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Autore: kateausten    10/04/2015    6 recensioni
A Dean non ci era voluto nulla per aggiungere Castiel Novak fra gli amici per scrivergli privatamente e insultarlo ancora meglio. E a Castiel ci era voluto ancora meno per rimetterlo al suo posto, con quelle risposte contenute, le virgole al loro posto e il lessico perfetto.
“Maledetto figlio di puttana ingessato” aveva mormorato Dean leggendo le risposte che quella sottospecie di diciassettenne californiano gli scriveva.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Famiglia Winchester, Sam Winchester, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Era un tiepido mercoledì pomeriggio di fine aprile e Martin Street, una placida strada in un altrettanto placido quartiere di Lawrence, Kansas, era inondato dal sole delle cinque del pomeriggio.
La quiete fu improvvisamente turbata dal rumore di una macchina che stava arrivando a velocità sostenuta dalla via principale e che si fermò inchiodando davanti al numero 17 di una graziosa villetta.
“Non capisco perché tutta questa furia!” esclamò con stizza il passeggero del veicolo.
Sam Winchester, tredici anni tondi tondi, si scostò i capelli castano scuro dalla fronte- troppo lunghi, gli davano fastidio da morire-, e si rivolse al ragazzo seduto accanto a lui, che, al contrario, aveva stampato un sorriso soddisfatto sul volto e le mani che picchiettavano ritmicamente sul volante.
“Sam, tra tre anni prenderai la patente e queste lezioni di guida gratuite e fantastiche, aggiungerei, te le becchi gratis tutti i giorni, dalle sette e trentadue alle sette e quarantacinque e dalle quattro e quaranta alle cinque e tre” replicò Dean Winchester, mentre tirava il freno a mano e si voltava verso il suo fratellino.
Sam sbuffò.
“Lezioni di guida fantastiche un corno! Questi sono solo test per monitorare la resistenza del mio cuore!” esclamò “Oggi mi hai quasi fatto prendere un infarto, Dean”.
“Perché sei un pappamolle, Sam. Solo per questo”.
“Non sono un pappamolle!” ribattè Sam, furente.
Dean ridacchiò e gli diede un’amichevole pacca sulla schiena.
“No, non lo sei. Sei piuttosto forte per avere tredici anni”.
Sam si girò verso il finestrino, cercando di non cedere al sorriso che si stava formando sul suo volto, dandosi mentalmente del cretino: tutte le volte che suo fratello gli faceva un complimento sentiva la rabbia scemare.
Scesero dalla macchina, un catorcio che usavano in attesa che Dean rimettesse a posto la sua baby, l’adorata Impala del ‘67 che il padre gli aveva ceduto con un sorriso preoccupato il giorno che Dean era tornato sventolando con aria vittoriosa il foglio rosa.
Dean si affiancò al fratello sul vialetto mentre Sam si voltò verso di lui.
“E comunque è vero che in queste ultime settimane corri più del solito. Certe volte ci fermavamo a prendere un hamburger o a vedere una partita di football, invece adesso torniamo sempre a casa così puoi metterti attaccato a quel maledetto computer finché mamma non ci chiama per cena”.
Le parole erano state dette precipitosamente, quasi per non far capire quanto tempo ci aveva pensato e quanta gelosia stesse provando per qualcosa che non sapeva spiegare ma che sentiva comunque come una minaccia.
Dean si bloccò a metà vialetto, con un leggero rossore in viso e l’aria imbarazzata che stonava con la faccia da figo che solitamente metteva su a scuola.
“Sammy..” cominciò e poi sospirò. “Sam, ho veramente tanti compiti da fare. Se non ricordi, mi è arrivata solo la lettera d’ammissione della dannata Università del Kansas e lo sai benissimo che è l’ultima scuola che avevo scelto. Quindi mi devo impegnare di più. Devo sparare le ultime cartucce”.
Sam lo osservò per qualche secondo, notando le dita che giocherellavano nervosamente con i lacci della cartella.
Compiti. Certo.
“Sembri un nerd, rinchiuso in quella stanza” disse infine, decidendo di dargli un po’ di tempo.
Dean rise socchiudendo gli occhi verdi, scompigliando i capelli del fratellino, con aria immensamente sollevata.
“Non confondiamo i ruoli, Sammy” lo sbeffeggiò mentre apriva la porta di casa “Di nerd in questa casa ci sei solo tu”.


*


C’era già un messaggio.
Dean sorrise, mentre apriva la pagina di Facebook e cliccava sulla casella dei messaggi di posta. Si accomodò sulla sedia, ascoltando i rumori di Sam nella stanza accanto e i quelli di sua madre in cucina.
Amava quei rumori; li aveva sempre sentiti e ancora non immaginava il momento in cui li avrebbe lasciati per il college quell’autunno.
Lasciare la sua camera, la sua casa, i suoi genitori, Sam- Sammy, intendiamoci, come avrebbe fatto, se lo sarebbe portato al college avesse potuto-, lasciare tutto quanto per la San Francisco University gli sembrava ancora irreale.
Era tuttavia determinato, la sua scelta era San Francisco.
O San Francisco o niente.
O San Francisco o sarebbe andato a lavorare nel garage di zio Bobby.
Ecco, semplice. Quello era il suo piano. Sorrise lievemente al pensiero della faccia di sua madre mentre gli annunciava che non sarebbe andato al college per fare il meccanico.
La pagina dei messaggi si aprì e ogni pensiero gli scomparve dalla mente. Il lieve sorriso si allargava pian piano mentre leggeva il messaggio davanti a se e la mano andò sul ciuffo biondo, spettinandoselo come se avesse il solito pubblico di cheerleaders adorante di fronte a lui.
Ecco perché correva a casa dopo le lezioni.
Ecco perché Sammy si lamentava della sua guida.
Ecco perché San Francisco.
Castiel.

Nessuno sapeva di Castiel. Non lo aveva raccontato a Benny, che era il suo migliore amico e nemmeno a quella pazza di Charlie, perché sapeva che avrebbe frainteso tutto quanto, dicendo cose insensate su cui poi lui avrebbe riflettuto e pensato e diamine, lui non voleva pensare. Non in quel momento per lo meno.
In fondo, non c’era neanche nulla da dire o sapere su Castiel. Si erano conosciuti perché a entrambi piacevano i Metallica e il tre febbraio (si, Dean ricordava il giorno) si erano insultati sul gruppo di Facebook dedicato alla band musicale, discordanti praticamente su tutto quello che riguardava i componenti e le canzoni.
A Dean non ci era voluto nulla per aggiungere Castiel Novak fra gli amici per scrivergli privatamente e insultarlo ancora meglio. E a Castiel ci era voluto ancora meno per rimetterlo al suo posto, con quelle risposte contenute, le virgole al loro posto e il lessico perfetto.
“Maledetto figlio di puttana ingessato” aveva mormorato Dean leggendo le risposte che quella sottospecie di diciassettenne californiano gli scriveva.
Quella notte aveva spento il computer alle quattro del mattino, pensando che neanche con Lisa Breaden, la sua ultima conquista, aveva mai fatto così tardi.
Aveva resettato Castiel e le sue risposte dal tono antiquato in un angolo della sua mente per due giorni, fino a quando il suo nemico non aveva deciso di riscrivergli, dicendogli qualcosa sui cantanti che lo aveva mandato in bestia.
Poi, Dean se ne era reso conto solo un paio di giorni prima, dei Metallica non avevano più parlato.
Agli insulti erano seguiti informazioni sulla propria vita, sulla scuola, sulle proprie aspirazioni. Parlare con Castiel era come parlare con se stesso e Dean era spaventato dalla facilità con cui le cose che voleva dire ma che facevano fatica ad uscire dalla sua bocca, con Castiel venissero fuori di getto.
Aveva saputo che Castiel viveva a San Francisco, piuttosto vicino al mare, in una vecchia casa vittoriana che scricchiolava tutta; che aveva un gatto, un fratello maggiore e una sorella più piccola. Che amava gli hamburger e che il suo capo di abbigliamento preferito era un vecchio trench-coat che gli aveva lasciato il padre prima di abbandonarli. Castiel non diceva mai che li aveva lasciati o che se ne era andato per i fatti suoi. Dean aveva notato che usava sempre il termine ‘abbandonato’.
Castiel a sua volta sapeva tutto di Mary e John Winchester, di come avrebbe rinunciato volentieri alla sua vita per Sam e della sua passione per le macchine e la torta di mele.
Castiel era anche un secchione, quasi quanto Sam, ed era stato già accettato alla facoltà di medicina della San Francisco University.
Quando Dean gli aveva confessato che avrebbe voluto studiare ingegneria meccanica, Castiel non aveva riso (come quegli stronzi di Benny e Sam) o fatto battutine.
Aveva semplicemente detto: “Ci sono delle buone facoltà di ingegneria qua a San Francisco, Dean”, e Dean si era sentito tremare dentro, in un posto indefinito, ma molto vicino al suo stomaco. Poi aveva aggiunto: “Potresti venire qui. Potremmo frequentare il college insieme”.
Dean aveva osservato lo schermo qualche secondo, cercando di calmare il battito del cuore, dicendosi che era stupido emozionarsi come una ragazzina solo perché questo Castiel, uno che non poteva neanche definire amico (non si erano mai visti e non contava che Dean avesse stalkerato ogni sua foto su Facebook. Stava bene in costume, però) gli stesse suggerendo di trasferirsi sulla costa ovest e frequentare la stessa università.
Le dita si mossero leggere sulla tastiera e quello che Dean digitò sorprese anche se stesso:
Potrei”.

Ecco perché San Francisco.
I suoi voti non erano male, ma neanche spettacolari ed era veramente poco fiducioso in una risposta affermativa da parte dell’università.
Finì di leggere il messaggio che Castiel gli aveva mandato la sera prima e che lui non aveva letto perché si era addormentato sul libro di storia (faceva veramente i compiti e quel nerd di Sam poteva pensare quello che voleva).
Mentre si accingeva a rispondergli, il pallino accanto al nome di Castiel diventò improvvisamente verde e Dean sentì il solito guizzo nelle viscere.
Hey, Cas” digitò velocemente.
Aspettò paziente qualche secondo, pesando come tutte le volte cose totalmente prive di senso: stavolta non gli avrebbe risposto, si era stancato di parlare con lui, aveva da fare…
Ci fu un lievissimo bep.
Ciao, Dean”.
Dean sorrise.
  
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