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Autore: germangirl    10/04/2015    7 recensioni
Harm, Mac, un bimbo in arrivo e una telefonata da Washington.
Ovvero: la vita e le sue imprevedibili conseguenze.
Seguito di “Tutta colpa del lago dorato”
Questa storia fa parte della serie 'Il lago dorato'
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Harmon 'Harm' Rabb, Matilda 'Mattie' Johnson, Sarah 'Mac' MacKenzie, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7. L’alba di una nuova famiglia

 

In quelle stesse ore, a Washington fervevano i preparativi per il trasferimento a San Diego. Da una settimana Matilda Grace Johnson era stata affidata legalmente ai coniugi Rabb. Era stato il giudice Johanna Houghton del Tribunale dei Minori a decretarlo ufficialmente. Le sue parole riecheggiavano continuamente nella mente di Harm: “Ricopro questo incarico da molti anni ormai e nella mia lunga carriera ho giudicato innumerevoli casi di minori coinvolti nelle situazioni più dolorose, assurde o violente. Mi è capitato molte volte di dover togliere dei bambini ai propri genitori e non sempre è stato facile collocarli presso famiglie affidatarie. Questa volta però il mio istinto mi dice che voi rappresentate la soluzione ideale per Matilda. E lo dimostrano anche le numerose testimonianze della vostra idoneità, raccolte dal Capitano di Corvetta Roberts, fra le quali spicca la dichiarazione di un ammiraglio in congedo, Albert Jethro Chegwidden. Una vera arringa da manuale! Se anche mi fosse rimasto qualche dubbio, le sue quattro pagine, fitte e manoscritte, me lo avrebbero tolto definitivamente.”

Ancora una volta, AJ si era comportato come un padre per Harm e Sarah.

Il comandante Rabb non vedeva l’ora di poter avere tutta la sua famiglia riunita finalmente sotto lo stesso tetto. La mancanza di sua moglie gli faceva male fisicamente, contraendogli lo stomaco ogni volta che pensava a lei, e la data del parto si stava avvicinando a grandi passi e per niente al mondo se la sarebbe voluta perdere.

Dal canto suo, sebbene fosse felice di andare a vivere con Harm e Sarah a San Diego, Mattie era molto nervosa all’idea di salire nuovamente su un aereo. Certo, il 747 che li avrebbe portati in California non aveva nulla a che spartire con il biposto con il quale si era schiantata al suolo nemmeno due mesi prima, ma il ricordo dell’impatto era troppo vivo per affrontare il viaggio senza ansia. Si consolava dicendo che aveva ancora qualche giorno per farsene una ragione, procrastinando il momento in cui avrebbe dovuto fare i conti con le sue paure.

Harm stava concordando con il dottor Daniels le accortezze da usare per rendere le lunghe ore di volo meno stressanti per Mattie quando il suo cellulare squillò. Il display lo informò che si trattava di Frank. La cosa lo sorprese, perché di solito era sua madre a chiamarlo, così rispose immediatamente: “Frank, va tutto bene?”

“Harm, dovresti anticipare il rientro a San Diego. Sarah è in ospedale” gli disse.

“Come… cosa… come sta?” riuscì a chiedergli appena il cuore riprese a battere più o meno regolarmente.

“I medici si stanno prendendo cura di lei e del bambino, ma ha bisogno di suo marito”

No, Frank non poteva aver detto bambino. Mancavano ancora quattro settimane alla data del parto. E poi Sarah aspettava una femminuccia, su questo non c’erano dubbi.

“Il bambino?” gli chiese titubante.

“Le hanno fatto un cesareo d’urgenza. E’ un maschietto, Harm. Sei diventato papà!” lo informò Frank, con un tono di voce che mischiava gioia e preoccupazione. “Sono entrambi monitorati e stanno rispondendo bene, ma la fase critica non è ancora completamente superata” aggiunse.

“Arrivo con il primo volo. Ah, Frank?”

“Dimmi, figliolo”

“Prenditi cura di loro” lo esortò.

“Sono la mia famiglia, Harm, non potrei fare altrimenti” lo rassicurò l’anziano, con un tono sicuro e determinato.

Harm chiuse la comunicazione e appena riuscì a fare mente locale spiegò brevemente al dottor Daniels cosa era successo. Dovevano anticipare il trasferimento a San Diego e non si sarebbe mosso senza Mattie. Si recarono pertanto entrambi nella stanza della ragazza.

Appena li vide entrare, Mattie capì subito dall’espressione corrucciata del suo tutore che era successo qualcosa di serio.

 

Dopo aver concluso la telefonata con Harm, Frank tornò in camera di Sarah. Sua moglie era seduta al capezzale della puerpera e le stringeva una mano. L’uomo si avvicinò a lei dall’altro lato del letto e le accarezzò i capelli. In quel momento, Sarah comprese, per la prima volta in tutta la sua vita, cosa volesse dire essere figlia e avere dei genitori che si prendessero cura di lei. Anche se Harm era lontano, anche se il loro bambino era nato prematuro e riposava in una culla termica, sua moglie cominciò nuovamente ad avere fiducia che tutto si sarebbe risolto nel modo migliore. Aveva una famiglia che le voleva bene.

 

Il volo verso San Diego gli parve interminabile. Dietro consiglio del dottor Daniels, avevano prenotato in business, così che Mattie avrebbe potuto distendere completamente le gambe e assumere una posizione più comoda. Gli era costato un patrimonio, ma per i suoi figli era disposto a tutto.

Figli.

Si ripeté quella parola più volte nella mente.

Adesso aveva una figlia adolescente e un maschietto. Era diventato doppiamente papà e non poteva chiedere altro alla vita. Era riuscito a parlare con Sarah al telefono pochi minuti prima di salire a bordo dell’aereo e le parole della moglie lo avevano rassicurato che lei e il piccolo si stavano riprendendo. Avrebbero dovuto trascorrere ancora qualche giorno in ospedale, ma la fase critica era stata superata e non vedevano l’ora di abbracciarlo di nuovo e di accogliere Mattie nella loro famiglia.

Si ritrovò a sorridere al pensiero di poter finalmente rivedere Mac e conoscere il loro bambino. Il suo stato d’animo era decisamente molto diverso rispetto a quello che lo aveva accompagnato un mese e mezzo prima, quando si era recato a Washington con il cuore pesante per le condizioni di Mattie. Adesso stava ritornando a casa con la famiglia al completo.

Appena arrivarono al San Diego International Airport, Harm aiutò sua figlia ad accomodarsi sulla sedia a rotelle che ancora usava per percorrere i tragitti più lunghi, poi raccolse i loro bagagli e si avviarono all’uscita. Ad attenderli c’era il sottufficiale di prima classe Jennifer Coates che abbracciò entrambi con grande trasporto, in barba al protocollo e alla divisa e con buona pace di Rabb. Le due ragazze nutrivano un profondo affetto reciproco che si era consolidato durante il periodo in cui avevano vissuto insieme nell’appartamento accanto a quello dell’affascinante comandante Rabb.

“Signore, lascio lei all’ospedale e accompagno Mattie a casa, d’accordo?” propose Jennifer.

“Harm, voglio venire anch’io a trovare Mac!” protestò immediatamente Mattie.

“Non se ne parla, ragazzina. Il volo è stato lungo e faticoso, hai bisogno di riposare” decretò Rabb con un tono di voce che non ammetteva repliche.

“Ma se ho dormito per la maggior parte del tempo! Dai, voglio venire anch’iooooooooo” insistette.

“Matilda Grace, ci verrai domani. Promesso. Adesso va’ a casa con Jennifer e fa’ la brava” ordinò Harm e con queste parole concluse la diatriba, nonostante il volto imbronciato della figlia che riusciva a passare da un comportamento infantile e sbraitante a un atteggiamento maturo e posato nello spazio di un battito di ciglia. Benedetta adolescenza.

Come concordato, Jennifer fece tappa al Naval Medical Center e poi proseguì verso Carmel Valley.

Sceso dall’auto, Harm si precipitò al reparto maternità. Nella hall incontrò sua madre, che lo abbracciò e lo accompagnò a conoscere il resto della famiglia.

Appena entrato nella stanza di sua moglie, Harm si avvicinò al suo letto e la strinse forte a sé. Rimasero così, persi l’uno nell’altra, per alcuni minuti. Poi si staccarono e, mentre asciugava teneramente le lacrime di commozione che avevano bagnato il bel volto dell’uomo, Mac disse: “Questa volta non sono la sola a piangere”

Sorrisero entrambi al ricordo di quando invece tanti anni prima, mannaggia, era stata lei l’unica a piangere perché Harm aveva deciso di abbandonare il JAG per tornare a volare i suoi amati Tomcat in servizio attivo sulla USS Patrick Henry, lasciandola senza nemmeno una pianta da annaffiare nel suo appartamento. Quanto tempo era passato da allora! Quanti anni avevano sprecato!

Poi Rabb, per alleggerire la situazione, aggiunse: “Marine, devo ammettere che avevi ragione: in quel pancione nascondevi un maschietto”

“Ebbene sì, marinaio. Ricordati che noi berretti verdi siamo sempre avanti!” rispose a tono Mac. Poi qualcun altro si aggiunse alla loro conversazione. Udirono un vagito provenire dalla culla posta accanto al capezzale di Sarah.

Entrambi si voltarono nella sua direzione e Harm, titubante, domandò: “Posso prenderlo?”

“Certo, è tuo figlio!” gli rispose Sarah.

Con grande cautela, il comandante Rabb sollevò il piccolo dal lettino e questi lo osservò con attenzione, chiedendosi chi fosse quel gigante dall’odore buono e dalle mani calde che lo stava cullando. La mamma aveva il profumo più buono del mondo, ma anche questo non era male.

Un’ondata di amore puro travolse il cuore di Harm appena le sue iridi cerulee incontrarono quelle madreperlate del figlio.

“Vedo che sul braccialetto c’è ancora scritto “baby Rabb”… non avevamo detto che se fosse stato un maschietto lo avremmo chiamato Matt come tuo zio?” chiese a sua moglie appena quel groppo di commozione che gli stringeva la gola gli permise di pronunciare una frase con un tono di voce percettibile.

“Ti ho aspettato perché ho cambiato idea” gli sussurrò.

Harm le rivolse un’espressione interrogativa, continuando a cullare fra le sue braccia quel frugoletto con il pagliaccetto azzurro con la scritta Proprietà congiunta del corpo dei marines e della Marina – ma dove caspita l’aveva trovato Sarah? – dal quale sembrava non riuscire a staccarsi.

“Vorrei che avesse un secondo nome” riprese Sarah. Poi spostò lo sguardo sulla coppia anziana che li osservava con affetto dalla porta della stanza, si schiarì la gola e disse decisa: “Vorrei che nostro figlio si chiamasse Matthew Frank Rabb”

Sollevando gli occhi, Harm incontrò quelli commossi dell’uomo che era stato accanto a lui e a sua madre per la maggior parte della loro esistenza e disse semplicemente: “E’ perfetto”

 

Nota dell’autrice

Forse avrei dovuto intitolare questa ff “Padri”, perché in fin dei conti presenta figure paterne diverse fra loro: Harm, Tom, Frank e persino AJ. Ma quella canzone racchiude un messaggio troppo importante per non farvi riferimento. Nonostante tutto, nonostante le difficoltà e gli ostacoli, vita in te ci credo. Lo dicono – con i loro comportamenti – i protagonisti di questa storia e prova a farlo anche questa umile autrice.

Grazie per avermi regalato il vostro tempo e la vostra attenzione ed essere arrivati fino qui.

Un abbraccio,

Deb

 

  
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