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Autore: Barsine    11/04/2015    7 recensioni
Piccolo componimento in cui ho cercato di indagare i pensieri ma soprattutto i sentimenti di Kojiro Hyuga/Mark Lenders, dopo essere stato sconfitto da Tsubasa Oozora e la sua squadra, nel torneo delle elementari.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kojiro Hyuga/Mark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piccolo componimento ispirato alle pagine del manga che seguono il goal del 4-2 di Tsubasa nella finale del torneo delle elementari.
Il Meiwa FC di Kojiro Hyuga viene bruciato.
Dopo tanto tempo che non leggevo quelle pagine, sono rimasta colpita da certi sguardi di Kojiro, sguardi pesanti e costernanti, e ho provato a buttare giù qualche riga su come abbia potuto sentirsi in quel momento...
Avverto che forse mi è uscita un po' "pesante", molto malinconica.
E' dedicata soprattutto alle fan di Kojiro Hyuga/Mark Lenders, ma a chiunque vorrà leggere, spero di riuscire a suscitare qualche emozione :)











Kojiro non sapeva come sentirsi, in quel turbinio di sensazioni che si agitavano dentro di lui.

Si sentiva scorato, abbattuto e sconfitto, ma contemporaneamente in pace per avercela messa tutta, per aver dato fondo a tutte le risorse che aveva.

Si sentiva in un certo senso felice che in qualche modo quella tensione si era risolta, che quel lottare era finalmente cessato, e allo stesso tempo amareggiato perché, nonostante tutto il suo impegno e le sue capacità, era stato sconfitto. E non gli pareva giusto, no, perché era così certo delle sue motivazioni e della profondità della sua voglia di vincere, che non riusciva ad ammettere e ad accettare, dentro di sé, che qualcun altro, apparentemente solo per divertimento e passione, gli avesse ormai definitivamente negato di raggiungere il suo obiettivo.

Sul suo viso, quello che trasparse da tutto ciò, fu un sorriso rassegnato, e una grave, profonda, pesante, infinita tristezza negli occhi.

Si sentiva pervaso da un profondo e costernante senso di ingiustizia, e insieme di ineluttabilità.

E quella strana pace…

Quando la sua famiglia, i suoi fratellini, gli corsero incontro felici, non poté fare altro che ridere e abbracciarli, gioendo della loro gioia, ma in maniera del tutto passiva, come se il suo corpo, in quel momento, rispondesse a riflessi incondizionati, e la sua mente non fosse in grado di fare null’altro se non assorbire i sorrisi dei suoi piccoli fratelli.

Poi arrivarono gli scrutatori della Toho, e gli dissero che avevano deciso di prenderlo lo stesso, anche se aveva perso.

Che lui e Tsubasa Oozora avrebbero giocato insieme, che Tsubasa sarebbe stato il capitano e regista della squadra, e lui il cannoniere.

Kojiro, ancora, non seppe cosa pensare, e come reagire.

Non riusciva a realizzare che gli stavano dicendo che lo avrebbero preso nonostante la sconfitta, e che avrebbe giocato con Tsubasa.
Che ci faceva quello lì, nel suo sogno?

Era svenuto, il giorno prima, ma non aveva mai pensato di demordere, per vincere il torneo e quella borsa di studio, che gli avrebbe permesso di studiare e di giocare a calcio, a tempo pieno, senza lavorare e senza dare preoccupazioni alla sua famiglia.

Il suo corpo aveva ceduto, maledetto, ma se ne avesse avuti altri di ricambio, altroché! Sarebbe andato avanti senza fermarsi un solo attimo per riposare.

Era il sogno segreto che gli aveva dato la forza definitiva per arrivare fino in fondo, in quel torneo. E che gli aveva dato una certezza che gli era parsa incrollabile, di vincere.
Non voleva dirlo ai suoi compagni di squadra, l’aveva detto solo durante la finale, quando i suoi compagni non riuscivano più a stargli dietro e a comprendere la sua assurda smania di fare goal da fuori area al fortissimo portiere avversario, e a quel punto si era sentito di doverglielo dire.
Ma l’aveva coltivato e custodito gelosamente fino a quel momento come il suo giardino segreto, da cui attingere la sua forza, lontano dagli occhi e dai giudizi del mondo.

E adesso, gli stavano dicendo che, comunque, l’avrebbero preso.

E che avrebbe giocato con Tsubasa Oozora.

Oozora era completamente estraneo a tutto ciò, e quel pensiero strideva dentro di lui come un graffio su un muro.

Sentì i suoi compagni essere felici per lui, ancora una volta, come sempre… li sentì circondarlo, dimentichi delle lacrime della sconfitta, li sentì onorarlo come Capitano, il Capitano che tra tutti i suoi impegni e le sue difficoltà li aveva trascinati fin lì, una squadra di ragazzi di periferia fino alla vetta del torneo… e li sentì incoraggiarlo ad accettare quella proposta.

Alzò gli occhi sul suo allenatore, mister Kira, e lo vide con gli occhi lucidi e sussultò, quando gli sembrò di riconoscere su quel volto le stesse sensazioni che agitavano il suo animo, e lo stesso sorriso e gli stessi occhi che si sentiva addosso lui.

Gli stava dicendo di accettare.

- Avanti, Kojiro, perché esiti? Il tuo sogno si è avverato.

Anche alla signorina Matsumoto non sfuggì il suo tentennamento.

- Hyuga, capisco il tuo orgoglio, hai appena perso la finale contro Tsubasa Oozora. Non preoccuparti, possiamo aspettare la tua risposta.

La signorina Matsumoto e l’altro scrutatore gli avevano voltato le spalle e accennavano ad andare via.

Kojiro non sapeva dire se fosse davvero l’orgoglio che lo stava trattenendo. Ma, sempre nella sua sorta di trance emotiva, gli parve evidente come, nonostante tutto, le cose procedessero, andassero avanti.

Guardò i suoi fratelli che ancora si stringevano intorno a lui, entusiasti e orgogliosi del loro fratello maggiore.
Il suo cuore era sordo, ma i suoi fratellini avevano bisogno di soldi, per sopravvivere e per vivere una vita dignitosa.

Poteva continuare a lavorare come aveva sempre fatto, ma non sarebbe mai riuscito a studiare, giocare a calcio e lavorare guadagnando abbastanza soldi da rendersi completamente autonomo. E, andando avanti, le cose si sarebbero solo complicate.

Se non trovava ragioni per accettare quella proposta in sé stesso, doveva farlo per sua madre e i suoi fratellini.

Anche se adesso non lo sentiva più, sapeva che quella era l’occasione della sua vita, e non poteva lasciarsela scappare.

- Io…

Gli scrutatori si voltarono verso di lui

- Io farò parte dell’istituto Toho!  
 





Il torneo era finito.

Basta, tutto smantellato, tutti a casa.

Al prossimo anno.

Aveva visto i suoi compagni di squadra andare via ridendo, le lacrime e la tristezza avevano fatto presto ad andar via dai loro volti, avevano subito ricominciato a scherzare e a ridere tra di loro, e a sentirsi comunque soddisfatti di quel secondo posto.
Fino all’anno scorso, dopo tutto, anche solo accedere ai campionati nazionali, per loro sarebbe stato un sogno, probabilmente irrealizzabile.

Erano ragazzini, e avevano tante altre cose per la testa.
Probabilmente quella sera le loro madri gli avrebbero preparato una bella cena sostanziosa e si sarebbero ristorati e rincuorati, e i loro genitori sarebbero comunque stati orgogliosissimi di loro, quei ragazzi cresciuti in un quartiere difficile che erano riusciti a incanalare le loro energie in qualcosa di costruttivo, ed erano arrivati in finale, perdendo dopo due ore di partita!
Probabilmente, in fin dei conti, quello avrebbe potuto considerarsi un pareggio, almeno dal punto di vista morale.

Ma invece, era stata una sconfitta.
Quella finale l’avevano persa.
Kojiro lo sapeva bene, e soprattutto lo sentiva.
Era stato sconfitto, anche sul piano personale, da Tsubasa Oozora.
Sul suo letto, immobile, con solo la luce dell’abat-jour sul suo comodino accesa, guardava il soffitto. Le braccia incrociate dietro la testa.

Ai suoi compagni di squadra il concetto di sconfitta era scivolato via come la pioggia, l’indomani probabilmente non ci avrebbero più pensato. Forse alcuni l’avevano accettata. Forse l’avrebbero superata.

D’altronde, sentiva sempre quei discorsi, le sconfitte si devono accettare, superare, le sconfitte aiutano a crescere... “Dai, non ci pensare, andrà meglio la prossima volta!”, sentiva dire. “Siete stati grandi, anche un secondo posto va bene!”, “Siete i migliori!”, gli avevano gridato i loro tifosi.
“Kojiro, sei sempre il più grande!” gli avevano detto i suoi datori di lavoro.

Per lui queste cose non esistevano.
Non esisteva il secondo posto.
Non esisteva “Sei sempre il più grande!”…
Esisteva solo il vincitore.
Il vincitore era il più grande.

Quella sconfitta non avrebbe potuto accettarla, né superarla (cosa voleva dire, esattamente?)… forse sopportarla, sì, quello era inevitabile… forse un giorno si sarebbe ridimensionata, l’avrebbe potuta mettere da parte, forse davvero avrebbe potuto tirarci fuori qualcosa di buono… ma adesso…

Spense l’abat-jour sul comodino.
La sua casa era immersa in un silenzio irreale.
Probabilmente i suoi fratellini dormivano già.
Sentiva solo ogni tanto qualche rumore proveniente dalla cucina; sua madre era ancora alzata.
Dalla finestra filtrava la luce della luna.

Improvvisamente si portò una mano davanti agli occhi, respirò a fondo e pianse tutte le lacrime che non aveva pianto, in campo, in mezzo ai suoi compagni e ai suoi tifosi.
  
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