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Autore: HobennYgh    10/04/2015    0 recensioni
- Ispirato all'antica legenda del filo rosso del destino -
Dal Primo Atto:
"Viveva in tempi remoti un giovane principe dentro una bolla, fatta della stessa sostanza dell'acerbia del mondo. Lì dentro all'ossigeno vi sostituiva l'arte, e nel fantastico cielo in quale vi fluttuava, le luminee stelle eran vaghe illusioni, come sogni inafferrabili. Ma un dì mirò a svegliarlo un essere di pura vita in ogni essenza che, con una lunga spada di ferreo amore, trafisse la bolla con affetto.
Sul volo della pace interiore sfioraron le stelle, ma come fosser pesci in mare il Mondo s'affrettò a pescarle, levando quello scuro in cui, a colpi di legna duri come la sofferenza, tolser la vita a chi ebbe le redini di quella magia.
E allor' il Principe solingo, fuor dalla bolla e non incitato, spaesato dall'orror che i sensi annebbia e sulle orme del terrore, [...] In quella tarda notte s'imbarcò nel gelor del sudiciume."
Antimonio e il gioco del Fato alla sua anima.
Genere: Guerra, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice: Sul perché io sia tornata a scrivere, si desta confusione; non sarò mai pienamente soddisfatta del mio operato, e a volte mi scoraggio.


Lascerete una recensione, non è vero? *fa gli occhioni dolci*

Ogni riferimento a persone reali o realmente esistite è puramente casuale.

Se qualcosa non vi è chiara, sarò più che felice di lasciar delucidazioni anticipate.
Questa è la mia prima vera storia -una sorta di raccolta- e devo dire di provar timore nel pubblicare il tutto.
Ci tengo a precisare che ho usufruito (alla grande) della licenza poetica, e che sono consapevole che le virgole son sparse non seguendo regole, ma semplicemente il ritmo che ho voluto, io, affibbiare al tutto.

Ho voluto in questa storia mettere a risalto -oltre le svariate cose che elencherò quando sarà completa- il distacco inziale fra i due ragazzi, che si tramuterà poi in una forma d'amore che, fra ignoto, magia e bizzarre avventure, si propagherà d'era in era.

Moriranno carnalmente, per poi rinascere, in quanto troppo ricchi di vita: ed è proprio su d'essa che vorrei far riflettere.
Amatela.

Questa primo atto non sarà forse molto chiaro, ma capirete, lo prometto.
Chiedo venia per gli errori; troppo assonnata, controllerò il tutto domani.
 

...A presto... x




 
  • Atto Primo:

    Di carni latulente e spiriti agitati.


Sud America, Agosto 1600.

 
Impossibilitato a tastar terra in sole, sorbiva il suo calore alla finestra sopra il prato. Fra le piantagioni di cotone vi trafficavan gli schiavi del padre, i quali ogni giorno odeva cantare, lodando in sé quel sonoro madrigale di risposte.

Ma all'ascolto s'intrise la vista: spiccava fra i tanti una testa lustra.

Spiccava lumineo, ma il bizzar caso volle non fosse ciò benigno- o almeno così gli fu confermato, quando, in tavola scura, intrise in domanda il silenzio del padre solingo.

Un'aspra riprensione e tacque - era quello superfluo alla vita; ma il fanciulletto, pur fin troppo scaltro, decise di far visita personalmente al malmenato.
 
*

Scroscio di catene come pioggia ai tetti, mirava con disgusto i legni dove vi eran costretti. Non comprese se quel coro1 fosse di pietà, sinché in un angolo vi scovò il motivo per cui vi era là.

Giaceva l'Uomo Bianco inerte ai ferri, il volto nascosto alla folta chioma di capelli - ricci e intrecciati come nuvole in tempesta, luridi come le bellette* dove i vermi vi fan festa.

Gli si chinò al fianco quando, nel mirarlo meglio, un nuov' pensiero gli solcò la testa.

« Signore, lei è malato?  »
E vi fu il silenzio.

« Non sono un signore, sono uno schiavo. ».

Rilasciò il respiro tratto nell'attesa, il bambino, lasciandosi in sorpresa trasportar dalle asserzioni.
« Lei comprende la mia stessa lingua? »; quasi esultò quando quello annuì.

« Non sono ammalato, solo affamato. Ha del cibo? »

Tendendo una mano ferita donò quel dolente sorriso nel quale spirò quella sua spavalderia; e adesso gli molciva il viso, rivelando l'altrettanto giovane età.

Annuì, piccolo e frenetico; « Si. Vado a prenderlo, andrò a prenderlo! La Balia mi aiuterà! Ma prima mi dica, perché lei è qua? »

« Sono un criminale ».


E nell'entusiasmo che solo un bambino può caratterizzare, sotto pressione in tal situazione, dal prestar attenzione corse di sopra, ignorando. E preso del pane tornava allo scuro, cercando curioso quel pezzo di muro- ed eccolo ancor lì; non si mosse d'un passo.

Tese la mano al piccolo lusso2, lo stento nel respirare. Con occhi famelici gozzovigliò in foga, facendo richiesta per averne ancora.

« Mi spiace, ma non ne ho dell'altro » parlò d'un fiato, poi riflettendo; « Ma come può lei esser' un criminale? »
E con un gesto lo fece avvicinare.

Un soffio; « Quanti anni hai? »
« Quasi tredici, signor- schiavo. ».
« Sei troppo grande per le fiabe...? »
« L'ascolterò se mi spiega. ».

Il gelo danzava fra i corpi: « Ho commesso il delitto d'amare. ».
.  .  .

Viveva in tempi remoti un giovane principe dentro una bolla, fatta della stessa sostanza dell'acerbia del mondo. Lì dentro all'ossigeno vi sostituiva l'arte, e nel fantastico cielo in quale vi fluttuava, le luminee stelle eran vaghe illusioni, come sogni inafferrabili. Ma un dì mirò a svegliarlo un essere di pura vita in ogni essenza che, con una lunga spada di ferreo amore, trafisse la bolla con affetto.
Sul volo della pace interiore sfioraron le stelle, ma come fosser pesci in mare il Mondo s'affrettò a pescarle, levando quello scuro in cui, a colpi di legna duri come la sofferenza, tolser la vita a chi ebbe le redini di quella magia.
E allor' il Principe solingo, fuor dalla bolla e non incitato, spaesato dall'orror che i sensi annebbia e sulle orme del terrore, fuggì di tetto in tetto. E dai tetti alle foreste, dove perse il lume di se stesso e non vi fu più luce. E accecato nello scuro rancore, raggiunse gli argini della Follia, laddove sostava un barcone. In quella tarda notte s'imbarcò nel gelor del sudiciume.
.  .  .

« Và a dormire, piccoletto, fuggi al calor delle coperte, e medita sul tutto. Nel forte della vita non ti puoi permetter di sbagliare. ».

Delirava.

« Quanti anni ha? »
« Qualcuno in più di lei. ».
 
 **


Pur terrorizzato da chi gli urlava in faccia, strisciava quieto quieto fra lo scuro, balzando contro l'angolo al quale s'acquattò, quando qualcuno osò ghermirgli gamba.

Scrollando le spalle finse il Raggiunto3 un sorriso, sciugando le lacrime dalle quali fu intriso.

Levato in aria un pezzo di pane, da mani tremanti venne afferrato.

I polsi dilaniati, come l'espressione in viso alla stanchezza; realizzò solo allora, il fanciullo, come le catene non fossero efficienti- se non per causar  solo agri impedimenti.

E ad ogni briciola di pane che il piccolo avido rubava, un pensiero alla libertà del giovane librava.

Delle lunghe ciocche che gli lustravan le ginocchia sporche, d'egli sol'una ne afferrò- tirandola leggera.

« Antimonio, questo fà male. ». Nella voce un tono di tristezza non formale.

« Dove ha udito, il mio nome? » E premette quello un dito al ciondoletto al petto suo; inciso in esso quell'identità.

« Quindi sà anche leggere? ..Porto questa al collo sin dalla nascita. ». - ma nell'udir suonar' un' orologio, la sua tension prese via tragica.

« Adesso devo andare, la Balia passa in controllo a ogni ora »
E fra il pane restante in terra vi fu un suono squillante, come tal asserzion d'orgoglio sfatto in umil guardo. Il fanciullo aveva calato la maschera da barone montatagli dal padre, e lo schiavo in quel dì stesso, quella di chi apprezza viver nel lottare.
E se preso con amore, scopriron che anche il ghiaccio può esser fonte di calore.
 
*

Ogni sera, in cambio d'un misero pezzo di pane, di mondi incatati s'improvvisava Pavel a narrare. E cullato dalle lunghe parole di tal notte, si levò lungi al sonno, il piccolo.

Incitata dal tintinnio d'una chiave in balìa, del suo scontro contro a un muro, una mano s'accurò a levarlo nuovamente alla realtà, distraendogli la posa* con maestrosa sveltezza.

Allor lucido il fanciullo, rimembrò alla brezza il caldo nome rivelatogli;
« Pavel? »
E un flebile pensiero, come gli spifferi alla pelle nuda lo facevano nel gelo, sfociò in realizzazione.

Parlavan gli occhi chiari fissi su un volto in speme; ne sorbiva d'essi il desiderio: ma gli voleva troppo bene. Abbastanza da tendersi per recuperar la chiave e donargli la bramata libertà, altrettanto per lunger d'essa e tenerlo con se, l'amico suo.

Ma come le gambe durante l'azione, vi crollò l'orgoglio alle preghiere del biondo. E dei tensi isti4 vi restò uno scatto, che all'aria vi suonò come uno sparo.

Spiccava luminea la collanina fra le mani del più grande, allor libero di disparire; con le catene in terra come ogni lor barriera, adesso sovrastata dallo spirito.

Fra le sue grazie era stato commemorato, chi di sottecchi lo guardò amareggiato; lungere in boschiglia, in corsa.

Giurò lo stesso dì d'allora che avrebbe reso il mondo un posto libero; lo aveva sussurrato. Ma libero vi fu solo un corpo morto, nel mar più desolato.

S'infrangevan le reminiscenze come l'onde in riva, e s'infangavan i ricordi come la schiuma contro la latulenta* sabbia: ma infangata non poteva esser la promessa; sarebbe tornato.
 
 
 

1 Coro: sentimento.
2 Piccolo Lusso: pane.
3 Il Raggiunto: Pavel.
4 Tensi Isti: istanti di tensione
.
   
 
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