E se il cielo scompare
So I bare my skin
And I count my sins
And I close my eyes
And I take it in
And I count my sins
And I close my eyes
And I take it in
["Bleeding out" – Imagine Dragons]
Sto scendendo.
Non è normale, giusto? Dovrei salire. Dovrei osservare Lauren dall'alto, riuscire a scorgere solo un'ultima istantanea dei suoi capelli dorati e del ferro che la circonda e poi sparire - trascorrere qualche secondo al buio, stretto in questo cilindro di vetro, e infine spuntare chissà dove. Nell'Arena.
E invece scendo: della mia stilista riesco a scorgere il seno, poi l'addome, alla fine solo le zeppe borchiate. Mi rendo conto che è sorpresa esattamente come me - e proprio come me non può far nulla se non estraniare il suo sconcerto guardandosi intorno.
Scendo. La luce si restringe sempre di più fino a diventare una strisciolina e poi sparire del tutto, lasciandomi il led rosso della telecamera come unica compagnia.
Passano due, cinque, dieci secondi. L'oscurità è completa e riesco appena a frugarmi in tasca con le dita sudate, alla spasmodica ricerca del ditale di ferro che ho come portafortuna: quando lo trovo, freddo e rassicurante, lo infilo al dito e per un istante è come essere a casa.
Poi la luce ritorna: all'inizio è solo un bagliore rossastro che mi illumina gli scarponi, una luce flebile e cupa che man mano si espande fino a investirmi del tutto. Non ho il coraggio di chiudere gli occhi neppure per un secondo, nemmeno quando la luce si propaga facendoli lacrimare e un forte odore di bruciato e muffa mi investe in pieno. Per un istante tutto è ombra e confusione: vedo strane ombre scure, un cielo marrone e pesante e fumo, fumo ovunque. Poi la vista mi si schiarisce e mi guardo intorno: faccio parte di un cerchio di ventiquattro Tributi, un cerchio che ha al suo centro la Cornucopia.
Eppure, non è su quella che mi concentro, bensì sul cielo: siamo sotto terra.
Non è normale, giusto? Dovrei salire. Dovrei osservare Lauren dall'alto, riuscire a scorgere solo un'ultima istantanea dei suoi capelli dorati e del ferro che la circonda e poi sparire - trascorrere qualche secondo al buio, stretto in questo cilindro di vetro, e infine spuntare chissà dove. Nell'Arena.
E invece scendo: della mia stilista riesco a scorgere il seno, poi l'addome, alla fine solo le zeppe borchiate. Mi rendo conto che è sorpresa esattamente come me - e proprio come me non può far nulla se non estraniare il suo sconcerto guardandosi intorno.
Scendo. La luce si restringe sempre di più fino a diventare una strisciolina e poi sparire del tutto, lasciandomi il led rosso della telecamera come unica compagnia.
Passano due, cinque, dieci secondi. L'oscurità è completa e riesco appena a frugarmi in tasca con le dita sudate, alla spasmodica ricerca del ditale di ferro che ho come portafortuna: quando lo trovo, freddo e rassicurante, lo infilo al dito e per un istante è come essere a casa.
Poi la luce ritorna: all'inizio è solo un bagliore rossastro che mi illumina gli scarponi, una luce flebile e cupa che man mano si espande fino a investirmi del tutto. Non ho il coraggio di chiudere gli occhi neppure per un secondo, nemmeno quando la luce si propaga facendoli lacrimare e un forte odore di bruciato e muffa mi investe in pieno. Per un istante tutto è ombra e confusione: vedo strane ombre scure, un cielo marrone e pesante e fumo, fumo ovunque. Poi la vista mi si schiarisce e mi guardo intorno: faccio parte di un cerchio di ventiquattro Tributi, un cerchio che ha al suo centro la Cornucopia.
Eppure, non è su quella che mi concentro, bensì sul cielo: siamo sotto terra.