Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: solrosan    07/04/2015    1 recensioni
Mentre parlava di suonare il violino alle ore più strane e di non spiccare parola per giorni, Sherlock si è dimenticato di menzionare che ha la custodia del figlio quindicenne ogni due fine settimana.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

NdA: questo è il risultato di un prompt che chiedeva Sherlock come padre di un adolescente, che ho perfezionato un po' (soprattutto il linguaggio) dopo essermi chiesta a lungo se azzardarmi a pubblicarla su AO3. Ma, come ho detto nelle note del mio LJ tempo fa: Mi piace così tanto questa versione che, se l'idea di base non fosse così stupida, finirebbe dritta come mio headcanon.

Spero piaccia anche a voi.

 

NdT: Confesso che questa è la mia prima traduzione, quindi state clementi. Ho tradotto abbastanza liberalmente, cercando però di tener fede il più possibile alla versione originale. Mi auguro di aver fatto un buon lavoro. Io vi consiglio comunque di andare a leggere la versione originale su Archive Of Our Own (http://archiveofourown.org/works/972573).

Spero che la storia vi piaccia quanto è piaciuta a me. Tradurrò il più presto possibile le altre due della serie – non mi fiderei troppo di me, solo per pubblicare questa sono in ritardo di tre mesi. Buona lettura!

 

 


"Che piani hai per il weekend?" chiese Sherlock, senza alzare lo sguardo dalla sua pila di ritagli di giornale. John non avrebbe saputo dire se li stesse riordinando o solo sparpagliando, ma aveva rinunciato a tentare di capirlo da un po'.

"Probabilmente cercherò di fingere che ci sia una differenza tra il weekend e il resto della settimana quando sei disoccupato" rispose John. "Perché? Lestrade non ti fa entrare a Scotland Yard e hai bisogno che ti prenda qualcosa?"

"No"disse Sherlock, guardando uno dei ritagli con le sopracciglia aggrottate. "Posso entrare e uscire da lì più velocemente di te, con o senza permesso, comunque."

"Cosa c'è, allora?"

Sherlock gli rivolse il suo sguardo da come puoi non sapere di cosa stia parlando, ma dopo essersi ricordato di consividere l'appartamento con uno dei sette miliardi di idioti sul pianeta, scosse la testa e tornò ai suoi ritagli.

"Daniel" disse. "Mio figlio."

John sbattté le palpebre. "Scusami, cosa?"
"Mio figlio" ripeté Sherlock così chiaramente che John non avrebbe potuto fraintenderlo.

"Tu hai un, un... tu hai un figlio?" fece John, fissandolo.

"Sì, un figlio di quindici anni" disse Sherlock. Iniziò a rimettere i ritagli nelle scatole da cui li aveva tolti e continuò a spiegare. "Vive con sua madre a Ipswich la maggior parte del tempo. Sta con me tutti gli altri fine settimana. Per un po' è stato con me tutti i fine settimana, quando era più piccolo, ma non è andata molto bene. Il lavoro, ed è un viaggio abbastanza lungo da Ipswich a Londra e, be', non ha funzionato. Sua madre ed io non andiamo più molto d'accordo."

John restò a bocca aperta. Non solo Sherlock era padre, ma di un adolescente! Se non gli fosse sembrato così in colpa perla sistemazione che aveva ora con suo figlio, John avrebbe probabilmente iniziato a interrogarlo. Invece iniziò con: "Perché non può dormire nel tuo letto?"

"Ha messo perfettamente in chiaro che non vuole dormire nel mio letto qualche anno fa" disse Sherlock, scacciando il discorso con una mano. "Non importa. Non preoccuparti. Può dormire sul divano, è quello che fa di solito. Non ho mai abitato in un posto abbastanza grande per due letti."

"Perché non..."

"Capisco che tu abbia delle domande" continuò Sherlock senza fermarsi per prendere fiato, "e che probabilmente avrei dovuto menzionartelo prima, ma non ho..."

"Sherlock."

Si bloccò, alzando lo sguardo su John, che sorrise.

"Ho delle domande, molte domande" iniziò John, sorridendo ancora di più. "Ma iniziamo comprando un letto a tuo figlio. La tua stanza è abbastanza grande da ospitarne almeno uno pieghevole."

"Perché non ci ho pensato?" Sherlock sembrava in imbarazzo, irritato con se stesso.

"Andiamo." John si alzò in piedi. "Iniziamo col letto, e dopo puoi spiegarmi davanti a un piatto di sushi."

"Sushi?" fece Sherlock con aria di disapprovazione, ma si alzò.

John ridacchiò e gli passò il cappotto. "Possiamo ordinare italiano, se vuoi, ma a un certo punto dovrai almeno mostrarmi una foto o non sono certo che ti crederò."

Sherlock alzò gli occhi al cielo, ma già in taxi tirò fuori il telefono e mostrò a John diverse foto di un adolescente dai capelli biondi e gli occhi azzurri. John, sbalordito dall'impressionante somiglianza tra Sherlock e il ragazzo, si domandò se la madre – Joyce, gli disse Sherlock – avesse contribuito in alcun modo oltre che per il colore di capelli.

Più tardi, mangiando italiano da Angelo, John apprese che Daniel era il risultato di un preservativo rotto e due adolescenti spaventati che avevano girato attorno alla verità finché non era stato troppo tardi per abortire. Sherlock e Joyce stavano insieme da tre mesi quando lei era rimasta incinta e si erano lasciati quando Daniel aveva diciotto settimane. Sherlock sembrava abbastanza convinto che sarebbe finita prima se non avessero avuto un figlio.

I giorni precedenti al fine settimana furono pieni in ugual misura di anticipazione e paura, almeno per John. Ciò che pensava Sherlock era come sempre difficile da dire. Senza nenche pensarci John mise in sicurezza l'appartamento. Probabilmente era sciocco, visto che il ragazzo era evidentemente sopravvissuto quindici anni in simili condizioni.

Con grande sorpresa di John, giovedì Sherlock tornò a casa con due borse del supermercato piene di vero e proprio cibo. Per non parlare del fatto che tutte le tracce rimaste dell'incidente del piede-nel-lavandino sparirono magicamente venerdì mattina, e l'armadietto delle sostanze chimiche fu finalmente messo sotto chiave nel pomeriggio. John era sinceramente impressionato da Sherlock e molto, molto curioso di conoscere Daniel.

Venerdì, poco prima delle sette, il cellulare di Sherlock squillò ed egli saltò giù dal divano per prenderlo. John non l'aveva mai visto rispondere al telefono coì rapidamente.

"Sherlock Holmes" disse, camminando verso la finestra. "Sì, devi girare a – sì, è Baker Street. Sì, di nuovo a destra quando ci arrivi. No, non hai bisogno di un taxi. No. Non sono nemmeno duecento metri, Daniel. No. Sì, 221B. Ci vediamo presto."

Mise giù e scosse la testa, con un'aria vagamente seccata, più nervoso di quanto John l'avesse mai visto.

"Voleva prendere un taxi dalla stazione" mormorò Sherlock. "Ci vogliono meno di cinque minuti per arrivare qui a piedi. E dopo i suicidi seriali non penso che lo farò mai avvicinare a un taxi di nuovo."

John era sorpreso, o scioccato, o forse solo affascinato nel vedere per la prima volta Sherlock come padre. Soltato, gli era sembrato così... non come lo Sherlock che era arrivato a conoscere fino a quel momento.

Sherlock aveva già sceso metà delle scale per incontrare Daniel quando John si riscosse abbastanza da seguirlo.

"Mrs Hudson, è quasi arrivato!" chiamò Sherlock, un attimo prima di aprire la porta. John e Mrs Hudson lo seguirono velocemente.

"Eccolo lì" disse Sherlock, indicando un giovane alto e magro, quindi alzò la mano per salutarlo. Il sorriso sul suo viso era felice, anche insicuro, quasi.

Il ragazzo non aveva soltanto l'aspetto di una versione bionda di Sherlock, ma si muoveva anche come lui. Era veramente strano vedere uno Sherlock giovane e biondo con indosso dei jeans e una felpa camminare per la strada e John dovette guardare dall'altra parte per non fissarlo.

"Ciao" salutò Daniel quando li raggiunse e lui e Sherlock si abbracciarono goffamente. John vi riconobbe lo stesso modo di abbracciarsi che avevano lui e suo padre quando aveva la sua età. In realtà, si abbracciavano ancora così.

"Daniel, ti ricordi Mrs Hudson, vero?" Sherlock fece le presentazioni mentre faceva entrare il ragazzo in casa.

"Ehm... Salve, Mrs Hudson" fece Daniel, ma a suo merito bisogna dire che allungò la mano per stringere quella di Mrs Hudson.

"Sherlock, non metterlo in imbarazzo, di certo non può ricordarsi di me. Mio dio, quanto sei cresciuto. Non ti vedo da quando eri grande così" cinguettò Mrs Hudson, indicando un'altezza tra quella di un bimbo e quella di Daniel – che era alto quasi quanto Sherlock.

"E questo" continuò Sherlock, ignorando Mrs Hudson e facendo voltare suo figlio verso John, "è il Dottor John Watson."

"Ciao, Daniel" disse John con un largo sorriso, allungando la mano.

"Dottor Watson" salutò Daniel, stringendogli la mano mentre lo analizzava.

"John va bene" disse John mentre entravano, Mrs Hudson diretta verso il suo appartamento e gli altri in cima alle scale.

"Perciò, ecco qua. Che ne pensi?" chiese Sherlock quando Daniel lasciò cadere lo zaino di fianco al divano.

"Meglio di quello a Heston" disse Daniel, buttandosi sul divano come faceva spesso suo padre, quasi dovesse viverci per sempre.

"Giù i piedi dal divano, o togliti le scarpe" disse Sherlock, indicando i piedi di Daniel.

Prima che John avesse il tempo di dire qualcosa, Sherlock gli rivolse uno sguardo per chiedergli di non menzionare il fatto che quella regola non era mai stata fatta valere al 221b di Baker Street prima.

Daniel obbedì, ma alzò gli occhi al cielo. "È il mio letto, no?"

"No, veramente no" disse Sherlock, soddisfatto. "Ti abbiamo preso un letto."

"'Abbiamo'?" Daniel si tirò a sedere, indicando John ma guardando Sherlock. "Papà, non dirmi che sei gay per questo tizio dell'esercito."

John sbattè le palpebre. Sentire Daniel chiamare Sherlock "papà" come se fosse la cosa più naturale del mondo (il che probabilmente era così per lui) lo disorientava.

"Non essere assurdo" disse Sherlock a suo figlio, tirando su lo zaino dal pavimento per metterlo sulla poltrona. "La tua stessa esistenza prova che non sono un sei sulla scala di Kinsey."
"Neanche uno zero" ribatté Daniel. "E lui?"

Sherlock trasalì. "Daniel!"
"Cosa?"

John sposava lo sguardo tra padre e figlio mentre i due si fissavano a vicenda, non del tutto certo di cosa stessero discutendo.

"Quindi, Daniel" disse John, ricevendo occhiate sorprese da entrambi. "Hai già cenato da tua madre o vuoi qualcosa da mangiare? C'è un buon ristorante Cinese sulla strada che hai fatto venendo qua."

"Sono a posto, non è che resti qua" disse Daniel, alzandosi dal divano. "Esco."

"No, tu non esci" disse Sherlock, e gli bloccò la strada mettendosi davanti alla porta.

"Sì, invece." Daniel incrociò le braccia al petto e guardò in faccia Sherlock con un'espressione impertinente. "Mi vedo con degli amici."

"Quali amici?"

"Non li conosci."
"Quali amici?" ripeté Sherlock, rifiutandosi di dar spazio a compromessi.

Daniel sbuffò. "Amici di scuola."
"Davvero? Amici da Northgate sono qui, a Londra, di venerdì sera?"

Sherlock non suonava convinto. Affatto. John si domandò perché Daniel si disturbasse a tentare con bugie pietose e pessime scuse. Perfino lui se n'era accorto, ma comunque, scordati di nascondere sigarette, rubare alcol o inventarti stupidi alibi quando parli con Sherlock.

Daniel, in ogni caso, sembrava intenzionato a rimanere fedele alla sua storia.

"Già" disse, senza interrompere il contatto visivo. "Buffa coincidenza, non è vero?"
"Esilarante" rispose Sherlock, secco. "Tu resti qui."

"Oh, levati dalle palle!" esclamò Daniel. "Angela e Simon daranno una festa domani a casa di Simon, ma io non posso andare perché sono bloccato nel posto più noioso del mondo con te e non mi fai neanche uscire! Perché non mi lasci almeno avere un po' di divertimento mentre mi obblighi a stare qui?"

"Perché" disse Sherlock, lentamente, "so esattamente che tipo di divertimento hanno i quindicenni a Londra il venerdì sera."
"Ipocrita."

"Be', già, mi sento ancora un po' troppo giovane per diventare nonno" disse Sherlock, torcendo la bocca. "E cosa più importante, tra poco farà buio e Londra è pericolosa anche se sai dove andare. Per non parlare del fatto che tua madre mi ucciderebbe se ti succedesse qualcosa."

Daniel alzò gli occhi al cielo. "Come se potesse succedere qualcosa."

John poteva vedere come una lunga lista di risposte passava per la mente di Sherlock, probabilmente ogni singolo caso d'omicidio su cui avesse mai lavorato. C'era sincera preoccupazione dietro la maschera di determinazione che indossava.

"Ora ti mostrerò la camera da letto" disse Sherlock tranquillamente, ponendo fine alla conversazione. "Tua madre ha detto che hai dei compiti da fare, perciò potresti anche portarti avanti con quelli."

"Non puoi dirmi quello che devo fare!" Daniel pestò il piede per terra.

"Prendi il tuo zaino" disse Sherlock come se non avesse sentito e, con sorpresa di John, Daniel obbedì. Scomparvero nella stanza di Sherlock e la porta sbattè.

Dopo un po' Sherlock fece ritorno, da solo. John mise in muto la televisione, su cui aveva iniziato a guardare il telegiornale.

"Perciò, ecco Daniel" sospirò Sherlock, sospirando e lasciandosi cadere sul divano in modo molto simile a quello del figlio qualche minuto prima.

"Affascinante" disse John, sorridendo. "Mi domando da chi abbia preso."

"Sta' zitto" disse Sherlock con un sorriso simile.

"L'hai incatenato ai libri?"

"Nastro adesivo, fa più male quando lo togli" disse Sherlock, sedendosi dritto. "Ho accettato di lasciarlo andare quando finisce."

John annuì, alzando di nuovo il volume alla televisione, dove una replica di Midsomer Murders era appena iniziata. Poco prima dei titoli di coda Daniel uscì dalla camera da letto, con l'aria decisamente meno spaccona di prima.

"Hai finito?" chiese Sherlock, dopo che John ebbe messo di nuovo in muto la televisione.

"Sì."

"Vuoi che ci dia un'occhiata?" Sherlock allungò la mano, aspettandosi che gli venisse consegnato qualcosa.

"No." Daniel scosse la testa. Sherlock gli rivolse un'occhiata inquisitoria, perciò sospirò frustrato. "Non puoi correggerli, è storia."

"Mi sembra giusto" disse Sherlock. "Torna a casa per mezzanotte."
"Certo, certo."

Sherlock corrugò le sopracciglia. "Dico sul serio. Mezzanotte. Baker Street. Vedi di essere qui."

"Sì, papà." Daniel quasi alzò gli occhi al cielo. "Ciao, John. Non aspettate alzati."

"E per qualsiasi motivo: non prendere il taxi!" gli urlò dietro Sherlock mentre spariva giù dalle scale. La porta sbattè e Sherlock si lasciò sprofondare nel divano.

"Tornerà in ritardo" borbottò, girandosi verso John. "Farei male a farlo spiare da Mycroft?"

"Ho come l'impressione che Daniel lo apprezzerebbe tanto quanto lo apprezzi tu" disse John, con un ghigno.

"Smettila di cercare di aver ragione" sbuffò Sherlock, ma poi fece un mezzo sorriso, come se non fosse in grado di trattenersi. Per John era strano vederlo sorridere così spesso, ma gli stava bene.

Le predizioni di Sherlock si rivelarono fondate: Daniel non tornò a casa per mezzanotte. Sherlock si era posizionato di fronte alla finestra quando ancora mancavano dieci minuti a mezzanotte, guardando fuori verso la strada, ma solo quando fu passata da diciassette minuti fece effettivamente qualcosa.

"Pensi sia successo qualcosa?" domandò, genuinamente preoccupato.

"Sono certo che sia solo in ritardo, Sherlock" disse John. "Hai provato a chiamarlo?"

"Gli ho mandato un messaggio."

"Chiamalo. Sono certo che sta arrivando."

Sherlock andò a prendere il telefono, trasudando preoccupazione. Era abbastanza contagiosa, anche perché John non era sicuro che non fosse accaduto niente a Daniel. Inoltre, vedere Sherlock cercare il suo telefono lo fece sentire in colpa per ogni volta che aveva violato il coprifuoco da ragazzo.

Prima che Sherlock avesse il tempo di digitare il numero del figlio, la porta in fondo alle scale si aprì, ed egli volò praticamente giù dalle scale per assicurarsi che fosse proprio Daniel che tornava.

"Dove sei stato? Perché non hai risposto al messaggio?" John sentì Sherlock chiedere con voce seccata, ma comunque bassa per non svegliare Mrs Hudson. Cosa avesse risposto Daniel era impossibile da capire.

"Odori di sigarette." La voce di Sherlock continuò a rimproverare il ragazzo mentre entrambi salivano le scale.

"Levati" disse Daniel, senza disturbarsi a tenere la voce bassa, mentre raggiungevano il salotto.

"Hai fumato altro oltre alla nicotina?" domandò Sherlock, cercando di far girare Daniel verso di sé per esaminargli gli occhi.

"Non è affar tuo" rispose, mentre il padre girava la lampada verso il viso del figlio per esaminarlo da vicino.

"Lasciami!" Daniel cercò di spingerlo via e, poiché apparentemente soddisfatto da ciò che aveva visto, Sherlock fece un passo indietro.

"Vai in camera tua" ordinò. "E restaci."

"Mi stai mettendo in punizione?"

"Sì, infatti."

"Non puoi farlo! Non sei la mamma!"

Ci fu silenzio per un momento. L'espressione di Sherlock si fece più irritata, quella di Daniel vittoriosa. John si rese conto che il ragazzo sapeva esattamente di aver colpito un nervo scoperto.

"La bella cosa di essere genitore" disse Sherlock, con voce molto calma e controllata, "è che si gioca in squadra. Quando dirò a tua madre che fumi non ti farà uscire di casa fino all'università."
"Almeno non dovrò venire qui!"

"Oh, invece diventerà una cosa settimanale, a partire da ora!"

"Ti odio!" urlò Daniel, uscendo come una furia.

"Nemmeno tu mi vai tanto a genio al momento!" gli gridò dietro Sherlock.

L'unica risposta che ricevette fu la porta della camera da letto che sbatteva.

Sherlock si passò una mano sul viso con un profondo sospiro, lasciandosi cadere pesantemente sul divano. Per un paio di secondi rimase lì, seduto con la testa appoggiata alla parete dietro, gli occhi chiusi, poi sospirò di nuovo e guardò John.

"Mi dispiace per tutto questo" disse, con una smorfia.

John agitò la mano, come per scacciare le scuse.

"Hai un cambio di lenzuola che ti avanza?" chiese Sherlock. "Ho il sospetto che dormirò sul divano stanotte."

"Davvero?"

"Sì. Almeno, se vuoi che ci sia ancora un appartamento qui domani" disse Sherlock, privo di divertimento.

John gli rivolse un debole sorriso, un'occhiata preoccupata e il permesso di andare a prendere delle lenzuola dal suo armadio.

La punizione parve essere messa in atto da subito. Qualsiasi cosa Joyce avesse detto quando Sherlock l'aveva chiamata il mattino dopo, Daniel sembrava essersi arreso al suo destino. Almeno fino all'ora di pranzo, quando il volume della musica proveniente dalla camera di Sherlock raggiunse livelli critici, tanto da far vibrare il tè di John.

"Onestamente, come può ascoltare questa razza di musica?" borbottò Sherlock, lasciando il computer con cui stava comunicando con Lestrade.

"Non possiamo essere tutti fan dell'Orchestra Sinfonica di Londra" disse John, cercando di non rovesciare il tè.

"Sono abbastanza le persone qui questo weekend a chiamarmi snob, grazie tante" fece Sherlock prima di bussare alla porta di camera sua. "Abbassa questa maledetta musica, ed esci a pranzare piuttosto!"

La risposta che ottenne fu il volume ancora più alto, così, sospirando, aprì la porta per gestire il problema. John poteva sentirli discutere, ma non riusciva a capire le parole e si chiese cosa Sherlock volesse far mangiare a Daniel. Era certo che niente fosse stato cucinato lì da che si erano trasferiti.

"...e ci sono spaghetti freddi in quello col coperchio verde" concluse Sherlock quando finalmente uscirono. Ci volle un po' prima che John capisse di cosa stessero parlando, ma quando udì Daniel mettere qualcosa in un piatto e far partire il microonde si rese conto che Sherlock aveva preparato del cibo da riscaldare. O quello, o Daniel avrebbe mangiato orecchie e bulbi oculari e John non si rifiutava di pensarlo.

"Cosa?" domandò Sherlock quando entrò in salotto e vide la faccia sorpresa di John. "Il ragazzo deve mangiare."

"Non ti unisci a lui?"

"A quanto pare, gli rovino l'appetito." Sherlock corrugò le sopracciglia e guardò verso la cucina, aggiungendo a voce più alta: "Ma guardare idioti che si buttano da dei precipizi, con le ossa che si spaccano ed escono dalla pelle è un buon intrattenimento durante i pasti."

"Sei un bambino, papà" replicò Daniel. "Solo perché non hai lo stomaco per sopportare la vista di un po' di sangue."

John spostò lo sguardo tra la cucina e Sherlock, confuso e divertito. Di certo il suo coinquilino era l'ultima persona che avrebbe definito spaventata dal sangue.

"Non credo sia un comportamento da incoraggiare" lo corresse Sherlock.

"Lo fanno tutti, papà!"

John si aspettava quasi di sentirlo iniziare con "Se tutti si buttassero da un ponte...", ma il telefono del detective suonò.

"Chi era?" domandò John, quando Sherlock chiuse la telefonata ancora prima di rispondere.

"Lestrade."

"Chi?" chiese Daniel, appoggiandosi alla parete col piatto in mano.

"Non mangiare in piedi" ordinò Sherlock. "E Lestrade è un amico di lavoro."

John corrugò le sopracciglia. Era una descrizione dell'investigatore che gli giungeva nuova.

"Il padre di Simon lavora per Google, sai?" disse Daniel, sedendosi sul divano col piatto.

"Così mi hai detto" borbottò Sherlock, mandando un messaggio.

"E il padre di Colin è un ingegnere informatico."
"Buon per lui." Sherlock passò il telefono a John quando vibrò. "Cosa ne pensi?"

"Del padre di Colin?"

"Della risposta di Lestrade, ovviamente" disse Sherlock.

John lesse la risposta, poi riconsegnò il telefono al detective. "Non ci siamo dimenticati di portargli quelle foto."

"Mi sembrava" mormorò Sherlock, digitando una rapida risposta.

"Perché non puoi avere un lavoro figo anche tu?" chiese Daniel.

"Mi spiace disilluderti, ma c'è altro nella vita oltre al meraviglioso mondo dei computer" rispose suo padre, con una punta di seccatura, pur nella sua calma.

"Fai schifo" disse Daniel sospirando. Lasciò il piatto quasi vuoto sul tavolino e tornò nella camera da letto, accendendo la musica non appena la porta si fu chiusa.

"Non sa che lavoro fai?" chiese John, sorpreso.

"Lo sa" sospirò Sherlock. "Sa che sono un consulente per la polizia, ma nella sua mente lo traduce in 'trafficare con delle carte e fare power point'. Se non è qualcosa nato dallo scoppio della tecnologia non gli interessa."

"Ha mai provato a cercarti su google?"

"Hai mai cercato su google quella noia di tuo padre?" chiese Sherlock, sorridendo quando John scosse la testa. "Come pensavo. Ci sono ancora alcuni noodles se vuoi pranzare. Vuoi che te li scaldi?"

"Sì, grazie" disse John, sorpreso dall'offerta. Sherlock annuì, andando in cucina e portandosi dietro il piatto sporco di Daniel. Il dottore ridacchiò, scuotendo la testa. Quello doveva essere uno strano universo parallelo in cui aveva vissuto negli ultimi giorni.

Domenica mattina John uscì presto di casa per mangiare con Harry. Non perché lo volesse, ma perché l'aveva promesso e perché pensava che Sherlock e Daniel avessero bisogno di un po' di tempo da soli nell'appartamento. Sherlock aveva dormito nel suo letto tra sabato e domenica e, poiché l'appartamento era ancora integro, John lo interpretò come un buon segno.

Quando John tornò a casa per le due – Harry era stata amabile come sempre – fu accolto dal già familiare suono dello Stradivarius di Sherlock. Questa volta però era accompagnato da un secondo suono, qualcuno rispondeva al suonare eccellente di Sherlock con una melodia più incerta.

John salì le scale con attenzione per non disturbare i due musicisti. Non riconosceva la melodia, ma era sempre così. Intuiva cosa avrebbe trovato in salotto, e infatti al centro c'erano Sherlock e Daniel, in piedi uno di fianco all'altro, che suonavano il violino.

Il modo di rapportarsi tra padre e figlio era l'opposto di quello che John aveva visto prima. Daniel leggeva lo spartito molto attentamente, mentre Sherlock guardava quasi esclusivamente il figlio che suonava, e John era piuttosto certo che nessuno dei due odiasse l'altro in quel momento. Era una visione dolce, che ricordava a John delle partite di football con suo padre nel giardino sul retro. Quella doveva essere la versione degli Holmes.

"Salve, John" lo salutò Sherlock senza voltarsi quando finirono di suonare. Daniel si girò a guardarlo, arrossendo.

"È stato incredibile" disse John. Daniel arrossì ancora più intensamente e Sherlock si voltò sorridendo. "Suoni da molto, Daniel?"

"Lo zio Mycroft mi comprò il primo violino quando avevo cinque anni" rispose il ragazzo. John si accorse che "zio Mycroft" suonava strano quando "papà" riferito a Sherlock.

"Tu zio sa scegliere bene quando si tratta di violini" disse Sherlock, mettendo via lo Stradivarius. "Non saprebbe suonare neanche se ne andasse della sua vita, ma sa come comprare strumenti di qualità. Hai messo via tutto?"

"Sì" rispose Daniel, dal cui tono John intuì che Sherlock lo aveva tormentato a riguardo.

"Lasciato niente di troppo incriminante in qualche hard drive o cronologia?"

"Papà!" urlò Daniel, arrossendo furiosamente.

"Non sono io che ho lasciato – cos'erano? - anime porno giapponesi sul computer di tua madre" disse Sherlock. "Anche se ne sono stato accusato, per qualche ragione."

"Papà! Sta' zitto!" esclamò Daniel, imbarazzato.

John fece del suo meglio per non ridere. Sherlock era malvagità pura.

"Ringrazia che non parli della recita di Natale del secondo anno" disse Sherlock. "A John non interessa della tua cronologia pornografica finché non ci si imbatte mentre cerca di scrivere qualcosa nel suo orribile blog. Ho ragione, John?"

"Sta' zitto!" esclamò di nuovo Daniel, quasi supplicando questa volta. "Non l'ho nemmeno toccato il suo computer, lo sai!"

"Non ti preoccupare" disse John, sorridendo. "Non mi dà fastidio, ma grazie per non aver scaricato porno sul mio computer."

"Ti odio" mormorò Daniel, sconfitto, guardando storto suo padre. Le sue parole non erano neanche lontanamente sincere quanto lo erano state venerdì, suonavano più che altro come una scontrosa arresa.

"Lo so" disse Sherlock con voce premurosa, sorridendo. "Ora va' a prendere la tua borsa, sai quanto si arrabbia tua madre se non torni a casa in tempo per cena."

"Non tornerò mai più qua" borbottò Daniel mentre andava a prendere lo zaino.

Sherlock scosse la testa con un sorriso, mettendo via il violino di Daniel, che il ragazzo aveva lasciato sul tavolo.

Poco dopo, John e Sherlock seguirono Daniel giù dalle scale per salutarlo. Padre e figlio si strinsero in un imbarazzato abbraccio simile a quello di due giorni prima, e John fu sorpreso quando Daniel gli strinse la mano prima di andarsene.

"Mi spiace di non averti detto prima di Daniel" disse Sherlock a John mentre guardavano Daniel dirigersi versola stazione della metro di Baker Street. "So che i coinquilini dovrebbero sapere le cose peggiori l'uno dell'altro prima di trasferirsi insieme."

"Le cose peggiori?" John sorrise. "Sherlock, sono piuttosto certo che quel ragazzo sia la cosa migliore di te."

"Sì..." Il viso di Sherlock si illuminò del più meraviglioso dei sorrisi mentre Daniel spariva dietro l'angolo. "Lo è davvero, no?"

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: solrosan