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Autore: nettie    06/04/2015    1 recensioni
Siamo capaci solo a disprezzare, giudicare, privare questa terra della sua natura, privarci di emozioni per diventare uomini di ferro. Già, uomini di ferro. Cosa potremmo mai ottenere, diventando uomini di ferro? Il freddo eterno, nulla di più. Freddo, nei nostri cuori c’è tanto freddo, è sempre Inverno.
Genere: Angst, Dark, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Storie brevi scritte in un lasso di tempo breve. '
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I palazzi alti.

 

Tanta, tanta desolazione.

Ecco cosa vedeva Carmen, desolazione e niente più. Era tutto così terribilmente triste, ogni respiro si faceva sempre più pesante e sentiva come se qualcosa le schiacciasse il petto. Era una sensazione mostruosa e priva di gioia. Ma come avrebbe mai potuto essere felice, in un mondo come il suo? Era grigio, grigio e monotono. Pericoloso. Si sentiva in pericolo, costantemente in pericolo, era una sensazione che non riusciva a sopportare e che le rendeva le giornate un Inferno. L’Inferno in cui stava bruciando lentamente senza rendersene conto, l’Inferno che l’ha inghiottita fra le fiamme non lasciandone alcuna traccia. Era pesante, molto pesante. Troppo pesante e senza colore, senza gusto. Era come buttare giù costantemente una medicina che non ha sapore. Ma per lei c’era solo amarezza, un senso di amarezza che le invadeva il palato, finiva giù e si bloccava nella gola, impedendole di chiedere anche una semplice richiesta d’aiuto. Perché era quello che desiderava, aiuto e niente più. Testa bassa, mani nelle tasche, sguardo spento. E la sua giornata andava avanti così, la sua piccola ombra schiacciata dagli imponenti palazzi grigi che conosceva bene come il palmo della sua mano. Erano alti, le piacevano. Le piacevano tanto, avevano il tetto piano, una volta salita in cima poteva avvertire una brezza piacevole carezzarle il volto. Ma neanche le tempeste le dispiacevano, oh no, lei amava il vento forte che le schiaffeggiava il viso come fosse una punizione. Lei amava il vento, amava il cielo, amava le nuvole, amava il sole, amava la pioggia. Non poteva amare la libertà: non ha mai avuto la possibilità di provarla. Ma in quel modo riusciva a sentirsi in volo, in volo verso mete fantastiche ed indefinite. Le sarebbe tanto piaciuto volare via da lì. Via da quel mondo che lei chiamava “casa”, via da quelle persone che la circondavano. Magari andare via e ritrovarsi in mezzo ai campi innevati di un posto senza nome, magari in mare aperto, magari in cima ad un albero. Magari via da lì. E intanto l’Inverno arrivava, rendendo ancora più cupa quella città, che era la sua gabbia. A volte si sedeva lì e rimaneva le ore. Pensava. Pensava a tutti quei racconti dei suoi vecchi cari, non sarebbe mai riuscita ad immaginare una lunga distesa verde al posto di quelle strutture enormi che incutevano timore. Il mondo una volta era davvero diverso? Nata in un periodo così, non riusciva proprio ad immaginarlo. Però chiudeva gli occhi, chiudeva gli occhi e nonostante tutto ci provava. Immaginava l’erba bagnata di rugiada e il sole sorgere dietro un’immenso prato verde, era come un sogno. Le sarebbe piaciuto essere nata cinquant’anni prima. Immaginava il cielo azzurro, gli uccelli volare alti e immaginava una piccola comunità unita, immaginava tanto. E la rilassava, la rilassava fino a quando non arrivava l’incubo a farsi strada nella sua mente. Era proprio come assistere ad un omicidio. Non riusciva a capire come qualcuno avesse potuto far tutto quello alla natura, e ora del verde non rimaneva neanche l’ombra. Era costretta a riaprire gli occhi per sfuggire a quell’inevitabile destino a cui il sogno la stava portando, sempre, ogni volta. Apriva gli occhi, e si accorgeva di quanto tutto quello immaginato fosse reale. E no, non i prati, ma il seguito. Un’immensa distesa di palazzi, strade grigie, il cielo oscurato da una patina di smog. E rimaneva così, sospesa fra vita e morte, terra e cielo, e non riusciva a comprendere perché quei palazzi che avevano messo da parte la bellezza di un semplice prato, allo stesso tempo la rendevano felice. Probabilmente conservavano ancora un po’ di sentimento dentro di loro, risate lontane di bambini ormai vecchi, il fresco, il sole ben visibile, qualcosa di bello e concreto. Conservavano quello che per Carmen era solo immaginazione. Non si era mai sporta dalla ringhiera così tanto fino ad allora, forse l’aveva già fatto un paio di volte per provare un brivido intenso, qualcosa di simile alla libertà, nessuno l’avrebbe mai potuto prevedere. Quei palazzi erano il suo luogo preferito, col sole o con la pioggia. E le dispiaceva, le dispiaceva vedere il suo piccolo mondo rinchiuso in una nuvola di fumo nero, gli uccelli volare bassi e la gente guardare avanti, gli occhi vitrei. Era come vivere in un cimitero, lei sembrava l’unica capace di vivere davvero. Viveva, o almeno ci provava. Veniva costantemente buttata giù. Tutto era triste, ma lei in fondo amava quel posto così com’era, nonostante tutti i suoi difetti. Perché senza quella tristezza, forse, non lo avrebbe più riconosciuto come casa. Casa, allo stesso tempo, era pericolo. Vita è pericolo. Non siamo mai stati al sicuro, pensiamo solo di esserlo. La convinzione è il nostro unico rifugio. Carmen abitava al settimo piano di uno di quei palazzi enormi, non era tanto lontana dalla cima. Qualche piano più su, e subito era vita, immaginazione, ricordi. Era amore. Era amore in forte contrasto con l’amarezza che era costretta a sopportare ogni singolo minuto della sua breve vita. Ma nessuno è mai riuscito ad amare una cosa nel suo stesso modo incondizionato. Lei amava, amava senza se e senza ma. Nessuno potrà mai amare come lei amava. Amava la vita, come amava la morte, e ce ne siamo resi conto troppo tardi. Ma dietro quel cerone di sorrisi, chi mai se ne sarebbe potuto accorgere? Nessuno sarebbe mai riuscito a portare alla luce la sua infelicità e curarla, nessuno sarebbe riuscito a farlo in tempo. Nessuno sapeva cosa si nascondeva sotto quelle maniche lunghe che si ostinava a tenere sempre anche nelle più calde delle giornate. Qualcuno forse lo aveva già intuito, qualcuno forse aveva visto qualcosa di anomalo in lei, ma nessuno è mai andato oltre. Perché oggi, a nessuno interessa di nessuno, è questa la triste verità. Si fanno tutti i fatti propri, e questo può essere un bene come può essere un male. Ignorare è una lama a doppio taglio, lo sappiamo ma nessuno ha mai voluto abbattere questa stupida barriera. E forse quello a cui dobbiamo rinunciare è proprio il dominio, il dominio della terra che ci ha resi schiavi. Abbiamo il brutto vizio di pensare solo a noi ed ignorare completamente la gente che abbiamo intorno, siamo egoisti per natura, cattivi, troppo ambiziosi. E lasciare tutte queste caratteristiche sembra così impossibile, vero? Carmen era schiava di una cosa che non riusciva a trovare, di un desiderio, pura follia, e noi? Noi siamo diventati schiavi di noi stessi e delle nostre ambizioni. Anche il più semplice dei traguardi può trasformarsi in ossessione e non ce ne rendiamo conto. Ed’è così che lei ha realizzato il suo sogno, piombando giù e facendo sprofondare la sua anima al centro della terra. Annullando ogni sensazione di pericolo ed amarezza. Annullando perfino sé stessa. E’ tragico, ma nessuno l’ha pensata. Urlava e nessuno la sentiva. Urliamo e nessuno ci sente. E di lei cosa ne rimane? Neanche il più sbiadito dei ricordi. E di noi cosa ne rimarrà? Dobbiamo unirci per sopravvivere, non ucciderci a vicenda. Non dobbiamo diventare gli assassini di noi stessi. Perché come lei, ce ne sono altri milioni. E altri ce ne saranno. E intanto siamo capaci solo a disprezzare, giudicare, privare questa terra della sua natura, privarci di emozioni per diventare uomini di ferro. Già, uomini di ferro. Cosa potremmo mai ottenere, diventando uomini di ferro? Il freddo eterno, nulla di più. Freddo, nei nostri cuori c’è tanto freddo, è sempre Inverno. Un Inverno permanente che non si smuoverà facilmente se qualcuno non inizia a fare qualcosa di buono. Perché rimaniamo indifferenti davanti a tutta questa sofferenza? Abbiamo forse paura? Oh, ma come a noi non importa degli altri, agli altri non importa di noi. E’ come un muro, un muro enorme e spesso, un muro che uniforma i suoi due lati a noi stessi. Noi siamo quel muro, e il vento soffia forte e senza esitazione, perché sì, neanche al vento importa di noi. Come a nessuno è mai importato di Carmen. Siamo solo convinti che a qualcuno importi di noi, siamo solo convinti di dare importanza a qualcuno. La terra vuole indietro i suoi figli, i palazzi sono le fauci grigie che inghiottono per poi vomitare il destino di noi uomini, uomini che maciullano con fauci non meno cruente il destino di altri uomini. E’ una reazione a catena dal quale non possiamo più uscire, sembra tutto così tragico, e in effetti lo è. Tutto questo è tragico. C’è qualcosa che non va, si nota fin troppo bene, e non riusciamo a rimediare al problema semplicemente perché non ci accorgiamo di un bel niente, perché alla maggiorparte di noi “va tutto bene così”, e lasciamo scorrere come se niente fosse. Certo, lasciamo scorrere, ma noi andiamo insieme alla massa e scorriamo altrettanto, immersi in questo fiume di dolore e rifiuti. Essere mangiati vivi dalla nostra stessa spazzatura, dal nostro poco rispetto per l’ambiente, respirare un’aria impura, soffocare dal pianto e annegare nella nostra stessa incoerenza. E’ davvero questo che vogliamo?

Tanta, tanta desolazione.

 

{ Angolo autrice:

 

Okay, ripropongo questa vecchia perla che avevo pubblicato mesi e mesi fa in questa sezione, a dirla tutta la prima che pubblico qui. °u°

L’ho dovuta eliminare perché partecipavo ad un concorso con questo testo, poi ho perso, okay, ma spero che almeno a voi piaccia!

 

- nettie.

 
   
 
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