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Autore: nettie    13/04/2015    0 recensioni
Solo i sordi, ai tempi, udivano le mie grida silenziose: nell’oscurità ho gridato così a lungo il suo nome, così a lungo che neanche può immaginare il dolore che ho provato, la paura di non farcela. Ho creduto di aver ammassato questi dieci anni della mia vita, ho creduto di essermi perso nel tempo, e invece ora…?
( !! SONGFIC !! September Sun - Type O Negative. )
Genere: Angst, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Storie brevi scritte in un lasso di tempo breve. '
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{ volevo fare una piccola premessa prima di farvi leggere questa piccola one shot che ho buttato giù in un pomeriggio. Mentre scrivevo, ho ascoltato per tutto - e quando dico tutto intendo T U T T O - il tempo “September Sun” dei Type O Negative, una delle mie canzoni preferite. Ho cercato di immaginare al meglio cosa potrebbe mai voler significare quella canzone e il video, anche se la storia non si attiene a quest’ultimo. Ho cercato quindi di descrivere una situazione “attinente al testo” di puro stampo romantico / drammatico.

Spero che vi piaccia e che qualche anima lasci una recensione, intanto qui vi lascio il link della canzone!

https://www.youtube.com/watch?v=BF7LciKYIv4

Buona lettura!

 

-nettie.

 

E’ Settembre, finalmente Settembre, e quasi non mi sembra vero. Mio figlio ha iniziato da poco la terza elementare; è così piccolo, ma è così sveglio. Passeggiando per il parco è al mio fianco, con un gelato abbastanza grande che stringe fra le manine piccole, e due grandi occhi color nocciola che scrutano l’ambiente circostante, curiosi ed intrepidi. Ogni volta che lo guardo, mi sembra che somigli sempre un po’ di più a sua madre; ormai sta crescendo, sta diventando grande a vista d’occhio e la somiglianza non si può negare, non si può nascondere. Ha il suo stesso sorriso, gli stessi occhi, lo stesso naso.

Lo convinco a fare una piccola sosta avvistando una panchina non molto lontana da noi, e lui corre a fiondarsi su quella stessa panchina. Il sole di Settembre illumina il mio sorriso paterno, mentre con passo calmo e costante raggiungo il mio bambino, sedendomi accanto a lui.

Il parco è abbastanza affollato, le foglie iniziano a tingersi di rosso annunciando un colorato Autunno piovoso. Fra la folla di persone, io non smetto di cercare il suo sguardo, lo sguardo della donna che è sparita da anni, ma che non ho mai smesso di desiderare. I miei occhi osservano con serietà ed impegno ogni singolo volto, ogni singola situazione, fino a quando mio figlio non mi riporta con i piedi per terra.

 

« Babbo, mi racconti della mamma? »

 

La sua domanda trabocca innocenza da tutti i pori, innocenza e dolcezza, la semplice ingenuità di un bambino che ha il semplice diritto di sapere. E come potrei mai dirgli di no? Dopotutto, è un mio dovere raccontargli della tanto amata madre, e solo quel Dio a cui tanto credo sa quanto mi piacerebbe sapere dove si nasconde ora. Le mie labbra si increspano in un sorriso amaro ma ampio, un sorriso vissuto, ma che nonostante tutto continua a splendere. Mi volto verso di lui, e di nuovo rincontro i suoi occhi; poso una mano sulla sua testa, poi gli scompiglio i capelli con delicatezza, tirando un po’ di più il mio sorriso.

 

« La mamma era una donna fantastica, anche se non c’è mai stata per te. »

 

E sono costretto a dirgli la verità, perché dopotutto non riesco a mentirgli, mi è quasi impossibile. Socchiudo gli occhi e lascio che la brezza autunnale mi carezzi il viso in segno di consolazione, rendendola partecipe del mio dolore. Respiro a fondo e lentamente per calmare l’agitazione crescente; non voglio portare a galla brutti ricordi.

Sento su di me gli occhi di mio figlio, che mi osservano attenti a pensare a chissà cosa.

 

« E ora la mamma dove sta? »

 

Faccio come per rispondergli, ma quando apro gli occhi, riconosco un viso in mezzo a tutto quel mare di gente.

Il sole fa avvampare i suoi boccoli d’oro che cadono con grazia sulle sue spalle minute, e i suoi occhi grandi color nocciola si incontrano con i miei, di un verde chiaro. Sento una scarica di brividi scendermi giù per la spina dorsale; non è cambiata di una virgola. Il suo sorriso, però, non sembra più lo stesso di un tempo. E’ stanco, spento, tirato e forzato. Rabbrividisco ancora una volta, e non so proprio cosa pensare quando la vedo avvicinarsi a me. In quel momento, ci siamo solo noi due nel nostro piccolo mondo che ci eravamo creati da ragazzi. Mi alzo per accorciare le distanze fra noi due, e la guardo da capo a piedi; calza un paio di tacchi scuri, che insieme alla gonna alta mettono in risalto le sue gambe perfette. Le spalle coperte da una giacca e una camicia, poi una borsa dall’aspetto importante sottomano. Ci fermiamo a pochi centimetri di distanza, tanto da poter sentire il suo fiato scontrarsi al mio. Ma a me sembra di non respirare, la terra ha smesso di girare, ed improvvisamente niente ha più importanza; solo noi due.

Solo i sordi, ai tempi, udivano le mie grida silenziose: nell’oscurità ho gridato così a lungo il suo nome, così a lungo che neanche può immaginare il dolore che ho provato, la paura di non farcela. Ho creduto di aver ammassato questi dieci anni della mia vita, ho creduto di essermi perso nel tempo, e invece ora…?

I miei occhi non tardano a riempirsi di lacrime, lacrime calde che iniziano a scivolare veloci e funeste sul mio viso segnato dal tempo, scendono giù bagnando la camicia, cadendo poi a terra, silenziosamente. Queste stesse lacrime vengono asciugate dalle sue mani vellutate che iniziano a carezzare il mio viso, ma in lei qualcosa è cambiato. I raggi autunnali hanno trasformato i suoi due occhi in pietra, ed ora non lasciano trasparire nessuna emozione, ma solo tanto freddo.

 

« Ti ha fatto piacere rubare la mia anima? »

 

Le sussurro, le mie labbra si muovono con lentezza a stretto contatto con le sue, sfiorandole appena. I miei occhi non smettono di lacrimare, mentre la stringo in uno stretto abbraccio, la stringo in modo possessivo, così che lei non possa più scappare via da me. Il sole di Settembre sta iniziando a far marcire le foglie sugli alberi, ma il mio sentimento per lei è più che vivo, mentre con estrema delicatezza unisco le mie labbra alle sue in un bacio; quel bacio che ho aspettato per anni ed anni.

 

«Babbo! Babbo! Mi stai ascoltando? »

 

E tutto si infrange al suolo.

La voce del mio piccolo mi risveglia da quel sogno ad occhi aperti, quel sogno che avrei continuato più che volentieri a sognare. Abbastanza sconvolto e scioccato da ciò che ho appena immaginato isolandomi dal mondo per chi sa quanti minuti, volgo lo sguardo a mio figlio, che mi ripete la domanda.

 

«La mamma! Ora la mamma dove si trova? »

 

Le sue parole, per me, sono un vero e proprio coltello in pieno petto che riapre piano e lentamente ogni singola ferita rimarginata dal tempo. “Eh, dove sta… Beh, era nei miei sogni proprio cinque secondi fa.” avrei voluto rispondere, ma mi astengo dal dare una risposta così amara ad un essere così dolce come il mio bambino, e tiro un lungo e pesante sospiro, gonfiando appena il petto per farmi coraggio. Gli rivolgo uno sguardo malinconico, e poggiando una mano grande su una delle sue spalle, dico:

 

« Non lo so, tesoro mio. »

 

E maledico quel giorno in cui mi lasciò, quel giorno in cui sparì mentre la ruggine d’Ottobre tagliava in due le minacciose nuvole della tempesta. Sarei scappato anche io a quel tempo, se solo avessi saputo cosa mi aspettava; crescere un figlio da solo non è mai sembrata una situazione così allettante.

Mio figlio, probabilmente intimidito e smorzato dalle mie parole, abbassa il capo e sospira, ritornando a dare attenzioni al suo gelato sull’orlo di sciogliersi. Questa situazione pesa ad entrambi, forse più a lui che a me, ma solo una cosa ora è certa: lei deve lasciare in pace la mia povera anima.


 

   
 
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