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Autore: succubus98    13/04/2015    0 recensioni
Chi siamo noi in questo mondo?
È davvero tutto come ci viene insegnato sin da piccoli?
Io ho dovuto fare la decisione più importante della mia vita andando incontro ad un destino che nessuno si sarebbe mai immaginato.
Bene o Male? Luce o Oscurità?
Io ho già scelto e tu?
Genere: Fantasy, Guerra, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti, è una delle prime storie che scrivo. Vi prego di darmi consigli e lasciare commenti in modo che io possa migliorare. Grazie in anticipo e buona lettura. XOXO Succubus98

“Tutto bene piccola?” la voce calda di Ryan risuonò nella stanza.
“Sì, certo.” Gli risposi prendendo in mano il cellulare. Illuminai lo schermo, un’ora e tre minuti. “E’ da tanto che stiamo parlando, sei stanco?” la mia voce apparve più assonnata di quanto in realtà fosse.
“No amore, potrei stare al telefono per dei giorni interi con te.” Sorrisi fra me e me. “Sai, mi manchi.” Il sorriso svanì.
“Anche tu…” posai il cellulare sulla scrivania accanto alla finestra. “…è da due mesi che non ci vediamo.”
“Domani torno, dovresti essere felice.” Andai dall’armadio.
“Non so come vestirmi domani.” Comincia a frugare nell’armadio.
“Vestiti comoda, tanto usciamo alle giostre.” Afferrai una t-shirt bianca e nera e un paio di jeans.
“Stavolta quanto ti fermi?” Ero stanca della sua assenza, ormai stavamo insieme da tre anni ma ci vedevamo di rado. Ogni due mesi tornava da me per una settimana che trascorreva sempre troppo veloce.
“Come al solito. Comunque ora devo andare, ti amo a domani.” Sorrisi e riagganciò il telefono. Sospirai ed andai in cucina. La luce bianca e fredda mi accecò. Presi un bicchiere d’acqua. Fra poco sarebbe tornata mia madre da lavoro. Decisi di coricarmi, ormai era tardi.
 
L’odore di caffè invase la stanza sino ad arrivare alle mie narici. Aprii gli occhi e ancora addormentata mi stiracchiai. I raggi filtravano dalle scure tende. Decisi di andare in bagno a lavarmi la faccia.
“Merda!” la testa di mia madre fece capolino dalla porta.
“Che succede?” mi chiese con tono preoccupato.
“Mi sono dimenticata di struccarmi ieri sera.” Scoppiò a ridere mentre io con una salviettina umida tentavo di togliere il rimmel che mi era colato sugli zigomi.
“Vuoi il caffè?”
“Sì, arrivo.” Buttai il pigiama in lavatrice e indossai la tuta con la canotta della Nike. Mi lasciai pigramente andare sulla sedia accanto a mia madre, una tazza di caffè fumante mi attendeva.
“Oggi torna Ryan?” mi domandò mentre sorseggiavo la deliziosa bevanda. Annuì.
“Lunedì vado a vivere nella nuova casa in città.” Le annunciai triste, vidi che anche il suo viso si era tinto di malinconia.
“Lo so, sono fiera di te, sono felice che tu stia crescendo, è giusto così, promettimi che ogni tanto tornerai a trovarmi.”
“Te lo prometto, ti voglio bene mamma.”
“Anch’io, non immagini quanto.” Le sorrisi e tornai in camera, il cellulare era ancora  sulla scrivania. 11:30. C’era un nuovo messaggio.
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Ryan
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     Sono appena atterrato. ©
 
Sorrisi e decisi  di andare a fare una doccia. Presi l’intimo dal primo cassetto dell’armadio e mi recai in bagno. L’acqua cominciò a scendere e una nuvola di fumo si impossessò della stanza. Mi spazzolai i capelli ed entrai in doccia. Il calore si impossessò del mio corpo facendo rilassare ogni muscolo. Cominciai a insaponarmi.
“Il pranzo è pronto.” Mi informò mia madre.
“Arrivo” finii di lavarmi e mi asciugai. Lasciai i capelli ancora bagnati legati.
Braciola e purè. Mangiai lentamente, gustandomi tutto.
“Grazie mamma.” Le schioccai un bacio sulla guancia e tornai in bagno per asciugarmi i capelli.
Ci misi diversi minuti e una mezz’oretta per piastrarli ma il risultato finale fu perfetto.
 
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Sophia
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Io mi sto già preparando. Non vedo l’ora di vederti.
 
Nessuna risposta, decisi di mettermi a leggere il nuovo libro che mi aveva regalato pochi mesi prima il figliastro di mio padre.
 
Le ore erano passate velocemente, il sole era già tramontato sull’oceano. Mi cambiai i vestiti indossando quelli preparati la sera prima. Pochi minuti e l’avrei visto. Indossai le Puma grigie e andai a truccarmi, giusto un velo di cipria e il rimmel. Andai in salotto presi la felpa, anch’essa grigia, ed uscii salutando mia madre.
Il freddo sovrastò il mio corpo, strano, era Agosto e faceva già tutto sto freddo.
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Sophia
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Sono alle giostre, dove sei?
 
Non  mi aveva ancora risposto. Decisi di  entrare nel bar della piazza. Un alto ragazzo dai capelli blu mi si avvicinò.
“Come posso esserle utile?”
“Una bomba blu grazie.” Continuai a seguirlo con lo sguardo mentre mi preparava il cocktail nel bicchiere di plastica. Tirai fuori dai jeans la banconota da cinque euro. Si avvicinò porgendomi il bicchiere.
“No, offro io.” Mi sorrise.
“Grazie.” Afferrai il bicchiere ed uscii, in mezzo alla folla vidi i capelli dorati di Jennifer. Cominciai a bere mentre tentavo di avvicinarmi a lei.
“Jé.” Ci scambiammo un bacio sulla guancia.
“Che ci fai qua? Non dovevi uscire con Ryan?” mi domandò stupita.
“Sì, ma non risponde, ho paura che gli sia successo qualcosa…”
“Dai, vieni con me e la mia ragazza ad una festa.” Annuii e salimmo sulla sua auto, una punto grigia del ’97. In poco più di dieci minuti arrivammo in una casa fuori città, sembrava abbandonata, ma dall’interno arrivavano le note di Avicii.
“Sei sicura che non disturbo?” le domandai titubante.
“Ma non sparare cazzate Sophia!” sembrava offesa. “Comunque lei è Diana.” Mi presentò la ragazza che era con noi, capelli corti e castani e magnifici occhi azzurro cielo, era proprio il suo genere di ragazza. Entrammo da una finestra rotta e sbucammo in una grossa stanza. Quattro ragazzi parlavano fra loro in fondo alla stanza.
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Ryan
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  Ho avuto un impegno, ci vediamo Giovedì, mi spiace. Ciao.
 
Bastardo. Decisi di bere un bicchiere di qualcosa. Sul tavolino c’era un po’ di tutto. Presi un bicchiere e cominciai a versarci Martini, San Simone, vodka liscia e alla fragola.
“Non credo che ti faccia bene tutto quell’alcool insieme.” Un ragazzo alto e moro si era parato accanto a me.
“Non credo che siano affari tuoi.” Gli risposi seccata. Cominciai a bere, il gusto faceva abbastanza schifo.
“Che acida.” Commentò ridendo. “Come ti chiami?”
“Non credo che ti debba interessare, sono già fidanzata e poi non sei proprio il mio tipo.” Gli risposi voltandomi. Sentii i suoi occhi verde smeraldo seguirmi.
“Ti ho solo chiesto come ti chiami mica se volevi scopare, tornerai da me supplicandomi di stare con te.” Che rabbia. Odiavo i ragazzi così, troppo sicuri di sé.
Andai in un’altra stanza a bere da tranquilla. Decisi di chiamare Ryan mentre l’alcool mi entrava in circolo.
“Ciao amore.”
“Ciao.” Gli risposi fredda.
“Cos’hai? “
“Me lo chiedi anche? Che impegno hai avuto? Più importante di me? Io ti devo parlare urgentemente, vedi di esserci Giovedì.” Gli riattaccai il cellulare in faccia, non volevo sentire altre scuse. Una lacrima salata mi solcò il viso. La cancellai velocemente con il dorso della mano.
“Io credo che tu abbia bisogno di parlare..” una voce maschile bassa e profonda spuntò dalla porta. Il ragazzo biondo si sedette accanto a me. “So che non mi conosci, ma se hai bisogno di parlare… ah, che maleducato, mi chiamo Albert.”
Gli sorrisi e scoppiai a piangere. “Ho bisogno di parlare con il mio ragazzo.”
“E cosa te lo impedisce?” mi domandò incuriosito.
“Dovevo essere con lui stasera, mi ha detto che ha avuto un impegno e possiamo vederci solo Giovedì.. ma lui Venerdì parte per tornare a New York.” Sentii il suo braccio passare sulle mie spalle, mi strinse. “Posso?” mi porse il bicchiere e bevvi.
 
Un suono familiare mi martellava la testa, mugugnai qualcosa che neppure io compresi.
“Tutto apposto?” una voce maschile e familiare mi domandò. Decisi di aprire gli occhi. Albert. Richiusi gli occhi. Aspetta, cosa?! Albert?!
“C-cosa è successo stanotte?” chiesi mettendomi a sedere. “E dove sono?”
“Stai tranquilla, stavi male e ti ho portato a casa mia per farti riposare…” abbassò lo sguardo. “ comunque credo che ti stia squillando il cellulare.” La canzoncina terminò poco dopo. Cercai a tastoni il telefono, un nuovo messaggio e una chiamata persa.
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Jennifer
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  Ehy, ma dove sei finita? Ti aspetto al bar fra mezz’ora e ti avviso che se non arrivi andrò a denunciare il tuo rapimento. XoXo
 
Sorrisi stupidamente e mi alzai. Uscii dalla porta della camera e tornai indietro.
“Scusa, dov’è il bagno?” chiesi imbarazzata. Si alzò e mi fece strada. La graziosa porta in legno bianco dava su un bagno dalle piastrelle azzurre. Mi chiusi la porta alle spalle e mi fissai allo specchio. Spazzolai velocemente i capelli e mi lavai il viso. Pochi minuti dopo entrai nel bar. Nell’angolo infondo vidi Jennifer e Diana sedute a sorseggiare un caffè.
“Giorno.” Mi accomodai nel piccolo tavolo quadrato.
“Dove diamine eri finita?” mi domandò quasi spaventata Jennifer.
“A casa di Albert, tranquilla non è successo nulla, mi ero solo sentita male, credo di aver bevuto troppo ieri.”
“A guardarti non si direbbe.” Si complimentò Diana per l’aspetto. Il barista si avvicinò a noi posizionando accuratamente le tazze ormai vuote sul vassoio.
“Cosa posso portarti?” mi chiese mostrando il suo sorriso sghembo.
“Un cappuccino, grazie.” Lo seguii con lo sguardo mentre lentamente si allontanava.
“Smettila di spogliarlo con gli occhi.” Non capii chi lo disse.
“C-cosa?”
“Ti stai mordendo il labbro e lo stai spogliando con gli occhi, smettila.” Mi richiamò Jennifer, chi altro sarebbe potuto essere (?).
“Senti, io non ti conosco da molto, anzi, direi che proprio non ti conosco, ma alcuni ragazzi mi han detto che ieri ti hanno sentita urlare e poi piangere fra le braccia di Albert.” Sospirai, mi tornò in mente la storia di Ryan, chissà che fine aveva fatto, non mi aveva neppure cercato.
Il ragazzo dai capelli blu fece ritorno con il mio cappuccino.
“Grazie.” Gli porsi un euro e cinquanta per pagare. Se ne stava andando quando. “scusa, come ti chiami?”
“Ehm… Alexander” rispose imbarazzato, poi si allontanò. Certo che aveva proprio una faccia tosta Diana. Finii di bere il cappuccino mentre le due ragazze continuavano a parlottare fra loro. Mi alzai.
“Ciao ragazze.” Le mora e la castana saltarono in piedi e mi afferrarono per le braccia. “Ma che cazz…”
“Tu ora vieni con noi.” Non potei liberarmi. Salimmo sulla macchina di Diana, una Opel Corsa verde bottiglia e in meno di dieci minuti fummo in un piccolo centro commerciale.
“Bendala. “ Jennifer mi fece bendare e mi porto in uno dei locali, dal rumore presente nella stanza capii di essere dalla parrucchiera. Sentii le tre ragazze bisbigliare qualcosa.
“Ti togliamo la benda, ma tu mantieni gli occhi chiusi, se li aprii non ti pago il servizio.” Decisi che in fondo mi conveniva così.
 
Risalimmo in macchina, ancora non mi ero specchiata da nessuna parte e non avevo idea di cosa mi avessero fatto.
“Dove hai detto che abita?” esordì Diana.
“A Countown street.” rispose velocemente Jè.
“C-cosa? Perché?” domandai stizzita.
“Ora andiamo  a fare visita a quello stronzo che dici di amare.” La sentii ghignare, o per lo meno me la immaginai ghignare. La macchina si fermò. Mi sfilai la benda e guardando fuori dal finestrino e vidi la porta di casa sua.
“Vai!” mi ordinarono le ragazze all’unisono. Scesi lentamente dalla macchina e camminando su quei trampoli che mi avevano obbligato a indossare, mi avvicinai alla porta in legno massello. Sentivo gli occhi delle due ragazze su di me. Premetti lentamente il piccolo pulsante in ottone, il campanello risuonò all’interno. Una donna sui quarant’anni mi venne ad aprire.
“Si? Mi dica pure.” Mi guardò inacidita.
“Sto cercando Ryan.” Mi fece cenno di entrare.
“Accomodati pure lì.” Mi sedetti sul divano in pelle bianca del salotto. Nell’attesa cominciai a guardarmi intorno, quella casa era piuttosto spoglia e priva di vita. Una manina mi accarezzò la gamba facendomi trasalire. Un bambino dagli occhi vispi mi stava guardando.
“Tu chi sei?” bofonchiò.
“Io mi chiamo Sophia” gli risposi sorridendo.
“S-sei molto bella.” Continuò singhiozzante.
“Come ti chiami?” lo presi in braccio e lo feci sedere sulle mie gambe.
“Joshua, ho due anni.” In lontananza vidi apparire un uomo dai capelli brizzolati e dietro Ryan. “Papà.” Urlò il bambino. 
   
 
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