XXV
Dopo un viaggio non molto lungo, erano
finalmente arrivai a Drena. Avevano invertito un sacco di volte la
strada per tutto quello che era successo loro, ma finalmente ora sapevano esattamente che strada dovevano fare; avevano un itinerario
ben preciso. Una gran conquista da parte loro. Non ci sarebbero stati altri
impedimenti, almeno in teoria, l’unica cosa che poteva
infatti ancora succedere, nella peggiore delle ipotesi, era che Sicuth li venisse a cercare. A Drena si
fermarono solo un giorno, giusto il tempo di riposare e riprendere un
po’ di forze per affrontare un altro viaggio. Arrivati in una locanda, la prima
che trovarono entrando in città, si buttarono sui letti stanchi morti. Si
addormentarono quasi subito, senza nemmeno scendere di sotto a mangiare,
distrutti com’erano fisicamente e moralmente. Al mattino però si pentirono di
aver saltato la cena corsero nella sala
da pranzo come tre bufali affamati. La colazione però non aveva un aspetto
molto invitante e nemmeno l’odore era il massimo della vita; chiesero allora
all’oste cosa fosse e, sentita la risposta, uscirono dalla locanda senza aver
toccato cibo: fegato di bue e uova. Ma come si fa a mangiare una cosa del
genere al mattino? Con un enorme buco nello stomaco,
cercarono un’altra locanda dove poter mangiare qualcosa di più decente e ne
trovarono una, dove per fortuna offrivano della semplice carne secca. Subito
dopo il pasto, ripartirono verso Elven. Islanda non
vedeva l’ora di arrivare, voleva far sapere alla sua famiglia tutto quello che
le era successo, ma che lei stava ancora bene e non era morta o scomparsa, come
probabilmente ormai credevano da tanto tempo.
Arrivarono finalmente a Elven. Avevano impiegato altri due giorni di viaggio, ma ce l’avevano fatta. Adesso per Islanda c’era
la sfida più grande, doveva tornare a casa. Entrarono nel villaggio nel
più assoluto dei silenzi, come se fossero su un terreno sacro, ma forse per la
ragazza era davvero così.
-Così è questa la famosa Elven che tanto
abbiamo cercato di raggiungere.
-Già. Sono a casa!
Islanda si era finalmente lasciata andare alla felicità di essere
di nuovo a casa sua. Corse come il vento verso la sua casa
per andare a riabbracciare la sua mamma e il suo fratellino, tutta la sua
famiglia. Arrivò alla casa e si fermò di botto. La porta era chiusa, le
finestre sembrava che stessero per cadere in pezzi e il giardinetto era completamente in mano alle erbacce, solo il ciliegio
stregato era rimasto vivo e in fiore, come sempre del resto. La casa insomma
era disabitata. Islanda spalancò la porta.
-Sono a casa!! Mamma, Sando?? Dove siete?
Nessuna risposta.
-Ehi, dove siete finiti? Sono tornata!
Intanto stava entrando piano piano in
casa.
-Ci sono stata più del previsto al merca…
Islanda era ammutolita. La casa era completamente vuota. Non c’era
rimasto più nulla. In cucina non c’era un piatto, una tovaglia, una posata,
niente. Nella camera da letto del fratellino non c’era neanche un giocattolo e
nemmeno il lenzuolo su letto; nella sua stessa situazione, tutte le sue cose
erano sparite e così era anche nella camera della mamma e nel bagno. Islanda
svenne nella camera da letto della mamma.
Jìrkan e Marse non sentirono più la sua voce, ma udirono un tonfo.
Si guardarono un secondo solo negli occhi, lanciandosi uno sguardo preoccupato,
ed entrarono nella casa tanto decadente. Anche loro rimasero un
attimo sconcertati dalla desolazione della casa, ma poi trovarono la
povera Islanda in una stanza, che a vedere dal letto, doveva essere una camera
da letto, forse la sua. La tirarono su e la poggiarono delicatamente su quel
letto polveroso. Si chiedevano entrambi cosa fosse successo
in quella casa, ma la cosa era abbastanza evidente: se ne erano andati.
Islanda si svegliò un paio di ore dopo,
ancora completamente frastornata e senza ricordarsi di nulla. Appena riacquistò
un po’ di lucidità però si ricordò di quello a cui
aveva assistito. Il vuoto completo nella sua amata casetta. Si guardò in torno
per capire dove si trovasse e, con sua enorme
tristezza, si rese conto che era ancora in quella casa, nella stanza di sua
madre precisamente. Chiamò i due ragazzi, che subito corsero da lei.
-Ehi, ben svegliata.
-Sono svenuta
vero?
-Sì. Cos’è successo qui? Ne hai idea?
-No, ma so a chi chiederlo. Ma devo
alzarmi.
Appena cercò di tirarsi su dal letto la testa
le girò paurosamente e ricadde pesantemente sul letto, sollevando una nuvola di
polvere.
-Forse è meglio che stai ancora un po’ sdraiata.
-Assolutamente no. Aiutatemi ad alzarmi per favore.
I due, anche se non erano molto d’accordo, la aiutarono e lei in
un attimo fu in piedi. Sorreggendola per i fianchi la accompagnarono fuori dalla casa e si diressero dove lei gli indicava. Lei
li portò di fronte ad una casa un po’ più grande delle altre e con un grande campo di fianco ad essa, pieno di enormi zucche di
tutti i tipi e tutti i generi. Era la casa di Amio.
Almeno questo non è cambiato, se ci sono le zucche vuol dire che
lui è sempre lo stesso. Sicuramente saprà cosa è successo ai miei genitori.
Bussarono alla porta della casa circolare. Islanda adesso stava in
piedi da sola, ma Marse e Jìrkan le erano sempre di fianco, temendo un suo
secondo mancamento. I secondi che dovettero aspettare prima che la porta venisse aperta sembravano infiniti. Finalmente la porta si aprì
in uno spiraglio e una faccia paffuta di donna apparve loro; era la cameriera di Amio, l’unica persona in tutto
il villaggio che riusciva a convivere con lui senza diventare matta. Islanda
però non si ricordava nemmeno il suo nome e decise di salutarla senza provare
nessun nome, per evitare figuracce.
-Salve. Amio è in casa?
-Sì, chi lo desidera?
La donna paffuta non aveva riconosciuto Islanda e guardava con
sospetto gli altri due giovani e forse anche con un po’ di paura gli occhi
gialli di Marse.
-Sono Islanda, la figlia di Madlen e
sorella di Sando.
-Ah… sì, ho capito, entrare pure. Amio
arriverà subito.
Islanda si sentiva osservata da quella donna, che non le staccava
gli occhi di dosso nemmeno un attimo, se non per guardare preoccupata il demone.
Stava cercando di riconoscerla, ma non riusciva a collegare il nome a quello
strano aspetto. Lei si ricordava di una ragazzina di nome Islanda che era
piccola, bassina, con i lunghi capelli neri e con due
enormi e ridenti occhioni blu, che però era scomparsa
circa cinque mesi prima. La ragazza che invece le si era
presentata alla porta era molto diversa; era più alta, il viso aveva perso gran
parte della sua innocenza fanciullesca, gli occhi erano più incavati, forse a
causa della magrezza del viso. Era molto sciupata e dimagrita e gli abiti erano
sporchi e in alcune parti anche strappati; e poi c’era quella cicatrice che le
solcava la guancia destra che non si ricordava di averla
mai vista sul visetto della Islanda che si ricordava. Era ancora una bella
ragazza, ma la sua era la bellezza di una ragazza che
sembrava essere appena tornata dalla guerra e non quella di una ragazza che
conduce una tranquilla vita di paese.
La donna, dopo averla squadrata per altri due minuti buoni,
scomparve dietro una porta e andò ad avvertire Amio
di quella strana visita.
-Chi? Islanda? La ragazza scomparsa?
-Sì, lei. Ma è molto diversa, non sono
sicura che sia proprio lei.
-Lascia giudicare a me. Torna pure ai tuoi lavori.
Amio era entrato nella stanza
dove c’erano i suoi strani ospiti. Li osservò per un attimo
prima di salutare, come se anche lui volesse riconoscerli.
-Prego ragazzi accomodatevi.
-Grazie.
Risposero tutti e tre in coro e presero posto su delle sedie
attorno ad un tavolo. Amio intanto preparò un tè da offrire
loro.
-Allora, mi è stato riferito che tu sei Islanda, la ragazzina
sparita tempo fa.
-Sì, sono io.
-Mh… cosa ti è successo? Sei
mancata per molto tempo. Sono quasi cinque mesi.
-Lo so. Ma sarebbe troppo lungo
raccontare tutto quello che mi è successo.
-Non ti preoccupare. Ho molto tempo a mia disposizione e poi ho
riserve di tè a sufficienza.
Islanda guardò preoccupata gli altri due ragazzi, come se non
volesse rivelare proprio tutta la loro storia, ma lo sguardo che ricevette in risposta la tranquillizzò. Bevve un lungo sorso di tè e
iniziò il racconto, dall’acquisto della stoffa fino al loro ritorno a Elven. Non mancò nemmeno un
particolare. Ogni tanto parlavano anche gli altri due ragazzi, ma Amio rimaneva sempre zitto, anche se a
ogni particolare pericoloso sembrava invecchiare di dieci anni al minuto.
Sbiancava e i suoi capelli a volte sembravano rizzarsi. Il peggio fu quando
Islanda arrivò al punto di descrivere Marse come un demone. Il vecchio Amio realizzò di avere un demone in casa e si alzò di
scatto dalla sedia.
-Un demone in casa mia!? Vattene da qui! Esci da casa mia!
Aveva iniziato ad urlare come un matto e alla ragazza gli ci volle un buon quarto d’ora per calmarlo del tutto. Marse era
rimasto invece impassibile tutto il tempo, con gli occhi gialli fissi in quelli
spaventati, anzi terrorizzati, del vecchio. A Jìrkan invece, vedendo il vecchio
così spaventato, venne da ridere, era addirittura piegato in due dalle risate,
e non la smise più fino a quando quello si fu calmato. Islanda così poté
finalmente riprendere il suo racconto e finì dopo ben quattro tazze di tè a
testa, quando ormai era quasi buio, lasciando Amio
completamente senza parole.
-E ora che sai quello che è successo a noi… dimmi
cosa ne è stato della mia famiglia, perché ho trovato la casa completamente
vuota.
-Lo so che l’hai trovata così.
Amio emise un lungo sospiro.
-Spiegami per favore.
-Ok. Dunque… la sera della tua
sparizione, tua madre venne da me tutta agitata; mi disse che non avevi mai
fatto così tardi per tornare a casa e che quindi doveva esserti successo
qualcosa. Era distrutta, completamente a pezzi. Iniziammo le ricerche appena
tua madre mi avvertì; tutto il villaggio ti stava cercando, ma nessuno riuscì a
trovare anche una sola traccia del tuo passaggio. Che
ne potevamo sapere noi che dovevamo cercare le tracce di una tigre invece di
quelle di una ragazzina? Le ricerche continuarono fino a notte fonda e
ripresero all’alba del giorno seguente. Non trovammo mai niente e le vecchie
pettegole del paese dicevano che la fata del lago ti aveva uccisa perché avevi
osato disturbarla dal suo sonno. Nessuno ci credeva infondo,
ma non riuscivamo a trovare un’altra spiegazione e tutti smisero di cercarti.
Tua madre invecchiava a vista d’occhio e il tuo fratellino non usciva più a
giocare con gli altri bambini. Lo sai che i piccoli sono spesso crudeli
inconsapevolmente… finiva sempre che qualcuno o gli chiedeva che fine aveva
fatto la sorella, o peggio lo prendeva in giro perché la sorella era stata mangiata dalla fata cattiva del lago. Alla fine la
situazione stava diventando insopportabile per la tua famiglia, così decisero
di lasciare il villaggio e, circa un mese dopo la tua scomparsa, tua madre mi
venne a dire che se ne andavano. Il giorno dopo a casa
tua non c’era più nessuno ed era stato portato via il più possibile. Le cose
che avevano lasciato ben presto furono rubate dai ladruncoli del posto. Mi dispiace, questo è tutto.
Amio aveva finito la quinta tazza
di tè. Fuori era buio e Islanda era sconvolta. Era sceso il silenzio nella
casa. Ma poi Islanda scoppiò e non riuscì più a
trattenere le domande.
-Non ti hanno detto dove erano diretti? Non ti hanno dato nemmeno
indizio? Non ne hai proprio idea?
-No, mi dispiace, mi ricordo ancora il nostro discorso, parola per
parola.
Con un sospiro Amio le riferì il loro
brevissimo discorso risalente a quattro mesi prima.
-E così ve ne andate…
-Sì, non possiamo continuare così.
-Capisco.
-Io ho bisogno di un po’ di tranquillità e i pettegolezzi e gli sguardi
ancora più eloquenti delle vecchie del posto non mi aiutano di certo. E il piccolo Sando ha bisogno di
crescere lontano da dove è sparita la sorella.
-Credo tu abbia ragione… dove andrete?
-Non lo so ancora, mi basta allontanarmi
da qui.
-Ma non potete
andarvene senza una meta… è rischioso!
-Stai tranquillo. Sappiamo cavarcela. Addio.
-Addio Madlen, abbi cura di te e del
piccolo Sando.
-Tua madre era molto decisa. Nessuno le avrebbe fatto cambiare
idea se c’era di mezzo la salute e la felicità di tuo
fratello. Non posso proprio aiutarti. Ma se vuoi posso
far rimettere in sesto la tua casa e puoi fermarti a vivere qui.
-No, non è proprio il caso. Grazie mille Amio.
Ripartirò domani mattina con loro. Nel caso dovessero
tornare, voglio che tu sappia dove sono diretta, ma non devi rivelarlo a nessun
altro al di fuori della mia famiglia. Chiaro?
-Sì.
-Vado a Benn, in una delle scuole di
combattimento. Mi troverai lì.
-E sia. Buona fortuna. A te a ai tuoi amici.
-Grazie.
I tre uscirono dalla casa del vecchio capo del villaggio e si
diressero dove una volta abitava Islanda con la sua famiglia. Marse e Jìrkan
andarono a fare un giro per la piccola città addormentata, mentre la ragazza
voleva restare un po’ sola. Si mise a camminare senza meta per le strade del
paese e, quasi senza rendersene conto, si ritrovò sulla riva del Bloth, il laghetto che le stava tanto a cuore. Questo almeno fino a quando non era stata rapita proprio su quelle
sponde silenziose. Ritrovò il punto esatto ai confini della foresta da
dove era venuto fuori Sicuth con la sua rete magica
pronta ad intrappolarla. Rivisse nella sua mente la sua furiosa lotta contro le
maglie magiche, risoltasi in un inutile spreco di energie;
poi le ritornarono in mente le immagini della carovana con cui aveva viaggiato
fino al porto. C’erano Sicuth, Irkantha, i due ometti
dall’aria insignificante e poi era comparso anche Marse, il suo futuro alleato.
Mentre ripensava a tutto quello si rese conto di
essere terribilmente stanca, si stese per terra vicino alle scure acque del
lago, chiedendosi se davvero ci fosse una fata malvagia nelle loro profondità. Ma a cosa le serviva saperlo? A nulla. Senza pensarci
troppo, si tolse i vestiti e si gettò nel lago. Una cosa da matti. A quell’ora della notte le acque erano gelide, più del
solito, e solo un pazzo avrebbe pensato di farsi il
bagno. Restò solo poco tempo dentro l’acqua, quel tanto che bastava a
schiarirle la mente per non farla perdere nei ricordi di quella pazzesca
avventura, che rischiava di farla ammattire. Una volta uscita dall’acqua,
bagnata e infreddolita, si mise a piangere furiosamente. Tutta la tristezza e
la rabbia per ciò che aveva fatto passare involontariamente alla sua famiglia,
unita a quella ancora repressa per la fine prematura Zaphir, le
si riversarono addosso in un solo colpo. Sembrava che non potesse più
smettere di piangere e si rannicchiò come un gattino
su se stessa, continuando disperarsi. Alla fine si decise a tirarsi su e si
trasformò in tigre per scrollarsi l’acqua di dosso; iniziò a graffiare il
terreno attorno al lago, lasciando i segni delle sue affilate unghie ovunque.
Ora non sembrava più un gattino impaurito, ma una tigre inferocita. Emise un
forte ruggito, che avrebbe fatto tremare chiunque l’avesse
sentito e, infine, tornò con le sue sembianze normali. Doveva sfogarsi e
l’aveva fatto. Aveva fatto uscire tutto quello che aveva dentro, ma che non
poteva più continuare a nascondere. Ora si era finalmente calmata.
Tornò nella sua casa e trovò lì i due ragazzi che la stavano aspettando.
La guardarono con sguardo incuriosito, notando i suoi capelli bagnati e le
unghie sporche di terra, ma non le chiesero nulla. Avevano capito che non era
il caso di fare domande. Decisero di andare a dormire e di lasciarsi finalmente
alle spalle quella spossante giornata. Passarono la notte nei tre letti
polverosi della casa, pronti a ripartire alle prime luci dell’alba, per
iniziare le ultime tappe del loro lungo viaggio.
Innanzi
tutto vorrei ringraziare giudark
per aver aggiunto la storia tra i preferiti e poi volevo augurare a tutti Buone
Feste!!!
Per Yum: beh direi che adesso la sofferenza di
Islanda si vede un po’ meglio… e si è anche trasformata di nuovo
(diciamo che ha dato un po’ di matto^^)!! Per quanto riguarda il motivo per cui Sicuth la vuole è molto
semplice: quando non sapeva che era una ragazza che si poteva trasformare in
tigre, la voleva semplicemente per venderla come animale raro (direi che una
tigre bianca è abbastanza rara!!). Ma poi, quando ha
scoperto il suo segreto, ha voluto perseguitarla perché aveva osato prenderlo
in giro scappando da lui e poi perché forse voleva studiarla, visto che non
aveva mai incontrato qualcuno che potesse trasformarsi. A dir la verità era più
una questione di principio, dato che la ragazza era
scappata. Per esempio vedi questo pezzo del IV
capitoloà “Doveva assolutamente riavere la ragazza; innanzitutto si
sarebbe vendicato della sua sfacciataggine, nessuno poteva scappare dal mago Sicuth e osare sperare di passarla liscia! Poi, una volta
punitala debitamente, avrebbe deciso cosa farsene”
Spero di
essere stata abbastanza esauriente!!
P.S. mi sa
tanto che il prossimo capitolo è l’ultimo… ci starò un attimo di più a postarlo…
sigh sigh… siamo alla
fine!! ç_ç