Questa storia non è scritta a scopro di lucro, niente di ciò che è narrato è successo realmente (credo) e non conosco né Mr. Rose, né Mr. Stradlin... il che, è un vero peccato. Godetevela, non ho infranto nessuna legge.
Ah, mi dimenticavo... Questa shottina è dedicata a tutti i fan dei mitici Guns N' Roses... e, soprattutto, alle mie colleghe scrittrici. Per voi, dolcezze.
***
Il cielo terso, d'un blu sconcertante, mi
sovrastava.
Raggi di luce mi ferivano le iridi, zucchero bruciato e metallo annerito.
Sdraiato su una panchina gelida, le mani a sorreggermi il capo, me ne stavo per
i fatti miei.
Ma un rumore improvviso attrasse la mia attenzione.
Un profumo straordinariamente allettante mi colpì come uno schiaffo.
Due occhi di giada, profondi come la selva impenetrabile di una giungla,
s'incastonarono ai miei.
Il sole accendeva riverberi dorati tra quei lunghi capelli rossi, trine di seta
danzanti nel sangue.
Mi sorrise con fare infinitamente seducente.
"Ciao."
Trillo di campane, soffio di vento, odore di rose e lacrime.
Brividi orgasmici a tendermi i muscoli, lineamenti violentati dalla sorpresa.
William Bailey, il ragazzo più amato e odiato del pianeta, era ritto davanti a
me.
Mani nelle tasche, colletto alzato, espressione divertita, aria un po' scazzata.
E stava parlando con me, Mr. Nessuno.
"Che c'è... ti faccio paura?" tornò all'attacco, un mezzo ghigno
sulle labbra sottili.
La sua voce era lasciva, sapeva di peccato.
Graffiante, strideva come unghie trascinate con forza lungo un vetro.
La mia espressione confusa suscitò la sua ilarità.
Rise appena, buttando indietro il capo, una cascata di filamenti di rame che gli
carezzava il volto.
Socchiusi gli occhi, come se lui emanasse luce propria.
Una luce che dilaniava.
Occhi troppo profondi e maturi per appartenere ad un quattordicenne.
Appesantiti dall'odio, resi torbidi dalla disperazione.
Distruzione.
"Hai intenzione di continuare a fissarmi senza articolare una sola
frase?"
Parole ironiche, appena velate di dubbio.
Un dubbio che s'insinuava nelle sue iridi chiare, donandogli un'aria quasi
innocente.
Così indifesa da costringermi a scuotere debolmente il capo in segno di diniego
mentre mi tiravo a sedere.
Il mio gesto lo illuminò, facendolo splendere più di una stella.
Ancora oggi, ritengo che il buon umore sia una specie di balsamo lenitivo per
Bill.
Una qualche droga molto più potente dell'eroina.
La mia eroina.
Sorrise, un sorriso sincero, arguto.
Gelido nella sua gloriosa bellezza, freddo e stupendo come un diamante.
La testa mi cominciò a girare, avevo gli occhi appannati, mi sentivo strano,
con un dolore vertiginoso che mi squarciava il petto.
Non capivo più un cazzo... Stavo svenendo!
"Allora, Jeff... facciamo un giro?"
Bell'idea, appena il mondo si decide a fermarsi!
Cercai di tirarmi in piedi, ma ero troppo stordito.
Forse fu il movimento rapido, forse il suono del mio nome su quelle labbra
diaboliche, ma persi conoscenza.
Tutto divenne nero e scivolai in avanti, cadendo sulle ginocchia e strappandomi
i jeans.
Il mio capo urtò il ferro della panchina e poi precipitò sull'asfalto adamantino.
Mi abbandonai frastornato su quella superficie calda, piacevole, anche se un po'
dura.
Mi sentivo la testa in fiamme, il sangue mi bagnava i capelli, ma
l'ottenebramento dei sensi era ottimo.
Non mi volevo svegliare.
La voce di Bill si lasciò andare ad un'esclamazione un po' blasfema, piena di
stupore.
Colma d'urgenza, d'agitazione.
Mio Dio, uccidimi ora; pensai senza fiato.
Eppure la sua paura mosse qualcosa dentro di me, dove si risvegliò l'impellente
bisogno di tornare in vita per dirgli che era tutto ok.
Per consolare quel viso d'angelo, per amare quegli occhi d'Inferno.
Le sue mani mi scossero, gentili, ma ferme.
Piano, aprii gli occhi, fissandoli sul suo volto a due centimetri dal mio.
Le labbra schiuse in un sorriso, le dita fredde posate contro il mio collo.
Il cuore impazzì sotto la pressione della sua guancia morbida.
"Hey, calma... stai bene?"
La sua voce troppo dolce, fiele che si trasformava in miele.
Un nuovo capogiro mi prese, costringendomi a terra.
"Sciocco..." sussurrò leggero, aprendosi in un ghigno altamente
erotico.
Mi stavo eccitando ed ero più fuori di un balcone.
Mi schiarii la gola, rimanendo incantato dal suo sguardo smeraldino, dal fruscio
delle sue labbra che si strusciavano tra loro per permettere a quella voce
magnetica di sconcertarmi l'anima.
Era una sirena, fatale e perversa.
E poi di nuovo il suo profumo, mentre si accostava al mio orecchio.
Le sue mani contro il mio petto tremante, a due millimetri dalle mie labbra il
suo collo d'avorio.
Da riempire di morsi e lividi, da divorare di baci.
"Credi che potremo essere amici senza avere queste reazioni esagerate,
Isbell?"
Un soffio dorato nella mia testa, le mie dita scattarono ad afferrargli la nuca.
Gli voltai il viso per guardarlo dritto negli occhi.
Un mare d'intemperanza che si scontrava con un rogo infernale, dove le nostre
anime sarebbero arse fin dalla prima notte.
"Non ne sono sicuro, Bailey" soffiai altero.
Lui rise, quella sua risata mortifera e bellissima, che si spargeva a macchia
d'olio nel suo fascino malsano.
E rimanemmo così tutto il pomeriggio.
Io steso per terra, con una gamba di Bill attorcigliata in vita, un suo gomito
puntellato accanto alla mia testa e la sua mano che giocava con i miei capelli
scuri.
Le mie dita che sfioravano piano la sua schiena e il suo volto spiritato.
A parlare, di tutto e di niente.
Come i due amici che non saremmo mai stati.