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Autore: Baldr    14/04/2015    2 recensioni
Realgar è un esploratore mercenario, uno dei pochi temerari, o forse folli, disposti a sfidare l'inospitale superficie marziana per accontentare le più disparate richieste dei clienti, che si tratti di recuperare oggetti rubati o consegnare materie pregiate tra i vari avamposti disseminati sul pianeta rosso, colonizzato quasi due secoli prima.
Quando verrà ingaggiato per consegnare un'eredità a un'anonima ragazzina, si troverà suo malgrado coinvolto in uno spregevole gioco di potere che potrebbe portare alla distruzione delle città cupola e all'annientamento della vita sul pianeta Marte.
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Kamar







-1-

 
 

    L’autocarro procedeva lentamente a causa della strada fortemente dissestata, addentrandosi lungo la galleria illuminata dai fari, che fendevano l’oscurità totale. Il tunnel, scavato rozzamente nelle rocce porose ricoperte da polvere rossastra, si interruppe davanti a un enorme muro d’acciaio che impediva il passaggio. Il camion si fermò, l’autista controllò i cinque monitor disposti in cabina, collegati ad altrettante telecamere che permettevano di avere una visiona completa dell’esterno del veicolo corazzato. Afferrò il microfono della ricetrasmittente e lo avvicinò alla bocca. «Inizio pressurizzazione esterna.»

    Un clangore metallico, accompagnato da un forte tremore, accompagnò il moto orizzontale di una seconda paratia alle spalle del veicolo.

    Approfittando di quel fragore, una figura nascosta sotto al rimorchio agganciò una piastra cilindrica, spessa pochi centimetri, al fondo del cassone. Il magnete si saldò al metallo con un rumore secco e l’uomo, con il viso coperto da una maschera marrone e occhiali di protezione, spostò la leva sul fianco dell’ordigno: due ganci metallici si conficcarono nel telaio dell’autocarro.
    Realgar accese l’unità, poi sganciò il moschettone dell’imbragatura che lo teneva appeso al veicolo, e si lasciò cadere; avvicinò il mento allo sterno, per proteggere il capo dall’impatto col terreno sassoso, poi si girò sull’addome e strisciò verso il portellone che si stava chiudendo. Dalla sacca, che portava a tracolla, estrasse un’altra placca esplosiva e l’agganciò alla paratia prima che essa concludesse il suo movimento.

    Il rombo tranquillo del motore del camion rimase l’unico suono all’interno della sala di pietra dalle pareti frastagliate. Dopo una decina di minuti, il muro anteriore iniziò a scorrere lateralmente, scomparendo nella roccia, rivelando man mano una galleria meno rozza; vi erano lampadari sulla volta del tunnel, ogni cento metri, che emettevano una debole luce dai toni arancioni, la strada era sterrata ma curata e le pareti erano più regolari.
    Realgar si agganciò alla scaletta posteriore quando il camion ripartì. Passò un braccio tra i gradini di metallo e frugò ancora nella bisaccia, tirando fuori uno specchio. Tese il bracciò verso il fianco destro dell’autocarro, facendo sporgere la superficie riflettente oltre il cassone, quel tanto che gli permettesse di vedere la strada che stavano percorrendo.
    Quando notò le luci acquistar forza in fondo al tunnel, preannunciando la fine dello stesso, calcolò il momento in cui si sarebbe trovato a mezza via tra due lampadari e saltò giù dall’autocarro, acquattandosi a terra. Il lungo spolverino era coperto da polvere rossiccia, tanto che era difficile da intuire che in realtà fosse blu e, assieme alla scarsa illuminazione lo aiutò a mimetizzarsi. Quando il camion scomparve dietro alla curva, si alzò in piedi e lo seguì, camminando lungo la parete della galleria.

    Arrivò così a una vasta caverna artificiale, dal soffitto alto all’incirca sei metri, nella quale erano racchiusi, a una sommaria stima, un centinaio di moduli abitativi, strutture squadrate, una uguale alle altre, talvolta sovrapposte a formare edifici di due piani.

    Tenendosi al riparo delle rocce e dei moduli, raggiunse il centro abitato. Si accovacciò in un punto dal quale godeva di una buona visuale, lasciando scorrere lo sguardo sulle persone che si muovevano per le strade. In lontananza vide un camion, probabilmente lo stesso grazie al quale era penetrato nell’avamposto clandestino.

    Sollevò gli occhiali protettivi, adagiandoli sul capo. Si levò le lunghe ciocche di un biondo platino da davanti gli occhi, poi aprì lo spolverino e, da una tasca interna, prese il cannocchiale. Estese il tubo telescopico, cercando il ladro di documenti, ma nessuno dei volti che incrociava apparteneva al ricercato. Con uno sbuffo di disappunto, si spostò dal nascondiglio alla ricerca di un punto di osservazione sopraelevato. Si arrampicò silenziosamente lungo una scala e si sdraiò con cautela sul tetto, riprendendo a scrutare l’abitato.

    L’obiettivo del cannocchiale indugiò su diversi visi e, alla fine, si fermò su una finestra oltre alla quale individuò il proprio bersaglio. Ripose il tubo all’interno della tasca e tornò a studiare la sua meta, valutando come raggiungerla in quel dedalo di viuzze strette e irregolari.

    Scese dal tetto e si incamminò di soppiatto, le ginocchia flesse e i sensi all’erta. Più di una volta fu costretto ad appiattirsi conto a un modulo, a rimanere immobile, per non farsi individuare da un passante. Raggiunse la meta e si avvicinò cautamente alla strada, rimanendo al riparo nel vicolo. Estrasse dalla tasca destra dello spolverino il radiocomando e inviò il segnale di innesco alla bomba che aveva piazzato sull’autocarro.

    L’esplosione fece tremare le pareti della caverna, rocce di piccole dimensioni si staccarono dalla volta e caddero sui moduli, senza causare danni. Tutti gli abitanti iniziarono a sciamare verso l’autorimessa, per spegnere l’incendio che stava cominciando a propagarsi. Anche il ricercato uscì dalla propria tana e corse via, passando davanti a Realgar che, fermo nella stretta traversa, lo lasciò sfilare senza intervenire.

    Attese qualche istante, poi si sporse a controllare la strada e, non appena fu libera, si precipitò all’ingresso del modulo. La porta era stata lasciata aperta ed entrò senza difficoltà. Si guardò attorno, studiando l’angusto spazio abitativo, adatto a ospitare una sola persona. I moduli erano studiati per essere funzionali e le comodità erano limitate al minimo necessario.

    Ispezionò il letto sopraelevato alla sua destra, fissato alla parete corta; frugò sotto il materasso e, non trovando ciò che era stato rubato, controllò la scrivania posizionata sotto alla zona notte. Rinvenne una cassetta di sicurezza di piccole dimensioni e la appoggiò sul ripiano. Studiò la tastiera numerica sulla sommità, che permetteva di inserire il codice di sblocco della serratura e prese dalla sacca gli arnesi da scasso, iniziando a smontarla. Incise le guaine di due piccoli cavi elettrici, scoprendo i fili di rame e li usò per mandare in corto il circuito. La cassetta si aprì, rivelando il chip, grande quanto un’unghia, in essa contenuto. Lo sollevò davanti al viso, tenendolo tra indice e pollice, poi lo inserì nello slot dello scanner che indossava all’avambraccio sinistro.
    Il display si accese, mostrando il documento elettronico firmato dal responsabile della Fratellanza Nergal, la gilda dei mercanti che dominava tutte le città cupola. Con quello era possibile farsi consegnare a vista un carico di mezza tonnellata di petrosene, la principale fonte di energia su Marte, senza sottoporsi a ulteriori controlli.

    «Trovato» sussurrò soddisfatto, sfilando il chip dal dispositivo; lo fece cadere dentro a un contenitore cilindrico che infilò nello scomparto della cintura.

    Lasciò il modulo abitativo felice di non essersi tolto il respiratore, visto che il fumo aveva invaso la caverna. Abbassò gli occhiali di protezione davanti agli occhi e proseguì a passo svelto lungo la strada. Da una delle abitazioni, uscì precipitosamente un uomo armato di estintore e, involontariamente, lo urtò. Lo sconosciuto non si curò eccessivamente di lui e corse verso l’incendio. Tirò un sospiro di sollievo e proseguì. Arrivò sulla strada principale e, su un lato, vide due quad. Si avvicinò e li ispezionò: come previsto, non trovò le chiavi di accensione. Salì in sella al modello blu e scoperchiò il quadro elettrico, cominciando ad armeggiare con i cavi. In lontananza sentiva le grida degli abitanti dell’avamposto, intenti a domare le fiamme che consumavano il prezioso ossigeno, gelosamente conservato nella caverna.

    Il motore del quadriciclo tossì un poco, prima che le vibrazioni si regolarizzassero.

    «Ehi!»

    Realgar si voltò alle proprie spalle e vide tre uomini corrergli incontro; tra essi, c’era anche il ladro di documenti. Girò immeditamente la manopola del gas e si diresse verso la galleria. I tre inseguitori lo videro fuggire, impotenti.

    «Merda! Mi ha fregato pure la moto!» sbottò il ladro.

    L’amico saltò sul quad rimasto. «Gli vado dietro, andate a prendere l’auto.» Mise in moto e si lanciò all’inseguimento. Tossendo a causa del fumo, il ladro diede una pacca alla spalla del compare, indicandogli una direzione verso la quale scattarono all’unisono.

    Realgar imboccò il tunnel e si voltò per controllare quanto vantaggio avesse. Il sibilo di un fascio d’energia, gli fece intuire di averne meno di quanto sperasse. Si piegò sul serbatoio, spingendo al massimo il veicolo.

    Un’esplosione di scintille accompagnò l’impatto del colpo successivo, che incurvò il parafango posteriore sinistro, che andò a sfregare sullo pneumatico, privo di camera d’aria, cominciando a ledere alla gomma di rivestimento.

    «Maledizione» ringhiò Realgar, preparandosi all’inevitabile. Non appena il battistrada cedette, le sezioni della ruota iniziarono a piegarsi e il quad sbandò. Per non perdere il controllo, fu costretto a rallentare e a controsterzare. Sfoderò la propria pistola con la mancina e si voltò, esplodendo un colpo d’energia verso l’altro quad che guadagnava terreno. Sparare in quelle condizioni non era pratico, ma al terzo colpo, riuscì a centrare la ruota anteriore dell’inseguitore, appiedandolo.

    A trecento metri dalla paratia, la ruota cedette del tutto e l’asse posteriore si ruppe. Realgar abbandonò la moto e corse verso la porta, mentre alle sue spalle sentì il rombo di un altro motore. Si girò e vide un rover sopraggiungere a gran velocità. Impugnò l’arma con la mandritta e sparò un paio di colpi, per rallentarlo ma, uno dei tre occupanti si alzò in piedi sul sedile posteriore e rispose al fuoco, sparando con un fucile.

    Realgar si tuffò di lato e fece una capriola, schivando i globi di energia scarlatta. Alla fine della rotazione, si mise in ginocchio e sparò nuovamente contro il veicolo sempre più vicino. Scattò zigzagando verso il rover poi, a pochi metri dal veicolo, spiccò un poderoso balzo. Grazie alla lieve gravità marziana, oltrepassò l’auto, sparando con precisione con l’intento di disarmare gli aggressori. Quando atterrò alle loro spalle, impugnò il radiocomando e fece saltare la seconda carica, sfruttando l’esigua copertura offerta dal veicolo.

    La brezza iniziò a spirare verso l’esterno e Realgar scattò verso la breccia, mentre la sirena d’allarme entrò in funzione.

    «Sta scappando!» urlò l’uomo sul sedile posteriore, massaggiandosi il braccio stordito dalla scarica.

    «La saracinesca si sta chiudendo, dobbiamo rientrare!» rispose allarmato il pilota.

    «No! Dobbiamo recuperare quei documenti!» intervenne il terzo, a cui Realgar aveva sottratto il bottino.

    «Non abbiamo l’attrezzatura per uscire!» ringhiò il pilota, affondando il piede nell’acceleratore, sterzando repentinamente, per poi tornare verso l’avamposto, mentre la seconda porta metallica sigillava l’apertura, preservando l’atmosfera artificiale della stazione sotterranea.

    Realgar raggiunse il rover, nascosto tra le rocce, e rimosse il telo mimetico col quale lo aveva coperto. Il sole era da poco tramontato e il cielo splendeva dei colori delle aurore, che si muovevano come le onde sulla superficie di un lago. Cinquant’anni prima, i cieli marziani erano decisamente più monotoni privi di quello spettacolo, poi l’Uomo era riuscito a realizzare una barriera magnetica orbitante, per proteggere la superficie dalle violente tempeste solari. Aveva sacrificato uno dei due satelliti di Marte, Phobos, ma si era trattato di una perdita necessaria alla sopravvivenza delle colonie umane.

    Saltò alla guida del veicolo biposto, chiuse l’abitacolo e mise in moto. Le luci esterne si accesero e il sistema di supporto vitale pressurizzò la cabina, iniziando a bonificare l’aria. Realgar controllò i sistemi e lasciò scivolare lo sguardo sui dintorni, sbirciando oltre la calotta, incastonata nel robusto telaio.

    Si avviò tra le creste rocciose che si innalzavano nei pressi del bordo del cratere, simili a un intricato labirinto, che lui conosceva come le proprie tasche. Dopo quasi un’ora di marcia lenta, la pietra aspra e tagliente lasciò spazio a soffici dune, che si alzavano di diversi metri. Risalì sulla cima di una di esse e la cupola di Herschel gli apparve all’orizzonte, rischiarando la notte con le sue luci artificiali, apparentemente piccola rispetto all’immenso bacino che la ospitava.

    La sua attenzione era però rivolta all’oceano di sabbia, spazzato da una lieve brezza, che lo separava dalla cupola. Era il tratto più insidioso del percorso, perché era un mare mutevole che cambiava geografia in base ai capricci del vento. Non aveva abbastanza petrosene come combustibile per seguire il bordo interno del cratere, quindi doveva per forza sfidare le sabbie in esso contenute, stando ben attento a non farsi seppellire dagli improvvisi cedimenti.

    Disattivò il cambio automatico e spinse a fondo il pedale dell’acceleratore; il rover sgommò, sollevando un denso polverone, e si tuffò lungo la scarpata, mentre la duna collassava alle sue spalle.




 
Ritorno con una nuova long, dopo il raptus che mi ha portato a cancellare tutto.
Veniamo alle note.
Fu l'astronomo Schiaparelli a stilare la prima mappa marziana, assegnando i nomi alle formazioni che poteva scorgere dalla Terra tramite telescopio. L'abitudine è rimasta e i successivi astronomi, forti anche dello sviluppo della tecnologia ottica, e alle missioni spaziali, individuarono miriadi di altri oggetti a cui assegnarono nomi in omaggio alle menti illustri del passato o a luoghi terrestri esistenti.
Herschel è uno di questi crateri, con un diametro di circa 300 chilometri, e prende il nome dai due Herschel (padre e figlio), noti astronomi britannici.
Il cratere Herschel si trova nell'emisfero sud di Marte, nella regione denominata Mare Tyrrhenum e, se ci tenete, potete individuarlo grazie a questo link.
Realgar
, invece, è il nome di un minerale dall'acceso color rosso. Mi piaceva l'idea che il protagonista avesse il nome di un minerale dello stesso colore di Marte :D


Grazie a tutti i lettori.
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Daniela

 

   
 
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