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Autore: Kiarana    14/04/2015    0 recensioni
SOSPESA.
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Ino Yamanaka, Shikamaru Nara | Coppie: Hinata/Naruto, Shikamaru/Ino, Shikamaru/Temari
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler! | Contesto: Dopo la serie
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Konohagakure, Paese del Fuoco

“Lo mangi oppure lo lasci quello?”
“ Nah, lascio. Questo gyudon è pieno di cipolla, disgustoso.”
“Potrebbe sentirti, stà zitta. Buttalo di qua che a me non dispiace affatto.”
“Come se potesse fregarmene qualcosa. Odio la cipolla, e quella lì l’ha tagliata così fine da non poterla nemmeno scartare dalla carne. Bleah. Tieni, abbuffati.”

Temari scostò il suo piatto appena più avanti, lasciando le bacchette che aveva usato in maniera disordinata sul tavolo. La forma più semplice e diffusa di cortesia a tavola, soprattutto quando ci si trova a casa d’altri, sarebbe quella di mettere le proprie bacchette riposte ordinatamente nel piatto lasciato non completamente vuoto, per sottolineare al padrone di casa che il pasto servito è stato buono e abbondante. Ma per Temari certe cerimonie erano un mistero. A lei bastava poco per sentirsi a suo agio, e a sua volta riservava alle poche persone che aveva ospitato in casa propria qualche volta, giusto qualche essenziale cortesia. Come ad esempio, chiedere se quella “radice immonda” come la definiva lei, fosse gradita o meno in un piatto. Perché ringraziare un estranea che aveva insistito così tanto per averli a cena a casa sua, quando questa non si era nemmeno presa il disturbo di chiedere a lei o a Kankuro quali fossero i loro gusti? Lei e suo fratello erano lì al Villaggio della Foglia perché avevano accompagnato il Kazekage, quell’emergenza della collisione della Luna con la Terra aveva coinvolto anche il Villaggio della Sabbia. Quella notte, di ritorno all’albergo dove alloggiavano, tra la folla di persone che rientravano nelle proprie abitazioni dopo l’evacuazione, erano stati fermati da una donna presentatasi come la vedova di Asuma Sarutobi. Kurenai li aveva quasi costretti ad accettare quell’invito a cena, rivelatosi poi una scusa per conoscere meglio le persone che facevano attualmente parte della vita di Shikamaru, cui era molto grata per essersi sempre preso cura di lei e di sua figlia Mirai da quando suo marito era morto. Insomma era uno di quei, a dire di Temari, melliflui convenevoli che la gente riservava verso coloro a cui dovevano niente di meno di una forzata riconoscenza. Durante quella cena,avevano dovuto ascoltare la sua storia strappalacrime sul sacrificio del marito, fino a quando la vedova, che aveva anche versato lacrime di commozione, era scappata in un'altra stanza con la scusa di dover cambiare sua figlia. Suo fratello era rimasto il silenzio, coinvolto dal racconto. Temari invece, non aveva fatto altro che sospirare, visibilmente annoiata. Commiserava quella donna, un tempo sicuramente molto più piacente esteticamente, e la sua cieca devozione nell’aver probabilmente abbandonato tutti i suoi sogni per portare in grembo il figlio di un uomo incurante, devoto solo al proprio Villaggio. Kurenai era quel genere di donna che Temari odiava sopra ogni altra cosa. Il solo pensiero di intraprendere il suo stesso tipo di sacrificio la fece rabbrividire senza accorgersene. “Aspettiamo che la vedova ritorni, la salutiamo e poi ce la filiamo con una scusa, va bene? “ sbottò poi a suo fratello, che le annuì mentre finiva in quattro bocconi la sua porzione avanzata.

“Mh, d’accordo. Certo che la bambina gli somiglia parecchio, eh? Intendo al padre.” disse Kankuro ridacchiando alla reazione di sua sorella, che lo guardò di traverso. A nessuno dei due piacevano i bambini, soprattutto quelli piccoli di pochi anni come Mirai. Temari si girò a guardare l’altare dove vi era incorniciata una foto di Asuma, su cui si soffermò assottigliando gli occhi. Era stato un bell’uomo, dalla carnagione scura e dalla vistosa barba incolta. “Boh, gli somiglia? A me quell’età sembrano tutti uguali i marmocchi.”

“Pft, quando si parlerà dei tuoi figli, vedrai che non dirai la stessa cosa.” La canzonò lui, enfatizzando sul Jaan finale, una sorta di suo personale intercalare con cui concludeva le frasi, e Temari si voltò verso di lui per incontrare il suo sorrisetto beffardo, a cui lei rispose col medesimo sorriso.

“Fratello, non mi sognerei mai di privarti del pesante fardello di mandare avanti la nostra stirpe. Non voglio marmocchi, non è un mio dovere sfornarne. Lo lascio tutto a te! A proposito, quando ti deciderai a darci un bel ranocchietto urlante?”

I suoi occhi sfidarono quelli di suo fratello a controbattere, ma Kankuro si limitò a roteare gli occhi per aria e sospirare, come in completo disaccordo. “L’idea non mi dispiace affatto. E tu com’è che sai già oggi, i tuoi desideri di domani?”

“Sciocchezze. I marmocchi puzzano, sbraitano e danno fastidio. Non ne voglio oggi e non ne vorrò domani. E tu la pensavi esattamente come me, non ci credo che tu abbia cambiato idea. Cos’è successo?” chiese lei incuriosita.

“Solo gli idioti non cambiano mai idea.” Rispose lui, serissimo.

“E questo che diavolo vorrebbe dire?” La voce di Temari stava già per prendere un inclinazione minacciosa, quando il provvidenziale rientro in scena di Kurenai sventò il peggio. “Chiedo scusa, ma non riuscivo più a trovare la scatola con le spille da balia. Avete già finito di mangiare, volete qualcos’altro?” Domandò cordialmente la donna, ma in risposta entrambi si alzarono dalle rispettive sedie, di cui solo Kankuro riaggiustò la propria al tavolo.

“Siamo a posto così, era tutto molto buono. Ma ora dovremmo proprio andare, domani ci aspetta un viaggio di ben tre giorni per tornare al nostro Villaggio,” rispose quest’ultimo. “grazie per la cena. Ci ha fatto molto piacere, vero?” chiese poi a sua sorella, facendo suonare la sua domanda più come un ordine da eseguire. Temari sorrise sprezzante ad entrambi senz’alcuna nota di allegria, avviandosi all’uscita con al seguito suo fratello che scosse rassegnato la testa. “Ci si vede.” Disse poi lei, chiudendo la porta alle sue spalle.

Camminarono per la strada deserta, in una notte che aveva quasi del surreale. Era tutto tranquillo, regnava un silenzio più raggelante della temperatura, in netta contrapposizione al caos di poche ore prima. “Perché sei stata così sgarbata con la vedova?” Sbottò Kankuro una volta abbastanza lontani dalla residenza Sarutobi, mentre si riaggiustò meglio sulle spalle i suoi pesanti rotoli, dove teneva sigillate le marionette che aveva smesso di portare in giro sulla propria schiena, fasciate in povere bende. I continui cambiamenti atmosferici ne compromettevano il funzionamento, e aveva ormai passato da un bel pezzo l’età giovanile della ribellione, in cui girare con quegli strumenti di tortura appesi alla schiena come se fossero stati un ornamento di guerra gli sembrava così figo. “Ma che diamine hai?” chiese alla sorella che camminava più avanti e che si voltò di scatto verso di lui, negli occhi aveva il fuoco di chi vuole ancora ribellarsi alle regole.

“Che diamine ho io? Che diamine hai tu, vorrai dire! Parli come un santone, uno di quei bonzi che passano la vita a rastrellare le sabbietta dei templi in forme assurde a cui provano a dare un senso, quando in realtà non ne hanno!” Lei non era cambiata affatto, era sempre l’ostinata ed orgogliosa ragazza del Villaggio della Sabbia. Ed era proprio come la sabbia lei, impalpabile e sfuggente. Chi credeva di averla in pugno si accorgeva amaramente che stava già scappando per essere portava via dal vento, altrove. Suo fratello distolse lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore, combattuto sul confidarsi con lei o meno. Erano nei pressi di un alta scalinata, che portava probabilmente verso un Tempio sacro. Kankuro si sedette su quei gradini di pietra, invitando sua sorella a fare altrettanto con un gesto della mano. Poi, si tolse il copricapo nero sospirando, che passò velocemente sul viso, liberandosi della sua pittura facciale da guerra.

“Vuoi la verità?” chiese lui, poggiandosi poi le mani sopra alle ginocchia rannicchiate. Temari non lo aveva mai visto così indifeso. Sembrava fragile come un ventaglio di carta.

“Sono tua sorella, Kankuro. A me dovresti sempre dire la verità, per quanto triste o dolorosa essa possa essere.” Lei rispose sedendosi accanto a lui, con un improvvisa nota dolce nel suo tono.

Kankuro sospirò. “Dovrò sembrarti davvero patetico in questo momento, vero? Mentre tu sei sempre così decisa, non hai mai paura di dire quello che pensi. E sei legata ad un uomo che vive in questo Villaggio così diverso e lontano dal nostro, ma non ti sei mai lamentata nemmeno una volta. Ti apprezzo molto. ”

“Il fatto che io non esterni le mie lamentele non significa che non ne abbia. Ma questo cosa c’entra con te, che sei diventato un bonzo?”

“Vuoi dire che senti la mancanza del Nara quando lascia il nostro Villaggio?” chiese lui incredulo.

“Perché dovrei?” Ridacchiò sua sorella. “Viene a farmi visita quando capita e ce la spassiamo assieme quando capita, mi va benissimo così. Le relazioni fisse non fanno per me. Sai, l’amore è qualcosa che non dovrebbe mai mancare nella vita di uno Shinobi.”

Kankuro la ascoltava in silenzio, estremamente attento. La invitò a continuare con un cenno del capo. Temari fece un grosso respiro, continuando senza alcuna esitazione.

“Ma mi sono chiesta se nell’amore avrei potuto trovare ciò che desidero. Tutto quello che voglio è trarre dalla mia vita quanta più felicità possibile. E l’amore ci rende felicità solo quando la vita ci va bene.” Temari si morse le labbra, al pensiero delle lacrime di poco prima di Kurenai. “Puoi sposarti ed essere felice, puoi avere un figlio, ed essere ancora più felice. Ma puoi anche rimanere improvvisamente solo, e ritrovarti nello sconforto e nella tristezza, magari con un figlio che crescendo si rivelerà di natura ingrata, e lasciarti vuoto come un deserto. Per me tutto questo è inaccettabile. Nella mia vita voglio soltanto essere felice. E lo sarò con chi voglio, quando voglio e come voglio, con tutti gli uomini che mi pare!” Concluse, sbottando una risata in maniera così improvvisa, che anche suo fratello finalmente si sciolse in un sorriso.

“Insomma, non ti basta un uomo soltanto… Potevi dirlo prima, invece di fare tutta questa scenetta!” sbottò suo fratello, prendendosi un inoffensivo pugno in un braccio da lei. Tornò poi serio, riappoggiandosi le mani sulle ginocchia. “E il Nara questo lo sa?”

Temari alzò le spalle. “Credo che lo abbia intuito. A dire il vero non saprei.. Forse dovrei dirglielo.”

Kankuro annuì. “Ti conviene. A me non importa, sai? Riguardo a prima, io sarei pronto a correre il rischio facendomi una famiglia. Mi sta bene che la felicità non mi sia dovuta. La accetto come un dono inaspettato. E poi le cose non possono andare sempre male. Se è per questo, a me non vanno mai bene, ci sono abituato!”

“Allora dovresti apprezzare di più te stesso. Sei tu quello forte, se sei pronto a correre un tale rischio.” Mormorò Temari, ascoltando il rumore delle foglie di un lontano albero mosse dal vento, ad occhi socchiusi. “Tu e Gaara siete cresciuti così tanto, ormai siete degli uomini.” Improvvisamente un pensiero la fulminò: se suo fratello era ormai un uomo, aveva anche delle esigenze maschili. La natura di quel discorso sull’amore e sulla famiglia le divenne improvvisamente chiaro, e quella notte divenne quasi una sorta di alba splendente. “Tu ti sei innamorato!” esclamò improvvisamente, facendo sobbalzare il suo povero fratello, che le saettò le mani sulla bocca.

“Ssssh! Cosa diamine urli, è notte fonda!” sibilò tra i denti, visibilmente imbarazzato. Sua sorella schiaffeggiò via le mani del marionettista, voleva assolutamente saperne di più.

“Chi è, la conosco? E’ del nostro Villaggio? Non dirmi che è quella cretina di Matsuri. Ha finalmente capito che Gaara non è interessato alle donne, e ha ripiegato su di te?” Ridacchiò sua sorella.

Kankuro scosse il capo, inarcando un sopracciglio. “La conosci… ma non è Matsuri. Lei e le altre ragazze della sua cerchia mi stanno appiccicate soltanto perché vogliono che io convinca Gaara a fare chissà cosa. Mi chiedo che problema abbiate voi donne! Se un uomo non vi degna di attenzione, non significa certo che non gli piacciano le donne.”

“Vuoi dire che anche nostro fratello prova… quel tipo di interesse?” Temari sembrò sconvolta. Non riusciva proprio ad immaginare suo fratello minore abbracciare con tenerezza una donna, o baciarla con trasporto. “…Mi stai dicendo che nostro fratello si tocca davanti a qualche rivista indecente come tutti gli uomini? Lui parla con te di queste cose?”

Kankuro la guardò allibito. Parlare con sua sorella era come conversare con un uomo qualsiasi, forse per il fatto che era cresciuta tra molti maschi, ma rimaneva pur sempre una donna. “E perché non dovrebbe? Siamo uomini! E’ solo molto uhm, come dire... Riservato. E’ un pò timido. Matsuri gli piace, quella ragazza è un po’ troppo irruente ma ha un bel corpo, è carina. Mi ricorda qualcuno di mia conoscenza.” Fu la volta di Kankuro di ridere sotto ai baffi. “Sai che taglia di seno porta? Io e Gaara ci abbiamo scommesso sopra. Io dico una A abbondante, lui dice una B.”

Temari scosse lentamente il capo, incredula. “Non posso crederci, il mio innocente fratellino…E’colpa tua. Lo hai portato verso la via della perdizione!” Lo accusò lei, fingendo indignazione. Sapere che Gaara ora era ancora più vicino dall’essere un ragazzo come tanti la rese davvero felice per lui. Per quanto riguardava Kankuro invece, sapeva benissimo che aveva un debole per il gentil sesso, del resto suo fratello era proprio bel ragazzo, ed aveva anche un discreto successo con le ragazze. Negli anni era diventato il più alto della sua squadra, raggiungendo il metro e novanta di altezza, e i suoi costanti allenamenti avevano reso il suo fisico ben costruito: addominali ben scolpiti, pettorali segnati, deltoidi definiti e gambe toniche, il tutto nascosto dalla sua tenuta da marionettista, che lo faceva sembrare solo grosso. Anche la pittura facciale di cui si imbrattava non rendeva giustizia al suo viso, che da pulito aveva qualcosa di affascinante. Era una bellezza decisamente maschile, dalla mascella ben squadrata, naso leggermente pronunciato, sguardo sottile e penetrante, labbra piuttosto carnose. Temari pensò che era da parecchio tempo che suo fratello si abbigliava in quel modo soltanto quando doveva portare a termine una missione, e non quotidianamente come faceva da adolescente. Precisamente dai due anni in cui era stato inserito nella squadra gestita da Shikamaru. Che si fosse innamorato di qualcuno che era stato presente nella sua squadra, e cercasse di far colpo su di lei?
Le uniche donne della squadra erano lei, ed una Jonin della Foglia che era stata affiancata solo occasionalmente come supporto medico, la stessa che anni prima li aveva aiutati nel recupero di Gaara. “La ragazza che ti piace non è del nostro Villaggio, vero? Dai, racconta.” Lo sguardo che le rivolse suo fratello le tolse ogni dubbio.

“E’ di questo Villaggio. Mi ha salvato la vita, ma ti assicuro che quello che ho iniziato a provare per lei non ha nulla a che fare con la riconoscenza che le devo."
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Sunagakure, Paese del vento

La sabbia veniva alzata dal vento in grosse onde, invadendo di polvere ogni angolo del Villaggio Nascosto nella Sabbia, mai nome fu più adeguato per un luogo. Quel posto non era esattamente una meraviglia, ma non si poteva dire lo stesso dei suoi abitanti che avevano accolto con gran calore Shikamaru e Sakura, organizzando addirittura una cena per inaugurare quella nuova collaborazione Sabbia-Foglia. Ed era lì che si trovavano infatti entrambi, in un grande sala di un edificio nella zona centrale del Villaggio. Shikamaru era disperso chissà dove con Temari, mentre Sakura era in piedi accanto ad una finestra, e reggeva un bicchiere mezzo pieno tra le sue sottili dita, mentre parlava con dei medici esperti in veleni lì presenti alla cena, imparando nuove cose e dispensando qualche consiglio che fu molto apprezzato. A colpo d’occhio la si poteva individuare subito in mezzo a tutti quei nativi del luogo che avevano i capelli scuri e la pelle imbrunita dal sole. Era come un cazzotto in un occhio. Kankuro la osservava seduto ad un immenso tavolo dove i ragazzi della sua squadra erano seduti accanto a lui erano cimentati in un accesa discussione, probabilmente roba da uomini. Improvvisamente uno di loro lo punzecchiò con un gomito. “Aniki, la stai consumando a furia di guardarla!” Disse uno di loro, ridendo sguaiatamente allo sguardo perplesso che Kankuro gli riservò.
Si aggiunse al discorso un secondo shinobi. “Non lo biasimo ragazzi, le ragazze della Foglia sono proprio roba di qualità!”

“Uhu?” Kankuro inarcò un sopracciglio. “A me sembra un po’ ridicola, sinceramente. La guardavo perché sembra quasi fuori posto, là in mezzo. La sua faccia mi ricorda un po’ una di quelle ningyo per la festa di bambini…”

Dei lamenti di dissenso seguito da qualche risata beffarda si levò dal tavolo. “Starai scherzando,spero! E’ così graziosa che me la mangerei in un solo boccone.” Disse uno shinobi tarchiato, con una cicatrice che gli segnava una guancia.

Kankuro rise, posando il suo bicchiere e versandosi da bere. “Vi assicuro che c’è di meglio al suo Villaggio. Parlo di belle kunoichi con bei seni grossi come le polpette di cui si sta ingozzando Shibo, non di certo piatte come quella lì. Ha pure una fronte gigantesca, sembra proprio una ningyo.”

“Uah! Aniki sei fortunato ad accompagnare spesso Temari-san e il Kazekage-sama al Villaggio della Foglia! La prossima volta voglio venirci anch’io!” esclamò un piccoletto che venne prontamente spintonato dallo shinobi segnato dalla cicatrice. “Mettiti in fila, bello. Vedrò io per primo queste bellezze, ma prima voglio andare ad approfondire un po’ la conoscenza con la bellezza laggiù. Aniki, presentaci la bambina!”

“Ti accontento solo perché devo alzarmi per andare al bagno.” Ridacchiò Kankuro, spostando una delle sue lunghe gambe fuori dal tavolo e alzandosi, con al seguito un paio dei suoi ragazzi. Una volta di fronte alla piccola folla che accerchiava Sakura, Kankuro si annunciò senza troppe cerimonie, con le mani ficcate in tasca. “Haruno-sensei, disturbiamo?”

Quando la Jonin riuscì ad identificare il suo interlocutore, si soffermò a guardarlo incuriosita, non lo riconobbe subito visto che Kankuro per quella cena era stato costretto da sua sorella a vestirsi di tutto punto e a non dipingersi con la pittura facciale. Ma appena collegò quella figura al ragazzo a cui aveva salvato la vita anni prima, gli rivolse un radioso sorriso. “Ma tu sei Kankuro, il fratello del Kazekage!” esclamò lei entusiasta. Si scusò i dottori, ed andò a stringergli calorosamente la mano. “E’ bello rivederti. Come stai?”

“Sopravvivo. Gli uomini della mia squadra volevano esprimerti la loro gratitudine, non vedevano l’ora di incontrare la grande Haruno-sensei.”

Sakura sorrise, scuotendo il capo. “Chiamatemi Sakura. E’ un piacere fare la vostra conoscenza! Spero che lavoreremo bene insieme. Sapete, il vostro Capitano ha una resistenza al veleno davvero prodigiosa. Con le mie stesse mani ho estratto dal suo corpo delle quantità di veleno tali che avrebbero potuto uccidere un intera mandria…è davvero un uomo straordinario. Dovreste davvero essere fieri di avere un Capitano del genere!”  

Kankuro si sorprese. Quella strana tipa si ricordava di lui dopo così tanto tempo, ed aveva speso anche delle parole piuttosto gentili nei suoi confronti. “…Non è niente di speciale.”

“E’ soltanto la verità.” Osservò semplicemente Sakura. “Ma che gli prende ai tuoi uomini?”

Gli shinobi della squadra di Kankuro lo guardarono commossi, iniziando teatralmente a piagnucolare l’una sulla spalla dell’altro “Aniki! Sei veramente un grande! Haruno-sensei, grazie per aver salvato il nostro Aniki!”

“Piantatela subito, vi state rendendo ridicoli. Che branco di idioti…” commentò Kankuro che si passò imbarazzato una mano tra i capelli, osservando Sakura ridacchiare allo spettacolino.

Improvvisamente, si udirono delle grida che fecero voltare i due verso il fondo della sala: Shibo, lo shinobi della Sabbia citato prima dalla mole e dall’ appetito immenso, vagava in piedi con le mani attorno al collo. Il suo volto era di un innaturale colore blu cianotico. Sakura cambiò completamente espressione: i suoi occhi divennero fiammeggianti, e con uno scatto degno di una kunoichi, corse in direzione del povero gigante. “Quell’uomo sta soffocando! Kankuro, vieni, ho bisogno del tuo aiuto!”

Kakuro la seguì prontamente, trovandosi a scansare tutto ciò che Shibo buttava per aria ad ogni passo. “Che devo fare?”

“Dal suo colorito e dal modo in cui si tiene le mani al collo, posso dire con certezza che ha le vie respiratorie totalmente ostruite. Devi fargli una manovra che possa liberargliele. E’ davvero troppo grosso per me, con le mie braccia non ci riuscirei mai! Sei pronto? Ti dirò io come mettere i pugni!”

Kankuro annuì prontamente. “Se ci sono da tirare cazzotti ad un ciccione, io sono prontissimo.”

“Cosa? No!” urlò Sakura. “Per prima cosa, passagli dietro alle spalle!”

Con difficoltà Kankuro riuscì a mettersi dietro allo shinobi soffocante. “Ci sono. E sta fermo, idiota!” Lo strattonò lui, urlando poi verso Sakura. “Poi?”

“Adesso trova il suo processo xifoideo, ed applica cinque compressioni con movimento a cucchiaio! Una ogni due secondi, presto!”

“EH? Vuoi che prenda un cucchiaio e glielo ficchi dove?!”

“Non c’è tempo per gli scherzi! …Strizzagli le tue braccia al di sopra della cintura e spremi fino a quando questo idiota non sputa quello che ha incastrato nella gola!” strillò istericamente Sakura.

“Adesso ci capiamo!” Kankuro ghignò ed iniziò a fare come richiesto. Dopo una, due, tre compressioni, Shibo finalmente sputò una patata arrosto, cui sembrò avere avuto la bella idea di ingoiare tutta intera. Il povero Kankuro venne sbalzato via da uno scatto troppo violento del gigantesco shinobi, ed andò a sbattere con la fronte dritta contro uno spigolo di un tavolo. Si rialzò senza problemi, trovando persino qualcosa di divertente su cui ridere dalla cosa, come il fatto che in quel momento, avrebbe potuto prenderlo a cazzotti per un motivo. Ma dalla ferita iniziò ad uscire una preoccupante quantità di sangue, e Sakura lo trascinò contro il suo volere nell’infermeria più vicina, nonostante le sue proteste.
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“Certo che sei stato davvero incredibile… mi tremano ancora le mani!” mormorò Sakura, con un piccolo sorriso dipinto sul volto. “Però devi stare fermo. Altrimenti non posso ricucirti come si deve, ho quasi finito. Tra qualche settimana vediamo se possiamo togliere i punti. ”

“Ma è proprio necessario tutto questo? Si sarebbe chiuso comunque se ci schiaffavi sopra un…” Kankuro strizzò un occhio, la sensazione dell’ago che entrava ed usciva dalla pelle era davvero fastidiosa. “…Incredibile è una parola grossa, ho solo seguito le sue istruzioni.”

“Ma è vero. Dovresti considerare l’idea di diventare un medico, devi solo imparare qualche termine tecnico…” Ridacchiò Sakura, osservandolo sciogliersi in un sorriso di rimando. “Oh, finalmente mi hai fatto un sorriso sincero. Qualcosa mi dice che ti sto antipatica.” Disse lei, facendo un finto broncio contrito.

“Eh? Non è che mi stai antipatica.. è che mi ricordi un ningyo. Hai presente?”

“Intendi le bambole?” Sakura rise, scuotendo il capo. “Che bel complimento, grazie.”

Kankuro non disse più nulla, non specificò nemmeno che per lui quel tipo di bambole erano orripilanti, e lei continuò seria il suo lavoro, il viso concentrato della Jonin gli era vicinissimo. Sakura era ridicolmente graziosa, continuava a pensarlo fermamente. Ma nonostante il suo aspetto, in lei c’era una determinazione ed una tempra davvero notevoli. Il marionettista sorrise inconsciamente a quel pensiero.

“… quando eravamo prima con la tua squadra, ho dimenticato di dire loro una cosa fondamentale.” Sakura ruppe improvvisamente quel silenzio religioso. “Avevi ragione quando hai detto che scampare ad un intossicazione al veleno non è stata la cosa più importante di quella occasione. I tuoi uomini dovrebbero ammirarti soprattutto perché hai resistito al più grande e corrosivo veleno dell’animo, l’odio. Eri debilitato, ad un passo dal perdere conoscenza. Ma nonostante tutto, implorasti Naruto di salvare tuo fratello minore, il Kazekage. Ti confesso che ho iniziato a credere ai miracoli, dopo questa!” Sakura stemperò il suo tono solenne, sorridendo. “So che vado contro molti principi della Medicina con questa ammissione, ma non saprei definire questo fenomeno con altri termini! Del resto, cosa può essere più forte dell’odio, se non un miracolo?”

Kankuro rimase rapito da quelle parole. Cosa poteva essere più forte dell’odio? Forse lo era quella sensazione che iniziò a salirgli dalla bocca dello stomaco, salendo fino al suo petto. Il suo battito si fece improvvisamente più veloce. Lui non ne capì il motivo, sentiva soltanto che la presenza di Sakura era diventata così confortante da sperare che non andasse più via. “Credo che il sentimento più vicino e più simile all’odio sia l’amore.” Le disse lui, sorridendole. “E se l’amore è un miracolo, credo che da oggi inizierò a crederci anch’io.”

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“E poi che è successo? Vi siete abbandonati alle sconcezze nell’infermeria?” Temari chiese senz’alcuna vergogna al fratello, interrompendolo.

“Ma per chi mi hai preso, sei impazzita? Sakura non è mica una qualsiasi da trattare con così poco riguardo!” Rispose suo fratello con tono offeso. Temari roteò gli occhi per aria, esortandolo a continuare. “Non è successo niente. Ha sorriso, mi ha richiuso il sopracciglio ed è finita lì. I giorni successivi alla sua permanenza siamo stati appiccicati con un Dango e lo sciroppo di zucchero nero. Dove andavo io, c’era sempre anche lei. Sai quanto sanno essere bavosi gli shinobi della mia squadra. Credo preferisse la mia compagnia per questo.

“Molto interessante.” Commentò sua sorella, ironica più che mai. “Quando arriva la roba forte?”

“Non le ho mai messo nemmeno un dito addosso, smettila di chiederlo.” Ammise spazientito Kankuro. “Per tutto il tempo mi ha sempre trattato come un amico fraterno, non avrei mai potuto farlo. Ed è stata dura, per la miseria! Più tempo passavamo insieme.. E più mi accorgevo che lei sembrava fatta apposta per me! Abbiamo passato intere notti di ronda a parlare accanto al fuoco, ed intere giornate a coprirci le spalle. E’ gentile quanto basta, aggressiva quanto basta, dannatamente graziosa quanto basta…”

“…Per farti perdere la tua zucca già vuota!” Sua sorella cominciò a ridere senza fermarsi, e Kankuro increspò il naso, mortalmente offeso. Quando poi si alzò come per piantarla in asso ed andare a raggiungere l’albergo dove avrebbero dormito, lei lo afferrò per una spalla, ricomponendosi all’istante. “Va bene, scusa. La smetto. Che posso dirti… Sinceramente il tuo racconto non mi sta affatto bene. Non è giusto che tu ti finga suo amicone, quando in realtà provi tali sentimenti nei suoi confronti.”

“Non è colpa sua, non ha idea di ciò che provo per lei. Dai, lascia perdere. Torniamo all’albergo.”

Temari stava per dire qualcosa, ma si fermò quando lo vide scrollare lentamente il capo. Si avviarono in silenzio verso l’albergo, avvicinandosi al centro del Villaggio. Alcune bancarelle del Rinne Festival erano state distrutte dai detriti lunari. Ad un certo punto notarono un uomo dall’aspetto repellente che scavava tra le macerie, che estraendo un sacco di iuta eissandoselo sulle spalle scappò via, in direzione dell’uscita del Villaggio.

“Ma tu guarda che animale. Approfittarsene così di una disgrazia…” A Kankuro iniziarono a prudere le mani. “Gli vado dietro, così mi sfogo un po’ sulla sua faccia lurida.”

“Macchè, lascialo perdere. E’ roba che non ci riguarda. Piuttosto, cos’è che ha rubato?” ridacchiò Temari, leggendo l’insegna della bancarella, ancora integra. “Amuleti dell’amore: confessate i vostri sentimenti con un regalo personalizzato… Kankuro!Esclamò lei. “Mi è venuta un idea geniale! Domani noi non ce ne andremo via. Aspetteremo il ritorno della squadra di recupero. Ah, mi ringrazierai.”






Around the Corner
Piccolo aggiornamento, con una delle storie secondarie che leggerete assieme alla storia principale. Niente scienza, solo (una sorta di) fluff, per oggi. Grazie per aver letto il quarto capitolo di “Rinne”! Gli eventi si svolgono chiaramente prima durante la notte in cui Ino trova “l’amuleto”, e il flashback del racconto di Kankuro risale a qualche anno prima di “The Last”. Ho scritto questo capitolo di getto controllandolo una sola volta, mi scuso per gli eventuali errori. Ho finito da poco di leggere il Sakura Hiden. A quanto pare, Sakura dopo la guerra ha deciso di aprire un reparto (con quali soldi?) di psicologia infantile, o qualcosa del genere. Strano, non era quella che aveva chiesto quasi in ginocchio a Sasuke di portarla con sé durante il suo viaggio di redenzione? *ride molto sarcasticamente*
Povera Sakura, credo che sia stata trattata ingiustamente dall’autore dall’inizio alla fine. Vorrei renderle giustizia almeno in questa fanfiction. Cosa ne pensate di Temari e Kankuro? Sono due personaggi che (adoro) nel manga si vedono relativamente molto poco (fidatevi, soprattutto il povero Kankuro!), quindi ho provato a caratterizzarli in maniera molto personale. Vi piacciono? Fatemelo sapere!
Lo sapevate che Yasuyuki Kase (seyuu di Kankuro) ha dato al personaggio di Kankuro una particolarità unica? E’ l’unico ad avere un accento tipico dei teppisti di Yokohama, il resto dei personaggi parlano un giapponese puro da residenti di Tokyo. Kankuro conclude quasi ogni sua frase con un “jaan” finale, io trovo sia una cosa carinissima. E’ un piccolo teppista dal cuore d’oro. *momento fangirl estremo* Ah, il Gyudon è una ciotola di carne e riso, una pietanza molto semplice e famosa. Il dango invece, è un tipo di gnocco sia dolce che salato, anch’esso famosissimo. Grazie per le recensioni! Le apprezzo tutte, continuate a seguire la storia. Vi lascio con questo disegno con Temari e Kankuro disegnati con indosso degli abiti in pieno stile anni 50/60. Credo che il blog sia “Ask Kankuro” o qualcosa del genere.
Alla prossima!
   
 
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