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Autore: __aris__    13/04/2015    15 recensioni
Avrei tanta voglia di liberarmi del mio fidanzato e sposarmi questo brutto Beethoven così simpatico; se non dovessi scendere tanto in basso.
Giulietta Guicciardi
storia partecipante al contest "storie nei dipinti" liberamente ispirata alla relazione tra Giulietta Guicciardi e Beethoven. spero vi piaccia e che venga commentata.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
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Titolo: Amata Immortale
Dipinto scelto: dipinto numero 12, La Partition di Richir
La-Partition-di-Richir
Genere: storico, romantico
Rating: verde
Lunghezza testo: oneshot
Note: la storia prende liberamente spunto dalla vita di Beethoven. Le citazioni riportate sono una di Giulietta Guicciardi, allieva del compositore con cui avrà una relazione, e l’altra dalla prima lettera all’amata immortale di Beethoven. Il brano a cui si fa riferimento è la Sonata Quasi una Fantasia, meglio nota come Sonata al Chiaro di Luna, comporta effettivamente per la Giulietta Guicciardi. Si tratta di uno dei primi pezzi veramente romantici mai scritti, con quest’opera Beethoen inventa il genere del notturno, per questo lo definisco rivoluzionario. Non metto l’indicazione songfic perché più che il brano in quanto tale ciò che qui importa è il supporto cartaceo che lo contiene; tanto più che non è suonato da nessuno dei personaggi.
 
 
 
 
Avrei tanta voglia di liberarmi del mio fidanzato e sposarmi questo brutto Beethoven così simpatico; se non dovessi scendere tanto in basso.
Giulietta Guicciardi
 
 
Ogni volta che prendo in mano questo vecchio spartito mi perdo nei ricordi del nostro amore.
All’epoca si diceva che la musica del Maestro non fosse adatta ai giovani: troppo appassionata; capace di suscitare emozioni troppo violente, dicevano. La verità è che tutto in lui era capace di suscitare emozioni violente: dal fisico tozzo e robusto al temperamento sanguigno.
Aveva il suo fascino, questo gli andava concesso. Di donne ne ha avute molte e di tutte le classi sociali: dalle prostitute alle contesse, tutte siamo passate per il suo letto. Non gli importava che tra noi ci conoscessimo; sapeva benissimo se eravamo amiche o perfino parenti. Semplicemente non gli interessava: per lui eravamo solo donne con cui condividere qualcosa: un fugace incontro, l’amore per la musica o l’amore e basta. Persino mia cugina frequentò il suo letto prima di me.
Ma lui non ha amato mia cugina, come non ha amato nessuna delle altre donne che ha conosciuto intimamente. Ha amato me, e solo me.
All’epoca ero una ragazzina. Gli ero stata presentata da mia cugina ed il Maestro aveva accettato di prendermi come studentessa. Ho sempre avuto una grande passione per la musica: quando suono non sento il peso del mio titolo nobiliare, non sento il peso degli anni che avanzano e dimentico perfino di essere moglie e madre. Quando suono sono solo io, Giulia. Credo che lui lo avesse capito subito e che mi abbia accettata come studentessa per questo. Vorrei dire che sono sempre stata tanto bella quanto brava al pianoforte, ma mentirei.
Era un insegnante davvero severo: se non gli piaceva il modo in cui qualcuno suonava non esitava a suggerire all’allievo di cambiare mestiere. Ma questo si capiva facilmente! Batava vederlo in viso solo una volta, fissare solo per un momento i suoi occhi neri per capire che era di una schiettezza disumana.
La prima volta che entrai nel suo studio mi sentii come un topolino di campagna spaesato, sommerso dall’ordinatissimo disordine che regnava in quella stanza. Ricordo ancora che gli spartiti delle opere a cui lavorava erano accumulati su ogni frazione di spazio disponibile, ricoprivano perfino il pianoforte stratificandosi gli uni sugli altri in improbabili torri di carta. Per chiunque sarebbe stato impossibile trovare qualsiasi cosa, ma il Maestro non perdeva mai niente. Era molto geloso di quel caos, per lui tutto era nel posto più appropriato, tanto che vietava alla cameriera di entrare per togliere la polvere.
Fu mia cugina Sofia ad introdurmi a lui. All’epoca erano amanti, ma io ancora non lo sapevo. Presentò il Maestro con le parole più alte che riuscì a trovare mentre lui storceva la bocca in una smorfia di disapprovazione per quell’elogio; a dire il vero non era un uomo modesto, si definiva genio e non esitava a ritenersi superiore anche ai principi più nobili. Non ho mai capito cosa avesse infastidito delle parole di Sofia. Forse le trovava vuote, non lo so. Io gli fui descritta come la cugina di campagna che ero: giovane, ingenua ed affascinata dalla musica. Dalla sua soprattutto. Avevo sentito una sua esibizione a corte, poche settimane prima, e non posso negare che il sentimento che quell’uomo riusciva ad infondere ad un oggetto in sé inanimato come il pianoforte mi scosse profondamente.
Mentre mia cugina parava sentivo i suoi occhi che mi osservavano: i capelli, il volto, le mani, il vestito. Pensai che quello sguardo tanto penetrante avesse scavato sotto le crinoline ed i pizzi per indagarmi l’anima. Le mie guance divennero ben presto più roventi delle braci del camino, ma lui continuava a guardarmi. All’improvviso si alzò dal pianoforte e mi fece segno di sedermi al suo posto.
Timidamente obbedii ed i miei passi risonarono nel silenzio. Dovette perdere gran parte della poca pazienza che aveva, mentre aspettava che mi facessi abbastanza coraggio per iniziare a suonare, perché ricordo di averlo sentito sbuffare sonoramente almeno un paio di volte. Cercai di dimenticare dov’ero; pensai di essere nel salotto di casa mia, con il verde del bosco ad ispirarmi, ed iniziai a suonare Bach, credo fosse un preludio. So che dovrei ricordarmi il pezzo che colpì il Maestro a tal punto da farmi prendere come sua allieva; ma non lo ricordo. Ricordo solo l’enorme sforzo per non far vedere quanto le mie mani tremassero sui tasti.
Per qualche lezione fui sempre accompagnata da mia cugina, ma dopo qualche mese smise di venire. Forse era stato lui a chiederlo, per non essere disturbato da tutti i suoi commenti inutili, o forse la loro relazione era finita. Non lo so e non mi ha mai interessata. Con o senza Sofia lui era sempre burbero, perfino cinico qualche volta, ma riconosceva che stavo migliorando in qualcosa.
Un giorno gli chiesi se mi avrebbe mai fatto sonare una sua composizione. Mi guardò torvo, inchiodandomi al seggiolino con i suoi occhi d’ametista.
Tu non sei pronta per la mia musica.” Quasi sembrava divertito dalla mia richiesta “È meglio che continui con Mozart.” Sentenziò con la sua voce ruvida.
Perché? Pensate forse che non ne sarei capace?
Lo vidi versarsi un bicchierino di Brandy prima di rispondermi con sufficienza “Tecnicamente potresti suonare tutto quello che vuoi.
Ed allora quale sarebbe il problema?
Lui si avvicinò a me con grandi falcate dal suono marziale, qualsiasi cosa facesse aveva sempre dei modi molto perentori; mi trascinò a sé per un braccio e mi baciò.
La prima volta che ci baciammo.
Il Maestro non era delicato nemmeno con le labbra di una donna: le apriva, le mordeva o le suggeva, infilava la sua lingua nella bocca altrui senza chiedere il permesso, senza esitazione. Quando mi lasciò ero senza fiato; mi aveva stretta talmente tanto che, priva del suo sostegno, caddi all’indietro sul pavimento freddo. Avrei dovuto schiaffeggiarlo perché uno di una classe sociale tanto bassa come la sua non doveva azzardarsi a simili libertà con una contesa quale io ero. Ma non lo feci. Ero immobile su quel pavimento ghiacciato intenta ad accarezzarmi le labbra. Sapeva che quello era stato il mio primo vero bacio? Anche se ero fidanzata con un duca, nessuno aveva mai posato la sua bocca sulle mie labbra.
Non conosci l’amore, la passione ed il turbamento che portano. Non capiresti ciò che suoneresti. Non saresti una pianista ma poco più di un organetto meccanico.” Lui era impassibile mentre mi guardava dall’alto in basso, io ansimavo.
Insegnatemi allora!” Dio! Da dove vennero queste parole ancora non lo so. Ero sempre stata virtuosa, timida e riservata. Ero sempre stata tutto quello che una giovane nobildonna doveva essere. Ed invece, all’improvviso, mi ritrovavo sdraiata su quel pavimento sempre più freddo scaldata dalle carezze del più grande musicista di Vienna. Un uomo molto più anziano di me. Un uomo di una classe sociale così bassa rispetto alla mia. Un uomo che non aveva fatto mistero delle sue relazioni con le prostitute.
Da quel giorno le nostre lezioni di musica iniziarono a svolgersi anche nella sua camera da letto.
Eravamo felici assieme, solo io e lui, lontani dal mondo e dalle sue regole. Ci amavamo molto e lui mi avrebbe perfino voluto sposare. Ma io ero già promessa ad un nobile e quell’illusione non poteva durare. Avrei potuto abbandonare il mio fidanzato e la mia famiglia per restare con l’uomo che amavo nonostante l’aspetto selvatico ed i modi rozzi. Avrei potuto farlo e creare uno scandalo. Ma non lo feci. Lui era un musicista che si dibatteva tra un editore e l’altro perché non voleva essere a servizio di nessun nobile. L’immutabile realtà era che lui era un musicista ed io una nobile contessa promessa ad un ottimo partito: anche se avessi voluto non ci sarebbe stata comunque scelta.
Lui lo sapeva.
Io lo sapevo.
Lo sapevamo tutti e per questo ci illudevamo che avrebbe fatto meno male.
Durante il nostro ultimo incontro mi disse che avrebbe scritto per me qualcosa di assolutamente rivoluzionario, che nemmeno Mozart o Hayden avrebbero potuto immaginare.
Dopo tanti anni questo spartito vecchio, ingiallito e consumato è tutto ciò che resta del nostro passato. L’ha chiamata Sonata Quasi una Fantasia ed è unica, nuova, rivoluzionaria come lui aveva promesso. Mi arrivò come regalo di nozze. Se solo penso che mio marito se ne è vantato con tutta Vienna mi viene ancora da ridere.
Adesso l’uomo che mi ha resa donna è morto da molti anni e tutto ciò che mi rimane di lui è uno spartito ingiallito che non suono più perché ho dimenticato cosa sia la passione che trascende noi stessi e ci eleva a qualcosa di più rispetto a ciò che siamo. Tutto ciò che posso fare è sfogliarlo seduta su una poltrona, vestita di bianco come se fossi ancora vergine, e sapere che in quella serie di note incastrate nel pentagramma è racchiuso il nostro amore che rimarrà invariato e perfetto per l’eternità.
 
 
 
Mio angelo, mio tutto, mio io. Sono poche righe per oggi, e per giunta
a matita. (…) Perché questa pena profonda, quando parla la
necessità – può forse durare il nostro amore se non a patto di sacrifici, a
patto di non esigere nulla l’uno dall’altra; può forse cambiare il fatto che tu
non sarai interamente mia, io non sarò interamente tuo.
Ludwig van Beethoven
   
 
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