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Autore: Amaya Lee    11/04/2015    2 recensioni
[KuroKen | third year!Kenma | college student!Kuroo]
"I'll never let our love get so close
You put your arms around me and I'm home"

I blandi respiri, nella penombra del tardo pomeriggio, lasciano tracce fantasma su un lembo di pelle scoperto dalla maglietta.
«Kenma» dice, sollevando la testa dal cuscino abbastanza da intravedere un naso gentile e ciglia folte e graziose. «Il linguaggio dei fiori è una figata. I fiori sono roba forte.»
La replica viene sussurrata con un innocuo pizzicotto sulla pancia. «...Stupido.»
A Kuroo piace la sua Kawasaki nuova, e lo sanno tutti.
A Kenma piacciono altre cose, ma non ne dice - quasi mai - nessuna.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Kozune Kenma, Tetsurou Kuroo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NA: Salve salve, fandom. Noi ancora non ci conosciamo, essendo nuova in questa sezione, ma, tempo e ispirazione permettendo, spero di pubblicare ancora qualcosa qui. Intanto, spero apprezzerete questa robina piccina picciò, che in tutta onestà ho messo nero su bianco solo ieri e di cui quindi non sono sicura al 100%. Oh bè. Le future-fic mi piacciono tanto tanto. I fiori anche. I KuroKen mi piacciono anche di più.
Spero di non essere sfociata nell'OOC; non metto l'avvertimento perché non c'è molto su cui basarsi per affermarlo, ma nel caso me lo segnaliate lo farò subito. Ah, i lyrics appartengono alla canzone "Arms" di Christina Perri e ne consiglio vivamente l'ascolto, anche durante la lettura. Pareri, correzioni (tutto ciò non è stato betato!) e qualsiasi altra cosa sono davvero mooolto bene accetti! Okay, è tutto; buon proseguimento!
Amaya






 

New Beginnings

 

 

[You put your arms around me

and I believe that it's easier for you to let me go

You put your arms around me

and I'm home]


 

Kenma osserva i ciliegi fiorire con un fondo di fresco benessere, che non riesce pienamente ad identificare, né a trattenere. Si sente semplicemente a proprio agio.

Quando uno qualsiasi dei suoi compagni di classe gli si avvicina per domandargli cosa mai si incanti a guardare fuori dalle vetrate – e ciò non è difficile da notare, considerando che il suo banco si trova malauguratamente nella seconda fila centrale dell'aula –, lui elude accuratamente di incrociare gli sguardi e risponde che guarda il cielo, nel timore che possa cominciare a piovere. Ci sono giusto due nuvole sparute e precariamente aggregate, e così si sbarazza di conversazioni superflue (oltre che spesso indesiderate).

Ma non dirà che gli piacciono i fiori. Mai. Possano anche cavargli gli occhi.

Sentendo ancora i rimasugli della quasi fisica beatitudine dell'ultima ora acquattarsi nello stomaco, lo studente del terzo anno si alza dal proprio posto issandosi lo zaino su una spalla sola. Non saluta apertamente nessuno ma si ritrova a mostrare un paio di sorrisi mentre esce dalla classe.

Qualcuno gli ha fatto i complimenti per come tiene i capelli di recente, e lui non ha fatto altro che schermarsi parzialmente le guance, guidato da uno spontaneo e consapevole imbarazzo, con l'umiliante pretesto di risistemarsi una ciocca nello sbozzato codino dietro il capo.

Non c'è più il premente bisogno di coprirsi il volto e interagisce quel che basta per sentirsi parte di qualcosa senza opprimersi. La paura di sbagliare qualsiasi cosa quando gli viene rivolta la parola si è dissipata un poco dal cuore, e ciò che rimane è un briciolo di acerba frustrazione talvolta, quando esita troppo a spillare una risposta.

Cammina con calma nel cortile, tenendo lo sguardo fisso sul brillante schermo verde-azzurro del cellulare. Ha aperto un videogame cui ha giocato poco ultimamente, non essendo questo stato in grado di tenerlo con le dita appiccicate al dispositivo per più di mezzora; lui ha certi standard. «Ohi, Kenma!»

Solleva la testa d'istinto, a quella voce che scatena in lui una sola prima emozione; perplessità. Perde immediatamente interesse nel videogame appena caricato.

«Chi si vede» esclama il ragazzo ad una decina di metri di distanza, proprio sul ciglio della strada. Ha sollevato dalla sua chioma nerissima ed incasinata – nulla di nuovo – una mano in cenno di saluto, e con il braccio opposto si appoggia al sellino piuttosto alto di una moto scura, lucida, che pare urlare “togliti di mezzo”. Il capannello di studenti che si è apprestato allo studente universitario resta ad una rispettosa distanza, alcuni sorridendo simpaticamente al proprietario, altri sorridendo entusiasticamente alla moto.

«È una forza! Un giorno mi ci devi far fare un giro, Kuroo-san!»

«Forse. Forse no» risponde il suddetto con un ghigno sottile. «...Kenma, non vieni a salutare il tuo non-più-senpai?»

Lui non si muove, però. La suoneria bassa e fastidiosamente ripetitiva del videogame è sovrastata dalla tensione che d'improvviso ha dilatato i suoi pensieri, offuscandoli, e privando di qualsiasi particolare espressione il suo volto.

Kuroo non l'ha mai chiamato in quel modo, non insieme a tutta quella gente, sicuramente non con una moto costosa e monopolizzatrice di sguardi. Sguardi sia di ammirazione che d'invidia, non ha importanza. Kenma non vuole addosso tutti quegli occhi.

Pianifica di voltarsi e ignorare spudoratamente l'amico – se ancora può definirsi amico qualcuno che non gli scrive né lo calcola da sei mesi –, scomparendo oltre l'angolo e uscendo dalla struttura scolastica dal retro. Sarebbero solo cinque minuti di strada in più verso casa. Non avrebbe nulla da perdere.

Non avrei avuto nulla da perdere, pensa, mentre i suoi piedi lo conducono sempre più vicino a Kuroo, il quale continua a sorridergli. Kenma lo conosce da abbastanza a lungo per sapere che quello è un incrocio tra l'usuale ghigno cronico che ispira schiaffi e un realistico, semplice sorriso di contentezza.

In qualche modo, questo non fa che renderlo ancora più deluso. Si domanda perché, se è così felice di vederlo, abbia lasciato che i loro fili si slegassero un po', divenissero statici e trascurati, abbindolati dal tempo e da tutta un'altra serie di crudeli fattori.

Forse, però, Kuroo non è nemmeno lì per lui; è probabile che l'abbia adocchiato per caso uscire dalla Nekoma e abbia trovato cordiale salutarsi.

Le sue prossime parole giungono perciò inaspettate. «Sai cosa, avevo voglia di vedere proprio te.» Kenma non vorrebbe crederci così forte e ridicolmente come sta facendo. Le braccia del ragazzo più alto si incrociano al suo petto, nascosto da una t-shirt e una camicia grigia, decisamente fuori tema addosso ad uno come lui. «Sei diventato più alto, eh? Ti trovo bene» dice con voce ininterrottamente gioviale.

Sembra un po' diverso. Kenma immagina che sei mesi di università possano bastare a cambiare almeno leggermente una persona.

«Grazie. Anche tu sembri in forma.» Kenma scosta il viso lateralmente, e gli occhi felini guizzano di lato, contando da quante persone sconosciute sia circondato ora che si è immerso nella cerchia di ammiratori del moro. Diamine. Non è pronto per questo livello di socializzazione.

Non è pronto nemmeno a ciò che avviene subito dopo.

Kuroo scoppia in una risata profonda e senza sbavature, che fa torcere lo stomaco. In realtà, Kenma non ha intenzione di riconoscere che quelle nella sua pancia siano farfalle, non dopo tutto quel tempo. «Senti,» riprende lui quando la risata scema, indicando la moto con il pollice «mi chiedevo se ti va un passaggio. Cioè, casa tua è a due strade dalla mia, perciò non c'è problema.»

Non sapendo con che tono, volume, e inflessione di voce rispondere, Kenma annuisce mestamente e lascia che il braccio di Kuroo scivoli sulle sue spalle e lo avvicini al veicolo. Le sue dita affondano nella spallina dello zaino. È la prima volta che sale su una cosa del genere, e la prima che la sfiora, e che ci sta così vicino in generale.

«Quando l'hai presa?» chiede, guardando il proprietario che, senza nasconderlo, sta monitorando le sue reazioni.

«Solo un mese fa! È stato Bokuto a consigliarmi sul modello. Kawasaki. L'ho trovata stra-nuova ad un prezzo anche generoso. Ti piace, eh?»

Sospirando, il più giovane storce le labbra, prima che un sorriso appaia a tradirlo. «Mi basta che la sai guidare...»

Kuroo mette su un'espressione profondamente offesa – che riesce, tuttavia, ad avere dell'orgoglioso. «Certo che si. Non metterei mai in pericolo una delle persone a cui tengo di più, ti pare?»

Non è convinto di ciò che sente, Kenma, ma lo da per buono. Non vuole dar voce al proprio piccolo e privato rancore nei confronti del maggiore, più che altro perché è abbastanza insicuro di venire ascoltato attentamente.

Quell'altro sembra troppo preso da che impressione gli ha fatto la moto.

«Va bene, va bene. Il casco?»

«Ah. Sì.» Kuroo è fermo per qualche momento, il braccio sospeso incertamente in aria dopo che Kenma si è spostato per sedersi su un ritaglio di spazio all'estremità inferiore del veicolo. Nel processo ha dovuto elaborare un modo per salire poggiando il piede sulla marmitta, e Kuroo ha intimamente tratto troppo divertimento da quel goffo dettaglio. Poi porge all'amico, senza tante cerimonie, l'unico casco che possiede.

«Tu?» esita Kenma.

«Prendilo e zitto.»

«Guarda che vado a piedi.»

«Guarda che ti perseguito. Fino a casa.»

Sul serio, l'università non avrebbe dovuto renderlo più responsabile? Il più giovane accetta tra le mani pallide il casco – nero, serio e dalla forma vagamente aerodinamica –, che pesa ma in compenso pare adatto a proteggerlo da urti non indifferenti, e quando lo indossa ha un brivido di colpevolezza. Attraverso la visiera opaca, che altera e scurisce i colori, guarda Kuroo salutare con una pacca amichevole un paio di persone (ovunque si vada, quel ragazzo conosce qualcuno) e prendere posto di fronte a lui, sul sedile in pelle della Kawasaki.

Poi mette in moto. Kenma stringe lo zaino con una mano e la camicia di Kuroo nell'altra, in un punto più o meno a metà schiena; è questo che gli permette di accorgersi, prima ancora che il veicolo avanzi di un centimetro, che il ragazzo si è lasciato sfuggire una risata labile, stavolta.

«Non vorrei ritrovarti spiaccicato sull'asfalto, sai. Perciò ti conviene reggerti a me.»

In verità, Kenma era spaventato dalla sola idea di prendersi troppo spazio. Non perché si sarebbe sentito a disagio – nemmeno lui ha voglia di venire sbalzato via – bensì temendo la reazione non meglio identificata del maggiore. Davvero, in queste cose la razionalità non c'entra nulla.

A quell'invito impossibile da fraintendere, non può sottrarsi.

«Hm» mugugna, per fare segno all'altro che è pronto, una volta avergli circondato la vita con le braccia. Sono così vicini che Kenma potrebbe appoggiare la guancia sulla schiena del moro, se non avesse teso appositamente il viso all'indietro per gettare uno sguardo allo zaino, agganciato stabilmente ad entrambe le sue spalle.

«Tutto ok? Bene. Andiamo.» Solamente lui può sentire queste parole, proferite con un intimo mormorio e sovrastate dal rombare aggressivo del motore.

Kenma, allora, trova insolitamente naturale stringere un po' più forte.


 

[I hope that you see right through my walls

I hope that you catch me, 'cause I'm already falling]


 

Quando sfrecciano accanto ad un giardino costellato di aiuole – sono riconoscibili passiflore, narcisi e denti di leone – la guancia di Kenma è già premuta sulla camicia di tessuto leggero. Avverte i muscoli della schiena del maggiore contro di sé, e si domanda se quello si renda conto dell'avidità con cui lui ora abbraccia la sua vita, senza alcun desiderio di lasciarlo andare.

Sta francamente soppesando l'ipotesi di invitarlo in casa e offrirgli pop-corn e un film d'azione di quelli che durante il liceo guardavano sempre insieme, apprezzando profondamente la reciproca compagnia.

Vuole sul serio passare del tempo con Kuroo, e se non com'erano abituati in passato, in qualsiasi altro modo.

Quel corpo è tonico e forte, avvolto dalle sue braccia esili e bianche; e senza aver bisogno di pensare ad un perché, solamente dal modo in cui il suo corpo reagisce a quello dell'altro e la sua mente a quella presenza tangibile, calda e confortevole, Kenma sa che il suo posto sia esattamente lì.


 

[I'll never let our love get so close

You put your arms around me and I'm home]

 

 

«Davvero?»

«Mmm»

«Affascinante.» Non lo sta prendendo in giro; Kenma se ne accorgerebbe. «Cioè, lo trovo davvero figo.»

«Mmm...»

Il più grande sogghigna, seguitando a carezzare con tenerezza il capo morbido accostato al suo fianco, da cui provengono suoni spaventosamente simili a fusa.

I blandi respiri, nella penombra del tardo pomeriggio, lasciano tracce fantasma su un lembo di pelle scoperto dalla maglietta.

«Kenma» dice, sollevando la testa dal cuscino abbastanza da intravedere un naso gentile e ciglia folte e graziose. «Il linguaggio dei fiori è una figata. I fiori sono roba forte.»

La replica viene sussurrata con un innocuo pizzicotto sulla pancia. «...Stupido.»

Una risata breve e leggera lascia le labbra di Kuroo, i brividi sbocciano puntuali sulle cosce di Kenma, e ginocchia magre tremolano. «Qual'è il tuo fiore preferito? Spara.»

Il materasso del sofà scricchiola, le tende merlettate sono gonfiate dall'aria zuccherina, un gatto miagola placido chissà dove, le dita del maggiore accarezzano capelli biondi, braccia minute intensificano affettuosamente la propria stretta. Kenma ha già la risposta sulla punta della lingua, quando interseca le gambe a quelle dell'altro ragazzo, e il contatto dei loro piedi nudi lo fanno sentire intoccabile e tiepido e senza peso.

È a casa. E questo non è che un nuovo inizio.

Sorride appena, senza timore di sbagliare qualcosa, insieme a lui. «Il narciso, direi.»

 

 

 

 

Narcissus”

 

Simbologia nel linguaggio dei fiori:

Nuovi inizi.







 
  
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