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Autore: Gwenhwyvar    14/04/2015    1 recensioni
Dal testo:
Romano. La sua mente si concentrava su quel lemma, come se fosse una parola “chiave” utile per memorizzare pagine di libri di testo che non ha voglia di studiare
* * * *
Lupa fissò la ragazza davanti a sé e rifece il suo sorriso lupesco, che aveva un che di inquietante, illuminato solo dalla luna. – Hai capito la risposta alla domanda che ti sei fatta per tutto il tuo soggiorno qui
* * * *
‘Sempre a testa alta’
Genere: Generale, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Frank Zhang, Hazel Levesque, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio, Reyna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buon ciao a tutti voi che passerete da qui!  
Questa è la prima long che pubblico  e sono molto nervosa al riguardo.
La storia è nata dalla domanda 'Ma questi romani cosa fanno?'. Tutti ci siamo fatti questa domanda, ammettetelo. In HoH si possono carpire alcune cose però a me le informazioni mi lasciano piuttosto insoddisfatta.  Spero di saperne di più in BoO ma intanto  la mia mente ha cercato di sviluppare qualcosina e spero che quel qualcosina sia di vostro gradimento ^^
Ringrazio la mia amica di cuore che finalmente è riuscita a convincermi a pubblicare
 

CAPITOLO 1- Una notte da lupi

 
Quella in cui Emma conobbe Lupa, fu una vera notte da lupi. Forse perché in quella campagna non regnava il rumore che vi era in città e cui lei era abituata o forse perché c'era un che di mistero, qualcosa di magico che si librava nell'aria, invisibile ma tangibile nel cuore e nel sangue. Emma era stata pervasa da questa sensazione di magia prima che gli animali facessero la loro comparsa. La ragazza era uscita dalla casa in campagna che i suoi avevano affittato per le vacanze in una rustica cittadina della California. C'era stato un caldo tremendo quel giorno e lei era andata avanti grazie alle bibite ghiacciate. Ora che il sole e il caldo asfissiante avevano lasciato spazio all’ombra e freschezza, Emma ne aveva approfittato per ristorarsi prima di andare a dormire. I suoi stavano guardando un programma in televisione, il che era strano dato che la tv si accendeva solo per i film di Harry Potter o per un notiziario particolarmente importante e occasionale, altrimenti i suoi compravano il giornale.
Emma si sedette sull'altalena, una di quelle con enormi cuscinoni a righe blue e bianche, e fissò i puntini di luce che ornavano il cielo come se fossero lustrini che decoravano un vestito nero.
C'era una gran tranquillità e la magia nell'aria cominciava a farsi sentire, una magia che faceva risuonare qualcosa che attirava qualcosa dall'interno di Emma. Sentiva il suo sangue come se cantasse, come se attirasse qualcosa verso di lei. Poi la piacevole atmosfera creata dalla magia, così tranquilla e rilassante, fu spezzata dalla non altrettanto piacevole, sensazione di essere osservata. Scattò a sedere e scrutò gli alberi attentamente ma nulla apparve nel suo campo visivo. Restò a guardare per diversi momenti, perché ormai la sensazione era diventata un martello che picchiettava nel suo cervello e la sua iperattività, che sembrava essersi assopita un pochino poco prima, divenne più … iper.
Non è niente” pensò per rassicurarsi, “Stenditi per un altro pochino e poi rientra”. E così fece.
In verità avrebbe dovuto prendere ad esempio tutti i film horror, che quel pazzo di suo cugino, le aveva fatto vedere, e rientrare in casa immediatamente. E dire che si lamentava spesso con i protagonisti perché non ascoltavano i suoi suggerimenti. Sembrava che ora fossero tutti nella sua testa a guardarla con espressione di chi la sapeva lunga e che la incitassero a rientrare a casa. Se Emma avesse ascoltato il protagonista dell’ultimo film horror che aveva visto, pieno di cliché ma abbastanza simpatico, probabilmente avrebbe continuato a fare una vita tranquilla, si sarebbe diplomata con i suoi normalissimi amici, sarebbe andata in un normalissimo college e avrebbe finito per trascorrere i suoi giorni in una normalissima casa di riposo per gli anziani.
Invece, Emma era un po’ come quegli scapestrati dei protagonisti dei film horror e quindi per lei era naturale andare a cacciarsi nei guai. Non trovò madri fantasma che cercavano i figli o vampiri che volevano succhiarle il sangue. Né ragazzine che, possedute dal demonio, cercavano di convertirla al satanismo. 'E che cavolo, io sono atea' borbottò mentalmente, mentre nella sua testa predominava l'immagine della bambina de l'Esorcista.
Il film della sua nuova vita cominciò con un lupo. Un lupo grigio e dagli occhi color ambra, da come poteva vedere dalla luce dei lampioni, e molto alto. Non aveva mai avuto occasione di vederne uno da vicino, prima di allora, ma era piuttosto sicura che quei canidi avessero dimensioni più contenute rispetto a quello che si trovava davanti. Dietro di lui apparvero altri, che avevano delle dimensioni 'normali'. Emma si sentì sbiancare. Tra le possibili morti che aveva valutato, ’sbranata dai lupi' non rientrava nella top five. Emma non aveva molta simpatia per i cani normali e la cosa era reciproca. Trovarsi un branco di lupi, la stava mandando nel panico. Il cervello le diceva di scappare, le gambe erano diventate di marmo. L'urlo che avrebbe voluto fare, le morì in gola.
Il lupo grande avanzò leggermente, piano piano, come a voler testare quanta tensione riuscisse a sopportare. In situazioni assurde come quella, di solito la gente non pensa che, dopo aver fatto un compito di matematica, senza aver studiato, ed essere sopravvissuti con la sufficienza, si è pronti a qualsiasi cosa. Però nella realtà, o meglio, nella realtà cui Emma era abituata non accadevano quelle cose. Cominciò a percepire una sorta di sconforto. << Emma >> salutò l'animale. Non aveva mosso muscolo per parlare. Eppure lo aveva sentito con le orecchie e ne aveva avvertita la presenza della mente, che andava svanendo man mano. Il suo sguardo fu catturato da quello ambrato e duro del lupo grande. La stava canzonando con lo sguardo ed Emma ricordò tutte le pseudo vip antipatiche e spocchiose che ingrossavano i corridoi dei licei. Si sentiva provocata. Il sangue, che fino a poco fa l'aveva abbandonata, ritornò a farsi sentire, abbondante come un'inondazione. << Lupa >> rispose Emma dopo un paio di attimi. Restò di stucco. Era sicura che l'animale si chiamasse così però non sapeva come facesse a conoscerlo. Era sbucato nella sua testa così, come se lo avesse sempre saputo. Stava sicuramente delirando.
<< Quindi sai parlare … perfetto … >> disse Lupa per poi avanzare piano piano verso di lei. Le girò intorno, la annusò. Emma era percorsa da brividi lungo la spina dorsale ogni volta che la coda di Lupa la sfiorava, e tutte le volte sperava che non se ne accorgesse. Un'altra cosa riguardo l'animale, come il suo nome, fece capolino nei pensieri della ragazza. Non apprezzava chi si dimostrava debole. Emma non si reputava una persona debole. La vita da adolescente americana non prometteva grandi dimostrazioni di coraggio e di forza però Emma si dava da fare contro i piccoli inconvenienti quotidiani. Con i bulli a scuola, sanciva tregue in cui entrambi s’ignoravano. Se c'era da passare alle mani, Emma non aveva problemi. Di solito non attaccava mai, si limitava alla difesa personale. Tranne una volta, in cui un sua coetanea l’aveva presa in giro davanti a tutti, scherzando su una questione familiare di cui non sapeva come ne fosse venuta a conoscenza. Non ricordava molto dell’accaduto, solo la rabbia e il rosso. Le raccontarono poi dell’aggressione alla smorfiosa e il fatto che le avesse rotto un piede. Il preside aveva convocato in suoi dicendo che doveva cambiare scuola. In ospedale aveva dovuto chiedere scusa davanti ai genitori della ragazza che come lei, ricambiò le scuse di malavoglia. Come poteva pensare ai suoi trascorsi spiacevoli proprio in quel momento, non ne aveva idea.
<< Interessante… >> commentò Lupa, come se sapesse cosa stesse pensando in quel momento. Il cerchio di lupi si aprì e Lupa scattò verso il bosco, seguita da alcuni membri del suo branco.
Emma rimase ferma al suo posto, stralunata e incapace di dare un filo logico a quello che stava succedendo. Il latrato di uno dei lupi rimasti ad aspettarla, la riscosse dalla sua trance. Due di loro erano rimasti ai margini del bosco, con aria di attesa. Volevano che li seguisse. Le sue gambe, tanto immobili prima, sembravano incapaci di sostenerla, perché tremavano molto.
I primi passi furono piuttosto difficili. E poi perché stava rincorrendo un lupo enorme parlante? Sua madre gli aveva detto di non bere lo spumante al matrimonio di zio George, un fratello del marito di sua madre.
La sua parte razionale le stava dicendo che era idiota, incosciente e incoerente. La prossima volta che avrebbe visto un horror, avrebbe fatto bene a tacere.  Anche se le sue avventure preferiva che iniziassero con una lettera verso una scuola di maghi in Inghilterra o un vecchio stregone che le chiedeva di nascondere un anello maligno. Di certo non con degli enormi lupi parlanti.
Un altro ululato la fece sussultare. Se la sua parte razionale continuava a urlarle che è un idiota, una parte più istintiva aveva preso il sopravvento e la fece correre. Correre le diede un certo senso di libertà, il vento che le arrivava in faccia e le scompigliava in capelli (di sicuro non come Pocahontas, di questo era certa), sembrava scacciare la parte razionale della sua testa, che era diventata un po’ fastidiosa, lasciando solo la voglia di correre. Molti ululati squarciarono l'aria ma Emma non sentiva paura. Lupa non le avrebbe fatto del male. Non ora, almeno. Lo sentiva. E continuò a correre.
 
Azalea Hernandèz, 37enne, sposata con Amadeus Robinson, stava guardando un film con il proprio marito e ricordando il loro primo appuntamento, avvenuto appunto al cinema. Suo marito era una normale persona al contrario suo che per un certo periodo della sua vita aveva vissuto in campo estivo per semidei. Era nata e aveva passato un’infanzia nel quartiere più malfamato di Nuova Roma, in cui spesso era costretta a rubare per vivere. Sin da piccola era stata attirata dalle piante e alcuni poveri contadini la conoscevano e le avevano insegnato qualcosa. Un giorno la videro far crescere un seme appena piantato nel giro di pochi minuti. E l’avevano segnalata al campo. Lì era stato diverso. Aveva partecipato a imprese, combattuto con i mostri e alcuni li aveva uccisi. Si era sempre trovata a disagio all’idea di uccidere qualsiasi forma di vita, anche se malefica come quella di chi proveniva dal Tartaro. Per questo motivo visse i suoi dieci anni di servizio angosciosamente. Le uniche cose che la aiutavano a sopportare la sua permanenza erano la sua migliore amica, una discendente di Mercurio di nome Ignatia, e un figlio di Marte per cui si era presa una bella cotta, il cui nome era August.
Ignatia era un tipo solare, una brava ladra e, come lei, un tipo più da formica che da cicala. Ignatia comprendeva il perché dei suoi passati furti mentre lei capiva la sua ossessione per il risparmio, anche se a volte era seriamente ossessiva.
August era un guerrafondaio, da bravo figlio del dio della guerra. Amava discutere e litigare, sempre nei limiti di un romano, invece lei faceva discussioni solo sull’alimentazione. Erano molto diversi, anche nell’aspetto fisico. Lei aveva la pelle chiara, i capelli biondi come le spighe mature a giugno, gli occhi azzurri come il cielo di quel mese. Non era molto alta e neanche molto robusta, anche se gli allenamenti al Campo Giove e i tre pasti assicurati ogni giorno le avevano fatto da toccasana per il suo fisico rachitico. Anche se come tutte le figlie della dea delle messi avevano le forme al punto giusto, anzi alcune sue sorelle erano anche più formose. August invece era alto e robusto, gli occhi e i capelli erano castani, la pelle rossastra. Un giorno, sulle rive del Grande Lago, i due si misero insieme. I primi tempi furono belli. Era premuroso, un po’ possessivo nei suoi confronti. Fu la sua prima storia e la più deludente. Il figlio di Marte aveva altre due ragazze con cui se la spassava quando non era con lei e la scoperta la fece sentire umiliata, ingenua e stupida. In seguito, la sua migliore amica morì durante un’impresa. Azalea si sentì più sola. Ignatia sapeva tutto di lei, il suo passato, le sue paure. La figlia di Cerere decise di abbandonare quel posto così impregnato di dolore. Nonostante non si trovasse molto bene al Campo, alla fine vi era un po’ affezionata, ma non bastò per impedire alla ragazza di andarsene. Aveva compiuto ventuno anni.
Il mondo esterno lo aveva solo assaggiato, ne aveva visto solo il trailer. Era più disordinato, frettoloso. Da un lato, Nuova Roma era preferibile, era più sicura, c’erano meno ubriachi e molestatori, dall’altro, nessuno pretendeva da lei degli alti meriti in campo militare. In più, niente le ricordava le vicende dolorose che aveva vissuto.
Per finanziarsi gli studi andò a lavorare come badante per anziani in una cittadina di campagna californiana, non molto lontana dalla città di Santa Rosa, un’anziana coppia che la trattava come una figlia oltre che come una dipendente.
Azalea aprì una sua erboristeria, proprio nella città di Santa Rosa. L’impiego e il fatto che dovesse spostarsi, la tenne lontana dagli Harmon, rendendo sua vita divenne più solitaria.
Decise che non poteva restare sola tutta la vita e cerco di rimediare. Non scelse una compagnia maschile, ancora troppo spaventata dall’ultima esperienza per riprovare. Decise di optare per l’adozione.
In una cittadina accanto a quella degli Harmon, più grande rispetto a quella in cui vivevano i due anziani, vi era un orfanotrofio gestite da suore.
Quel posto era un miscuglio di allegria e malinconia. I bambini giocavano e ridevano, contagiandoti, eppure si poteva vedere in loro un briciolo di tristezza.
Aveva notato Emma Rosalie quasi subito. Se ne stava all’angolo con uno sguardo pensieroso e un broncio. Notò delle piccole lentiggini sulle gote e sul naso. Gli occhioni castani fissavano un punto senza vederlo realmente. I capelli allora ondulati, divenuti più lisci col passare degli anni, svolazzavano al vento, anche se la bambina era seduta sotto la tettoia che portava in giardino, in punizione. Numerosi bambini le facevano i dispetti e lei rispondeva con la linguaccia.
Una delle suore le aveva raccontato che una ragazzina, in una classe mista tra gli orfani e alcuni ragazzi più fortunati del catechismo che svolgevano con il prete la domenica, l’aveva presa in giro perché non aveva i genitori, quando egli non era presente. Emma aveva reagito male e le aveva tirato i capelli per poi prendere una forbice e tagliarli. La ragazzina era scoppiata in lacrime ed Emma aveva fatto i capricci perché non voleva chiedere scusa. ‘L’intervento del pastore e di Dio c’è voluto per convincerla’ le aveva detto suor Mary. La piccola ricordava ad Azalea se stessa quando aveva la sua età, nonostante la piccola che si trovava davanti aveva più temperamento rispetto a lei. Entrambe non avevano avuto nessuna figura di riferimento, niente dimostrazioni di affetto materno né paterno. Suor Mary le aveva anche detto che nessuno voleva prenderla perché era una ragazzina problematica oltre ad avere
disturbi da deficit di attenzione e iperattività, accompagnati da dislessia. Azalea, a quelle parole, avrebbe voluto adottare immediatamente la ragazzina, consapevole che se fosse stata una semidea, nessuno l’avrebbe compresa meglio di un suo simile. Era una figlia di Cerere e spesso era ignorata dai mostri, però aveva pur sempre un’aura da semidio.
Eppure, decise di farsi conoscere dalla bambina.
Lei e la piccola Emma legarono quasi subito. Come tutti i bambini adorava a giocare con la terra ed Azalea era contenta di insegnarle nuovi giochi. Notò che apprendeva in fretta e che non era per nulla aggressiva come tutti l’avevano dipinta. Reagiva solo se provocata.
Molto dopo, decise di firmare le pratiche anche perché aveva trovato la soluzione al suo problema. L’avrebbero aiutata le piante. Avrebbe coperto l’odore di semidio con il profumo dei fiori. C’era la possibilità che la ragazzina non fosse una semidea e se anche lo fosse, finché restava ignara dell’esistenza di quel mondo, i fiori sarebbero bastati.
Lei e sua figlia vissero bene. Fece frequentare a Emma una scuola pubblica, in modo da avere migliori rapporti con l’esterno.
Era una vita semplice come quella di tanti americani.
I problemi vennero quando Azalea conobbe un suo coetaneo. Probabilmente era stupido, eppure quando Amadeus Robinson le chiese di uscire, accettò senza pensarci troppo. Il più grande ostacolo fu la piccola Emma che nel suo piccolo mondo, vedeva rubate dal primo che passava, le attenzioni e l’amore che aveva sempre voluto. Si rifiutò di parlare tranne quando Amedeus era in casa. In quelle occasioni, diventava veramente rumorosa per impedire ogni sorta di dialogo tra loro due.
Amedeus lavorava come insegnante di sostegno in una scuola media e aveva preso varie certificazioni per l’educazione di ragazzi con deficit e problemi vari.
Ci sapeva fare anche con i bambini. Non seppe che cosa disse mai a Emma ma riuscì a farsi sopportare da lei e poi a farsi voler bene. Infine Azalea sposò Amadeus ma Emma non lo chiamò mai 'papà' Durante la sua relazione, Azalea cercò di non concentrarsi solo sulla sua vita sentimentale in modo che Emma riuscisse a sopportare un’altra persona con cui dividere l’affetto.
E fino a quella sera tutto era andato bene.
Azalea percepì che qualcosa non andava in giardino, dove si trovava sua figlia, forse per istinto materno, forse per i sensi sviluppati nel periodo al Campo Giove.
Non si sentì più niente per un po’ di tempo e la donna decise di rilassarsi, senza successo. Il silenzio era troppo, troppo intenso. Sua figlia aveva la tendenza a distruggere tutto quello che la circondava, anche se non lo faceva apposta. Come un uragano.
<< Azalea, c’è troppo silenzio lì fuori, non credi? >> le domandò il marito, accortosi anche lui della stranezza. A Nuova Roma si vociferava sempre sulla stupidità dei mortali ed era vero quanto non lo era.
<< Si >> rispose flebilmente.
<< Forse avevi ragione su quella cosa che mi hai raccontato … >>con un tono di chi si rendeva conto
Amedeus sapeva degli dei e di tutto da poco più di un mese, quando Azalea ebbe cominciato a sospettare degli strani comportamenti di sua figlia come quando le raccontava di vedere cose strane nelle piante. Le analisi del sangue le diedero la conferma che non aveva assunto alcool o droghe. Amadeus non era andato in escandescenze quando le aveva raccontato tutto che se aveva avuto inizialmente difficoltà a crederle. Ed era amareggiato perché non gli aveva mai parlato di questo, vero o falso che fosse. Suo marito non possedeva il dono di vedere attraverso la Foschia, di conseguenza, non aveva potuto fornirgli alcune prove materiali.
Venere doveva essere stata in suo favore perché ci avevano messo una pietra sopra e continuato la loro vita come sempre.
Azalea si alzò dal divano e corse verso la foresta, in cerca di qualcosa che poteva confermare i suoi dubbi, e in parte, le sue paure. A Nuova Roma, tutti i genitori erano fieri di far entrare i propri figli in Legione tuttavia persisteva la paura costante che non sarebbero più ritornati. Il ricordo di Ignatia, la sua migliore amica si rifece vivido nella sua mente, dopo anni in cui era stato custodito gelosamente ma mai dimenticato. Aveva piantato dei girasoli nel suo giardino, i suoi fiori preferiti, per commemorarla. Le lacrime sfuggirono dai suoi occhi, annebbiandole la vista. Non avrebbe visto tracce di sua figlia neanche se avesse avuto la vista notturna di un gatto.
La consapevolezza che sua figlia stava per andare incontro a un pericoloso destino si fece strada dentro di lei e scoppiò in un pianto disperato.
Amedeus l’aveva intanto raggiunta e aveva compreso che ormai Lupa si era portata via la loro piccola.
 
Emma non sapeva per quanto tempo avevano corso ma ci volle meno del previsto per arrivare alla destinazione. Durante il tragitto si erano dovuti fermare più volte perché, non essendo molto abituata al buio, inciampava spesso. E ogni volta i lupi sembravano guardarla con aria famelica, che la metteva non poco a disagio.
<< Inciampa di nuovo, e mi sa che non arrivi alla destinazione >> l'aveva minacciata Lupa e, si era impegnata seriamente, spinta dall'istinto di conservazione e dalla pura voglia di farsi valere. Non si poteva aspettare che un rinforzo negativo la abbattesse, anzi.
Passate alcune ore, arrivarono alla destinazione. Emma non vedeva l’ora perché era molto stanca.
La destinazione la conosceva bene, in verità.
Una volta, le avevano dato da leggere per le vacanze invernali un libro di Jack London in vista di una gita scolastica su di lui, anche se lei, infine non ci era andata. Sua madre l’aveva obbligata a visitare la signora Harmon, donna per cui sua madre aveva lavorato in passato. Avevano avuto alcune discussioni ed Emma notò solo adesso quanto fosse preoccupato lo sguardo di sua madre. Capì che sua madre non voleva che andasse in quel posto. ‘Allora lei lo sapeva …’ pensò Emma e quella consapevolezza le provocò una fitta al petto, dentro la gabbia toracica. Non era un vero e proprio dolore. Delusione. Ecco cosa provava.
Scacciò quel sentimento via.
Ora, si ritrovava lì, nell'ampio spazio erboso che circondava la casa.  Un venticello fece smuovere le foglie in modo e produssero un fruscio un po tetro. Sentiva quella magia che aveva percepito nella casetta affittata, solo più forte, e mista a qualcosa di primitivo.
<< Benvenuta alla Casa del Lupo >> esordì Lupa senza alcuna inflessione particolare,<< la risposta alla minaccia di prima è molto … gradita. Non abbattersi è sintomo di forza, e ciò è molto … romano >> finì con un tono di approvazione.
Emma era contenta che non sarebbe stata usata per cenare, però la sua mente era in preda alle domande. Che cosa aveva fatto? Perché era andata lì? Che cosa ci faceva alla casa di Jack London? Che intendeva con la parola ‘romano’?
Romano. La sua mente si concentrava su quel lemma, come se fosse una parola “chiave” utile per memorizzare pagine di libri di testo che non ha voglia di studiare.
<< Le spiegazioni arriveranno a tempo debito. Ora dormi >> ordinò Lupa, con un tono che fece morire ogni forma di protesta di Emma. Se prima Emma aspettava solo il momento di dormire, ora non ne voleva proprio sapere. E poi non voleva dormire insieme a quegli animali, anche se fu costretta perché non voleva far arrabbiare Lupa proprio ora che aveva smesso di considerarla come un probabile pasto.
Si sdraiò e Lupa accanto a lei. Emma finse di dormire però era sicura che Lupa sapesse che non stava dormendo. Non riusciva ad assopirsi, troppo caos c'era nella sua testa. Razionalmente, andarsene in giro con dei lupi di notte, parlanti o meno, non era una cosa esattamente raccomandabile. Eppure le sembrava giusto essere là. Non sapeva perché, non sapeva nulla.
Quando si addormentò, fece un sogno strano.                         
Si trovava in una città in fiamme. Tra le macerie, corpi carbonizzati e sanguinanti erano riversi a terra. Emma sembrava l'unica sopravvissuta a quella devastazione. Girò per le strade in cerca di qualcuno, chiunque fosse, di vivo. In effetti, persone ancora in vita c’erano, ma da come si accasciavano agonizzanti, capiva che non lo sarebbero stati per molto. Non aveva guardato la morte prima d’ora e anche se quello era un sogno, turbò la ragazza lo stesso. Sembrava così reale che Emma si accorse che fosse una visione onirica solo perché lei era vestita in abiti moderni, mentre i corpi di alcune donne dalle chiome ricce vestivano di abiti antichi, di epoca greco-romana. Non avrebbe saputo dire a quale civiltà apparteneva esattamente.
Più in là, un ragazzino scappava da un guerriero. Emma corse ad aiutarlo ma, quando stava per prendergli la mano, trapassò il ragazzo. Si fermò stranita. Doveva assistere a quel tripudio di morte senza poter fare niente. Il bambino fu presto raggiunto e catturato dal guerriero. Fissò la direzione in cui sparirono.
Sperava solamente di svegliarsi, ma qualcosa glielo impediva. Cadde sulle sue ginocchia, talmente stranita che le sue gambe non la ressero più. Un movimento catturò la sua attenzione. Si avvicinò di soppiatto verso la direzione da cui proveniva.
Erano un gruppo di persone, una di loro anziana, e si dirigevano verso il mare.
Emma si ritrovò subito nella spiaggia, come spesse volte nei sogni capita che le lunghezze si accorcino o si allunghino. La spiaggia doveva essere stata bellissima ma ora era devastata. Legna, corpi e sangue erano ovunque. Il gruppo si diresse verso una nave e poi salpò. Emma rimase sulla spiaggia mentre osservava le persone salpare e solcare il mare leggermente mosso, grazie alla luce pallida della luna e alle fiamme che ancora divampavano nella città. Dalla sua posizione vide uno strano edificio scuro. Stuzzicò la sua curiosità, perché qualsiasi esso fosse, non serviva da abitazione. Aveva la sensazione di aver già sentito parlare di qualcosa del genere. Tutte e due le emozioni trovarono appagamento. Lo strano edificio scuro che aveva visto era un cavallo di legno. E non stava sognando, ma rivivendo la caduta di Troia.
 
All'improvviso aprì gli occhi, facendo lunghi respiri. Il cuore pareva essere diventato un macigno pesante e persisteva ancora il turbamento che aveva provato in sogno. Di fianco a lei c'era Lupa, sveglia e operativa. La fissava con il suo sguardo ambrato e aveva tutta l'aria di sapere cosa fosse successo. Emma abbassò lo sguardo per terra, fissando un piccolo sassolino, cercando di scacciare le immagini dell'antica città anatolica dalla mente.
<< Gli uomini dicono spesso che non tutti i mali vengono per nuocere. Se quella città non fosse caduta, se tutte quelle persone non fossero morte, tu ed io non saremmo qui a parlarne.  Probabilmente, la terra che conosci non sarebbe così. Oppure tu non esisteresti >> continuò Lupa.
Emma era anche più basita di prima. Non era possibile che una città tanto vecchia avesse a che fare con lei. Oltre la sorpresa si aggiunse il senso di colpa. Era felice di essere viva ma sembrava una beffa per quei morti. La voglia di sapere di Emma crebbe.
Quando lasciò casa sua con Lupa, capì che poteva capitarle di tutto. E aspettava solo di sapere che cosa. E sapeva che c'entrava con la parola 'romano'. Le uniche cose cui riusciva a collegare alla parola erano l'Italia e un mucchio di imperatori. Si pentì aveva sottovalutato il suo insegnate delle medie, il signor Wilson, e la sua materia, Storia Europea, avrebbe saputo cosa avessero combinato. Al tempo pensava che fosse una tortura in più studiare la storia che non era neppure del suo paese e lo aveva fatto presente all'insegnante che l'aveva guardata con aria di chi la sapeva lunga, come se avesse previsto che Lupa sarebbe venuta a prenderla. Aveva odiato quel nano zoppicante.
E odiava ancora di più il fatto che avesse ragione.
Emma strinse gli occhi forte perché le visioni raggelanti erano ricominciate. Le immagini continuavano a scorrere e non uscivano dalla mente. Emma provò a fare il contrario: invece di scappare dai ricordi, ne andò a cercare qualcuno di meno raccapricciante. Il mare nero illuminato dalla luna e i sopravvissuti che scappavano. Sapeva che era importante dove andassero quei tipi e non ricordando il luogo, cercò di arrivarci in un'altra maniera.
<< Troia era in Turchia. E questi naufraghi sono andati per mare. Di fronte abbiamo la Grecia, >> borbottò mentre con le mani strappava dell'erbetta per segnare i punti che le interessavano, << Vicino la Grecia c'è l'Italia. Ma certo! Italia!>> esclamò la ragazza dai capelli neri, << Sono andati in Italia! >> esclamò più forte e un lupo lì vicino aprì un occhio per vedere chi lo disturbava.
 
Lupa aveva osservato quella ragazzina che risolveva il suo problema ed era compiaciuta del fatto che non avesse preso a lagnarsi. Decise di dirle alcune informazioni su cui tenere la mente occupata, prima di rodersela completamente quando le avrebbe detto ciò che la riguardava più da vicino. << Chi è andato in Italia? >> domandò come se non sapesse già la risposta.
<< Delle persone provenienti da Troia >> le rispose entusiasta, il tono di voce era alto. Gli occhi brillavano, ma più che per la scoperta in sé, era per il fatto che avesse scoperto qualcosa, un qualsiasi lume che potesse guidarla per la strada buia e cupa che la ragazza aveva imboccato.
<< Sono molto importanti per te, quelle persone. >> le disse Lupa, la voce puntellata di un tono materno, come un retrogusto.
 
Emma era ancora allibita riguardo alle capacità comunicative di Lupa che avevano un non so che di affascinante. Voleva parlare ancora con quel lupo, sentire la voce priva di emozioni ma puntellata di maternità, come le gocce di cioccolato su quelle brioches tonde che vendono nei panifici. Voleva sentire impresso nella mente ciò che diceva e sentirlo svanire, come quando soffi su un vetro e si crea l'alone che man mano, cominciando dai bordi, inizia a svanire. Sembrava stupido ma dava assuefazione. Era il modo di Lupa per avere la tua completa attenzione.
<< Che relazione posso avere con persone vissute non so quanti anni fa? >>incalzò Emma, impaziente di sentire Lupa parlare e di sapere la risposta. Era questione di sapere, quella, però sembrava ovvio che Lupa non volesse snocciolarle le informazioni tutte insieme e sicuramente non quando avrebbe schioccato le dita. Ora sembrava avere intenzione di dirle qualcosa ed Emma voleva sapere quel qualsiasi cosa. Aveva studiato di Troiani che andavano in Italia, però ricordava poco di tutta la storia e qualsiasi dettaglio poteva essere importante.
<< Te l'ho già detto prima. Probabilmente non esisteresti >> rispose. Emma ignorò il fiotto di delusione. Sperava in qualcosa di più, anche un piccolo indizio su cui arrovellare il cervello.
<< Il più importante tra il gruppo che hai sognato è Enea >>continuò Lupa, il tono tranquillo. Emma era così concentrata a cercare informazioni da non rendersi conto di una cosa ovvia. Troia era esistita e ora Lupa le parlava di Enea. Erano solo miti, ma un lupo parlante stava rivangando la storia … l'Eneide, così come l'Odissea e l'Iliade, era reale. Se erano reali queste storie, le conseguenze erano talmente tante che la mente di Emma non volle registrarle perché stravolgevano tutto quello in cui aveva sempre creduto. Uno spiraglio di Emma la vecchia ragazza liceale e spensierata, forse un po’ superficiale, ma abbastanza razionale, le impedì di diventare completamente pazza. Aveva sempre creduto a quello che aveva visto e dimostrato. Lo avrebbe fatto anche allora. Era disposta a dare un alto tasso di veridicità a quello che Lupa le avrebbe detto.




 
Allora? Che ne pensate? Mandate qualche recensioncina, intanto tengo le dita incrociate e cerco di non mangiare le unghia per l’ansia.
Se qualcosa non va, siete pregati si farmelo notare ;)
Au revoir :*
   
 
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