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Autore: SakiJune    07/04/2015    0 recensioni
Sto, Cintura di Casivanian. Vastra e Jenny stanno progettando di avere un figlio e il loro socio Alonso s'innamora di un certo Jack Harkness.
Terra, Sistema Solare. Gordon Stewart si è appena fidanzato con Billie, la sua amica d'infanzia, e progetta di lasciare il suo lavoro negli Stati Uniti.
Gallifrey, Costellazione di Kasterborous. Lord Jelpax, Coordinatore della Matrice, è diviso tra la sua fedeltà al Dottore e i continui ricatti del famigerato Vansell e della sua Agenzia Interventista.
E c'è un'unica finestra da cui può vedere il futuro... una finestra aperta su Trafalgar Square.
Seguito di "Stars of Kasterborous"
Genere: Angst, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Companion - Altro, Doctor - Altro, Jenny, Nuovo personaggio, Osgood
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'From Lungbarrow to Trafalgar Square'
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C’erano ben pochi souvenir, tra quelli raccolti durante i loro viaggi, che gli fosse consentito portare davvero sulla Terra, ma Gordon si sentiva lo stesso come se fosse in corso un trasloco. E di traslochi se ne intendeva, purtroppo. Scatoloni, quando per due volte aveva cambiato casa da bambino, e poi era stata la volta dei borsoni, avanti e indietro dal collegio, e le valigie quando si era trasferito da Rhys e Gwen, e quando era partito per Los Angeles…

Di una vita così credeva di averne ormai fin sopra i capelli; eppure, proprio nel momento in cui si era prefisso di concedersi un’esistenza stabile, non aveva resistito a quell’ultima follia.

Ma era finita, era proprio finita.


- Devo andarci da solo. - L’arrivo di quel secondo messaggio da Gallifrey aveva strappato il velo, spento le luci colorate, aveva fermato la giostra ed era ora di scendere.

- Perché? Siamo qui, siamo… ehi! Guardami! Qualsiasi cosa sia in ballo, possiamo aiutarti. - Era passato un po' di tempo da quando era stato usato come cavia per lo stabilizzatore metabolico e aveva dovuto recuperare a mani nude una testa parlante. Qualsiasi incomprensione avessero avuto, era davvero acqua passata; si era illuso... non di restare con loro in eterno, di certo lui voleva tornare a casa, ma non così. Non senza sapere che cosa sarebbe accaduto al Dottore.

- No. L’unico modo in cui tu possa farlo è stando fuori dai guai, perciò non discutere.

Gordon si era ritrovato su quello stesso marciapiede di Oxford Street da cui era partito. Per la prima volta dopo mesi, era di nuovo nel suo tempo; lo sentì fortemente, pur senza avere un orologio. Erano stati sulla Terra varie volte - nel 2014 in Australia, a Rio de Janeiro negli anni ottanta, e all'epoca di Shakespeare per convincerlo ad apportare piccoli cambiamenti ad una certa commedia che altrimenti sarebbe giunta ai posteri come "Le Dromeiane la Danno che è un Piacere", titolo che, a detta del Calderaio, era molto più aderente ai fatti della versione riadattata usando la toponomastica britannica. Ma in nessuna di quelle occasioni, per quanto esilaranti, si era sentito tanto... vivo. Si guardò intorno, cercando lei.

 

Billie non aveva atteso che cinque minuti, ma il tempo talvolta si dilata.

Si era ripromessa di non guardare l’orologio, di non smaniare se lui non fosse riapparso, di aspettare mezz’ora e poi tornare alla stazione. Perché tutto può accadere, viaggiando nello spazio e nel tempo, ma aveva fiducia che Gordon avrebbe trovato la strada per tornare da lei ad ogni costo.

Non poteva permettersi di considerare l’eventualità che… che potesse essere successo qualcosa di brutto. Non poteva, se voleva mantenere la sua salute mentale. Aveva già perduto un pezzo di sé, e se ogni giorno il dolore era un poco più sopportabile del precedente, sarebbe stato sin troppo facile ripiombare nel buio.

- Ehi, piccola.

Diede un sospiro e si illuminò: lui era tornato.

 

Gordon percorse la distanza fra loro, che non era fatta solo d’asfalto e buste della spesa di passanti frettolosi. Era il dispetto per essere stato scaricato d’improvviso, la preoccupazione per ciò che avrebbe dovuto affrontare il Dottore, i collegamenti che non era ancora riuscito a comprendere. Ripensò agli ultimi avvenimenti a bordo dell’officina. Il cubo luminoso, per lui identico a quello della volta precedente, aveva mostrato al Dottore qualcosa di molto meno piacevole di un invito a nozze. Non aveva la più pallida idea di cosa si trattasse… o forse, forse poteva immaginarlo… e sarebbe stata una strana coincidenza, certo.

Ma sentiva più che mai di essere a casa, e che era giusto così.

Sapeva chi era, da dove veniva, chi voleva essere.

Non perché il Dottore gliel’avesse mai ricordato, in quei mesi.

Né per via di ciò che era accaduto su Trion, o in quella New York parallela.

Piuttosto, per ogni volta che aveva sentito nostalgia di lei.

 

Aveva dei vestiti diversi, senza baffi ma con la barba lunga, la pelle screpolata dal sole di chissà quale strano pianeta… qualche ruga che forse sarebbe scomparsa e forse no, e un odore di metallo surriscaldato che invece svanì subito nell’aria fresca del tardo pomeriggio.

L’attirò a sé con uno slancio prepotente che lui sembrò approvare senza riserve, perché rispose con altrettanta irruenza: strofinò il viso contro il suo, graffiandola, e la sollevò da terra in un abbraccio esagerato.

- Speravo di poter fare un giro nella TARDIS, - protestò lei, ridendo. - Non l’ho nemmeno vista…

- Era quella di un altro Signore del Tempo. Lunga storia, ti racconterò. - Non voleva raccontarle proprio nulla, non subito. Voleva fare l’amore con lei.

- Puoi scommetterci, che mi racconterai. Allora? Hai conosciuto qualche bellissima aliena?

- Certo. - Pensò agli occhi di Lady Romana, al suo corpo perfetto come una statua, al desiderio che l'aveva tenuto sveglio per molte notti.

- Lo ammetti, pure!

- Sì. - Gordon guardò Billie, spettinata, il viso pallido appena scurito dalle lentiggini. Così vera, così sua. - Ci sono creature bellissime nell’universo. C’è tutto il tempo e lo spazio… ma io ho già il mio spazio, qui, e il mio tempo, con te.


 

- Non capisco perché non mi lasci a Lungbarrow e riparti subito, se ti fa così ribrezzo passare un po’ di tempo con la tua famiglia.

- Non posso tornare su Gallifrey adesso, - tagliò corto il Dottore. - E non ti posso portare con me. Dovrete pensarci voi - decise, mentre il suo sguardo scattava a fissare Romana. Sembrava un litigio per chi dovesse portare fuori il cane, e ne era consapevole, ma non c’erano alternative nel suo orizzonte.

Lei sospirò, ricordandogli ciò che le sembrava ovvio. - Dottore, non possiamo nemmeno noi, lo sai...

- Falso - dichiarò il Calderaio. In parte lo ammetteva a malincuore, perché ciò significava accettare che il Dottore si buttasse a capofitto in quella missione misteriosa completamente solo. Ma,l’orgoglio di dimostrare la sua superiorità ingegneristica era più forte.

- Tesoro, ti ridurranno a fettine non appena questa TARDIS si materializzerà in qualsiasi punto di Kasterborous…

- Ma la sentite? Che donna di poca fede. Chi ha progettato il microsistema di teletrasporto? Quanto pensi che possa impiegare ad aggiungere una postazione mobile da qui?

Dorium guardò il Dottore, rassegnato. - E così le nostre strade si dividono di nuovo? Così presto?

Ricordi quando siamo partiti da Gallifrey insieme? Avevamo un obiettivo in comune. Tu hai fatto la tua parte, e ora farò la mia. Qualunque sia il prezzo, terrò il tuo mondo al sicuro.

Non poteva dirglielo.

Ma doveva farlo.

- Prendetevi cura di voi. Ma che lo dico a fare… siete una forza.

Romana corse ad abbracciarlo ma il Dottore rimase immobile, come se il gelo si fosse di nuovo impossessato di lui. Il Calderaio sembrò perdere tutta la sua spocchia. Proprio come quel giorno lontano nella Torre Presidenziale, cercò di calmarla. Una cosa di lui non era cambiata… l’amore per lei. Non sempre riusciva a dimostrarglielo, ma in momenti come questo gli era istintivo cercare di proteggerla da se stessa.

- Non devi andare da solo - continuò a protestare lei, ma ormai il Dottore si era sciolto dalla sua stretta e si era fatto strada verso la TARDIS, cercando di non inciampare nelle mille diavolerie di cui era costellato il pavimento dell’officina. - Possiamo aiutarti. Capisco che tu non volessi coinvolgere Gordon. Ma noi abbiamo ancora qualche rigenerazione da buttare via…

- No. Non un solo giorno. Mai più. Nessuno dovrà morire. Troverò un modo, dovesse essere l’ultima cosa che faccio con questo mio nome.

Non sapevano di cosa stesse parlando; la sua mente era rimasta sigillata.

Ma gli credettero -

E singhiozzarono quel nome un’ultima volta, mentre la porta della TARDIS si chiudeva tra loro.

 

Il Dottore attivò prima di tutto i sistemi di difesa. Così, quando si smaterializzò, fu certo che i suoi amici, i suoi adorati amici, non potessero più seguirlo.

Perché era stato tanto melodrammatico?

Quel messaggio poteva significare tutto e il contrario di tutto.

La data… trentasette anni dopo la sua ultima visita. Perché mai doveva significare per forza…

Cambiano così tante cose, in trentasette anni. Forse Jenny e la sua famiglia non vivevano nemmeno più su quel pianeta. Aveva senso. La gente si sposta per la galassia, andiamo… e loro avevano un fottuto manipolatore del Vortice!

Già.

Perché allora sentiva che non era così?



TORRE DI LONDRA, 2014


- Preferirei che ci ripensassi. Non è possibile che ti abbiano offerto uno stipendio migliore. Ma anche se fosse, possiamo metterci d’accordo.

Era sempre stato così, tra loro. I titoli ufficiali non contavano; lei aveva bisogno di lui e finiva per accettare ogni sua stramba richiesta, ogni previsione improbabile, ogni apparente capriccio. E la maggior parte delle volte doveva ammettere che lui aveva avuto ragione su tutta la linea. Anche quando procedeva per tentativi, con risultati disastrosi, lei conservava la fiducia che alla fine ci sarebbe arrivato, e manteneva la fiducia non risparmiando mezzi e uomini perché potesse mettere in atto l’idea risolutiva. Non era il Dottore, certo... ma in mancanza di quest’ultimo, restava la sua risorsa migliore. Erisa poteva digrignare i denti finché voleva, ma lui non l’aveva mai delusa e sebbene per serbare le apparenze dovesse fare ogni tanto la voce grossa, gli avrebbe affidato la sua stessa vita.

- Non mi venderei mai. Non lascerei questo posto per un motivo venale, e comunque… - Malcolm si fece serio. - Non farei nulla di lontanamente simile a… tradire la UNIT, se è questo che temi.

Immaginò Kate che s’irrigidiva. - Non potrei mai pensarlo. Ma è un peccato, è uno spreco, questo non sei tu, sei…

Sei sempre stato un vanitoso egocentrico, non posso credere che le tue ambizioni si siano all’improvviso ridimensionate.

Si tenne per sé quella considerazione e provò a indovinare le sue ragioni. - Ha a che fare con tua madre? - chiese.

Lui valutò l’ipotesi di mentirle per chiudere il discorso, ma l’accantonò in fretta. - No, non proprio. Voglio dire… di sicuro ci vedremo più spesso d’ora in poi, ma è una persona autosufficiente e senza alcuna pretesa di avermi intorno ogni minuto, - precisò. - Riguardo a chi sono o non sono, mi dispiace, ma le persone possono cambiare.

- Dunque devo concludere che si tratta di lei.

- Non accetterò un “te l’avevo detto” come liquidazione, Kate. Continuo a preferire un bonifico bancario.

- Potresti fare uno sforzo per accettare la realtà. Potete restare amici.

- Ma lo siamo. Questa è una cosa che non cambierà, dovunque io mi trovi. - Malcolm diede un’altra controllata ai cassetti della scrivania, per essere sicuro di non aver dimenticato nulla. Grande Quatermass, era la fine di un’epoca. - Nessuno può capire come stiano davvero le cose più di me, credimi.

- Presuntuoso. Fai come credi. Ti do tre mesi, a farti lanciare palline di carta da un branco di ventenni usciti da La rivincita dei nerds, poi ti vedrò tornare qui strisciando. - Se era stata una risatina, a far tremare la voce di Kate, non era stata convincente.

- Ehi! È il mio film preferito! - Non era vero, ma doveva pur avere l’ultima parola. Chiuse la comunicazione e annuì a se stesso.

Credeva profondamente in ciò che aveva detto a Kate; essere innamorati non preclude l’amicizia, e viceversa. Era una grande verità. Sua madre e il suo patrigno erano un esempio di complicità e dedizione reciproca - ma prima di conoscere Osgood, non avrebbe mai creduto di volerli prendere a modello. Non gli erano mai interessati gli altri esseri umani. Buffo, no? Anche questo non era cambiato… perché l’unica donna che avesse mai desiderato era una Signora del Tempo.

 

La incontrò fuori dalla porta, mentre aveva le braccia occupate dallo scatolone che conteneva le sue ultime cianfrusaglie. Fischiò ad un soldato che passava per il corridoio e glielo mollò senza tante cerimonie, istruendolo sulla destinazione: intendeva sfruttare i suoi privilegi fino all’ultimo.

Capì subito che, a differenza di Kate, lei non avrebbe cercato di convincerlo. Ma certo. Era imbarazzante per lei… lo considerava un errore. Ma lui sapeva di non esserlo, non fino in fondo.

Era diversa, in mille piccoli dettagli. Aveva cambiato modo di vestire, acconciatura, persino il tono della sua voce era quasi irriconoscibile. I ricordi e la consapevolezza della propria identità l’avevano trasformata, le avevano donato luci e ombre che giocavano sul suo viso serio e ormai disincantato.

- Sono contento che tu abbia deciso di restare. Tecnologia gallifreyana nelle mani della UNIT… non riesco ad immaginare niente di meglio.

- Ti sbagli, sarebbe un errore catastrofico. Non ho intenzione di svelare nulla che la vostra civiltà non sia in grado di concepire in quest’epoca. In ogni caso, rimango l’ultima arrivata e ho ancora molto da imparare.

Malcolm finse uno stupore forse esagerato. Non era mai stato bravo a mentire, o a dissimulare le proprie emozioni. Non ne aveva mai sentito la necessità né il dovere morale, fino ad allora. - La nostra civiltà. Ogni cosa nel suo giusto tempo, chiaro.

- Oh, ma tu sei oltre il tuo tempo. Hai un intuito fuori dal comune, e lo sai. Non sfigureresti all’Accademia di Prydon. - C’era amarezza in quelle parole, ma anche il desiderio di condividere un poco della vera se stessa.

- Non credo che riceverò mai un complimento migliore. - Il Dottore l’aveva chiamato “genio”, una volta, ma era stato in un impeto di gioia e sollievo. L’aveva chiamato “il suo nuovo migliore amico”, ma lui non si era mai davvero illuso di ciò. Anche fra esseri umani, l’entusiasmo di una nuova conoscenza si spegne presto.

Ma non fra di loro.

Certo, non poteva impedirle di soffrire; questo purtroppo restava, come la pioggia che infradicia le scarpe e lo stridio di pensieri insopportabili.

Non poteva restare al suo fianco ora e avvelenarsi del suo rimpianto per un altro uomo, un altro pianeta, un’esistenza che sarebbe durata più a lungo di quanto lui potesse concepire.

Eppure… con lei, nonostante tutto, era sicuro che il legame sbocciato in quei mesi non sarebbe mai venuto meno. Ne aveva le prove, e se le teneva strette lasciando solo intravedere più di una speranza e meno di una promessa -

(la promessa di un essere umano, di un piccolo, insignificante, geniale terrestre)

un futuro che già aveva iniziato a vivere, oltre il Severn Bridge.

- Allora arrivederci, professor Taylor.

Lui si schiarì la voce, cercando in tasca una caramella. E lo aspettava un altro viaggio in autobus con quel riscaldamento assurdo… - Arrivederci, Osgood.

"Arrivederci, tesoro."

 

 

   
 
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