Konohagakure,
Paese del Fuoco
“Lo mangi oppure lo lasci quello?”
“ Nah, lascio. Questo gyudon è pieno di cipolla,
disgustoso.”
“Potrebbe sentirti, stà zitta. Buttalo di qua che
a me non dispiace affatto.”
“Come se potesse fregarmene qualcosa. Odio la cipolla, e
quella lì l’ha
tagliata così fine da non poterla nemmeno scartare dalla
carne. Bleah. Tieni,
abbuffati.”
Temari scostò il suo piatto appena più avanti,
lasciando le bacchette che aveva
usato in maniera disordinata sul tavolo. La forma più
semplice e diffusa di
cortesia a tavola, soprattutto quando ci si trova a casa
d’altri, sarebbe
quella di mettere le proprie bacchette riposte ordinatamente nel piatto
lasciato non completamente vuoto, per sottolineare al padrone di casa
che il
pasto servito è stato buono e abbondante. Ma per Temari
certe cerimonie erano
un mistero. A lei bastava poco per sentirsi a suo agio, e a sua volta
riservava
alle poche persone che aveva ospitato in casa propria qualche volta,
giusto
qualche essenziale cortesia. Come ad esempio, chiedere se quella
“radice
immonda” come la definiva lei, fosse gradita o meno in un
piatto. Perché
ringraziare un estranea che aveva insistito così tanto per
averli a cena a casa
sua, quando questa non si era nemmeno presa il disturbo di chiedere a
lei o a
Kankuro quali fossero i loro gusti? Lei e suo fratello erano
lì al Villaggio
della Foglia perché avevano accompagnato il Kazekage,
quell’emergenza della
collisione della Luna con la Terra aveva coinvolto anche il Villaggio
della
Sabbia. Quella notte, di ritorno all’albergo dove
alloggiavano, tra la folla di
persone che rientravano nelle proprie abitazioni dopo
l’evacuazione, erano
stati fermati da una donna presentatasi come la vedova di Asuma Sarutobi.
Kurenai
li aveva quasi costretti ad accettare quell’invito a cena,
rivelatosi poi una
scusa per conoscere meglio le persone che facevano attualmente parte
della vita
di Shikamaru, cui era molto grata per essersi sempre preso cura di lei
e di sua
figlia Mirai da quando suo marito era morto. Insomma era uno di quei, a
dire di
Temari, melliflui convenevoli che la gente riservava verso coloro a cui
dovevano niente di meno di una forzata riconoscenza. Durante quella
cena,avevano
dovuto ascoltare la sua storia strappalacrime sul sacrificio del
marito, fino a
quando la vedova, che aveva anche versato lacrime di commozione, era
scappata
in un'altra stanza con la scusa di dover cambiare sua figlia. Suo
fratello era
rimasto il silenzio, coinvolto dal racconto. Temari invece, non aveva
fatto
altro che sospirare, visibilmente annoiata. Commiserava quella donna,
un tempo
sicuramente molto più piacente esteticamente, e la sua cieca
devozione
nell’aver probabilmente abbandonato tutti i suoi sogni per
portare in grembo il
figlio di un uomo incurante, devoto solo al proprio Villaggio. Kurenai
era quel
genere di donna che Temari odiava sopra ogni altra cosa. Il solo
pensiero di
intraprendere il suo stesso tipo di sacrificio la fece rabbrividire
senza
accorgersene. “Aspettiamo che la vedova ritorni, la salutiamo
e poi ce la
filiamo con una scusa, va bene? “ sbottò poi a suo
fratello, che le annuì
mentre finiva in quattro bocconi la sua porzione avanzata.
“Mh, d’accordo. Certo che la bambina gli somiglia
parecchio, eh? Intendo al
padre.” disse Kankuro ridacchiando alla reazione di sua
sorella, che lo guardò
di traverso. A nessuno dei due piacevano i bambini, soprattutto quelli
piccoli
di pochi anni come Mirai. Temari si girò a guardare
l’altare dove vi era incorniciata
una foto di Asuma, su cui si soffermò assottigliando gli
occhi. Era stato un
bell’uomo, dalla carnagione scura e dalla vistosa barba
incolta. “Boh, gli
somiglia? A me quell’età sembrano tutti uguali i
marmocchi.”
“Pft, quando si parlerà dei tuoi figli, vedrai che
non dirai la stessa cosa.”
La canzonò lui, enfatizzando sul Jaan
finale, una sorta di suo personale intercalare con cui concludeva le
frasi, e Temari
si voltò verso di lui per incontrare il suo sorrisetto
beffardo, a cui lei
rispose col medesimo sorriso.
“Fratello, non mi sognerei mai di privarti del pesante
fardello di mandare
avanti la nostra stirpe. Non voglio marmocchi, non è un mio
dovere sfornarne.
Lo lascio tutto a te! A proposito, quando ti deciderai a darci un bel
ranocchietto
urlante?”
I suoi occhi sfidarono quelli di suo fratello a controbattere, ma
Kankuro si
limitò a roteare gli occhi per aria e sospirare, come in
completo disaccordo. “L’idea
non mi dispiace affatto. E tu com’è che sai
già oggi, i tuoi desideri di
domani?”
“Sciocchezze. I marmocchi puzzano, sbraitano e danno
fastidio. Non ne voglio
oggi e non ne vorrò domani. E tu la pensavi esattamente come
me, non ci credo
che tu abbia cambiato idea. Cos’è
successo?” chiese lei incuriosita.
“Solo gli idioti non cambiano mai idea.” Rispose
lui, serissimo.
“E questo che diavolo vorrebbe dire?” La voce di
Temari stava già per prendere
un inclinazione minacciosa, quando il provvidenziale rientro in scena
di
Kurenai sventò il peggio. “Chiedo scusa, ma non
riuscivo più a trovare la
scatola con le spille da balia. Avete già finito di
mangiare, volete
qualcos’altro?” Domandò cordialmente la
donna, ma in risposta entrambi si
alzarono dalle rispettive sedie, di cui solo Kankuro
riaggiustò la propria al
tavolo.
“Siamo a posto così, era tutto molto buono. Ma ora
dovremmo proprio andare,
domani ci aspetta un viaggio di ben tre giorni per tornare al nostro
Villaggio,” rispose quest’ultimo. “grazie
per la cena. Ci ha fatto molto
piacere, vero?” chiese poi a sua sorella, facendo suonare la
sua domanda più
come un ordine da eseguire. Temari sorrise sprezzante ad entrambi
senz’alcuna
nota di allegria, avviandosi all’uscita con al seguito suo
fratello che scosse
rassegnato la testa. “Ci si vede.” Disse poi lei,
chiudendo la porta alle sue
spalle.
Camminarono per la strada deserta, in una notte che aveva quasi del
surreale.
Era tutto tranquillo, regnava un silenzio più raggelante
della temperatura, in
netta contrapposizione al caos di poche ore prima.
“Perché sei stata così sgarbata
con la vedova?” Sbottò Kankuro una volta
abbastanza lontani dalla residenza Sarutobi,
mentre si riaggiustò meglio sulle spalle i suoi pesanti
rotoli, dove teneva
sigillate le marionette che aveva smesso di portare in giro sulla
propria schiena,
fasciate in povere bende. I continui cambiamenti atmosferici ne
compromettevano
il funzionamento, e aveva ormai passato da un bel pezzo
l’età giovanile della
ribellione, in cui girare con quegli strumenti di tortura appesi alla
schiena
come se fossero stati un ornamento di guerra gli sembrava
così figo. “Ma che
diamine hai?” chiese alla sorella che camminava
più avanti e che si voltò di
scatto verso di lui, negli occhi aveva il fuoco di chi vuole ancora ribellarsi alle regole.
“Che diamine ho io? Che diamine hai tu, vorrai dire! Parli
come un santone, uno
di quei bonzi che passano la vita a rastrellare le sabbietta dei templi
in
forme assurde a cui provano a dare un senso, quando in
realtà non ne hanno!”
Lei non era cambiata affatto, era sempre l’ostinata ed
orgogliosa ragazza del Villaggio
della Sabbia. Ed era proprio come la sabbia lei, impalpabile e
sfuggente. Chi
credeva di averla in pugno si accorgeva amaramente che stava
già scappando per
essere portava via dal vento, altrove. Suo fratello distolse lo
sguardo, mordendosi
il labbro inferiore, combattuto sul confidarsi con lei o meno. Erano
nei pressi
di un alta scalinata, che portava probabilmente verso un Tempio sacro.
Kankuro
si sedette su quei gradini di pietra, invitando sua sorella a fare
altrettanto
con un gesto della mano. Poi, si tolse il copricapo nero sospirando,
che passò
velocemente sul viso, liberandosi della sua pittura facciale da guerra.
“Vuoi la verità?” chiese lui,
poggiandosi poi le mani sopra alle ginocchia
rannicchiate. Temari non lo aveva mai visto così indifeso.
Sembrava fragile
come un ventaglio di carta.
“Sono tua sorella, Kankuro. A me dovresti sempre dire la
verità, per quanto triste o dolorosa essa possa essere.” Lei rispose sedendosi
accanto a lui, con
un improvvisa nota dolce nel suo tono.
Kankuro sospirò. “Dovrò sembrarti
davvero patetico in questo momento, vero? Mentre
tu sei sempre così decisa, non hai mai paura di dire quello
che pensi. E sei
legata ad un uomo che vive in questo Villaggio così diverso
e lontano dal
nostro, ma non ti sei mai lamentata nemmeno una volta. Ti apprezzo
molto. ”
“Il fatto che io non esterni le mie lamentele non significa
che non ne abbia.
Ma questo cosa c’entra con te, che sei diventato un
bonzo?”
“Vuoi dire che senti la mancanza del Nara quando lascia
il nostro
Villaggio?” chiese lui incredulo.
“Perché dovrei?” Ridacchiò
sua sorella. “Viene a farmi visita quando capita e ce
la spassiamo assieme quando capita, mi va benissimo così. Le
relazioni fisse
non fanno per me. Sai, l’amore è qualcosa che non
dovrebbe mai mancare nella
vita di uno Shinobi.”
Kankuro la ascoltava in silenzio, estremamente attento. La
invitò a continuare
con un cenno del capo. Temari fece un grosso respiro, continuando senza
alcuna
esitazione.
“Ma mi sono chiesta se nell’amore avrei potuto
trovare ciò che desidero. Tutto
quello che voglio è trarre dalla mia vita quanta
più felicità possibile. E
l’amore ci rende felicità solo quando la vita ci
va bene.” Temari si morse le
labbra, al pensiero delle lacrime di poco prima di Kurenai.
“Puoi sposarti ed
essere felice, puoi avere un figlio, ed essere ancora più
felice. Ma puoi anche
rimanere improvvisamente solo, e ritrovarti nello sconforto e nella
tristezza,
magari con un figlio che crescendo si rivelerà di natura
ingrata, e lasciarti
vuoto come un deserto. Per me tutto questo è inaccettabile.
Nella mia vita voglio
soltanto essere felice. E lo sarò con chi voglio, quando
voglio e come voglio, con
tutti gli uomini che mi pare!” Concluse, sbottando una risata
in maniera così
improvvisa, che anche suo fratello finalmente si sciolse in un sorriso.
“Insomma, non ti basta un uomo soltanto… Potevi
dirlo prima, invece di fare
tutta questa scenetta!” sbottò suo fratello,
prendendosi un inoffensivo pugno in
un braccio da lei. Tornò poi serio, riappoggiandosi le mani
sulle ginocchia. “E
il Nara questo lo sa?”
Temari alzò le spalle. “Credo che lo abbia
intuito. A dire il vero non saprei..
Forse dovrei dirglielo.”
Kankuro annuì. “Ti conviene. A me non importa,
sai? Riguardo a prima, io sarei
pronto a correre il rischio facendomi una famiglia. Mi sta bene che la
felicità
non mi sia dovuta. La accetto come un dono inaspettato. E poi le cose
non
possono andare sempre male. Se è per questo, a me non vanno
mai bene, ci sono
abituato!”
“Allora dovresti apprezzare di più te stesso. Sei
tu quello forte, se sei
pronto a correre un tale rischio.” Mormorò Temari,
ascoltando il rumore delle
foglie di un lontano albero mosse dal vento, ad occhi socchiusi.
“Tu e Gaara
siete cresciuti così tanto, ormai siete degli
uomini.” Improvvisamente un
pensiero la fulminò: se suo fratello era ormai un uomo,
aveva anche delle
esigenze maschili. La natura di quel discorso sull’amore e
sulla famiglia le
divenne improvvisamente chiaro, e quella notte divenne quasi una sorta
di alba
splendente. “Tu ti sei innamorato!”
esclamò improvvisamente, facendo sobbalzare
il suo povero fratello, che le saettò le mani sulla bocca.
“Ssssh! Cosa diamine urli, è notte
fonda!” sibilò tra i denti, visibilmente
imbarazzato. Sua sorella schiaffeggiò via le mani del
marionettista, voleva
assolutamente saperne di più.
“Chi è, la conosco? E’ del nostro
Villaggio? Non dirmi che è quella cretina di
Matsuri. Ha finalmente capito che Gaara non è interessato
alle donne, e ha
ripiegato su di te?” Ridacchiò sua sorella.
Kankuro scosse il capo, inarcando un sopracciglio. “La
conosci… ma non è
Matsuri. Lei e le altre ragazze della sua cerchia mi stanno appiccicate
soltanto perché vogliono che io convinca Gaara a fare
chissà cosa. Mi chiedo che
problema abbiate voi donne! Se un uomo non vi degna di attenzione, non
significa certo che non gli piacciano le donne.”
“Vuoi dire che anche nostro fratello prova… quel
tipo di interesse?” Temari
sembrò sconvolta. Non riusciva proprio ad immaginare suo
fratello minore
abbracciare con tenerezza una donna, o baciarla con trasporto.
“…Mi stai
dicendo che nostro fratello si tocca davanti a qualche rivista
indecente come
tutti gli uomini? Lui parla con te di queste cose?”
Kankuro la guardò allibito. Parlare con sua sorella era come
conversare con un
uomo qualsiasi, forse per il fatto che era cresciuta tra molti maschi,
ma rimaneva
pur sempre una donna. “E perché non dovrebbe?
Siamo uomini! E’ solo molto uhm,
come dire... Riservato. E’ un pò timido. Matsuri
gli piace, quella ragazza è un
po’ troppo irruente ma ha un bel corpo, è carina.
Mi ricorda qualcuno di mia
conoscenza.” Fu la volta di Kankuro di ridere sotto ai baffi.
“Sai che taglia
di seno porta? Io e Gaara ci abbiamo scommesso sopra. Io dico una A
abbondante,
lui dice una B.”
Temari scosse lentamente il capo, incredula. “Non posso
crederci, il mio
innocente fratellino…E’colpa tua. Lo hai portato
verso la via della
perdizione!” Lo accusò lei, fingendo indignazione.
Sapere che Gaara ora era
ancora più vicino dall’essere un ragazzo come
tanti la rese davvero felice per
lui. Per quanto riguardava Kankuro invece, sapeva benissimo che aveva
un debole
per il gentil sesso, del resto suo fratello era proprio bel ragazzo, ed
aveva
anche un discreto successo con le ragazze. Negli anni era diventato il
più alto
della sua squadra, raggiungendo il metro e novanta di altezza, e i suoi
costanti allenamenti avevano reso il suo fisico ben costruito:
addominali ben
scolpiti, pettorali segnati, deltoidi definiti e gambe toniche, il
tutto
nascosto dalla sua tenuta da marionettista, che lo faceva sembrare solo
grosso.
Anche la pittura facciale di cui si imbrattava non rendeva giustizia al
suo
viso, che da pulito aveva qualcosa di affascinante. Era una bellezza
decisamente maschile, dalla mascella ben squadrata, naso leggermente
pronunciato, sguardo sottile e penetrante, labbra piuttosto carnose.
Temari
pensò che era da parecchio tempo che suo fratello si
abbigliava in quel modo
soltanto quando doveva portare a termine una missione, e non
quotidianamente
come faceva da adolescente. Precisamente dai due anni in cui era stato
inserito
nella squadra gestita da Shikamaru. Che si fosse innamorato di qualcuno
che era
stato presente nella sua squadra, e cercasse di far colpo su di lei?
Le uniche donne della squadra erano lei, ed una Jonin della Foglia che
era
stata affiancata solo occasionalmente come supporto medico, la stessa
che anni
prima li aveva aiutati nel recupero di Gaara. “La ragazza che
ti piace non è
del nostro Villaggio, vero? Dai, racconta.” Lo sguardo che le
rivolse suo
fratello le tolse ogni dubbio.
“E’ di questo Villaggio. Mi ha salvato la vita, ma
ti assicuro che quello che
ho iniziato a provare per lei non ha nulla a che fare con la
riconoscenza che
le devo."
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Sunagakure,
Paese del vento
La sabbia veniva alzata dal vento in grosse onde, invadendo di polvere
ogni
angolo del Villaggio Nascosto nella Sabbia, mai nome fu più
adeguato per un
luogo. Quel posto non era esattamente una meraviglia, ma non si poteva
dire lo
stesso dei suoi abitanti che avevano accolto con gran calore Shikamaru
e
Sakura, organizzando addirittura una cena per inaugurare quella nuova
collaborazione Sabbia-Foglia. Ed era lì che si trovavano
infatti entrambi, in
un grande sala di un edificio nella zona centrale del Villaggio.
Shikamaru era
disperso chissà dove con Temari, mentre Sakura era in piedi
accanto ad una
finestra, e reggeva un bicchiere mezzo pieno tra le sue sottili dita,
mentre
parlava con dei medici esperti in veleni lì presenti alla
cena, imparando nuove
cose e dispensando qualche consiglio che fu molto apprezzato. A colpo
d’occhio
la si poteva individuare subito in mezzo a tutti quei nativi del luogo
che avevano
i capelli scuri e la pelle imbrunita dal sole. Era come un cazzotto in
un
occhio. Kankuro la osservava seduto ad un immenso tavolo dove i ragazzi
della
sua squadra erano seduti accanto a lui erano cimentati in un accesa
discussione, probabilmente roba da uomini. Improvvisamente uno di loro
lo
punzecchiò con un gomito. “Aniki, la stai
consumando a furia di guardarla!”
Disse uno di loro, ridendo sguaiatamente allo sguardo perplesso che
Kankuro gli
riservò.
Si aggiunse al discorso un secondo shinobi. “Non lo biasimo
ragazzi, le ragazze
della Foglia sono proprio roba di qualità!”
“Uhu?” Kankuro inarcò un sopracciglio.
“A me sembra un po’ ridicola, sinceramente.
La guardavo perché sembra quasi fuori posto, là
in mezzo. La sua faccia mi
ricorda un po’ una di quelle ningyo per la festa di
bambini…”
Dei lamenti di dissenso seguito da qualche risata beffarda si
levò dal tavolo.
“Starai scherzando,spero! E’ così
graziosa che me la mangerei in un solo
boccone.” Disse uno shinobi tarchiato, con una cicatrice che
gli segnava una
guancia.
Kankuro rise, posando il suo bicchiere e versandosi da bere.
“Vi assicuro che
c’è di meglio al suo Villaggio. Parlo di belle
kunoichi con bei seni grossi
come le polpette di cui si sta ingozzando Shibo, non di certo piatte
come
quella lì. Ha pure una fronte gigantesca, sembra proprio una
ningyo.”
“Uah! Aniki sei fortunato ad accompagnare spesso Temari-san e
il Kazekage-sama
al Villaggio della Foglia! La prossima volta voglio venirci
anch’io!” esclamò
un piccoletto che venne prontamente spintonato dallo shinobi segnato
dalla
cicatrice. “Mettiti in fila, bello. Vedrò io per
primo queste bellezze, ma
prima voglio andare ad approfondire un po’ la conoscenza con
la bellezza
laggiù. Aniki, presentaci la bambina!”
“Ti accontento solo perché devo alzarmi per andare
al bagno.” Ridacchiò
Kankuro, spostando una delle sue lunghe gambe fuori dal tavolo e
alzandosi, con
al seguito un paio dei suoi ragazzi. Una volta di fronte alla piccola
folla che
accerchiava Sakura, Kankuro si annunciò senza troppe
cerimonie, con le mani
ficcate in tasca. “Haruno-sensei, disturbiamo?”
Quando la Jonin riuscì ad identificare il suo interlocutore,
si soffermò a
guardarlo incuriosita, non lo riconobbe subito visto che Kankuro per
quella
cena era stato costretto da sua sorella a vestirsi di tutto punto e a
non
dipingersi con la pittura facciale. Ma appena collegò quella
figura al ragazzo
a cui aveva salvato la vita anni prima, gli rivolse un radioso sorriso.
“Ma tu
sei Kankuro, il fratello del Kazekage!” esclamò
lei entusiasta. Si scusò i dottori,
ed andò a stringergli calorosamente la mano.
“E’ bello rivederti. Come stai?”
“Sopravvivo. Gli uomini della mia squadra volevano esprimerti
la loro
gratitudine, non vedevano l’ora di incontrare la grande
Haruno-sensei.”
Sakura sorrise, scuotendo il capo. “Chiamatemi Sakura.
E’ un piacere fare la
vostra conoscenza! Spero che lavoreremo bene insieme. Sapete, il vostro
Capitano ha una resistenza al veleno davvero prodigiosa. Con le mie
stesse mani
ho estratto dal suo corpo delle quantità di veleno tali che
avrebbero potuto
uccidere un intera mandria…è davvero un uomo
straordinario. Dovreste davvero
essere fieri di avere un Capitano del genere!”
Kankuro si sorprese. Quella strana tipa si ricordava di lui dopo
così tanto
tempo, ed aveva speso anche delle parole piuttosto gentili nei suoi
confronti.
“…Non è niente di speciale.”
“E’ soltanto la verità.”
Osservò semplicemente Sakura. “Ma che gli prende
ai
tuoi uomini?”
Gli shinobi della squadra di Kankuro lo guardarono commossi, iniziando
teatralmente a piagnucolare l’una sulla spalla
dell’altro “Aniki! Sei veramente
un grande! Haruno-sensei, grazie per aver salvato il nostro
Aniki!”
“Piantatela subito, vi state rendendo ridicoli. Che branco di
idioti…” commentò
Kankuro che si passò imbarazzato una mano tra i capelli,
osservando Sakura
ridacchiare allo spettacolino.
Improvvisamente, si udirono delle grida che fecero voltare i due verso
il fondo
della sala: Shibo, lo shinobi della Sabbia citato prima dalla mole e
dall’
appetito immenso, vagava in piedi con le mani attorno al collo. Il suo
volto
era di un innaturale colore blu cianotico. Sakura cambiò
completamente
espressione: i suoi occhi divennero fiammeggianti, e con uno scatto
degno di
una kunoichi, corse in direzione del povero gigante.
“Quell’uomo sta
soffocando! Kankuro, vieni, ho bisogno del tuo aiuto!”
Kakuro la seguì prontamente, trovandosi a scansare tutto
ciò che Shibo buttava
per aria ad ogni passo. “Che devo fare?”
“Dal suo colorito e dal modo in cui si tiene le mani al
collo, posso dire con
certezza che ha le vie respiratorie totalmente ostruite. Devi fargli
una
manovra che possa liberargliele. E’ davvero troppo grosso per
me, con le mie
braccia non ci riuscirei mai! Sei pronto? Ti dirò io come
mettere i pugni!”
Kankuro annuì prontamente. “Se ci sono da tirare
cazzotti ad un ciccione, io
sono prontissimo.”
“Cosa? No!” urlò Sakura. “Per
prima cosa, passagli dietro alle spalle!”
Con difficoltà Kankuro riuscì a mettersi dietro
allo shinobi soffocante. “Ci
sono. E sta fermo, idiota!” Lo strattonò lui,
urlando poi verso Sakura. “Poi?”
“Adesso trova il suo processo xifoideo, ed applica cinque
compressioni con
movimento a cucchiaio! Una ogni due secondi, presto!”
“EH? Vuoi che prenda un cucchiaio e glielo ficchi
dove?!”
“Non c’è tempo per gli scherzi!
…Strizzagli le tue braccia al di sopra della
cintura e spremi fino a quando questo idiota non sputa quello che ha
incastrato
nella gola!” strillò istericamente Sakura.
“Adesso ci capiamo!” Kankuro ghignò ed
iniziò a fare come richiesto. Dopo una,
due, tre compressioni, Shibo finalmente sputò una patata
arrosto, cui sembrò
avere avuto la bella idea di ingoiare tutta intera. Il povero Kankuro
venne
sbalzato via da uno scatto troppo violento del gigantesco shinobi, ed
andò a
sbattere con la fronte dritta contro uno spigolo di un tavolo. Si
rialzò senza
problemi, trovando persino qualcosa di divertente su cui ridere dalla
cosa,
come il fatto che in quel momento, avrebbe potuto prenderlo a cazzotti
per un
motivo. Ma dalla ferita iniziò ad uscire una preoccupante
quantità di sangue, e
Sakura lo trascinò contro il suo volere
nell’infermeria più vicina, nonostante
le sue proteste.
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“Certo che sei stato davvero incredibile… mi
tremano ancora le mani!” mormorò
Sakura, con un piccolo sorriso dipinto sul volto.
“Però devi stare fermo.
Altrimenti non posso ricucirti come si deve, ho quasi finito. Tra
qualche
settimana vediamo se possiamo togliere i punti. ”
“Ma è proprio necessario tutto questo? Si sarebbe
chiuso comunque se ci
schiaffavi sopra un…” Kankuro strizzò
un occhio, la sensazione dell’ago che
entrava ed usciva dalla pelle era davvero fastidiosa.
“…Incredibile è una
parola grossa, ho solo seguito le sue istruzioni.”
“Ma è vero. Dovresti considerare l’idea
di diventare un medico, devi solo
imparare qualche termine tecnico…”
Ridacchiò Sakura, osservandolo sciogliersi
in un sorriso di rimando. “Oh, finalmente mi hai fatto un
sorriso sincero.
Qualcosa mi dice che ti sto antipatica.” Disse lei, facendo
un finto broncio
contrito.
“Eh? Non è che mi stai antipatica.. è
che mi ricordi un ningyo. Hai presente?”
“Intendi le bambole?” Sakura rise, scuotendo il
capo. “Che bel complimento,
grazie.”
Kankuro non disse più nulla, non specificò
nemmeno che per lui quel tipo di
bambole erano orripilanti, e lei continuò seria il suo
lavoro, il viso
concentrato della Jonin gli era vicinissimo. Sakura era ridicolmente
graziosa,
continuava a pensarlo fermamente. Ma nonostante il suo aspetto, in lei
c’era
una determinazione ed una tempra davvero notevoli. Il marionettista
sorrise inconsciamente
a quel pensiero.
“… quando eravamo prima con la tua squadra, ho
dimenticato di dire loro una
cosa fondamentale.” Sakura ruppe improvvisamente quel
silenzio religioso. “Avevi
ragione quando hai detto che scampare ad un intossicazione al veleno
non è stata
la cosa più importante di quella occasione. I tuoi uomini
dovrebbero ammirarti soprattutto
perché hai resistito al più grande e corrosivo
veleno dell’animo, l’odio. Eri
debilitato, ad un passo dal perdere conoscenza. Ma nonostante tutto,
implorasti
Naruto di salvare tuo fratello minore, il Kazekage. Ti confesso che ho
iniziato
a credere ai miracoli, dopo questa!” Sakura
stemperò il suo tono solenne,
sorridendo. “So che vado contro molti principi della Medicina
con questa ammissione,
ma non saprei definire questo fenomeno con altri termini! Del resto,
cosa può
essere più forte dell’odio, se non un
miracolo?”
Kankuro rimase rapito da quelle parole. Cosa poteva essere
più forte dell’odio?
Forse lo era quella sensazione che iniziò a salirgli dalla
bocca dello stomaco,
salendo fino al suo petto. Il suo battito si fece improvvisamente
più veloce.
Lui non ne capì il motivo, sentiva soltanto che la presenza
di Sakura era
diventata così confortante da sperare che non andasse
più via. “Credo che il
sentimento più vicino e più simile
all’odio sia l’amore.” Le disse lui,
sorridendole. “E se l’amore è un
miracolo, credo che da oggi inizierò a
crederci anch’io.”
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“Ma per chi mi hai preso, sei impazzita? Sakura non è mica una qualsiasi da trattare con così poco riguardo!” Rispose suo fratello con tono offeso. Temari roteò gli occhi per aria, esortandolo a continuare. “Non è successo niente. Ha sorriso, mi ha richiuso il sopracciglio ed è finita lì. I giorni successivi alla sua permanenza siamo stati appiccicati con un Dango e lo sciroppo di zucchero nero. Dove andavo io, c’era sempre anche lei. Sai quanto sanno essere bavosi gli shinobi della mia squadra. Credo preferisse la mia compagnia per questo.
“Molto interessante.” Commentò sua sorella, ironica più che mai. “Quando arriva la roba forte?”
“Non le ho mai messo nemmeno un dito addosso, smettila di chiederlo.” Ammise spazientito Kankuro. “Per tutto il tempo mi ha sempre trattato come un amico fraterno, non avrei mai potuto farlo. Ed è stata dura, per la miseria! Più tempo passavamo insieme.. E più mi accorgevo che lei sembrava fatta apposta per me! Abbiamo passato intere notti di ronda a parlare accanto al fuoco, ed intere giornate a coprirci le spalle. E’ gentile quanto basta, aggressiva quanto basta, dannatamente graziosa quanto basta…”
“…Per farti perdere la tua zucca già vuota!” Sua sorella cominciò a ridere senza fermarsi, e Kankuro increspò il naso, mortalmente offeso. Quando poi si alzò come per piantarla in asso ed andare a raggiungere l’albergo dove avrebbero dormito, lei lo afferrò per una spalla, ricomponendosi all’istante. “Va bene, scusa. La smetto. Che posso dirti… Sinceramente il tuo racconto non mi sta affatto bene. Non è giusto che tu ti finga suo amicone, quando in realtà provi tali sentimenti nei suoi confronti.”
“Non è colpa sua, non ha idea di ciò che provo per lei. Dai, lascia perdere. Torniamo all’albergo.”
Temari stava per dire qualcosa, ma si fermò quando lo vide scrollare lentamente il capo. Si avviarono in silenzio verso l’albergo, avvicinandosi al centro del Villaggio. Alcune bancarelle del Rinne Festival erano state distrutte dai detriti lunari. Ad un certo punto notarono un uomo dall’aspetto repellente che scavava tra le macerie, che estraendo un sacco di iuta eissandoselo sulle spalle scappò via, in direzione dell’uscita del Villaggio.
“Ma tu guarda che animale. Approfittarsene così di una disgrazia…” A Kankuro iniziarono a prudere le mani. “Gli vado dietro, così mi sfogo un po’ sulla sua faccia lurida.”
“Macchè, lascialo perdere. E’ roba che non ci riguarda. Piuttosto, cos’è che ha rubato?” ridacchiò Temari, leggendo l’insegna della bancarella, ancora integra. “Amuleti dell’amore: confessate i vostri sentimenti con un regalo personalizzato… Kankuro!” Esclamò lei. “Mi è venuta un idea geniale! Domani noi non ce ne andremo via. Aspetteremo il ritorno della squadra di recupero. Ah, mi ringrazierai.”
Around the Corner
Piccolo aggiornamento, con una delle storie secondarie che leggerete assieme alla storia principale. Niente scienza, solo (una sorta di) fluff, per oggi. Grazie per aver letto il quarto capitolo di “Rinne”! Gli eventi si svolgono chiaramente prima durante la notte in cui Ino trova “l’amuleto”, e il flashback del racconto di Kankuro risale a qualche anno prima di “The Last”. Ho scritto questo capitolo di getto controllandolo una sola volta, mi scuso per gli eventuali errori. Ho finito da poco di leggere il Sakura Hiden. A quanto pare, Sakura dopo la guerra ha deciso di aprire un reparto (con quali soldi?) di psicologia infantile, o qualcosa del genere. Strano, non era quella che aveva chiesto quasi in ginocchio a Sasuke di portarla con sé durante il suo viaggio di redenzione? *ride molto sarcasticamente*
Povera Sakura, credo che sia stata trattata ingiustamente dall’autore dall’inizio alla fine. Vorrei renderle giustizia almeno in questa fanfiction. Cosa ne pensate di Temari e Kankuro? Sono due personaggi che (adoro) nel manga si vedono relativamente molto poco (fidatevi, soprattutto il povero Kankuro!), quindi ho provato a caratterizzarli in maniera molto personale. Vi piacciono? Fatemelo sapere!
Lo sapevate che Yasuyuki Kase (seyuu di Kankuro) ha dato al personaggio di Kankuro una particolarità unica? E’ l’unico ad avere un accento tipico dei teppisti di Yokohama, il resto dei personaggi parlano un giapponese puro da residenti di Tokyo. Kankuro conclude quasi ogni sua frase con un “jaan” finale, io trovo sia una cosa carinissima. E’ un piccolo teppista dal cuore d’oro. *momento fangirl estremo* Ah, il Gyudon è una ciotola di carne e riso, una pietanza molto semplice e famosa. Il dango invece, è un tipo di gnocco sia dolce che salato, anch’esso famosissimo. Grazie per le recensioni! Le apprezzo tutte, continuate a seguire la storia. Vi lascio con questo disegno con Temari e Kankuro disegnati con indosso degli abiti in pieno stile anni 50/60. Credo che il blog sia “Ask Kankuro” o qualcosa del genere.
Alla prossima!