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Autore: marjane    22/12/2008    2 recensioni
I capelli neri corvini, sparsi sul cuscino facevano risaltare ancora di più il bianco spettrale dei suoi tratti. La sua bocca era come un taglio netto in un viso scolpito, e dava l’idea di un uomo taciturno, che non ama utilizzare spesso quella fessura per comunicare, il suo naso era dritto, ma quello che più impressionava Anthony erano i suoi occhi. Le palpebre abbassate erano circondate da segni violacei e profondi e sopra di esse regnavano due sopraccigli neri, come i capelli, che rendevano lo sguardo dell’uomo ancora più scuro, severo e inquietante.
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ero qui, a ticchettare nervosamente la tastiera, cancellando per l’ennesima volta la bislacca versione di Little Priest, quando ho pensato: perché non scaricare ancora un po’delle mie angosce in una fanfic drammatica? Perciò scusatemi per questa seconda one-shot, è l’ultima volta che lo faccio, giuro! (Nellie[a Lucy]”Seeeee, dice sempre così” Lucy[sonnecchiando su un amaca]”Che ci vuoi fare cocca, è pur sempre una ragazzina! Dovrà pur sviare le sue pene d’amor in modo creativo!”[Le due si fissano per un momento nel silenzio più completo. Poi scoppiano a ridere. L’autrice le minaccia con un enorme mattarello e i due ingrati personaggi riprendo a spazzare alacremente il pavimento.])

 

Naufrago

 

Agita le braccia e grida riempiendosi la gola d’acqua salata. Non adesso!, pensa, non ora, sto per tornare da lei!

Ma non serve agitarsi e l’uomo continua a scendere negli abissi, circondato dal buio dell’acqua. Gli manca l’aria, lotta contro la corrente, ma continua a discendere nel mare gelato e nero. Sente la gola bruciare e ha paura, paura della morte: se affogassi non la rivedrei mai più, pensa, ma le forze cominciano a mancargli, fa fatica anche a pensare. Ma poi in un lampo nella sua mente vede un donna, chiaramente, come se fosse davanti a lui.

È bella, pallida e dai capelli dorati. Lo guarda sorridendo, irradiando una luce che agli occhi di Benjamin Barker è sempre stata più forte di quella del sole.

Una forza nuova e disperata lo pervade, un unico nome gli da la forza di risalire: Lucy.

E emerge. L’aria brucia nei polmoni ma lui la beve, assetato, a morsi voraci. Ha fame di vita. Si tiene a galla in uno sforzo enorme. Grida, riempiendo l’aria di urla disperate. Gli risponde l’eco della tempesta, un tuono lontano. Continua a gridare per quello che a lui sembra un tempo infinito. Lotta contro le onde, alte e nere, urla disumane salgono al cielo d’acciaio. Non un varco di luce in mezzo a quelle nubi scure. È stanco, non ha più voce per urlare né speranza per vedere una nave spuntare dietro le onde selvagge.

 Si lascia guidare dai flussi, sente le membra contratte dallo sforzo di non affondare di nuovo. “Lucy “ mormora stanco mentre l’acqua fredda lo abbraccia, e il vento, la corrente lo spingono nel vortice della tempesta.  

“Dio, perdona i miei peccati, ho un solo desiderio prima di raggiungerti: fa che possa vederla di nuovo. Morirei cento volte ancora per vedere il suo viso sono un’ultima volta.” L’uomo apre gli occhi e aspetta la stessa visione a braccia aperte, pronto a morire. Il buio lo avvolge.

“Dunque è la fine. Perdonami, Lucy. Non ho la forza di venire da te e mia figlia. Addio.” E affonda, guardando in alto nel cielo nero e freddo, sperando di vedere un’ultima stella.

Ma delle braccia più forti delle sue, inerti, lo trascinano in alto, verso la vita, verso il cielo. L’uomo sente di nuovo l’aria nelle narici e il vento gelido nelle ossa, mentre due marinai lo issano su una scialuppa. L’ultimo ricordo, prima di cedere al buio, è la voce concitata dei due uomini.

 

 

 

In silenzio, mentre il dottor Howard cambiava gli impacchi sulla fronte del naufrago, Anthony spiò il suo volto alla luce delle candele.

Eppure, mentre Anthony lo osservava inerte, lui non vedeva nulla di pericoloso nel suo viso. Una contorta linea di dolore e sofferenza legava i tratti del suo viso e Anthony non provava che pietà per quella povera vittima.

I capelli neri corvini, sparsi sul cuscino facevano risaltare ancora di più il bianco spettrale dei suoi tratti. La sua bocca era come un taglio netto in un viso scolpito, e dava l’idea di un uomo taciturno, che non ama utilizzare spesso quella fessura per comunicare, il suo naso era dritto, ma quello che più impressionava Anthony erano i suoi occhi.

Le palpebre abbassate erano circondate da segni violacei e profondi e sopra di esse regnavano due sopraccigli neri, come i capelli, che rendevano lo sguardo dell’uomo ancora più scuro, severo e inquietante.

Una fronte alta e bianca come la carta chiudeva l’ovale del suo viso, formando la faccia più strana e sofferente che il marinaio avesse mai visto. L’uomo era sbarbato perfettamente tranne che per due basette sottili che scendevano dagli zigomi.

Il corpo dell’uomo era ben proporzionato, era alto e sicuramente dotato di una forza inumana. Disumana come il suo viso, del resto.

Lentamente, l’uomo aprì gli occhi. Come c’era da aspettarsi, anche i suoi occhi erano neri, neri come la pece, ora velati dalla stanchezza.

Non c’era luce in quegli occhi neri.                   

 

 

Tutto si perse nel nero. E lui chiuse gli occhi.

Li riaprì sul ponte della nave. A Londra.

Era notte, una notte senza luna e senza stelle.

Eppure una luce spettrale illuminava il profilo della città.

Sweeney Todd, così si chiamava il naufrago, guardò le acque torbide del Tamigi. Era buio anche lì sotto.

Si sentì affogare nell’ombra, se non fosse che una voce, la voce di un ragazzo lo distrasse.

Era Anthony Hope, il suo salvatore.

Aveva avuto modo di conoscerlo: era una bravo ragazzo con sani principi e la convinzione che il mondo fosse suo, cosa di cui andava fiero.

Il signor Todd era più che mai convinto che il marcio del suo mondo stupendo l’avrebbe presto tirato a fondo.

Giovane e innocente. Niente di meglio per cadere nelle grinfie di Londra senza neanche rendersene conto.

In lui c’era però qualcosa che lo spaventava: quella sua giovinezza gli rendeva impossibile mentirgli.

A lui dichiarava di odiare Londra e a lui avrebbe raccontato tutto, tutta la sua vita.

Non che si fidasse di lui. Solo non poteva fare a meno di raccontargli la storia di quel vecchio barbiere e della sua bella moglie.

Era felice poi di vederlo sconvolto e sofferente. Era proprio un bravo ragazzo. Provava pietà per quella vecchia storia, per quel vecchio barbiere. Una pietà e una comprensione che il naufrago non riusciva a capire, non riusciva più neanche a sentire che ne aveva un bisogno disumano.

Ma lui, Sweeney Todd, non gli avrebbe mai potuto dire il nome della bella moglie del barbiere di Fleet Street.

Era un tesoro tutto suo, era la stessa vita che gli scorreva nelle vene.

Dimentirlo? Oh, non avrebbe mai potuto.

Lucy.

E nel buio di quella via i due uomini si lasciarono, l’uno con l’animo pieno di ombre di un felicità persa l’altro col passo pesante di chi si rende conto di aver incontrato un vecchio fantasma, un condannato a morte per cui non c’è più nulla da fare.

Sweeney Todd camminava deciso verso Fleet Street. Come un vecchio incubo rivedeva quei vicoli bui e sporchi, e il marcio della città che li abitava.

Sotto un vecchio lampione che emanava una luce fioca, con un sussulto, credette di vedere una chioma dorata.

Rimase a lungo come paralizzato contemplando i capelli di sole della donna. Poi riprese a camminare, più lentamente come un uomo al quale è stata inferta una ferita.

E poi Fleet Street: cosa faceva più male? La sensazione che non fosse cambiato nulla, e la speranza la speranza senza risorse di rivedere sua moglie.

Camminando verso la porta del’emporio di Lovett cercò di combattere quella speranza: ma era tutto così reale! Non era un incubo o un sogno, stava davvero attraversando Fleet Street, stava davvero tornando da lei.

“Finalmente.” Sospirò il vecchio barbiere come liberato da un peso immane, quando gli aprì la porta la sua bella moglie dai capelli dorati.

 

Il naufrago mosse lievemente le labbra, e da quella stretta fessura si levò un voce roca e stravolta. Un'unica parola salì, inudita dal medico che ancora borbottava fra sé e sé, dalla bocca dell’uomo.

“Lucy.”

Anthony intravide una luce tenera e viva nei suoi occhi, come se l’uomo stesse ancora sognando.

“Signor Howard, presto dia del rhum al paziente!”

“Che? Signor Hope, io” ma il medico non fece in tempo a finire la frase perché Anthony gli sottrasse la bottiglia e il bicchiere, e versato il cordiale, lo versò in gola all’uomo.

Dal canto suo il paziente sembrò gradire la cosa perché il suo volto prese un po’ più di colore, aprì gli occhi  e si guardò intorno.

Il suo sguardo aveva definitivamente perso la velata dolcezza del sonno, ora era cupo, e percorreva la cabina velocemente.

“Dove mi trovo?” articolò lentamente, con voce roca, rivolto a nessuno in particolare.

“A bordo della ********, signore. Di questo dovete ringraziare la misericordia del Capitano Acton  e la pronta vista di questo giovane marinaio. È stato lui a scorgervi per primo fra le onde.” Rispose prontamente il medico osservando con professionalità il volto del paziente.

L’uomo volse il suoi occhi neri verso Anthony, ignorando completamente il dottore.

Il giovane cercò di sostenere il suo sguardo cupo ma era così carico di misteri e ombra che dovette abbassare gli occhi.

“Ti devo la vita. Grazie.” Mormorò lui, ma il tono della sua voce era funereo, come a suggerire che avrebbe di gran lunga preferito morire.

 

Aveva sognato. Sognato Londra, sognato Fleet Street e sognato lei. Si alzò dalla sua amaca, durante la notte, e salì sul ponte a contemplare il mare. Era nero e senza fondo. Camminò a lungo avanti e indietro ascoltando le onde che si infrangevano sullo scafo e lo scricchiolio dell’albero maestro e delle corde che ondeggiavano nel vento. La tempesta era finita. Ed è qui, pensò Barker osservando la nebbia all’orizzonte, è qui che inizia la mia storia.

 

  
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