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Autore: Chandra1620    12/04/2015    0 recensioni
POTREBBE CONTENERE SPOILER
Protagonista di questa storia è un'agente dello S.H.I.E.L.D. dal carattere forte.
Le viene affidata una missione su un'isola sperduta nel Pacifico dove si stanno verificando strani fenomeni, ma meteoriti e campi magnetici disturbati non sono l'unica cosa che troverà laggiù.
Ho voluto ambientare questa storia nel periodo fra Thor e The Avengers per cercare di spiegarmi cosa abbiano fatto alcuni personaggi in quel lasso di tempo ;)
Se vi avanzano un paio di minuti recensite... mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate :D
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Loki, Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’isola era bellissima.
Le gocce che cadevano davano al posto un’atmosfera magica. Il villaggio turistico distava dieci minuti a piedi, in cui ci si godeva il paesaggio tipico.
Gran parte degli edifici era stata danneggiata da schegge semitrasparenti che sembravano brillare di luce propria.
-Non potremmo stare negli alloggi ancora integri al posto di montare inutili tende?-aveva chiesto un militare scocciato quando erano passati di fianco a delle villette bianche da sogno in perfette condizioni.
-No- era stata la semplice e secca risposta del dott. Locke.
Al che Reese, per risollevare il morale generale si era messa dietro il suo collega e camminando all’indietro si era messa a imitarlo.
Non ci poteva fare niente: in quel momento lei si sentiva troppo felice… come non lo era da anni.
E alla fine era dovuta intervenire Victoria per calmare le risate ormai incontrollate e l’ira di un confuso e offeso scienziato.
 
 
-Agente Allen la pregherei di levarsi dall’entrata, sta rallentando le operazioni.- la raggiunse una voce.
Si perché lei non si sentiva pronta a entrare in quella tenda.
Il motivo era semplice: erano lì. Gli strumenti della missione fallita in Alaska nell’inverno di otto anni prima.
Una mano la prese per un polso e la girò verso di se: -Reese, entriamo insieme?-
-Sean lasciami – era stata la sua calma risposta dopo aver annuito con scarsa convinzione.
 
 
Le casse erano tutte lì ammassate l’una sull’altra. Aprì la prima che si ritrovò sotto mano.
Un lungo braccio meccanico leggermente ammaccato era adagiato insieme a pezzi appartenenti ad altri macchinari. Lo tirò fuori con non poca fatica. Poi disse a Sean di andare fuori dai piedi, per dedicarsi a quella piccola parte della sua infanzia.
L’aveva costruito lei e sapeva a memoria ogni sua parte.
Molti fili erano distrutti e non c’era più neanche un solo collegamento funzionante. Per non parlare poi della base, che non trovò nella scatola.
Allora andò ad aprire una seconda cassa e una terza.
I ricordi confusi la aggredivano mentre apriva la quarta. Iniziò a correre per tutta la tenda scoperchiandole tutte, mentre una strana frenesia prendeva controllo di lei.
E le lacrime che l’accecavano la fecero inciampare più di una volta, ma non poteva permettersi di piangere davanti agli altri.
E quando vide che non sarebbe riuscita a trattenerle si nascose dietro alcune scatole e si raggomitolò lasciandosi andare ad un pianto silenzioso.
 
 
Il Dott. Locke finì di indicare ai militari dove piantare le tende pensando scocciato  che non era compito suo, ma della figlia di Alexander.
Decise che non aveva voglia di continuare a badare a quei dementi e sarebbe andato a ricordare all’Agente Allen qual era il suo ruolo nella missione.
Certo, d’accordo, riusciva a capire che non fosse facile per lei ritornare a contatto  con quegli oggetti, ma la missione sarebbe durata sei mesi, cazzo, e non si sarebbe potuta dedicare solo a quello. Lei aveva responsabilità sull’intera operazione.
Mentre camminava verso il laboratorio, piazzato esattamente 500 metri dall’accampamento, pensava a come avrebbero comunicato quella serie di bugie con cui avevano portato la ragazzina su quell’isola.
Già, Fury aveva pensato che sarebbe stato perfetto metterla in una situazione in cui avrebbe dovuto scegliere se accettare il suo passato e quindi poter essere pienamente l’importantissima risorsa che era per l’organizzazione o avere un crollo psicologico e essere chiusa a vita in una qualche specie di manicomio per non averla più come peso morto quale era stato fino a quel momento.
L’organizzazione era crudele da questo punto di vista, ma d’altra parte se non si era capaci di superare questo genere di situazioni allora era meglio levarsi di mezzo, pensava.
 
 
Era davanti all’entrata. Dentro sembrava esplosa una granata: i coperchi delle casse erano ovunque e molti strumenti erano stati tirati fuori .
Non ci volle molto per trovare anche la persona che aveva causato tutto quello.
Stava abbandonata con la schiena contro una cassa fissando con aria assente un rilevatore di onde gamma coperto di sangue.
Si affrettò allora a toglierglielo dalle mani e metterlo nella prima scatola che trovò. Che stronzi, di certo non le stavano facilitando il compito.
Avrebbero anche potuto controllare.
-lo pulirò io più tardi.- disse tendendole la mano. Lei si girò lentamente e lo guardò negli occhi. Aveva pianto. Molto.
-Il sangue non andrà via, mai.- aveva detto semplicemente alzandosi da sola e avviandosi all’uscita.
Appena la vide fuori riprese di nuovo quello schifo dalla scatola e uno straccio umido cercando di levarlo. Ma non andava via.
Vaffanculo: aveva tutta la notte. Anzi sei mesi.
   
 
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