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Autore: Thilwen    24/12/2008    7 recensioni
«Ami tua moglie?»
A quella domanda dovette sbarrare gli occhi in maniera abbastanza pittoresca. Ne fu stupito al punto da perdere l’espressione controllata del suo volto e aprire la bocca a vuoto un paio di volte prima di poter formulare una risposta.
Che razza di domanda era? Come si permetteva?
Non erano mai scesi in certi particolari.
«Sì. Certo» disse poi, la voce a mezzo tono, quasi che fosse imbarazzato. «Non l’avrei sposata, altrimenti, no?»
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Reitero, pressappoco per la trentesima volta, che i diritti di Harry Potter –egli quale personaggio altamente irritante,- &co –quindi la saga nella sua interezza con tutto l’ambaradàn del caso- purtroppo non mi appartengono, sono una disgraziata studentessa di lettere che dovrà sudarsi fra latino e letteratura un qualsiasi compenso –ergo non scrivo a scopo lucro, questo è solo un modo… la mia fantasia… ecc…

 

 

Autore: Thilwen

Beta Reader: mise_keith;

Data: Settembre 2008

 

Note:

Questa non è una Draco/Ginny.

Probabilmente non è neanche una storia plausibile, ma non credo si possa dire che non rispetti il canon per qualche motivo. È nata più che altro da un gioco, uno scherzo, un’idea fra me e mise_keith per metterci alla prova, quando ci siamo chieste: “ma credi sia possibile una storia con Draco e Ginny come protagonisti, IC, Canon, post-DH?”.

I risultati finali sono sensibilmente differenti e io voglio presentarvi il mio: un breve racconto senza pretese. I personaggi sono leggermente diversi rispetto a quelli presentati dalla Rowling, ma, visto che sono passati venti anni e sia Draco che Ginny si avvicinano quasi alla quarantina, sarebbe stato sciocco non presentare un’evoluzione nella loro personalità; non per questo credo la storia sia OoC.

Ambientata poco prima dell’obbrobrios… ehm, dell’epilogo stilisticamente discutibile.

 

Ringraziamenti e dediche: A Chiara, di cuore. Perché questa storia per lei possa essere casa.

 

 

 

 

Tea Time

 

 

Il cielo era grigio. Probabilmente prometteva pioggia.

Non che gliene fregasse più di tanto; essere un mago adulto e capace significa anche potersi Smaterializzare al momento opportuno e con la giusta discrezione.

Fu per questo che, infilando una mano in tasca e sistemandosi il colletto della giacca con l’altra, Draco Malfoy continuò a camminare lungo la strada con il suo passo sostenuto eppure elegante; tentò di non soffermare troppo lo sguardo sui mezzi Babbani che sfrecciavano al suo fianco, sulla gente in impermeabile che avanzava a testa bassa lungo il marciapiede, occupati a parlare con un minuscolo attrezzo fra l’orecchio e la guancia, o presi da un’eccessiva fretta nervosa, o troppo storditi da quel rumore e da quei fumi tossici cittadini per avanzare dignitosamente.

Draco, benché indossasse abiti raffinati ma comunemente Babbani, spiccava fra la folla come un’eccentrica creatura di un’altra era; eppure nessuno si preoccupava di lui. Non lo aveva fermato uno sguardo.

Questa era la Londra dei Babbani; un baratro di ciechi indifferenti.

Si sentì quasi sollevato nel vedere l’insegna del caffè dove avrebbe dovuto recarsi che ondeggiava verde e oro nell’aria tagliente e foriera di pioggia.

Era un locale vecchio stile, lo si notava fin da fuori.

Ecco perché una volta, qualche anno prima, vi era entrato, costretto per motivi di lavoro a doversi muovere in quella città grigia e priva di magia. Già dall’esterno, quel locale gli era sembrato più vicino al suo mondo, caldo e antico, vivo e solido.

Incorrotto.

E quando si era mosso per cercare un tavolo indiscreto dove sedersi, e l’aveva vista, aveva capito che, certamente, non doveva essere stato l’unico ad aver avuto quell’impressione.

Sorrise, al ricordo, affrettando il passo. Ebbe solo un attimo di esitazione inspiegabile quando, trovatosi davanti all’entrata sobria ed elegante, poggiò la mano sulla maniglia, spingendo con poco sforzo la porta del caffè.

Tintinnò e cigolò, in maniera famigliare, quasi a dare un discreto benvenuto. Draco entrò con la dovuta calma, a testa alta.

Qualcuno puntò gli occhi sulla sua persona non appena mise un piede dentro. Percepì quindi, prima di avvedersene, la sua presenza.

La trovò seduta discretamente al solito angolo, le mani intrecciate davanti a una tazza di tè fumante, lo sguardo fisso su di lui. Lo chinò subito, tuttavia, non appena si accorse che l’aveva notata, concentrandosi sul fumo che emanava la tazza sotto il suo naso.

Aveva raccolto i capelli in una treccia, che le ciondolava, rossa come un rivolo di sangue, su di una spalla. Aveva una camicia Babbana azzurra, che contrastava il colore della sua chioma.

Appena un filo di trucco; non aveva addosso né una collana, né un qualsiasi gioiello.

Non voleva mai farsi notare.

Draco avanzò verso di lei, togliendosi durante il percorso l’elegante impermeabile e restando in giacca e cravatta.

«Weasley» mormorò come se il suo nome fosse un saluto, accompagnando la parola con un impercettibile cenno del capo. La chiamava con il cognome da nubile per abitudine, si diceva, anche se, in verità, principalmente gli dava fastidio ripetere il nome “Potter”.

E associarlo a lei.

«Malfoy» rispose quella, non accennando uno sguardo o un movimento, con un tono neutro e distaccato.

Draco spostò la sedia di fronte alla donna e vi si sedette, pigramente.

Attese l’arrivo della cameriera in silenzio. Quando arrivò, una graziosa ragazza dai capelli scuri, ordinò solo un tè corretto, senza sorridere ma sibilando le parole con una gentilezza tanto fredda da sembrare spietata.

Segnata l’ordinazione, la ragazza si allontanò quasi intimorita, certamente presa da un forte disagio.

«Ti diverte tanto, vero?»

Ginny aveva finalmente staccato lo sguardo dalla sua tazza e gli aveva rivolto la parola, senza reale astio o antipatia, quasi con una curiosità antica, da fanciulla.

«Abbastanza».

C’era qualcosa di diverso in quella maledetta Weasley, e non riusciva a capire cosa fosse.

Lo aveva cercato la prima volta che l’aveva rivista, dopo anni, e si era ritrovato per caso al suo fianco in quel caffè.  Certo, in più di dieci anni la gente cambia. Eppure non era stato il cambiamento fisico ad averlo spiazzato, ma qualcosa che, nel corso di quei lunghi anni, si era depositato nel fondo delle sue iridi castane, come la sabbia d’oro fra i ciottoli di un fiume.

Non voleva accettare l’ipotesi che fosse stato merito di Potter.

Gli dava fastidio pensarlo.

«Hai sempre avuto questi inutili atteggiamenti antipatici» disse lei, riprendendo a parlare. «Spaventi quelli più deboli e ti diverti».

«Sono discorsi vecchi, questi. Vanno bene per storie di un altro taglio» replicò Draco, osservando il ricamo della tovaglia sul tavolino e seguendone con un indice la trama.

Ginny si concentrò nuovamente sul suo tè, impensierita. Scostò con un gesto della mano repentino un ciuffo rosso che le era finito davanti agli occhi.

Draco comprese che era giunto il momento delle formalità gratuite; dovevano pur sempre far vedere che ormai erano adulti.

«Come sta tuo marito?» le chiese quindi con tono assolutamente annoiato e vagamente derisorio.

La donna colse lo scherno nella sua voce. «Mio marito ha un nome» replicò senza rispondere alla domanda.

«Non approveresti qualunque nome con il quale potrei chiamarlo» disse ironicamente l’altro, rendendosi eppure conto che si sarebbe sentito ridicolo a dire ad alta voce: “Come sta lo Sfregiato?

«Sta bene. Come sempre» rispose lei, questa volta senza raccogliere la provocazione. «Per fortuna».

«Buon per lui. Deve essere faticosa la vita dell’eroe nazionale».

Ginny aprì la bocca per dire qualcosa. Poi tacque, vedendo ritornare timidamente la cameriera con un vassoio con sopra la tazza di tè per Draco.

Questa volta lui la ignorò.

«Tua moglie come sta?» chiese invece lei, quando la ragazza si fu allontanata.

«Bene» rispose senza pensarci. Poi aggiunse: «È alle prese con l’organizzazione di non so quale banchetto a casa nostra per Merlino solo sa quale occorrenza. E mi rimprovera della poca partecipazione». Tacque un secondo. «E vizia Scorpius, che è la cosa peggiore».

Vide Ginny sorridere fra sé e sé. Era un genere di sorriso che conosceva, perché lo vedeva spesso sulla bocca di sua moglie quando era convinta che nessuno potesse scorgerla o era immersa in qualche pensiero o azione importante.

In passato lo aveva visto anche a sua madre, nei dormiveglia della sua prima infanzia, quando lei si chinava su di lui e gli sussurrava parole udibili solo nei sogni.

Era un genere di sorriso che dovevano avere solo le mamme. Mai gli era capitato di scorgerlo fra le labbra di sua zia Bellatrix.

Che poi, in verità, fra le labbra di Bellatrix non aveva mai visto neanche un sorriso che si potesse definire realmente tale.

Assaggiò il suo tè e si sentì riscaldato già da pochi sorsi, in quella giornata piovosa e umida.

Era assurdo che fosse ancora agosto. Faceva quasi freddo.

«Posso chiederti una cosa?» il tintinnio di porcellana della tazza della donna lo ridestò dai suoi pensieri, insieme alla sua voce.

Ginny lo osservava in maniera strana. Più strana del suo solito, almeno.

Le guance tornite erano scavate da due fossette appena visibili che segnalavano un sorriso stentatamente trattenuto.

«Dimmi» accordò, schietto.

«Ami tua moglie?»

A quella domanda dovette sbarrare gli occhi in maniera abbastanza pittoresca. Ne fu stupito al punto da perdere l’espressione controllata del suo volto, e aprire la bocca a vuoto un paio di volte prima di poter formulare una risposta.

Che razza di domanda era? Come si permetteva?

Non erano mai scesi in certi particolari.

«Sì. Certo» disse poi, la voce a mezzo tono, quasi che fosse imbarazzato. «Non l’avrei sposata, altrimenti, no?»

Ginny si strinse nelle spalle, senza cambiare espressione. «Pensavo che per voi bastasse che fosse purosangue, di buona famiglia e di bell’aspetto. Che certe cose non fossero necessarie. L’importante è fare andare avanti la famiglia…»

Draco strinse nel pugno un lembo di tovaglia, nervosamente.

«Non siamo animali da monta, Weasley» la nota stridula di astio presente nella sua voce lo fece sentire nuovamente padrone delle sue azioni. «Capisco che i numeri presenti nella tua famiglia ti abbiano sempre portato a pensare che la procreazione fosse la finalità di ogni coppia, ma, sai, c’è chi sostiene di non poter passare la vita a fianco di una persona se non è presente almeno… una certa intesa».

Ginny assunse un’aria quasi seria. Non sapeva se si fosse arrabbiata o no per l’accenno volgare alla sua famiglia, ma si accorse di essere disinteressato dalla cosa.

«Non sembri il tipo che possa amare qualcuno più di se stesso» borbottò infine.

Lui riprese la sua espressione indifferente e superiore.

«Forse» le accordò. «Per quello che so dell’amore, posso assicurarti che penso di amare mia moglie. Forse non la idolatro come tu fai con tuo marito, ma sono dettagli di poco conto, in effetti».

Tacque, osservando le sfumature ambrate del suo tè corretto.

La piega che aveva preso quel discorso lo aveva messo profondamente a disagio. In generale si limitavano a fare accenni vaghi alle proprie famiglie e commentare cose di scarsa importanza.

Sì domandò perché mai gli avesse chiesto una cosa simile. Era evidente che la curiosità delle donne dovesse essere ben più irritante di quanto non avesse mai sperimentato.

Questi incontri stavano iniziando a diventare troppo amichevoli per i suoi gusti.

 «Ci siamo ritrovati nuovamente qui, infine» gli scappò di bocca, quasi senza pensarci.

Nuovamente.

Infine.

Ginny per un secondo assunse un’espressione colpevole, come quella di un bambino beccato a mangiare biscotti poco prima di cena.

«Sì» asserì semplicemente dopo qualche secondo. «Non credo che, in fondo, ci sia qualcosa di strano. Capita di incontrare dei conoscenti».

«È vero» ma lo disse solo per avere l’ultima parola in quel discorso.

Aveva avuto voglia di un tè caldo, la prima volta che l’aveva rincontrata in quel caffè.

Era entrato in quel locale Babbano d’altri tempi vincendo il disgusto, un po’ per curiosità, un po’ spinto da forze invisibili. Forse semplicemente perché faceva freddo e aveva voglia di qualcosa per riscaldasi.

L’aveva trovata lì, seduta in un tavolo in fondo. Da sola, lo sguardo perso, come una comune donna sulla trentina intristita per qualche ragione inspiegabile.

L’aveva riconosciuta subito, nonostante i suoi fianchi adesso fossero più larghi, i suoi capelli meno folti, le sue lentiggini meno graziose. C’era qualche vago segno dell’età agli angoli degli occhi e della bocca, invisibili linee che demarcavano gioie e sofferenze.

Anche lei doveva aver notato qualche differenza nella sua persona mentre aveva alzato gli occhi distrattamente e lo aveva visto, fermo a guardarla sotto l’arco dell’entrata.

Erano rimasti immobili alcuni secondi, nelle loro posizioni, lei seduta, lui in piedi davanti alla porta.

Non avevano potuto ignorarsi e forse non avevano voluto.

In quei pochi secondi, mentre si osservavano senza muoversi, Draco aveva percepito l’odio e le incomprensioni di Hogwarts come scaramucce fra bambini, lontane e incomprensibili. Da adulti, educati e in società, certe cose erano impossibili.

O forse, semplicemente, in quel luogo, quel tempo e quel contesto non avevano senso.

Si erano scambiati un cenno di saluto e poi, senza neanche sapere perché, lui si era avvicinato al tavolo rivolgendole qualche frase formale, rispondendo con la stessa rigida formalità.

Parlarle anche solo di quelle sciocchezze era stato come ancorarsi a realtà lontane, ricordi di un'altra vita.

Hogwarts, l’adolescenza. La guerra.

Dolore cristallizzato in fondo alle viscere.

Non aveva provato, per la prima volta in vita sua, né astio, né ribrezzo nei confronti di quella donna. Non era mai stato un uomo di molte parole, e la discussione si era articolata in poche frasi fatte, eppure, mentre sorseggiava il suo tè, aveva trovato quei in silenzi condivisi con la Weasley una comprensione profonda e curatrice.

Era passato altre volte, da quel giorno, in quel caffè, e ogni tanto gli era capitato di incontrarla. Sembrava ella fosse un habituée del luogo, soprattutto in certi orari e in certi giorni.

In poco tempo quei loro sporadici incontri erano divenuti una consuetudine casuale, cadenzata quasi ogni due o tre mesi, dove ritrovarsi a parlare e non dirsi nulla, condividendo un tè, ognuno con i propri pensieri.

Draco aveva trovato quei brevi incontri come un momento di pausa dagli affanni e dalle gioie del mondo. Momenti dove nulla aveva importanza.

Erano passati circa quattro anni dalla prima volta che era successo.

Ginny aveva quasi finito il suo tè, e osservava la gente ai tavoli alle spalle di Draco.

«Perché vieni così spesso qui?» le chiese d’improvviso, ed ella sussultò, come se non si aspettasse una domanda del genere.

«Mi piace questo posto». Non aggiunse altro, anche se sembrò pensarci.

«Immagino che tu abbia molti impegni con la tua famiglia; con tre figli deve essere difficile trovare il tempo di prendere così di frequente un tè fuori casa, da sola. Perché lo fai?» insistette Draco, senza neanche capire i motivi della sua ostinazione.

Ginny a quella domanda sorrise. Un sorriso rivolto al vuoto, al nulla, agli ultimi sorsi di tè sul fondo della sua tazza. «Proprio tu mi domandi il valore della solitudine?»

Egli ghignò, e gli sembrò che sul suo volto ricomparissero dei segni antichi, dimenticati. «Pensavo che la tua confusionaria famigliola ti rendesse felice. Potter, i tuoi buffi marmocchi…»

Il sorriso della donna questa volta fu rivolto a Draco, diretto, tanto profondo da sembrare uno squarcio nell’animo, tanto sincero da essere tagliente come un pugnale. «Lo sono. Sono estremamente felice. Ma bisogna staccarsi di tanto in tanto dalla propria felicità per poterla apprezzare meglio».

Non la capì.

Non in quel momento, almeno.

Ma le sue parole risuonarono nello spazio fra le loro persone così limpide che si sentì in disagio ad approfondire l’argomento.

Finirono il tè, in silenzio.

«Così quest’anno tuo figlio inizia Hogwarts?» gli domandò Ginny, senza troppo interesse.

«Sì» rispose.

«Come Al» aggiunse lei. «Come Albus Severus, intendo».

Draco non seppe trattenere uno sbuffo di scherno. «Io non riesco ancora a crederci che abbiate messo un nome del genere a vostro figlio. È ridicolo».

Quando gliel’aveva detto, qualche anno prima, si era quasi strozzato con il tè. Aveva subito pensato che Snape sarebbe stato a dir poco disgustato dal gesto rispettoso di Potter. Era un miracolo che non fosse tornato a tormentarlo come un fantasma.

Le solite idiozie di Potter, stupido Sfregiato: neanche i morti con lui potevano trovare pace.

«Harry deve la vita a Snape» si giustifico Ginny, freddamente.

Draco fece spallucce. «Anche io. In tanti gli dobbiamo la vita. Ma non per questo coniamo nomi tanto grotteschi per i nostri figli».

Rimasero in silenzio. Qualcuno venne a portar via le tazze, lasciando uno scontrino sul tavolo. Draco tirò fuori una banconota Babbana dal portafoglio, osservandola scetticamente come sempre, e la pose sul tavolo.

Ginny stava per fare lo stesso. Lui la bloccò, fermandole la mano con la sua. «Anche se sei la moglie di quello sfigato di Potter, non dimentico mica di comportarmi come un gentiluomo».

La donna avvampò e strinse gli occhi, rabbiosa. Dovette pensare per un secondo che l’offerta avesse più il sapore dell’umiliazione. Draco non le aveva lasciato la mano e la osservava freddamente con distacco.

Infine, probabilmente, Ginny dovette comprendere che non vi era umiliazione e odio nel suo gesto, ma che quello era solo il suo modo di fare. Chinò il capo, accennando un assenso, e lui la lasciò, non cambiando espressione.

Chiuse la mano con la quale l’aveva afferrata in pugno, sotto il tavolo, come per un riflesso meccanico.

In vita loro c’erano stati sempre pochi contatti fisici, tutti casuali o poco gentili. Dopo il contatto diretto di qualche secondo prima gli era sembrato che qualcosa si fosse depositato sul suo palmo, un calore insolito, spiacevole.

Guardò la donna. Aveva sempre pensato che, tutto sommato, Ginevra Weasley non sarebbe stata male, se non fosse stato quello che era.

Una Weasley, principalmente. E la moglie di Potter in secondo luogo.

E queste due cose erano per lui due fattori insormontabili. Due cose che non poteva staccare dalla sua persona. Non aveva mai giudicato qualcuno solo in base a ciò che era come entità, ma sempre in relazione al suo ruolo, alla sua posizione, all’involucro nel quale era contenuto.

E non avrebbe mai potuto vedere Ginny Weasley al di fuori del suo ruolo di Weasley e donna di Potter. Non l’avrebbe mai vista come donna, interessante e affascinate e basta. Era La Weasley. Era La Potter.

Eppure si ritrovò a pensare che forse, forse, in un universo parallelo, dove lui non era Draco Malfoy, dove lui non amava sua moglie e suo figlio, dove lui utilizzava un metro diverso per rapportarsi con il mondo, dove lei non era una moglie fedele e devota, una donna attaccata alla famiglia e ai suoi principi, forse, l’abitudine di quel tè sarebbe potuta diventare un vizio licenzioso. Si sarebbero ritrovati, allora, nascosti in qualche camera remota di qualche locanda lontana, a bruciare di baci e carezze, a dimenticarsi di tutto il resto. Avrebbe scoperto che i fianchi di burro della Weasley riempivano le sue mani, che il suo ventre pulsava del suo piacere, che la sua bocca alitava la sua presenza.

In un altro mondo.

Non in quel mondo.

Fu il pensiero di un attimo e, nonostante un moto d’istintivo disgusto gli fece rivoltare le viscere, alzandosi e prendendo l’impermeabile, sorrise fra sé e sé.

In fondo non sapeva neanche perché fosse lì in quel momento.

Attese che lei indossasse il suo soprabito e uscirono insieme dal caffè.

Non si strinsero la mano per salutarsi. Non lo avevano mai fatto.

«Suppongo ci incontreremo a King’s Cross, giorno 1 settembre, no?» chiese Ginny.

«Penso di sì» rispose Draco, anche se l’idea di incontrare Potter e i Weasley lo allettava ben poco.

«Allora arrivederci» concluse lei, osservando il cielo nuvoloso perplessa e alzandosi il colletto della giacca. «Che tempaccio, mi chiedo perché debba essere sempre così a fine Agosto» borbottò, evitando di guardarlo, voltandogli le spalle e facendo un cenno di saluto con la mano.

Draco non rispose.

Osservò il cielo con la stesse indifferenza di prima.

In effetti, faceva schifo sul serio.

Ma non gli importava.

Non gli importava tanto quanto le auto che sfrecciavano intossicando l’aria, i mezzi pubblici, i Babbani presi dai loro inutili problemi.

Tanto quanto, in fondo, non gli importava della moglie di Potter.

Si guardò il palmo della mano con il quale l’aveva afferrata, poco prima.

 “È calda, la mano della Weasley”.

Scosse la testa e sorrise, prima di avanzare dalla parte opposta rispetto a quella di Ginny.

Infilò la sua mano in tasca.

Che pensieri; di certo, stava iniziando a diventare vecchio.

 

 

 

  
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