depresso e doveva consolarsi, o che Scott non sarebbe tornato per cena. Quella volta, Stiles aveva deciso di fare spesa di schifezze per entrambi i motivi.
Scott fuori a cena voleva dire Scott dalla sua ragazza. Scott dalla sua ragazza voleva dire sia che era abbastanza lontano da lì, sia che non avrebbe avuto alcuna intenzione di tornare presto.
Quindi, per la proprietà transitiva – Stiles aggiunse quel ricordo matematico per sdrammatizzare –, Scott fuori a cena voleva dire Stiles in casa di Derek fino a notte fonda, o scaricato da quest’ultimo sull’uscio come un cucciolo abbandonato.
Sapeva che spiegando al migliore amico la situazione non avrebbe ottenuto delle chiavi, cosa che dopotutto gli faceva anche comodo, ma decise ugualmente di avvisarlo.
Il messaggio che prese forma sul display del suo cellulare fu un “Batman è entrato nella tana del lupo e si è anche chiuso fuori di casa senza le chiavi.”
Ora non rimaneva da fare altro che spiegare la situazione anche a Derek.
« Dunque, ho una notizia buona e una cattiva. Penso tu voglia sentire prima quella cattiva, ma te lo chiedo ugualmente. »
Derek, che si era andato a stappare una birra – seriamente? Birra fuori dai pasti? –, si voltò.
« Scott non ha intenzione di rincasare, stasera, o qualcosa del genere. Indovinato? »
Stiles lo guardò, abbozzando un sorriso che nel proprio essere forzato sottolineava un vago imbarazzo.
« Esattamente! Hai qualche abilità paranormale? »
Derek lo ignorò.
« Qual è la buona notizia? »
« Che siccome sono infortunato per colpa tua non mi puoi cacciare di casa, ma anche che sono sinceramente dispiaciuto che tutto questo sia successo. »
Il più grande si sarebbe voluto avvicinare, prenderlo di peso e depositarlo senza delicatezza fuori di casa, ma si convinse di non avere il diritto di farlo: probabilmente tutta quella situazione era una punizione divina per la caviglia ipoteticamente slogata del ragazzo, e considerando che se era in quelle condizioni era colpa sua, non poteva trattarlo male.
Non era così crudele, anche se non lo avrebbe mai né dimostrato, né ammesso.
Nonostante tutti quei pensieri, Derek si avvicinò al divano e fissò abbastanza intensamente il sacchetto con il ghiaccio da far preoccupare Stiles, che si convinse di una seconda rappresaglia ai danni del suo povero arto infortunato.
Derek si limitò a colpirlo sulla nuca con una manata e Stiles si rese conto che non sarebbe riuscito ad essere salvo in alcun modo.
« Sei sempre così manesco? »
« Solo con chi mi fa innervosire », sbuffò. « Stasera avevo da fare. »
« Beh, puoi comunque farlo. Ho una caviglia presumibilmente slogata, casa tua è praticamente vuota e, anche se ti rubassi qualcosa, probabilmente sfonderesti la porta del mio appartamento per venirtela a riprendere. »
« Se sfondare una porta avesse così poche conseguenze l’avrei già fatto per rimandarti a casa tua. »
« Se poi la riparassi, anche, ti direi che è un’ottima idea. »
Derek si convinse che, senso di colpa o no, quella serata sarebbe stata molto lunga.
 

Meno dieci giorni alla partenza di Derek.

Aprì gli occhi infastidito dall’esagerata sensazione di freddo che sentiva ad un piede.
Come la maggior parte delle persone, Stiles tendeva ad essere abbastanza confuso appena sveglio e prova ne fu il suo non comprendere per un paio di minuti buoni dove si trovasse.
Non che potesse andare poi molto diversamente, visto che non si era mai svegliato in un luogo dove non aveva mai dormito prima; trovarsi davanti il soffitto dell’appartamento di Derek fu abbastanza singolare, per lui.
Appena il suo cervello elaborò che si trovava nell’appartamento del vicino, Stiles si tirò a sedere in fretta e furia, lasciando scivolare ancor di più la coperta che riparava già maggiormente il pavimento, piuttosto che lui.
Guardò il cellulare per controllare l’ora e non solo si accorse che erano già le dieci, ma anche che Scott gli aveva lasciato qualche messaggio e l’aveva chiamato un paio di volte, prima di rassegnarsi all’idea che l’avrebbe rivisto il giorno dopo.
Almeno lui, la sera precedente, si era degnato di non disturbarlo troppo, mentre era dalla sua fidanzata; Scott invece non si era premurato poi così tanto di non essere invadente.
Stiles si arruffò i capelli, poi decise che la prossima mossa sarebbe stata capire dove si trovava Derek.
Mise i piedi fuori dal divano e se ne pentì in fretta, visto che la sua caviglia pareva essere ancora abbastanza arrabbiata con lui.
Nonostante questo si alzò e zoppicò verso la cucina, un enorme spazio aperto che dava sul salotto. Certamente raggiungendola non avrebbe compreso dove fosse Derek, a meno che non si trovasse nascosto dietro a una delle dispense per spiarlo, ma a ben pensarci forse sarebbe stato meglio preoccuparsi prima della colazione.
Se Derek fosse stato a letto, Stiles decisamente non gli avrebbe portato lì la colazione, ma si sarebbe per lo meno degnato di preparargli latte e cereali e di chiamarlo, o qualcosa del genere.
Anche perché era un po’ curioso di sbirciare come fosse il resto della casa di quel ragazzo: non gli era bastato ciò che aveva visto il giorno prima andando in bagno, affatto.
Purtroppo il suo piano venne sventato quando Derek sbucò dalla porta che dava sul corridoio. Stando ai capelli umidi, doveva essere reduce da una doccia.
Stiles si domandava come facesse a sembrare già così sveglio; come se non fosse mai andato a letto, e come se non sentisse affatto su di sé il peso della mattinata appena iniziata.
Ovviamente non considerava che erano pur sempre le dieci.
« Ah, ti sei alzato », constatò solamente Derek, avvicinandosi.
« ‘Giorno », salutò, ignorando il tono vagamente aspro dell’altro. « Dormito bene? »
« Come al solito, quindi sì. »
Derek aprì il frigorifero e la discussione per lui parve concludersi lì.
« Prego. E comunque anche io, grazie. »
Il padrone di casa sembrava essere totalmente immune al suo sarcasmo, perché quando si risollevò non diede nemmeno vagamente peso alle sue parole.
« Comunque, per migliorare la mia immagine di vicino molesto, prima che arrivassi stavo cercando nel frigo qualcosa per preparare la colazione. »
Stiles si sporse, a quel punto, per sbirciare dentro l’elettrodomestico.
« Ho già fatto colazione. »
L’occhiata che Stiles gli scoccò parve far capire anche a Derek che il vicino antipatico stava diventando lui e che anche se probabilmente non gli importava assolutamente era il momento che cambiasse atteggiamento.
Inaspettatamente Derek lo fece, perché doveva ammettere che le occhiate di Stiles avevano un effetto inconsueto.
« Cosa mangi tu, di solito? »
Stiles appurò che Derek era strano: passava dall’ignorarlo all’essere acido, dal cercare di spaventarlo e poi ancora al metterlo quanto più a suo agio possibile. C’era da considerare anche il fatto che comunque era abbastanza premuroso, sempre che Derek e quell’aggettivo potessero evitare di fare a pugni se nella stessa frase: dopotutto la coperta che si era trovato addosso quella mattina, anche se solo per metà, gli era stata messa proprio dal padrone di casa.
« Quello che c’è, non sono sofisticato. »
E così Stiles si trovò a consumare una ciotola di latte e cereali eccessivamente buona: in fin dei conti l’erba del vicino è sempre più verde.
Dopo aver ripulito, il ragazzo si avvicinò all’uscio di casa.
« Ora è meglio che vada, comunque. Ho disturbato anche troppo. »
Si aspettò che Derek gli rispondesse con qualcosa come un’affermazione secca, ma non lo fece.
« Allora… ci vediamo. Non ti dico di chiamarmi se hai bisogno di una mano con gli scatoloni: potrei slogarmi anche l’altra caviglia. »
« Già, non vorrei averti definitivamente sulla coscienza. »
Per un attimo, Stiles udì il vago tono di una battuta, ma aveva sperato troppo; si salutarono rapidamente, e Stiles si trovò a zoppicare verso il portoncino di casa propria, oltre il quale fortunatamente lo attendeva Scott che, ne era certo, avrebbe voluto sapere troppe cose.
E lui non sapeva se sarebbe stato felice di raccontargliele oppure no, perché tutti quegli avvenimenti l’avevano lasciato a dir poco confuso.

 
Meno otto giorni alla partenza di Derek.

Erano passati un paio di giorni dall’avventura che aveva reso Stiles protagonista di un incontro fin troppo ravvicinato con Derek Hale.
Aveva metabolizzato la cosa in maniera a dir poco singolare e solo quel giorno si era reso conto di quale fosse il suo effettivo stato d’animo, dopo aver desiderato di fare tutto fuorché riconoscere quanto Derek gli piacesse.
Trovarsi nella tana del ragazzo – perché quello era l’unico termine che era riuscito a usare per definire la casa dell’altro, insieme a lupo per parlare di lui, visto che aveva come l’impressione che le pareti fossero troppo sottili per permettergli di non parlare in codice – aveva fatto comprendere a Stiles che non gli sarebbe dispiaciuto tornarci, magari dopo aver rispettato i primi punti del suo piano. Avrebbe quindi dovuto parlare con Derek senza che l’uomo fosse costretto a interagire con lui; pochi giorni prima era praticamente stato obbligato a parlargli, a portarlo in casa propria e a condividere lo stesso divano con lui che, per la cronaca, era riuscito a mettergli addosso il proprio piede in tutti i modi, non volendone sapere di tenere la gamba in altro modo se non distesa.
Ciò che Stiles doveva fare era riuscire a interagire di nuovo con Derek prima che se ne andasse in chissà quale luogo, per chissà quanto tempo e a fare chissà che cosa.
Magari non sarebbe stato lontano, ma di questo non poteva avere conferma se non scopriva chi era la sorella di Derek.
Aveva avuto due idee per risolvere la questione, una poco ortodossa – pienamente nel suo stile, insomma – e l’altra moralmente più corretta. La prima, era svolgere una ricerca incrociata su qualche social network per identificare la ragazza, ma aveva dovuto scartarla: aveva ben poco da incrociare, visto che non era stato capace di trovare nemmeno Derek.
La seconda, era chiedere direttamente al suo vicino chi fosse la sorella o, più semplicemente, dove abitava. Così, giusto per parlare. Ma Stiles aveva sfortunatamente appurato quanto fosse difficile scambiare quattro chiacchiere con Derek tanto per fare: lo guardava sempre con quegli occhi che la dicevano lunga su quanto fosse irritato, stanco di ascoltarlo, convinto che gli stesse solo facendo perdere tempo e anche abbastanza voglioso di picchiarlo.
La mente di Stiles era anche stata attraversata dall’idea che quell’atteggiamento sussistesse proprio perché era lui, perché magari gli stava profondamente antipatico e perché l’altro, di averci a che fare, non ne voleva proprio sapere.
Poi decise che non gli importava, perché tutto sommato Derek non era stato poi così malvagio e, anche, perché era abbastanza sicuro di non voler perdere quell’occasione; immaginarsi disperato in un angolo della propria stanza mentre Derek usciva per sempre dal loro palazzo era l’ultima cosa che desiderava.
Per questo Stiles aveva trovato una tattica che gli avrebbe permesso di attuare il primo piano che lui e Scott avevano elaborato. Una matrioska di strategie, insomma, ma se poteva funzionare si sarebbe servito di questo ed altro.
Di nuovo, Stiles uscì di casa. Uscì di casa e, diversamente dalla volta precedente, si ritrovò faccia a faccia con un pugno che, solo per fortuna, non lo colpì.
Il suo proprietario lo ritirò istantaneamente. Stiles avrebbe dovuto ricordarsi di ringraziare i riflessi della persona di fronte a lui.
« Che stavi facendo? »
« Stavo per bussare alla porta. »
« Beh, più che alla porta stavi per bussare alla mia faccia. » Stiles aggrottò le sopracciglia. « Piuttosto, chi è che ancora bussa invece di suonare il campanello? »
Quello che sia per i modi che per la simpatia si era palesato come Derek Hale incrociò le braccia, mettendo in evidenza dei bicipiti che, per quanto a Stiles potessero piacere, gli fecero pensare di essere davvero masochista: esagerava sempre con ciò che diceva, ed era quasi del tutto certo che quando Derek si sarebbe stancato di sopportare in silenzio avrebbe saggiato la forza di quei bicipiti ricevendo un vero pugno.
« Qualcuno che trova un campanello non funzionante. Sono qui fuori da cinque minuti. »
Stiles ricordò in quel momento che effettivamente lui e Scott avrebbero dovuto riparare il campanello, che alle volte faceva i capricci.
« Tu che stavi facendo? »
Stiles abbassò lo sguardo sul pacco di caramelle gommose a forma di coca cola che teneva in mano; una torta era troppo femminile come segno di ringraziamento, quindi aveva optato per le sue amate coca cole. Era anche meglio che le accettasse, Derek, perché per lui era davvero difficile separarsene.
« Ti stavo venendo a portare queste. »
« Delle caramelle. »
« Per ringraziarti per l’altro giorno. » Lo fissò. « E’ stato difficile scegliere cosa portarti. Sai com’è, pensavo che ti nutrissi solo di bistecche e di frullati di uova a colazione, Rocky. »
Stiles non fu certo che Derek avesse colto la palese citazione, ma non gli importò molto.
« Ho fatto quello che dovevo, non serviva che mi venissi a ringraziare. »
Decisamente avrebbe dovuto trovare qualcosa di migliore delle caramelle.
« Beh, tu perché eri qui? »
Derek parve trovarsi preso in contropiede. Serrò le labbra in una linea dura prima di parlare.
« Ero venuto a vedere come stava la tua caviglia. »
Stiles si rese conto che in quel momento avrebbe avuto tutte le ragioni per andare in iperventilazione come una teenager con una cotta per il ragazzo più bello della scuola, ma decise che avrebbe evitato: c’era un limite al numero di scenate del genere che una persona poteva permettersi di fare nell’arco di una settimana, e lui aveva già esaurito la propria dose un paio di giorni prima.
« Ah, la caviglia. » Le gettò un’occhiata come se fino a quel momento avesse avuto tempo di fare tutto fuorché pensarci. « Zoppico ancora, ma sta bene. Non abbastanza da aiutarti a portare altri scatoloni, però. »
Per un momento pensò che Derek avesse accennato un sorriso, ma si convinse che fosse tutta un’illusione ottica dettata dalla luce che entrava dall’ultimo piano.
Prima che il ragazzo trovasse un pretesto per andarsene, Stiles parlò ancora.
« Ti va di entrare? Ti offro qualcosa, magari non delle caramelle. »
Dopotutto chi diceva che avrebbe dovuto chiedergli obbligatoriamente di andare in un bar?
« Volentieri. »
Stiles era una persona con i piedi per terra, anzi, a volerla dire tutta era una persona con i piedi che sprofondavano nel terreno per quanto era realista. Parlava tanto, ma non sempre credeva in ciò che diceva, se troppo utopico.
La risposta più ovvia da aspettarsi da parte di Derek era un no secco, o magari una qualche scusa poco credibile circa l’avere altro di meglio da fare, ma invece Derek gli aveva detto di sì, e lui non aspettava altro che un’occasione.
 

Meno quattro giorni alla partenza di Derek.

Quando pochi giorni prima Derek Hale era entrato in casa di Stiles – mentre era vuota; non sarebbe stato lo stesso offrire qualcosa al suo vicino sexy se Scott fosse stato nei paraggi –, il ragazzo aveva lasciato galoppare la fantasia.
Durante quella manciata di secondi durante la quale Derek aveva varcato la soglia – momento che Stiles era certo di essere riuscito a vedere al rallentatore –, aveva pensato che non gli sarebbe dispiaciuto se gli avesse detto che no, non poteva fermarsi, ma che per rimediare a quella momentanea mancanza di tempo l’avrebbe invitato fuori.
Non pretendeva una cena, gli bastava anche che gli chiedesse di accompagnarlo al supermercato per scegliere quali fossero le patatine migliori, o anche a portare fuori il cane che, però, Derek non aveva.
Gli sarebbe andato bene tutto, purché fosse con Derek. Avrebbe accettato qualsiasi pretesto pur di poter avere il suo numero.
Però lui era Stiles Stilinski e non aveva bisogno di pretesti per ottenere ciò che voleva: lui si creava i pretesti e vinceva.
Così mentre Derek beveva il bicchiere d’acqua che gli aveva chiesto – peccato, gli sarebbe piaciuto scoprire quali fossero i suoi gusti in fatto di caffè, ma anche avere la prova che il suo vicino non si comportasse come se fosse certo che qualcosa di preparato da lui lo potesse avvelenare –, Stiles era andato all’attacco. Era andato all’attacco e aveva pronunciato quelle poche, semplici e non tanto innocenti parole per fargli quella richiesta.
Dopotutto è giusto che un vicino abbia il tuo numero, no? Non si sa mai cosa può succedere.
Magari un giorno Derek si sarebbe scordato le chiavi e, visto che il loro campanello ancora non funzionava, avrebbe dovuto chiamare Stiles perché lo facesse entrare.
Magari poi in quella particolare situazione Derek sarebbe stato anche bisognoso di affetto e lui certamente l’avrebbe aiutato.
Stiles non avrebbe mai capito perché, giunto a quel particolare punto del proprio ricordo, cominciasse a inserire pensieri del genere.
Ad ogni modo, Derek si dimostrò d’accordo con lui e gli scrisse il numero su un biglietto che quasi certamente Stiles avrebbe voluto incorniciare, fotocopiare e appendere ovunque.
Era in quei momenti che gli dispiaceva che in casa ci fosse anche Scott: non l’avrebbe certamente lasciato soccombere in modo così malato ad una cotta.
Quello, fu il primo grande traguardo di Stiles Stilinski in quella storia, insieme al quasi-appuntamento che arrivò subito dopo.
A dire il vero non era stato un vero e proprio appuntamento, quello, e non era nemmeno vero che era stata di Derek l’idea. Semplicemente Scott gli aveva scritto che avrebbe di nuovo fatto tardi, Stiles aveva letto il messaggio a voce alta e aveva sbuffato sonoramente. Poi, aveva incastrato Derek dicendogli che sarebbe stato carino da parte sua fargli compagnia in un fast food, visto che si era slogato una caviglia per colpa sua.
Derek gli aveva fatto giustamente notare che la sua caviglia stava meglio, come lui stesso aveva affermato, ma Stiles aveva subito dopo sfoderato quello sguardo che nemmeno sapeva di fare, quello che proprio un paio di giorni prima aveva fatto sentire Derek terribilmente in colpa.
Quindi, anche se ancora non aveva capito quanto d’accordo o meno fosse l’altro, Stiles si era trovato seduto ad un tavolo per due con Derek Hale, in attesa che il suo succulento panino caldo arrivasse. Considerando la compagnia, si sarebbe anche potuto dimenticare di aver scoperto da poco che la destinazione del trasloco di Derek fosse il Sud America, dove si trovava sua sorella.
C’era un’altra cosa, però, che in quel momento lo infastidiva; Stiles non era solito diventare irascibile per via della fame, ma poteva diventarlo se tutta la fauna femminile presente in quel luogo era concentrata sul ragazzo con cui era uscito quella sera.
« Ti guardano tutte, un po’ come se fossi l’ultimo uomo rimasto su questa terra. »
E che uomo. Avrebbe volentieri fatto a pugni per arrivare a lui.
« Che guardino. »
Criptico, fu l’unico aggettivo che in quel momento Stiles fu in grado di affibbiare a Derek. Un po’ come tutte le volte che parlavano, d'altronde.
A dire il vero aveva sperato che dalle sue parole sarebbe stato capace di capire qualcosa di più per quanto riguardava i suoi gusti.
« Beh, non credo ti dispiaccia. »
Il moro sembrava più concentrato sul boccale di birra che aveva ordinato, che su di lui.
« Come mai ti interessa? »
« Sto cercando di fare conoscenza. Sai, visto che mi sono quasi rotto una caviglia per te, che ho dormito in casa tua, che ti ho fatto entrare nel mio appartament-… »
« Ho afferrato il concetto », tagliò corto Derek, sperando di non doversi sorbire la fine dell’elenco che comunque stava per terminare.
« Dunque, la risposta? »
« Dipende. »
« Da che cosa? Saprai se ti piace di piacere, o se preferiresti non essere guardato. »
« Mi fa piacere, ogni tanto. » Fece una piccola pausa. « Non cercare di portarmi in uno dei tuoi labirinti mentali. »
Quindi anche Derek pensava qualcosa di lui, anche se quel qualcosa era solo il fatto che conducesse le persone in dei labirinti mentali.
« Mi pare che ci sia un “ma” in quello che hai detto, però. »
« Del tipo? »
« Del tipo che forse non ti piacciono al cento per cento le ragazze. »
Derek alzò lo sguardo. Il colore verde poteva ricordare il fuoco? Perché a Stiles parve che Derek volesse davvero avere una tanica di benzina a portata di mano e usare i propri occhi come accendino.
Dal canto suo, Derek aveva svariate idee circa il proprio comportamento: poteva colpirlo, pestargli il piede ancora dolorante, alzarsi e andarsene o dirgli qualcosa di cattivo. Scelse un’ulteriore opzione, quella che di solito lasciava sempre da parte perché, si poteva dire, non faceva per lui.
« E se io lo chiedessi a te? »
La retorica non gli si addiceva, ma alle volte pagava più delle sue solite maniere.
« … Eh? »
« Sei sicuro al cento per cento che ti piacciano le ragazze? »
Stiles conosceva già la risposta e non avrebbe nemmeno avuto problemi a comunicarla all’uomo dall’altra parte del tavolo, se solo non avesse sfoggiato un sorrisetto che raramente si vedeva sul suo volto. Un sorrisetto divertito, di quelli che ti fanno inclinare solo un angolo delle labbra.
Derek perfetto Hale stava facendo un sorrisetto divertito proprio a lui, mentre gli chiedeva se gli piacevano le ragazze. Anche se fosse stato etero avrebbe detto di no.
Però c’era una punta di sfida, in quel sorriso, che fece resistere Stiles.
« Forse. »
Decisamente Derek non si aspettava una risposta del genere e lo dimostrò inarcando un sopracciglio. Inarcando molto un sopracciglio.
« Solo forse? »
« Ehi, tu vuoi mantenere le distanze con me non rispondendomi? Allora io non rispondo a te. Siamo pari. »
La parola che in quel momento venne in mente a Stiles fu “flirtare”.
Era quasi del tutto sicuro che lui e Derek stessero flirtando, in qualche modo. Stavano flirtando come probabilmente si faceva in qualche galassia lontana, ma aveva sentito una strana tensione di sottofondo che poteva essere ricondotta solo all’atto del flirtare.
Tensione che venne smorzata dall’arrivo della cameriera, la quale aveva tutta l’aria di essere stata mandata dalla componente femminile del personale – e forse non solo – a cercare di ottenere il numero di Derek.
E Derek promise di darglielo, con il sorriso che le fece. Decisamente il bastardo doveva averle rivolto quel sorriso per far capire a lui che era etero e anche convinto.
« Oh, ho afferrato il concetto. »
Lo borbottò e Derek non riuscì a sentirlo, ma si rifiutò di ripeterlo quando l’uomo gli fece presente che aveva parlato troppo piano.
Doveva ringraziare solo il ragazzo di fronte a lui se ora il suo panino aveva un sapore esageratamente amaro.

 
La partenza di Derek è domani.

Stiles le aveva pensate tutte, per dire a Derek ciò che provava. Le aveva pensate tutte e non c’era stato assolutamente verso di trovare le parole giuste, il pretesto e, soprattutto, il contesto giusto.
Dopo il loro pseudo appuntamento, lui e Derek si erano visti relativamente spesso; sulle scale, al supermercato, si erano addirittura suonati il campanello a vicenda rendendosi conto che mancava qualcosa in casa. Nel caso di Derek probabilmente era vero, Siles invece aveva solo voluto un pretesto per vederlo di nuovo.
Già, pretesti. Sempre e solo i pretesti, erano il problema.
Cos’aveva pensato, qualche tempo prima? Che se Stiles Stilinski voleva ottenere qualcosa poteva farlo creandosi da solo la scusa adatta?
Che idiozia.
Aveva cominciato a pensare di aver abbandonato il realismo per seguire una strada ben più dolorosa: quella dell’illusione. Era quasi del tutto sicuro di essersi illuso esageratamente.
Prima di decidere di dire tutta la verità a Derek, aveva creduto che facendolo avrebbe rovinato un qualcosa che gli sembrava si stesse creando tra di loro.
Già, qualcosa, perché non c’era altro modo per definirlo: non era certo che fosse amicizia, perché se ne sarebbe accorto, ma non aveva prove che si trattasse d’altro.
Era riuscito a illudersi che Derek non lo odiasse solo fino a quando non si trovò di fronte alla porta del suo appartamento.
Prima di potersi pentire, suonò il campanello.
Erano le tre di notte, non era nemmeno sicuro che sarebbe riuscito ad avere il tempo necessario per fare ciò a cui aveva pensato: Derek l’avrebbe potuto uccidere prima, o perché l’aveva fatto preoccupare dato l’orario, o più semplicemente perché l’aveva svegliato.
Stiles pensò che, forse, avrebbe potuto anche avere la sfortuna di trovarlo in compagnia di qualcun altro. Anzi, meglio, qualcun’altra, visto che aveva avuto la più che sufficiente conferma di quanto lui fosse etero.
Un pensiero del genere in passato l’avrebbe fatto desistere, ma ormai era arrivato troppo avanti per tornare sui propri passi.
Passarono un paio di minuti prima che Stiles sentisse qualche movimento oltre la porta, che Derek sbirciasse dallo spioncino e aprisse.
« Sono le tre di notte, Stiles… che ci fai qui? »
Aveva la voce impastata condita da un pizzico di preoccupazione e indossava solo i pantaloni del pigiama. Beh, se non altro era come ricordava di averlo visto entrare in camera da letto quando era stato lui, a dormire lì.
« Ho scordato le chiavi! » Si lasciò sfuggire una leggera risata.
Stiles sapeva di essere un ottimo attore, sperava solamente che Derek non lo scoprisse.
« Un’altra volta? », sospirò, accorgendosi di qualcosa di insolito nella sua voce. « Hai bevuto? »
« Solo un po’! Scott è andato a casa con la sua ragazza e io… niente chiavi! »
Derek si mise di lato per lasciarlo entrare.
« Sei un’irresponsabile. »
Stiles scrollò le spalle, poi, in un momento, si voltò verso il padrone di casa.
« Sono una scocciatura per te, Derek? »
« Come? »
L’altro parve rimanere abbastanza stupito da quella domanda.
« Lo so che sono una scocciatura. Sono più le volte in cui abbiamo occasione di parlare perché sei costretto a farlo, perché almeno in questo caso devi dimostrare di avere abbastanza cuore da non lasciarmi sul pianerottolo a trascorrere la notte. Non ci parliamo mai perché vuoi farlo davvero. »
Derek aggrottò le sopracciglia. Stiles pensò di averlo fatto arrabbiare per avergli praticamente dato dell’insensibile.
« Stiles, hai bevuto e stai farneticando.»
« Perché non puoi evitare di cambiare discorso? Basta che tu dica “Sì Stiles, sei una scocciatura, adesso vattene!”, ma sai solo sembrare aggressivo. E antipatico. E trattarmi male. Mi sorprende che tu non mi abbia ancora sbattuto la testa contro qualcosa! »
« Posso sempre rimediare, se non ti dai una calmata. »
Derek serrò la mascella, poi afferrò Stiles per il braccio e lo strattonò. Nella sua mente doveva essere un invito ad andare a sedersi sul divano per calmarsi, nella realtà risultò essere tutto fuorché quello.
« Non mi domandi nemmeno perché sto reagendo così! »
« Non sono certo di volerlo sapere. »
A quel punto, Stiles si divincolò dalla presa dell’altro che voleva almeno in parte lasciarlo andare, se fu capace di allontanarsi anche solo di poco da lui.
« Non voglio che tu te ne vada, Derek. » Socchiuse gli occhi. Ebbe la sensazione che stessero pizzicando come per diventare lucidi. « Non voglio davvero che tu lo faccia. E sai perché? »
Derek rimase in silenzio, quasi come se sperasse in qualcosa che, però, una parte di lui temeva di sentire. Stava per parlare, probabilmente per zittirlo, ma non era mai stato bravo a interrompere la parlantina di Stiles.
« Perché mi sono innamorato di te, Derek Hale, e anche se qualche volta ancora fatico a capire come sia successo, non posso cambiare la situazione. » Si morse il labbro. « Quindi non so se tu ricambi, anzi, è ovvio che tu non lo faccia, ma almeno io ho avuto il coraggio di dirtelo! »
Derek lo fissò negli occhi con un’espressione così affranta e sconvolta che parve dare ragione ad ogni singola parola di Stiles, che subito pensò di aver esagerato e di essersi lasciato prendere la mano.
Per un attimo, credette che l’avrebbe sbattuto fuori. Dopotutto Derek non era paziente, Derek era quello che non si sarebbe atto scrupolo a picchiarlo, quando esagerava, perché avrebbe dovuto essere più comprensivo?
Stiles mica era una qualche eccezione.
« Se solo tu non fossi ubriaco, potrei dirti quello che penso davvero, o almeno provarci, ma non mi va di dire qualcosa a qualcuno che certamente domattina se lo sarà dimenticato per il troppo alcool. Probabilmente nemmeno sai quello che hai appena detto. »
In quel momento, lo sguardo vacillante di Stiles tornò lucido, il suo volto divenne serio e tornò a reggersi da solo, senza sbilanciarsi sempre contro Derek come se avesse bisogno del suo sostegno.
Una mano corse verso la tasca dei jeans, da cui estrasse un mazzo di chiavi che ora pendeva dal suo indice.
« Non sono mai stato ubriaco. So di alcool perché sono uscito e mi hanno rovesciat-… »
Quando Stiles si rese conto di essere stato zittito, pensò che fosse perché Derek l’avesse colpito con qualcosa. Sentire le sue labbra fu abbastanza traumatico, ma più in senso positivo, che negativo.
Era capitato il miracolo, e per una volta Stiles non riuscì a pensare a cosa avrebbe dovuto dire quando sarebbe stato il suo turno di aprire bocca.
Sentì la presa dell’uomo farsi forte sul suo viso e, quando si staccò, poté guardarlo negli occhi da tanto vicino come mai avrebbe sperato di poter fare.
« Avevi detto che ti piacevan-… »
« Hai detto anche troppe cose, Stiles. Ora, per l’amor del cielo, sta zitto e lascia parlare me. »
Se quello era il modo di parlare di Derek, allora Stiles sperava che per le poche ore che rimanevano di quella notte avesse molto altro da dire.
 

Due giorni dopo la partenza di Derek.

Stiles avrebbe voluto dire di essersi svegliato grazie al cinguettare allegro degli uccellini e ai caldi raggi del sole che filtravano dalle finestre.
Gli sarebbe davvero tanto piaciuto che fosse così, ma realista com’era, viveva nella certezza che un risveglio fiabesco come quello fosse concesso a tutti una volta sola nella vita e lui, sfortunatamente, l’aveva già sperimentato un paio di giorni prima.
Non era successo nulla di particolare, se si voleva essere modesti: si era solo confessato a Derek Hale fingendosi ubriaco, e Derek Hale aveva detto che sì, anche lui gli piaceva. E molto.
Si era svegliato il giorno dopo tra le lenzuola del proprietario dell’appartamento dentro a cui si era di nuovo intrufolato, stavolta con una vera e propria scusa.
Non si era spiegato di preciso come mai Derek sapesse di buono appena sveglio. I giorni successivi Stiles aveva cercato di fare una lista dei vari profumi che gli sembrava di aver sentito su Derek, appurando che la sua storia non sarebbe stata del tutto un cliché quando si rese conto che il solito “buon odore di dopobarba” non sarebbe potuto essere del suo uomo, visto che probabilmente non lo usava mai.
Ad ogni modo, aveva avuto il proprio risveglio fiabesco, che era durato per circa un’ora buona, visto che Derek si era concesso di dormire un po’ di più.
Per la prima volta, Stiles aveva potuto osservare qualcuno dormire senza sentirsi una qualche sottospecie di maniaco.
Non aveva avuto pensieri, di nessun tipo: anche se amava che tutto fosse ben definito, non aveva bisogno che Derek gli dicesse esplicitamente che sì, erano una coppia; lo sapeva e per quanto poco lo conoscesse, Stiles era certo che Derek avesse impiegato ogni briciolo delle proprie forze per dimostrarglielo.
Quel giorno però, non si era svegliato con Derek accanto a lui.
Derek non era accanto a lui, la giornata era grigia e prometteva tutto fuorché il buon umore, e aveva le lezioni al college il pomeriggio.
Ricordò anche che quella mattina doveva andare a fare la spesa, se voleva che lui e Scott si nutrissero di qualcosa che non fossero hamburger.
Però comunque non era del tutto di cattivo umore.
Si lavò, si vestì e mise piede fuori di casa. Osservò la porta dell’appartamento di fronte al suo e scese rapidamente le scale.
Ripensando alla notte della propria confessione, si domandò come fosse stato capace di non ottenere un occhio nero: quell’irascibile di Derek si sarebbe dovuto arrabbiare davvero tanto, scoprendo la sua messinscena.
Una volta raggiunto l’ingresso del condominio, Stiles si trovò di fronte ad alcune pile di scatoloni. A volerle ben contare, era esattamente lo stesso numero che aveva portato per aiutare Derek appena due settimane prima.
« Non potevi riportare tutto in casa tua oggi pomeriggio? Avremmo avuto almeno la mattina per stare insieme. »
Stiles era bravo a far credere che stesse tenendo il broncio, soprattutto con Derek; aveva sempre fatto il duro con lui e di certo non avrebbe smesso, ma Stiles aveva capito quanto poco bravo fosse a gestire certi atteggiamenti delle persone e lui, da bravo, sfruttava questo fatto a proprio vantaggio.
« Le ditte di traslochi non aspettano i miei comodi. »
Stiles lasciò perdere e accennò un sorriso, avvicinandosi e dandogli un bacio sulla guancia.
« Beh, se non altro puoi vantare un ragazzo gentilissimo! Vuoi una mano a portare gli scatoloni? »
Derek lo fissò intensamente e, come la prima volta che quella scena si era presentata, parve ponderare la cosa.
« Vorrei evitare che ti slogassi di nuovo una caviglia. »
« Non ripeterò l’errore della scorsa volta, avanti! »
Prima che Derek potesse replicare, Stiles si era già chinato per sollevare la prima scatola.
Non fece in tempo a imitare il ragazzo che sentì un botto che gli suonò familiare e vide Stiles barcollare.
Fu costretto ad afferrare lui e la scatola, per evitare che cadesse.
« Ancora la caviglia? »
Stiles lo guardò divertito.
« Volevo vedere se ti saresti preoccupato! Sto bene. »
La manata che di nuovo colpì la nuca di Stiles gli fece comprendere che sì, lui era masochista e anche che Derek era veramente poco bravo con gli scherzi.
Però, di questo Stiles ne era certo, erano una coppia bellissima. Quindi andava bene così.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Teen Wolf / Vai alla pagina dell'autore: CHAOSevangeline