Buio.
Freddo.
Silenzio.
Non riconosce il posto in cui si trova, non riesce a dargli nemmeno un’identificazione.
Tutto ciò che riesce a percepire è il vuoto che lo circonda, quasi sconfinato in quelle gelide tenebre che gli inibiscono i sensi.
Inizia a camminare, senza sapere quale direzione abbia intrapreso.
Poi la vede.
In lontananza una luce illumina qualcosa di bianco.
Si avvicina incerto, iniziando a riconoscere il tavolo di metallo, con un lenzuolo candido a coprire il profilo di un corpo.
È fermo ai piedi del tavolo, adesso, e sente il respiro farsi sempre più veloce e frammentato.
Quasi incosciamente porta una mano verso il margine del lenzuolo, chiudendo le dita sudate e tremanti attorno ad esso.
Trattiene il respiro mentre tira indietro il braccio, iniziando a scoprire una cascata di riccioli neri.
Il cuore batte sempre più forte, riempiendogli la testa, e quasi esplode nel notare i rivoli di sangue che intaccano il candore della pelle di quel viso tanto familiare.
Lentamente sposta lo sguardo per tutto il volto, lasciandolo infine aleggiare sugli occhi.
Quante volte è stato vicino a perdersi in quel particolare grigio-azzurro?
Quante volte ha ammirato la luce che li ha illuminati dopo aver trovato la soluzione ad un enigma particolarmente difficile?
Quante volte ha scorto quelle piccole increspature ai loro lati che apparivano solo quando sorrideva a lui?
Adesso sono lì, che gli restituiscono uno sguardo vuoto, privo di vita.
E lo sente.
Sente chiaramente il gelo diffondersi dal suo petto al resto del corpo, invadergli ogni cellula, sottraendogli tutta l’energia.
Si ritrova a terra senza rendersene conto, scosso da singhiozzi dolorosi che gli tolgono il respiro e le lacrime che gli offuscano la vista.
Muove le labbra, cercando d’articolare un’unica parola, ma senza riuscirci.
Improvvisamente qualcosa gli afferra le braccia, scuotendolo, rendendogli ancor più difficile respirare.
“John…”
Cerca di liberarsi , allontanandosi da quella presa ferrea che non lo vuole abbandonare.
“John.”
Nella foga sbatte contro qualcosa alle sue spalle, ma ignora il dolore, continuando quella lotta per la libertà.
“John!”
Finalmente apre le palpebre e li vede.
Quegli occhi che un attimo prima lo osservavano con sguardo vuoto sono ora luminosi, vivi, pieni di preoccupazione.
Ed è questo che lo sveglia del tutto, che gli fa capire di essere riemerso da uno degli incubi che hanno popolato le sue notti in quei lunghi tre anni in cui ha creduto che lui fosse morto.
“Sherlock…”
La voce gli esce fievole, rotta dal pianto che non riesce ad arrestare.
Quelle stesse braccia che poco prima lo hanno scosso dal sonno sono ora avvolte intorno a lui in un abbraccio rassicurante.
“Non farlo mai più.” Mormora, ancora scosso dai singhiozzi.
“Mai.” Gli risponde il detective con voce profonda.
Non c’è bisogno di altre parole di conforto o di gesti plateali d’affetto, semplicemente si stendono nuovamente uno di fianco all'altro, ancora stretti in quell'abbraccio che li accompagna durante la loro ricerca di un sonno tranquillo e senza sogni.

---

Salve ^^
Sono nuova su questo fandom, ma ho visto questa piccola flashfiction in una delle mie cartelle e ho deciso di pubblicarla di getto, tanto per condividere con voi i viaggi che compie la mia mente malata...
L'ho scritta qualche tempo fa, dopo l'ennesima volta che avevo finito di riguardare la seconda stagione ç__ç
Non saprei davvero cos'altro aggiungere...
Se avete voglia, un piccolo commento sarebbe apprezzato ^^
Spero vi sia piaciuta.
P.S. Grazie per l'attenzione e... Si, questi NdA sono più lunghi della storia xD
xoxo