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Autore: Severia85    09/04/2015    3 recensioni
Una misteriosa ragazza si presenta alla Tana chiedendo di parlare con il Salvatore del mondo magico. Chi è? Che cosa vorrà da Harry?
La storia partecipava al concorso A HALF-BLOOD PRINCESS indetto da youonlyneedthelight che purtroppo non ha avuto abbastanza iscritti per essere ufficialmente aperto.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Famiglia Weasley, Harry Potter, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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UN ALTRO FIORE IN FAMIGLIA

Molly Weasley non sentì subito i colpi alla porta, persa nelle sue riflessioni: non passava istante in cui non pensasse a lui, al suo sorriso sornione, sempre presente, anche nella morte.
Quando i colpi si fecero più insistenti, trasalì e si avviò, trascinando i piedi, ad aprire.
 
Viola si sentiva a disagio: non era nemmeno certa che il posto fosse quello. Aveva attraversato il giardino incolto, scorgendo qua e là alcuni gnomi. Le galline erano scappate al suo arrivo. Ora, fissava la porta di quella casa, che dava l’idea di dover crollare da un momento all’altro: non aveva mai visto nulla di simile, in Italia.
Pareva che in casa non ci fosse nessuno e stava per allontanarsi delusa, quando la porta si aprì: comparve una donna con capelli arruffati, che un tempo dovevano essere stati di un bel color carota. Aveva gli occhi stanchi e segnati da piccole rughe.
“Buongiorno, desidera?” chiese, in tono gentile.
“Bu-buongiorno. Io cercavo Harry Potter.”
Gli occhi della donna divennero due fessure e la sua voce perse qualunque tono cordiale:
“Harry Potter NON rilascia interviste. Arrivederci.”
E le sbatté la porta in faccia.
“No, la prego” urlò, per farsi sentire. “Non sono una giornalista.”
“Se ne vada!” si udì provenire dall’interno.
“Per favore, mi ascolti!” Non ottenendo risposta, insisté: “Devo discutere con Harry Potter di una questione privata e importante. Non me ne andrò finché non avrò parlato con lui!”
Molly Weasley riaprì la porta, si portò le mani ai fianchi e squadrò la ragazza da capo a piedi: era giovane, sulla ventina; alta e magra, con lunghi capelli rosso fuoco. Gli occhi neri e profondi avevano qualcosa di familiare. Indossava una lunga veste verde smeraldo, stretta in vita da una fascia nera. La ragazza pareva nervosa, visto che continuava a mordicchiarsi il labbro inferiore, tuttavia le braccia incrociate e lo sguardo fiero facevano trasparire tutta la sua determinazione.
“Chi sei?” chiese dubbiosa.
“Mi chiamo Viola Roversi.”
“Non sei inglese.” Molly aveva notato lo strano accento della giovane.
“No.” Rispose, dopo una lieve esitazione.
“Che cosa vuoi da Harry?”
“È una questione personale.”
“Harry non c’è, al momento.” Disse, rabbrividendo a causa del vento freddo. La sera stava scendendo su quella giornata di fine settembre.
“Quando ritorna?”
“Tra non molto.”
“Bene, lo aspetterò.”
Visto che la ragazza non intendeva demordere dal suo proposito, Molly la fece entrare in casa: qualcosa nel suo viso le ispirava fiducia.
 
Viola entrò e si accomodò nell’ampia cucina, dove Molly si presentò e le offrì un tè caldo, accompagnato da alcuni biscotti al cioccolato.
“Da dove vieni?” le domandò gentilmente.
“Da Bologna. Sono italiana.”
“Hai fatto molta strada per venire qui.”
La ragazza annuì. Mentre beveva, notò una strana pendola, accostata al muro: aveva otto lancette, tuttavia nessuna indicava le ore. Su una c’era scritto Molly ed era puntata verso la scritta A casa; le altre, invece, puntavano tutte su Al lavoro.
“Vedi,” iniziò la donna e Viola non poté non notare un cambiamento nel tono della voce. “Qui da noi, in Inghilterra, c’è stata una lunga guerra. È stato un periodo molto difficile per tutti, ma soprattutto per Harry. Lui ha bisogno di tranquillità al momento e noi della famiglia ci impegniamo affinché sia sereno.”
“Lo capisco e io non sarei qui…”
“No, non credo tu capisca: abbiamo vissuto mesi terribili, sempre in ansia per le persone che amavamo. Tutti abbiamo perso qualcosa in questa guerra e Harry è quello che ha sofferto di più. Ora, ha trovato un suo equilibrio.”
Viola fu presa dagli stessi dubbi che l’avevano tormentata prima di partire: che cosa ci faceva lì? Con quale diritto? L’istinto le diceva di andarsene subito, ma ormai era troppo tardi.
“Capisco la sua preoccupazione, tuttavia non sarei qui se non fosse importante. Ho perso mia madre qualche tempo fa e so come ci si sente a perdere una persona cara: ti manca una parte di te stessa e non tornerà mai più.”
Tra le due donne scese un silenzio carico di tensione: si guardarono negli occhi per studiarsi, ognuna con i propri pensieri e dubbi. Prima che Molly potesse insistere, due sonori crack avvertirono dell’arrivo di qualcuno. Le lancette di George e Ron puntavano ora su A casa.
I due ragazzi entrarono in cucina, salutando.
“Viola,” disse Molly, alzandosi. “Ti presento i miei figli, George e Ron. Lei è Viola, sta cercando Harry.”
“Sei una giornalista?” domandò George, serio.
“No, io…” non riuscì a finire la frase, perché il suo sguardo si era posato sul grosso foro nero che c’era al posto dell’orecchio del ragazzo. Per fortuna, nessuno sembrò accorgersi del suo trasalimento.
“Quando arriva Harry?” chiese Ron, il quale sembrava infastidito dalla presenza di Viola in casa.
Altri due suoni di smaterializzazioni evitarono a Molly di rispondere.
Il signor Weasley entrò in casa seguito da Harry Potter.
Viola lo riconobbe all’istante: aveva visto molte sue foto sui giornali. Era alto, con i capelli spettinati che non nascondevano la cicatrice a forma di saetta. Aveva gli occhi verdi, così diversi dai suoi.
Molly lo intercettò, prima che lei potesse presentarsi. Scambiarono due chiacchiere, poi il ragazzo le si avvicinò. Il suo viso non mostrava alcun tipo di emozione. Sembrava solo stanco per la lunga giornata.
“Viola, vero? La signora Weasley dice che mi devi parlare di una questione personale: di che cosa si tratta?”
“Preferirei parlarti in privato.”
Harry le fece strada.
 
Il mago condusse Viola in un piccolo salotto, dove il ragazzo si sistemò su una poltrona e la invitò ad accomodarsi sul divano di fronte a lui. Viola studiò l’ambiente con una rapida occhiata: la stoffa del divano, color ocra, appariva consumata, ma pulita; alle pareti vi erano numerosi quadri di paesaggi e nell’insieme la stanza era accogliente. Rimase in piedi, spostando il peso da un piede all’altro, indecisa sul da farsi.
“Non ti siedi?”
Viola tentennò, poi si sedette sul bordo del divano, protesa verso il ragazzo e iniziò a paralare velocemente.
“Non so se faccio bene a dirti quello che sto per dirti, ma arrivata a questo punto, non posso più tacere: voglio sapere.”
“Che cosa?”
“Com’erano i miei genitori.” Disse, fissando il giovane dritto negli occhi.
“E io come posso aiutarti?” domandò Harry, leggermente stizzito: che cosa voleva quella ragazza sconosciuta da lui? Come poteva parlarle dei genitori, quando non aveva conosciuto neppure i suoi?
Viola rimase calma e tirò fuori dalla tasca del vestito una pergamena arrotolata e gliela consegnò. Harry la prese e la studiò, prima di aprirla: aveva i bordi consumati, come se fosse stata maneggiata spesso, letta e riletta più volte. L’aprì e rimase turbato: il foglio era ricoperto da una fitta scrittura spigolosa che gli sembrava di riconoscere. Scorse velocemente il testo, fino a trovare la firma: con lettere svolazzanti c’era scritto un nome che gli provocò una fitta allo stomaco. Albus Silente.
Superato lo shock iniziale, cominciò a leggere.
Viola osservava il giovane attentamente: lo aveva visto trasalire, tuttavia leggeva avidamente. A metà lettera, sbiancò e strinse con più forza i bordi del foglio. Posò la pergamena e per qualche minuto non parlò. Poi si girò verso di lei e con voce rotta le chiese:
“Quindi tu saresti…”
Non terminò la frase, eppure Viola sapeva che cosa voleva dire e annuì.
Silenzio.
“Quanti anni hai?”
“Ventiquattro anni.”
Il mago sembrò calcolare mentalmente.
“1974. Aveva quattordici anni.”
“Credo che sia per quello che… che…”
Silenzio.
“Da quanto lo sai?”
“Da un paio di mesi. Mia madre, cioè la mia madre adottiva, è morta prima dell’estate. Era una strega in gamba e molto dolce, ma era avanti con gli anni e un brutto male se l’è portata via. Era serena: raggiungeva suo marito.” Fece una pausa, per la commozione poi riprese: “Quando ho sistemato le sue cose ho trovato la lettera.”
Harry la fissò e sembrò vederla per la prima volta: i capelli rosso scuro, la forma del viso e gli occhi… quegli occhi.
Sua madre e Piton.
Una figlia.
Sua sorella.
 
“Ho sempre saputo di essere stata adottata,” disse Viola, per interrompere un silenzio troppo prolungato. “Ma non sapevo nulla dei miei genitori biologici e, fino a poco fa, non me ne importava nulla.”
Harry l’ascoltava, senza staccare gli occhi dal suo volto. Era come avere davanti una copia di sua madre da giovane. O quasi.
“Sono stata molto amata e ho sempre avuto ciò di cui avevo bisogno.”
“Che lavoro fai?” intervenne il mago, interrompendo il racconto.
“Lavoro presso l’ospedale Berengario di Bologna: sono una pozionista.” Rispose, con orgoglio “Mi piace aiutare le persone.”
Come poteva essere diversamente? Era la figlia di due pozionisti eccellenti!
“Tu, invece, cosa fai?”
Harry rimase in silenzio, come se non avesse sentito la domanda. Era perso nei suoi pensieri: probabilmente, tra non molto si sarebbe svegliato, scoprendo che si era trattato solo di un incubo, dovuto al troppo lavoro.
“Harry?”
Il ragazzo trasalì.
“Ascolta,” riprese la ragazza. “Non voglio che pensi che sono venuta qui solo per approfittare della tua fama. Non mi interessa. Tu sei…mio fratello. Fratellastro. E sei l’unico che può dirmi che tipi erano i miei veri genitori. Solo questo: vorrei che mi parlassi di loro e magari anche di te. Se ti va.”
Di tutto quel lungo discorso, il Ragazzo Sopravvissuto aveva colto soltanto qualche parola: fratellastro, genitori…
“Ho bisogno di prendere una boccata d’aria.” Disse, alzandosi.
“Aspetta,” lo trattenne. “Capisco come ti senti: anche per me non è stato facile accettare questa cosa e nemmeno venire qui. Hai bisogno di tempo e lo capisco. Alloggerò per una settimana alla Locanda della Strega, giù in città. Se ti viene voglia di fare due chiacchiere, vienimi a cercare.”
Così dicendo, fu lei ad andarsene e, senza salutare nessuno, uscì dalla casa e si smaterializzò.
“Harry, caro. Che cosa voleva allora quella ragazza?” domandò Molly Weasley quando il giovane tornò in cucina.
“Ho bisogno di parlare con Silente. Subito.” Fu la risposta lapidaria.
 
****
 
“Harry, è un piacere vederti.”
“Anche per me, professoressa McGranitt.”
In realtà, il mago non aveva molta voglia di ritornare a scuola: i fantasmi dell’ultima battaglia combattuta tra quelle mura tornavano spesso a tormentarlo.
“Tutta questa urgenza di parlare con Silente mi ha stupita: posso sapere di che cosa si tratta?”
“È una questione personale, mi spiace.”
“Già: lo immaginavo. Dovrei essere abituata ai segreti tra voi due.” Disse, in tono stizzito.
 
L’ufficio era cambiato: molti oggetti erano spariti e la stanza sembrava più grande. Un bel tappeto al centro denotava il tocco femminile dato dalla nuova Preside di Hogwarts. I ritratti erano tutti al loro posto e molti rivolsero saluti calorosi al nuovo arrivato.
Harry notò un ombra scura dileguarsi dall’ultima cornice appesa: evidentemente Piton non era in grado di affrontarlo. Meglio così: i sentimenti di Harry riguardo al suo vecchio insegnante di Pozioni erano ancora confusi.
“Harry, ragazzo mio!” fu il saluto gioviale di Silente. “A cosa devo la tua visita?”
“Preside, vorrei parlarle in privato se è possibile.”
Si levarono numerose proteste.
“La sua arroganza mi offende, signor Potter.” Puntualizzò Phineas Nigellus, piuttosto irritato.
Il giovane fu irremovibile.
Quando fu certo che tutti se ne fossero andati, fissò quegli occhi azzurri cerchiati da occhiali a mezzaluna.
“Non è una visita di cortesia, vero?”
“No. Ho bisogno di risposte.”
“Su che cosa?”
“Su questa.” Ringhiò a denti stretti, sventolando davanti al quadro la pergamena stropicciata che aveva ricevuto la sera precedente.
Il volto del Preside defunto rimase impassibile.
“Posso sapere di che cosa si tratta?”
“È una lettera che lei ha scritto alla famiglia Roversi, in Italia, quasi due anni fa.”
Silenzio.
“È vero quello che c’è scritto qui sopra?” urlò, tanto che temette lo avessero sentito in tutta la scuola.
“Sì, è tutto vero. Non sono solito scrivere menzogne.”
“Come ha potuto?” Harry era fuori di sé dalla rabbia.
“Potrei fornirti una spiegazione convincente, ma temo che in questo momento tu non sia in condizioni di ascoltarmi.”
La calma del Preside irritava ancor di più il giovane mago.
“Io ho una sorella e non lo sapevo. Lei non me lo ha mai detto!”
“Tecnicamente, una sorellastra.”
Harry si avvicinò alla scrivania di legno e vi picchiò sopra i pugni con forza.
“Quando ti sarai calmato, potrei spiegarti come sono andate le cose.”
Il ragazzo ci mise diversi minuti a calmarsi a sufficienza per sedersi ed ascoltare.
 
“Come hai appreso dai ricordi del professor Piton, tra lui e tua madre c’era una tenera amicizia, nata quando erano bambini e continuata tra le mura di questa scuola. Era piuttosto strano vedere una Grifondoro e un Serpeverde studiare insieme, ridere e passeggiare nel parco. Ma non era solo la differenza di Casa a renderli una coppia improbabile: Severus era timido e insicuro, Lily allegra e solare, piena di amicizie. Amava aiutare gli altri, mentre Severus era piuttosto… solitario e scontroso. Comunque, durante il quarto anno, ebbero un momento di debolezza e Lily rimase incinta.”
Harry si alzò di scatto dalla sedia, pronto a dire qualcosa, ma fu trattenuto.
“Hai promesso di ascoltare: siediti.”
Il giovane ubbidì, malvolentieri.
“Tua madre si rese conto della sua condizione due mesi dopo, tuttavia non si confidò con nessuno, nemmeno con il padre della bambina che portava in grembo. Col passare dei giorni però, Severus si rese conto di quanto stesse accadendo e, sapendo che non erano in grado di affrontare la situazione da soli, chiesero aiuto ad un docente che entrambi stimavano molto: il professor Lumacorno.”
Harry fece una smorfia e scosse la testa, contrariato.
“Lumacorno li portò entrambi nel mio ufficio: spettava a me trovare una soluzione. Il regolamento mi avrebbe imposto di espellere tua madre, tuttavia Lily era una studentessa brillante, così come Severus e non meritava una simile punizione. Lily piangeva: non voleva liberarsi del bambino, ma sapeva di non essere in grado di occuparsene. Così, proposi questa soluzione: l’avrei aiutata a portare avanti la gravidanza di nascosto, poi avremmo dato il bambino in adozione. Devi capire che era la cosa migliore da fare: un figlio avrebbe rovinato il loro futuro, avrebbe impedito loro di sviluppare i loro talenti. Inoltre, non avrebbero saputo come allevare un bambino: anche per la piccola era meglio crescere in una famiglia con genitori più affidabili.”
Harry rimase in silenzio, riflettendo su quelle parole. Aveva ragione Silente?
“Perché ha scritto alla famiglia Roversi, due anni fa?”
“Sapevo che mi restava poco da vivere. Non avevo mai detto loro chi erano i veri genitori della bambina che avevano adottato: non volevo che questo segreto morisse con me.”
“Mia madre non ha mai cercato la bambina, quando ha finito la scuola? Nemmeno Piton?”
“Mi ero assicurato che ciò non accadesse. Non volevo correre il rischio di un ripensamento.”
“In che modo?”
“Dissi ai due giovani che la bambina era nata morta.”
Il mago restò a bocca aperta: come aveva potuto fare una cosa simile?
“In questo modo, non avrebbero cercato la bambina e avrebbero vissuto le loro vite serenamente.”
Harry non poteva più ascoltare un’altra parola. Si alzò e si diresse verso la porta. Aveva già una mano sulla maniglia, quando si girò e domandò:
“Anche in quell’occasione, lei prese una decisione e fece una scelta che non spettava a lei: come fa a credere di avere sempre ragione?”
Non attese la risposta e se ne andò.
 
***
 
“Quindi, la ragazza che c’era l’altro giorno da noi è tua sorella?” sbottò Ron, alzando troppo la voce.
“Shss. Vuoi che lo sappia tutto il locale? Così mi ritroverei di nuovo braccato dai giornalisti!” sbuffò Harry e aggiunse “E poi, tecnicamente, è la mia sorellastra.”
Hermione era rimasta in silenzio, come se stesse assorbendo piano, piano tutte le nuove informazioni. I tre ragazzi erano seduti in un locale di Diagon Alley, sorseggiando Burrobirra. Quella di Harry, che aveva raccontato al storia di Viola per tutto il tempo, era ancora intatta.
“Cosa intendi fare, ora?” chiese Hermione, con calma.
“Non lo so.” Rispose il mago, sinceramente.
“Dovresti fare dei controlli su di lei: magari è una che vuole approfittarsi di te o chiederti dei soldi!” lo mise in guardia Ron.
“Ronald!” intervenne indignata Hermione.
“Non mi è sembrata il tipo che cerca di spillare soldi, piuttosto una che vorrebbe conoscere i suoi veri genitori. Un po’ come me.”
“Ma è figlia di Piton. Ha sangue Serpeverde nelle vene!” puntualizzò Ron, preoccupato.
“Mi sembrava,” si intromise di nuovo Hermione, con tono fermo. “Che avessimo deciso che Piton ha fatto molto per noi, durante la guerra. Che fosse da considerare uno dei buoni.”
“Sì, ma tutte le punizioni che mi ha dato in sei anni, io non me le dimentico!” affermò Ron, incrociando le braccia e assumendo un’espressione cupa.
Harry era rimasto in silenzio: non aveva ancora una chiara opinione sull’argomento. Coniugare l’immagine di Piton Mangiamorte, sempre arcigno e malevolo, che tanto lo aveva fatto dannare a scuola, con quella dell’eroe coraggioso, era un’impresa assai ardua.
Mentre Ron ed Hermione continuavano a discutere, come erano soliti fare da quando si conoscevano, il giovane prese una decisione.
“Farò come sempre.”
Gli altri due gli rivolsero tutta la loro attenzione.
“E cioè?” chiesero all’unisono.
“Cioè, seguirò il mio istinto. Non mi ha mai tradito.”
 
***
 
“Sono contenta che tu sia venuto: ero preoccupata.”
“Ho avuto bisogno di un paio di giorni per…chiarirmi le idee.”
“Lo immagino.”
I due fratelli erano seduti uno di fronte all’altro, nella camera della Locanda della Strega. La stanza era molto semplice: un letto, un tavolino con tre sedie, un armadio e una grande finestra, da cui entravano gli ultimi raggi di sole di quella giornata.
“Ti ho portato una cosa.” Disse Harry, frugando nella borsa.
Ne tirò fuori un bel libro rilegato in cuoio e lo consegnò alla ragazza. Lei lo aprì e osservò le fotografie, senza parlare.
“Sono le foto dei miei genitori, quindi anche di tua madre: pensavo ti avrebbe fatto piacere vederle.”
“È bellissima! Mi assomiglia. Che tipo era?”
“Beh, sai che è morta quando avevo solo un anno, però mi hanno raccontato che era una strega in gamba; era gentile e generosa. Una volta, un suo amico mi ha detto che sapeva trovare il bello in tutte le persone, soprattutto quelle che avevano meno fiducia in loro stesse.”
Mentre parlava, Harry sentiva un nodo formarsi in gola. Non aveva mai raccontato a nessuno di sua madre: aveva custodito gelosamente nel suo cuore tutte le informazioni che aveva carpito o che gli erano state raccontate. Ora, condividendole con sua sorella, sentiva la commozione farsi avanti.
Viola fece altre domande e Harry rispose come poteva, visto le poche notizie che possedeva.
“Sai,” le disse infine. “Credo che sia anche per te, che mia madre ha dato la sua vita per salvarmi.”
“Cosa intendi?”
“Non lo so bene, ma credo che, sapendo quello che si prova a perdere un figlio, non fosse disposta a lasciarne morire un altro. Per te non aveva potuto fare nulla, così si è sacrificata per me.”
Rimasero in silenzio per qualche tempo, ognuno meditando quelle parole.
“Non mi hai detto ancora nulla di mio padre.”
Quello era il momento che Harry temeva di più: che cosa doveva dirle?
Scelse la sincerità.
“Tuo padre era un bastardo: si divertiva a tormentare gli studenti, soprattutto me. Eppure, credo sia l’uomo più coraggioso che abbia mai incontrato. Ha avuto una vita difficile, infelice. Anche se questo non giustifica del tutto il suo comportamento a scuola.”
“Ho letto la sua storia sui giornali.”
“Ha avuto un ruolo determinante nella guerra.”
Di nuovo silenzio.
“Parlami di cosa ti faceva a scuola”
Harry non aveva che l’imbarazzo della scelta, e iniziò a raccontare di tutte quelle volte in cui era stato insultato e deriso. Le parlò delle lezioni di Occlumanzia e anche, della notte in cui aveva ucciso Silente: col senno di poi, certe parole assumevano tutto un altro significato.
Continuarono a conversare anche durante la cena e proseguirono anche dopo, fino a notte fonda.
Harry le spiegò che non era tornato a scuola per finire l’ultimo anno, ma gli erano stati comunque conferiti i MAGO e aveva iniziato l’apprendistato come Auror. Viola gli descrisse la scuola di Magia di Bologna (che si trovava in un antico monastero) e alcune bellezze d’Italia.
 
Harry stava ormai per andarsene quando le disse:
“Scusa se non te l’ho detto prima, ma se vuoi posso portarti a conoscere tuo padre.”
Viola rimase a bocca aperta: lo desiderava ardentemente.
“Credo però che vada… come dire: preparato.”
“Ok.” Rispose la strega, incapace di aggiungere altro.
 
Harry si materializzò alla Tana e raggiunse silenziosamente la sua stanza, cercando di non svegliare Ron. Era stato molto titubante nel proporre a Viola quell’incontro: come avrebbe reagito Piton? Come l’avrebbe trattata? Non voleva che sua sorella ci rimanesse male.
Prima di cadere in un sonno profondo, riuscì a pensare a come fosse strano che, nonostante la conoscesse solo da pochi giorni, provasse per lei un affetto così intenso. Si addormentò, sorridendo all’idea di avere una sorella.
 
***
 
Viola entrò nell’ufficio della Preside di Hogwarts, accompagnata da suo fratello. Si guardò intorno, ma non riuscì a concentrarsi su nulla. Il cuore le batteva all’impazzata. Osservò i ritratti appesi alle pareti: erano tutti vuoti. Poi, incontrò uno sguardo: due occhi neri e profondi la fissavano. Erano identici ai suoi. Il cuore le fece un balzo nel petto e si fermò di colpo.
“Papà…” sussurrò.
Dagli occhi di Severus Piton scese una lacrima.
  
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