Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Blackvirgo    24/12/2008    9 recensioni
Tanghero, un individuo poco raccomandabile. Tanguero, un ballerino di tango. La storia di un immigrato italiano in Argentina, di sogni lasciati al di là del mare e di rimorsi che ti seguono dappertutto.
Prima classificata al concorso indetto da Akane Mikael sul forum di EFP “Gli elementi del contenuto”
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nota iniziale: questa storia ha partecipato al (e vinto!) concorso indetto da Akane Mikael sul forum di EFP  “Gli elementi del contenuto”.  La sfida consisteva nello scrivere un racconto – originale o fanfiction – che ruotasse attorno a una coppia di elementi. La mia scelta è stata: ballo-coltello. E di seguito... quello che ne è uscito!


***
Solo quando ballava il tango, Tonio era se stesso.

Era un nuovo ballo, il tango, di cui si conosceva la via in cui era nato, ma non la città, la cui musica era suonata da una specie di organo dei poveri, barattato da un navigante tedesco per due bottiglie di liquore. E dicevano che fosse un pensiero triste che si balla.*

Era stato Alfredo a insegnarglielo: a mostrargli la forza e la delicatezza, la passione e la sensualità.
Perché ballare il tango era come fare a pugni: non c'era donna che te lo potesse insegnare, non c'era donna a cui non lo dovessi mostrare.

Nel tango, Tonio, ci metteva tutti i ricordi che aveva: di casa,  della famiglia, di Rosaria. In quel ballo nato fra le strade di Buenos Aires poteva permettersi di rimpiangere tutto quello che durante il resto della giornata – della sua vita – voleva dimenticare: lui lo chiamava passione, lo chiamava rimorso, ma qualunque nome avesse continuava a consumarlo.
Così si lasciava guidare dalle note di un bandoneon e di un violino o di un flauto e di una chitarra, si trovava una compagna e ballava. Camminava, tenendola stretta, guidando i suoi passi o assecondando i suoi capricci. Lento poi veloce, un giro su se stessi, una carezza audace... e lasciarsi per ballare da soli – per un attimo, solo un attimo – e riprendersi con passione, con rabbia o con rassegnazione.
E mentre la musica gli riempiva la mente e il cuore, i sentimenti scivolavano via e diventavano movenze, passi, abbracci, carezze e baci a fior di labbra... ed era come fare l'amore : anche i pensieri tristi pian piano volavano via – ballando – e rimaneva la passione, la gioia di sentirsi vivi camminando e volteggiando, assecondando o lottando con la propria compagna, ma senza mai lasciarsi – se non per incalcolabili istanti– senza perdere il calore di quell'abbraccio, labbra tanto vicine che avrebbero potuto baciarsi, sguardi che potevano essere d'odio o d'amore tanto erano fiammeggianti: perché quello era un tango e il tango si ballava in due.
Ed era come fare l'amore senza tradire la sua Rosaria.

Solo così poteva stare abbracciato a un'altra donna ed essere con lei – con l'anima.

Solo così poteva dimenticare – per quei secondi che la musica dilatava all'infinito – che un oceano intero li divideva, un oceano più vasto e profondo delle convenzioni sociali che li avevano separati quando era ancora a casa.

Un concetto doloroso da ricordare – casa. Una sensazione difficile da richiamare alla mente. Perché certi ricordi bruciavano come lo schiaffo che gli aveva dato suo padre, come le lacrime che aveva versato sua madre.

Come l'orgoglio ferito che diventa rimorso quando l'arroganza si scontra con se stessa sul filo di una lama.

Erano queste le parole che aveva detto ad Alfredo, una notte.
Perché un ubriaco triste non riesce a dormire: comincia a parlare e dice cose che da sobrio non direbbe.
D'altronde a Tonio avevano insegnato che i veri uomini non piangono eppure lui stava piangendo come un bambino mentre parlava di casa e della sua Rosaria.

Ci sono persone a cui l'alcol annebbiava la vista e la mente.
Tonio faceva parte di quelle a cui l'alcol faceva solo male al cuore: gli erano passate davanti tutte le immagini di casa sua, dei suoi fratelli e sorelle, dei genitori e della sua Rosaria. Immagini che sarebbero sembrate vecchie fotografie se non fossero state così nitide. E aveva pianto Tonio, come un bambino, mentre un oste brontolava in catalano e Alfredo se lo portava in spalla a casa sua.

Erano diventati amici, Tonio e Alfredo, dopo quella notte.
Erano diventati complici come solo i compatrioti lontano da casa sanno essere: senza domande sul passato, senza certezze per il futuro. Con solo uno scopo: un modo per vivere il proprio presente.

Non parlavano mai dell'Italia loro due: tutti quelli che erano lì si erano lasciati indietro qualcosa, fosse anche solo le loro radici. E a tutti – a chi più e a chi meno – faceva male, ma continuavano a bramarla come Adamo ed Eva dovevano aver desiderato il Paradiso Terrestre dopo la cacciata. Ma non Tonio e Alfredo, sebbene per motivi diversi.

Più vecchio di Tonio di qualche anno, Alfredo era un ragazzone che veniva dall'Appennino e neppure nei suoi incubi più neri sognava di tornare in Italia. A Buenos Aires aveva trovato la sua dimensione: quella città enorme che cresceva a vista d'occhio era casa sua. I quartieri poveri e variopinti dove ognuno arrivava parlando la propria lingua e dopo qualche giorno parlava qualcosa che era un miscuglio di tutti i linguaggi che da lì transitavano era ciò che non aveva mai sognato ma che gli era entrato sotto la pelle appena l'aveva provata.
Abitava in uno squallido quartiere, Alfredo, e lavorava al porto. E amava godersi la vita.

Gli aveva fatto tenerezza Tonio quando lo aveva recuperato una notte in una taverna con l'oste che berciava in spagnolo contro quelli che bevevano senza reggere l'alcol. Aveva pagato il conto del ragazzo, se l'era caricato in spalla e l'aveva portato a casa sua. E lì, Tonio gli aveva raccontato tante cose di cui poi non avevano più parlato. Perché ad Alfredo non gliele aveva più chieste – vivi e lascia vivere era il suo motto –  e Tonio non preferiva tacerle.

Eppure Tonio si era sentito costretto a dare qualche spiegazione: era appena arrivato dall'Italia e conosceva solo i suoi compagni di viaggio. Aveva bisogno di un lavoro, ma non sapeva neppure dove cominciare a cercarlo.
“Comincia con quello che sai,” gli aveva suggerito Alfredo.
“Zappare la terra,” era stata la risposta di Tonio.
“Te ne toglierai la voglia da queste parti,” aveva replicato Alfredo.

E così era stato: era grande l'Argentina e servivano tante braccia per coltivare quella terra rossa e fertile. Tonio non aveva faticato a trovare lavoro in una delle tante fazenda, ma, come aveva annunciato Alfredo, se ne era presto stancato.
Perché era stato contadino anche nella sua cara e vecchia Sicilia, e aveva zappato una terra simile a quella. Solo che non aveva di fianco suo padre a insegnarli il lavoro dei suoi avi e non c'era sua madre ad aspettarlo a casa a mezzogiorno o alla sera.
Mancava tutto in quel posto: c'era solo terra e lavoro, lavoro e terra.

E gente per cui ogni scusa era buona per fare festa.

Come quando arrivava uno nuovo, soprattutto se appena approdato: perché tutti volevano le novità, novità vecchie di almeno un mese – perché tanto durava il tragitto in nave – ma erano pur sempre nuove dall'Italia.
Era strano vedere come persone alle quali non avresti mai avuto l'occasione di rivolgere la parola a casa ora diventavano i tuoi migliori amici e sentir parlare l'italiano era musica per le proprie orecchie.
A casa avresti guardato male quello che parlava con un accento diverso dal tuo e invece lì era solo italiano.

In quelle occasioni si riunivano tutti gli emigranti e anche qualche poveraccio nostrano, e si faceva festa.

Ognuno cucinava i piatti tipici del proprio paese e si lamentava che non venivano buoni come a casa, perché lì non c'era il peperoncino di quell'angolo dell'orto assolato o il basilico buono, ma le ricette custodite come reliquie erano quelle della mamma o della nonna: si faceva la polenta e la si mangiava col sugo della buona carne argentina. E se il nuovo arrivato portava una bottiglia di olio o di vino era festa doppia: era come se si fosse portato con sé un pezzo della loro Italia. E niente aveva un sapore migliore.

Erano serate strane, quelle, perché si rideva e si piangeva allo stesso tempo. E ci si illudeva davvero di essere a casa e che gli assenti fossero semplicemente nell'altra stanza, al pozzo o a chiudere il pollaio.

Ma Tonio non dimenticava che c'era un oceano tra lui e il pozzo e il pollaio della sua casa paterna.

Il momento peggiore era quando qualcuno tirava fuori un vecchio violino o una chitarra logora o una fisarmonica e si mettevano a cantare e a ballare, al ritmo di una tarantella o di un saltarello, di un valzer o di una mazurca.
E Tonio si metteva in disparte, perché nessuno lo chiamasse a ballare.
Perché ballare era un po' come fare l'amore e lui, il suo amore, lo aveva perso.
L'aveva stretta tra le braccia, un corpo morbido e lunghi capelli neri, la pella bianca di chi non lavora nei campi, le mani lisce di chi non ha bisogno di lavorare.
Rosaria.
Bella come una madonna e altrettanto proibita era la figlia del padrone. Ed audace – come Eva –  e curiosa – come tutte le sue figlie.

Erano ragazzini, Tonio e Rosaria, poco più che bambini. Ma per molto tempo i bambini sono stati considerati dei piccoli adulti, con doveri, responsabilità e senza tempo per giocare.
E due ragazzini  come Tonio e Rosaria giocavano all'amore quando si trovarono di fronte a una realtà inaspettata. Indesiderata. Incancellabile.

Tonio non scordò mai lo schiaffo di suo padre e le lacrime di sua madre quando era andato da loro a chiedere aiuto, perché continuavano a bruciargli dentro come una pugnalata. Come lui credeva dovesse bruciare una pugnalata.

Ma lo avevano aiutato.

Gli avevano trovato un posto su una nave per l'Argentina, terza classe, poco meglio della stiva, ma pur sempre meglio di una cassa da morto.

Gli aveva regalato un coltello, suo fratello maggiore, augurandogli di doverci tagliare solo il pane. E invece ci aveva tagliato un uomo: gliel'aveva affondato nel petto – al fratello di Rosaria -   in un movimento forte e fluido delle sue braccia da contadino, sentendo man mano la pelle che si apriva e la carne che si squartava e poi non sentendo altro che orrore quando quell'uomo – no, era un ragazzo, come lui, quanti anni poteva avere? Diciotto? Diciannove? – si accasciava, tossendo sangue, le mani sul coltello per strapparselo dal petto, per lanciarlo lontano assieme alla sua vita, assieme a uno sguardo che fu cianuro per l'animo di Tonio. Che fu stricnina per l'anima di Rosaria.  Che sanciva per entrambi l'Inferno: uno di quelli che ti portavi dentro da vivo, assieme alla ferita che la tua mano aveva provocato.

Ce l'aveva ancora, Tonio, quel coltello. Lo portava sempre con sé, per non dimenticare cosa aveva fatto. Cosa significava per lui casa. Lo portava con sé per ricordare il passato – perché è meglio avere un passato da dimenticare piuttosto che sapere quale orrore avrebbe potuto nascondere il futuro.
Era meglio sentire il bruciore dello schiaffo di suo padre e delle lacrime di sua madre che pensare che – forse, per causa sua – erano stati tutti passati a fil di spada, con un coltello nel cuore e uno sguardo al cianuro negli occhi.

Fino al giorno in cui il bruciore divenne insopportabile e solo l'alcol poteva spegnerlo – lasciando braci ardenti sotto la cenere che divampavano appena tornava sobrio.
Fino al giorno in cui il cianuro avvelenò il suo animo, fino a fargli desiderare di dimenticare tutto: di aver avuto un padre e una madre e una casa.
Fino al giorno in cui abbracciare una donna in un tango non iniziò ad acuire la sua solitudine invece di mitigarla. Il giorno in cui la sua anima –  troppo pesante per il dolore e il rimpianto e il rimorso – non riuscì a volare vicino alla sua Rosaria, incapace di superare un oceano di acqua e sangue e lacrime.

Era andato a trovare Alfredo e questi gli aveva trovato un lavoro giù al porto. Affittare una misera camera non era stato difficile per Tonio e ancora di meno lo era stato farsi altri amici, trovare buona compagnia. Non necessariamente italiani. Non altri che avessero così tanto bisogno di quei legami che per Tonio erano un cappio al collo, un nodo che diventava sempre più stretto.

Aveva cambiato vita Tonio: non era più un contadino, non pensava più alla sua casa, aveva dimenticato la sua Rosaria.
Ci aveva messo anni – non era bastato andare a vivere in città, non era bastato imparare il tango –  ma c'era riuscito.

Ballava il tango – solo tango – con tutte le donne che incontrava e con molte continuava anche quando la musica era finita, in un letto: la danza antica la chiamava qualcuno, l'appagamento degli istinti lo chiamavano altri. I poveracci come lui ad esempio. Che sgobbavano tutto il giorno per poi perdere tutto fra i seni di una puttana o in una partita a carte.

Anche il coltello aveva venduto, il giorno in cui era sicuro che il passato non sarebbe tornato perché neppure il passato può attraversare un oceano.
Era stato il giorno in cui aveva creduto di aver dimenticato e di poter ricominciare. Ma senza volerlo perché lui non voleva di più: aveva una camera squallida che chiamava casa e una donna da stringere che cambiava volto ogni notte.

Ma strano è il destino di chi recide le proprie radici.

Come strano fu quello che successe a Tonio che aveva smesso di essere triste quando si ubriacava e di attraversare l'oceano con l'anima mentre ballava il tango.
Aveva venduto un coltello che a lui era ritornato. Nel petto, in una ferita che gli aveva lacerato pelle e carne e gli aveva fatto tossire sangue.
Ma non c'era stato cianuro nel suo sguardo mentre – sulle note di un tango – sentiva il bruciore dello schiaffo di suo padre e delle lacrime di sua madre. Mentre la sua anima volava dalla sua Rosaria, attraversando un oceano di acqua e sangue e lacrime, e i suoi occhi si chiudevano – sereni – come quando ci si addormenta dopo aver fatto l'amore.

***


Note dell'autrice:

(*) "Nessuno può dire in quale città il tango sia nato,Buenos Aires, Rosario o Montevideo, ma tutti sanno in quale via – la via delle prostitute". (Jorge Luis Borges)
 
(*) Bandoneon (da Wikipedia): il tango utilizza per le sue esecuzioni uno strumento, forse inventato o forse popolarizzato dal musicista tedesco Heinrich Band, il bandoneon, una     sorta di fisarmonica di legno con dei fori la cui apertura o chiusura con i polpastrelli produce le note, e che ha la caratteristica di cambiare la nota a seconda se il mantice viene compresso o invece dilatato.

(*) Leggenda vuole (non ricordo più dove l'ho letto) che Heinrich Band ne avesse uno con sé durante una traversata oceanica con destinazione l'Argentina. Tale traversata si dimostrò molto lunga per vari problemi e a bordo finirono tutte le bevande alcoliche sicchè, quando approdarono, il musicista barattò il suo strumento per due bottiglie di liquore.

(*) “Il tango è un pensiero triste che si balla” (Discepolo)


Il titolo della fanfiction è giocato dall'assonanza tra tanghero (persona poco raccomandabile)  e tangueros (ballerino di tango in spagnolo).

L'ambientazione della fic è nei primi anni del '900, quando cioè il tango ha iniziato a diffondersi.

Questo racconto mi è stato ispirato non solo dal prompt ballo/coltello e ma anche dalla bellissima Libertango (la musica dello spot della Vecchia Romagna di qualche tempo fa, per intenderci).

Giudizio di Akane Mikael:
Prima classificata: “Tanghero” di BlackVirgo.
Anf anf anf… (Akane sta cercando di respirare…) Dunque, che dire… sono rimasta di m…a (in senso buono) Allora, faccio una premessa. Ogni storia che si legge è soggettiva ed io faccio sempre moltissima fatica a leggere qualunque cosa, anche la più ben fatta ed interessante. Sono fatta così. Oltre ad essere lenta a leggere le cose mi prendono con estrema difficoltà. 
Bene, questa l’ho divorata in un istante, cosa non da me, e mi ha risucchiato prendendomi come non mai. Ero con la bocca aperta, lo sguardo preso e concentrato e il fiato sospeso a leggere la storia. 
Cosa posso dire? 
Brava. 
Andiamo con ordine… 
Hai uno stile molto… divino, direi. È uno di quei modi di scrivere che catturano chiunque, molto appassionante e pieno di sentimento. Proprio lo stile che piace a me. 
Hai scritto benissimo tecnicamente parlando ma hai saputo dare uno spessore ed un intensità unici, era una storia piena di sentimenti. 
Si vive insieme al protagonista che ha una personalità ben definita e resa da quel che fa oltre che dalle tue parole. Un personaggio molto tormentato, pieno di passione e rimorso che ora è smarrito e poi si spegne. 
La storia… bè, la storia è incredibilmente shockante, se devo essere sincera. È piena di colpi di scena che escono come pugnalate. Non ci si aspetta nulla di quel che succede, per questo si rimane di m…a dall’inizio alla fine. È tutto inaspettato ed imprevedibile. È un crescendo di stupore ed emozioni e shock. Ti ci appassioni, capisci il protagonista, soffri con lui, vedi e senti quel che vede e sente lui. Lo immagini e poi… poi svanisce con un finale assolutamente non scontato che io personalmente, dopo esserci rimasta di sasso, ho apprezzato moltissimo. Io e i finali abbiamo un rapporto particolare… sono una di quelle che pur di non trovarsi davanti ad un finale troppo scontato e banale (che ammetto a volte ci sta) preferisce quelli infelici, purché siano ben resi e ben fatti e motivati. Questo è uno di quelli. 
È una storia molto diversa dalle altre, anzi, diversissima. Spicca un sacco e come l’hai scritta devo dire mi ha catturata, non c’è nulla che ti correggerei o ti criticherei. 
Poi mi è piaciuto moltissimo l’utilizzo della combinazione che hai scelto. Speravo che qualcuno scegliesse questa e sono contenta che così è stato. 
Protagonisti non Tonio ma il ballo, il tango (ballo che adoro), e un coltello… quello che ad un certo punto sembra sparire ed essere dimenticato, sembra passare in secondo piano rispetto al tango, e che invece non è così poiché è il re del finale. Li hai intrecciati e fusi dando molto rilievo ad entrambi gli elementi. Proprio quello che volevo. 
Storia shockante, toccante e coinvolgente, con una passione sempre più crescente, che mi ha catturata completamente per l’accuratezza di ogni particolare inserito. 
L’insieme di tutto ciò mi fa dare come voto complessivo: 10! 

Grazie dell'attenzione!
BlackVirgo
   
 
Leggi le 9 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Blackvirgo