Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: DanzaNelFuoco    14/04/2015    4 recensioni
Partecipa al settimo turno della "Fandom League" di MaridiChallenge.
- Intro:
Tread softly (because you tread on my dreams)
o le cinque volte in cui Sherlock camminò nel sonno e la volta che John glielo impedì.
John non aveva più il sonno leggero del soldato, non si svegliava più al minimo rumore - considerato da quanto tempo era tornato a Londra, conservarlo sarebbe stato l’equivalente di passare intere nottate in bianco ad ascoltare il traffico -, ma in ogni caso aveva ancora un udito abbastanza fino da accorgersi quando qualcosa non andava. E John sapeva che qualcosa non andava.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Tread softly (because you tread on my dreams) 
o le cinque volte in cui Sherlock camminò nel sonno e la volta che John glielo impedì.

A lot ora people are afraid to say what they want. That's why they don't get what they want.
Madonna

John non sapeva esattamente cosa lo avesse svegliato. Sapeva solo che improvvisamente si era ritrovati con gli occhi spalancati nel buio, la mano destra che era corsa veloce sotto il cuscino a recuperare una pistola che non c’era. 
Gli ci volle qualche istante per rendersi conto di essere nella sua stanza al 221B di Baker Street e non sul campo di battaglia, che il rumore che sentiva non era quello di pesanti scarponi in marcia sulla secca terra battuta, ma solo il suo cuore accelerato e il rombo del sangue nelle sue orecchie. 
Ovviamente aveva ancora la pistola, ma ben chiusa e al sicuro nel cassetto, di certo non sotto il cuscino. 
Controllò l’ora sul display luminoso della sveglia. Le tre e ventidue. 
John non aveva più il sonno leggero del soldato, non si svegliava più al minimo rumore - considerato da quanto tempo era tornato a Londra, conservarlo sarebbe stato l’equivalente di passare intere nottate in bianco ad ascoltare il traffico -, ma in ogni caso aveva ancora un udito abbastanza fino da accorgersi quando qualcosa non andava. E John sapeva che qualcosa non andava. 
Tese l’orecchio, ascoltando il silenzio della casa. 
Al piano di sotto c’era qualcuno. 
Certo sarebbe potuto essere Sherlock, solo che i passi di Sherlock per casa gli erano talmente famigliari che era davvero improbabile che lo svegliassero di soprassalto. 
Aprì cauto il cassetto, cercando di fare meno rumore possibile e non mettere in allarme chiunque vagasse nel loro salotto. Lentamente tolse la sicura e aprì la porta della sua camera. 
Dal salotto proveniva un rumore di passi quasi strascicati. 
John scese le scale un gradino alla volta, fermando per ascoltare, trattenendo il respiro, la pistola tesa davanti a sé, il dito sul grilletto, pronto a sparare. 
Raggiunse l’ultimo gradino con il cuore in gola, l’adrenalina che gli scorreva nelle vene. 
Il salotto era vuoto. I rumori ora provenivano dalla cucina.
L’occhio di John non era allenato come quello di Sherlock, ma, se solo la stanza non fosse stata completamente al buio, non gli sarebbe stato difficile notare che la sua poltrona era spostata. L’intruso doveva esservi inciampato, provocando il rumore che lo aveva fatto svegliare. 
Sempre tenendo la pistola tesa davanti a sé come precauzione, si spostò in cucina, pronto ad affrontare qualunque situazione. 
Quasi gli cadde la pistola di mano. Quasi. Il che fu un bene, visto che la pistola non aveva la sicura. 
Sherlock era seduto nel buio della cucina, illuminato solo dalla luce dei lampioni che filtrava dalla finestra.
“Sh- Sherlock?” lo chiamò piano, abbassando la pistola e rimettendo la sicura. 
Quello non si voltò.
A dirla tutta sembrava che non lo avesse nemmeno sentito. 
Stava seduto, ritto sulla sedia, davanti a sé qualcosa che poteva essere, come poteva non essere, un pezzo di una qualche parte di un cadavere e un bisturi nella destra. 
John lo osservò tenere con la sinistra la carn- un momento, non era un cuore quello? 
Prima che John potesse anche solo arrivare a chiedersi cosa ci facesse il suo coinquilino in piedi alle tre e mezza di notte a dissezionare un cuore, quello calò il bisturi con precisione, ma comunque un po’ troppo vicino alla sua mano sinistra. John per un istante credette che si sarebbe tagliato.
Solo allora notò che Sherlock aveva gli occhi chiusi. 
Quasi si mise a ridere. 
Il suo coinquilino soffriva di sonnambulismo e se non fosse stato per una poltrona spostata, John avrebbe anche potuto non saperlo mai. 
“Coraggio, Sherlock, a letto.” delicatamente lo costrinse ad alzarsi dalla sedia, stando attento a non svegliarlo, e lo guidò attraverso il salotto, verso la sua camera. 
Una volta sistemato Sherlock, ordinato la cucina e tornato ad avvolgersi nel tepore delle sue lenzuola, John non riuscì a prendere sonno subito. 
Come mai non si era mai accorto del sonnambulismo del suo coinquilino? Viveva in quella casa da più di un anno ormai. Era forse la prima volta che capitava? John non ne era convinto. 
Non avrebbe dovuto stupirsene più di tanto, il sonnambulismo dopotutto non era che un disturbo del sonno e Sherlock talmente era pieno di cattive abitudini che una in più non sarebbe dovuta essere una meraviglia. Probabilmente il suo cervello era troppo attivo per far fermare il suo corpo anche solo quelle poche ore al giorno in cui dormiva. 
Come dottore, John sapeva che non c'era da preoccuparsi - se si escludeva il fatto che a parte essere un sociopatico iperattivo il suo coinquilino aveva anche un disturbo ossessivo compulsivo della personalità - così come sapeva che non esisteva nessuna cura. Probabilmente era solo lo stress del nuovo caso che Sherlock non aveva ancora risolto. 
Rassicurandosi, si voltò su un fianco e riprese a dormire. 

Non che ci fosse qualcosa di male a dire a Sherlock che sapeva della sua parasonnia, era solo che John non aveva ancora trovato un modo per dirlo senza sembrare indelicato o ficcanaso. 
Quindi aveva fatto finta di niente. Dopotutto Sherlock era un uomo adulto, non aveva bisogno che lui gli facesse da balia asciutta. E in ogni caso, anche se lo avesse messo a conoscenza del fatto che sapeva, cosa sarebbe cambiato?
Con questi pensieri John si addormentò la sera del giorno successivo. Se anche Sherlock avesse di nuovo camminato nel sonno, non era un problema, men che meno un problema suo.
Nonostante ciò una parte del suo subconscio non doveva aver compreso appieno il suo ragionamento perché di nuovo alle tre del mattino si ritrovò sveglio. 
Questa volta era certo di non aver sentito nessun rumore fuori dalla norma, la mano non era scattata sotto il cuscino, il cuore non gli batteva forsennato nel petto. Eppure era sveglio e perfettamente lucido. 
Si diresse al piano di sotto. Sherlock era di nuovo seduto al tavolo della cucina e, con grande sorpresa di John, stava mangiando. La sorpresa non fu tanto il gesto in sé, era abbastanza normale che i sonnambuli compiessero gesti famigliari come quello nel sonno, ma il fatto che fosse Sherlock a farlo. Lo stesso Sherlock che doveva essere ricattato per nutrirsi adeguatamente. 
Il corpo sapeva di cosa aveva bisogno decisamente meglio della mente. 
John rimase fermo al centro della stanza osservando, quasi affascinato, l'amico mentre si infilava in bocca il pane e lo masticava lentamente. Poi, normalmente, Sherlock si alzò e si diresse verso la sua camera. 
John lo seguì a debita distanza, controllando che non accadesse nulla di fuori dalla norma.
Il coinquilino giunse alla porta della propria camera e mise la mano sulla maniglia. “John.” 
Il dottore sobbalzò, credendo di essere stato colto in fallo. Non che avesse fatto qualcosa di male in ogni caso. Si preparò a giustificare il fatto di averlo ossessivamente guardato, senza apparente motivo, quando si accorse che Sherlock in realtà stava ancora dormendo. 
Dicendosi che non stava facendo assolutamente nulla di male, aspettò che si chiudesse la porta alle spalle per poi rifugiarsi nella sua camera. 
Nella foga di darsi dell'idiota per essersi imbarazzato come una quindicenne sorpresa a spiare la sua cotta adolescenziale, non gli venne in mente che durante il sonno Sherlock aveva chiamato proprio il suo nome. Il pensiero lo attraverso solo quando ormai calmo stava per addormentarsi, troppo tardi perché fosse opportunamente analizzato e rielaborato. Il mattino seguente la mente di John non ne conservò traccia. 

John era già giunto alla conclusione che parlarne con Sherlock non avesse senso, ma dopo una settimana che si comportava esattamente nello stesso modo, aveva dovuto ammettere con sé stesso che le cose non stavano proprio così. 
Era sorprendente con che velocità il suo cervello avesse puntato una sveglia biologica nel suo cervello e alle tre di notte lui fosse già ben sveglio. 
La terza sera si era limitato a guardarlo mangiare, un'attività così comune che John ogni volta si meravigliava di vedere il suo coinquilino compierla. Quando Sherlock prima di tornare in camera aveva pronunciato il suo nome, John era preparato.
Da quel momento in poi, ogni notte, circa allo stesso orario, John si ritrovava in cucina ad ascoltare Sherlock parlare nel sonno, mentre mangiava per compensare il digiuno diurno. Aveva scoperto che una volta eliminate le difese esterne - John poteva solo immaginare cosa gliele avesse fatte alzare - Sherlock era ancora più straordinario di come lo aveva valutato in un primo momento.
La realtà era che gli piaceva stare con lui in quei momenti, quando era più facilmente avvicinabile e sembrava un essere umano più che un cyborg senza cuore. Inoltre sembrava apprezzare anche lui i loro incontri, vagamente consapevole della presenza dell'altro. In sei giorni nessuno dei due aveva mai mancato una sera. 
Quella sera però c'era qualcosa di diverso. Sherlock non stava mangiando. 
John si affrettò verso il tavolo solo per vedere Sherlock mischiare un qualche preparato in una provetta. Lo osservò incuriosito posare la fiala vuota e prenderne un altra per versarvi il contenuto di quella che ancora teneva in mano. Quando una goccia cadde sul tavolo e cominciò a erodere la superficie con un leggero sfrigolio, il cuore di John perse un battito solo per riprendere a maggiore frequenza.
Quello era dannatamente serio. 
Come se avere Sherlock per casa non fosse già abbastanza pericoloso senza dover aggiungere gli esperimenti che faceva mentre non era nel pieno delle sue facoltà mentali. 
Restò a fissarlo mentre faceva roteare il liquido nella provetta. Non aveva la più pallida idea di che genere di sostanze stesse maneggiando e quindi non aveva la più pallida idea di cosa farne, ma era certo che bisognasse impedire a Sherlock di fare più danni di quelli che già non aveva fatto. 
Cercando di non svegliarlo, gli prese delle mani le fiale e le posò nel porta-provette. Sotto pelle provava lo stesso formicolio che avrebbe provato nel disinnescare una bomba sul punto di esplodere.
Poi portò Sherlock a letto, dandosi mentalmente dell'idiota e dell'irresponsabile. Magari Sherlock non era a conoscenza di quel particolare disturbo del sonno, quindi non aveva mai preso precauzioni a riguardo. E se la prossima volta invece di un acido fosse stato un esplosivo? 

“Sherlock, dobbiamo parlare.” 
Il consulting detective non alzò neppure gli occhi dal vetrino che stava analizzando. 
“Sherlock, c'è una cosa che devo dirti.”
Solo allora quello, avendo sentito il tono imbarazzato e pieno di urgenza di John, si decise a sollevare lo sguardo. “Oh. Pensavo che ti ci sarebbero voluti altri due mesi circa prima di capirlo.”
“Quindi tu sapevi e non hai fatto nulla?” esclamò John. Aveva passato la notte a ripetersi che avrebbe dovuto dire prima a Sherlock del suo sonnambulismo e ora saltava fuori che non solo lui lo sapeva già, ma non aveva neppure fatto in modo di prendere precauzioni per non far saltare in aria la casa. Sentì montare la rabbia dentro di sé.
“Non potevo dirti nulla, John. So come reagisci a questo genere di cose. Dovevi arrivarci da solo.”
John soppresse il desiderio di prenderlo a pugni. “Da quanto tempo lo sai?”
“Mi ci è voluto un po' dal momento che questo non è il mio campo, ma penso di esserci arrivato due giorni dopo l'inizio della nostra convivenza. Ci ho messo un po' ad abituarmi alla cosa, ma poi riflettendoci ho capito che non poteva essere altrimenti e mi sono adeguato. Sapevo che prima o poi lo avresti capito da solo, ma non avrei mai sperato che sarebbe accaduto così presto.”
John cercò di calmarsi. “In nome del cielo, se lo sapevi, perché non hai mai preso precauzioni?”
“Precauzioni?” Sherlock lo osservò stranito. “Ripeto, non è il mio campo, ma sono abbastanza certo di aver letto ovunque che non si possano prendere precauzioni.”
“Non esistono cure, ma esistono precauzioni! Dannazione, Sherlock, avresti potuto chiuderti in camera!” sbottò il dottore, irritato.
“Chiudermi in camera?!” Sherlock sembrava quasi offeso. “Mi sembra un po' estremo! Cosa pensavi che avrei mai potuto farti? Violentarti?” domandò retorico, sbuffando. “Ti ricordo che ho consapevolmente deciso di aspettare che lo capissi da solo.”
“Oh, non essere ridicolo!” sbottò John. “Non è quello che mi preoccupa! Ma stanotte avresti distrutto il tavolo con chissà quale esperimento se non ci fossi stato io a fermarti.”
Sherlock sbatté le palpebre un paio di volte. Non era da lui essere confuso, non capire. La cosa non gli piaceva per nulla. “Il tavolo?”
“Sì, il tavolo.” 
Sherlock si umettò le labbra. “Ho bisogno di più dati perché questa conversazione abbia un senso. Di cosa stai parlando?”
“Del tuo sonnambulismo! Perché? Di cosa pensavi stessimo parlando?”
“Sonnambulismo?” Chiese, evitando l'ultima domanda, riconoscendo un errore di calcolo. Era subentrata una variabile che non avrebbe mai immaginato. 
“Sì, Sherlock, sonnambulismo. Tu e i tuoi esperimenti con gli acidi alle tre del mattino.”
“Da quanto tempo?”
“Non lo so, almeno una settimana. Gli altri giorni hai sempre e solo mangiato. Una volta hai tentato di dissezionare un cuore.” gli spiegò, decisamente più calmo. D'accordo, forse Sherlock non era stato così idiota da mettere in pericolo le loro vite con leggerezza. “Sherlock, se non lo sapevi... di cosa stavi parlando fino a qualche minuto fa?” domandò, ma quello era già partito in direzione della sua camera. John pensò che non gli avrebbe risposto, invece mentre si chiudeva la porta alle spalle sembrò rendersi conto che gli era stata posta una domanda. 
“Ancora qualche mese, John. Se usi l'appendice che hai sulle spalle forse potresti metterci meno.” John imprecò per la sua cripticità. Non poteva per una volta comportarsi come tutte le persone normali e dire le cose così come stavano?
Ore dopo, mentre chiudeva la porta a chiave Sherlock si chiedeva se non avesse dedotto quello voleva dedurre. Non che fosse mai successo, ma forse, solo forse, aveva sbagliato a interpretare i segnali.
Forse le convinzioni di John erano così bene inculcate e radicate nella sua testa che avrebbe sempre preteso di non sapere e se Sherlock l'avesse messo davanti alla realtà quello sarebbe scappato. Forse aveva solo forzato la mano. 
Infilò la chiave della porta in un cassetto, scrollando la testa come se potesse in questo modo scrollare via tutti i dubbi. Era una sensazione nuova, avere dei dubbi. 
Doveva ammettere che nei pochi mesi che erano passati dall'inizio della loro convivenza Sherlock era stato pieno di sensazioni nuove, che aveva tentato di sperimentare con occhio clinico e metodo scientifico, anche se poteva ammettere che forse non c'era sempre riuscito. Forse aveva sbagliato. 
Solo il pensiero lo fece rabbrividire. Lui non sbagliava. Lui non aveva mai malinterpretato nulla nella sua vita. La logica era logica. 
Cercò di sopprimere il dubbio che si insinuava lentamente in lui e si mise a letto. 
Non ci sarebbero state passeggiate notturne per lui quella notte, John gli aveva raccontato tutto, mostrato il buco sul tavolo e lui non aveva potuto far altro che convenire che sarebbe stato il caso di prendere delle precauzioni. Una porta chiusa a chiave sarebbe bastata, aveva consigliato John non potendo fare a meno di pensare con un po di dispiacere che quella notte avrebbe dormito tranquillo.
Così quando alle tre del mattino si ritrovò sveglio in un primo momento maledisse il suo orologio mentale. Poi sentì i passi. 
Non erano in salotto, John notò che si stavano avvicinando, quasi stessero salendo le scale. Ma Sherlock non si era chiuso in camera? 
Socchiuse la porta solo per vedere il suo coinquilino sull'ultimo gradino, davanti a lui, perfettamente addormentato. 
“John.” lo chiamò nel sonno. “Non mi sono sbagliato, tu lo sai.”
“Su cosa?” non poté fare a meno di chiedere.
“Io non sbaglio mai.”
“Lo so, Sherlock, lo so. Ora torna a letto.” gli afferrò l'avambraccio e lo aiutò a scendere le scale. 
Quando lo riaccompagnò nella sua stanza vide la chiave infilata nella serratura della porta. Sherlock doveva aver provato ad aprire la porta e una volta non riuscitovi aveva usato la chiave. Perché Sherlock doveva essere il più intelligente anche nel sonno?
Lo rimise a letto come aveva fatto nell'ultima settima, solo che questa volta la mano di Sherlock si chiuse attorno al suo polso. “John.”
John cercò di liberare il polso, senza troppo successo, fino a che con uno strattone vi riuscì. Sherlock per tutta risposta mugolò e disse qualcosa che alle orecchie del dottore sembrò un “resta.” 
John titubò, indeciso se andarsene. Ma che diamine! Era Sherlock, non un bambino! Scrollò la testa e si allontanò prima di cambiare idea. 

A quanto pareva Sherlock era stato abbastanza furbo da uscire dalla sua camera anche se era chiusa a chiave. Quindi quella sera la chiave l'avrebbe tenuta John. Era stata una scelta logica per Sherlock, anche se John si era sentito a disagio. Sherlock non aveva una malattia mortale, non si trasformava in un mostro e andava ad uccidere la gente di notte, non aveva bisogno di essere rinchiuso. 
Eppure quello gli aveva dato la chiave della sua camera e gli aveva detto di chiuderlo dentro come se fosse la cosa più normale del mondo. 
A svegliarlo questa volta non fu un suono, non come al solito, ma un alito di vento. Era strano perché si ricordava di aver chiuso la finestra, pensò ancora mezzo addormentato e non appena il pensiero lo raggiunse si ritrovò lucido. Davanti alla finestra la sagoma di Sherlock, che si stagliava nera contro la luce dei lampioni, gli fece quasi venire un infarto. 
“Che caz-?” si mise una mano sul cuore. “Sherlock!” 
Si sollevò dal letto forse un po' troppo in fretta e la vista gli si annebbiò per un istante, mentre nelle orecchie sentiva il rombo del sangue. Si appoggiò contro la parete per recuperare il respiro. “Non dirmi che sei passato della finestra.” ridacchiò, per non pensare al fatto che sarebbe bastato un passo falso e Sherlock sarebbe caduto di sotto. 
“Andiamo.” disse poi, prendendolo per un braccio. Prese la chiave dal tavolo e riaprì la porta della sua camera. Era evidente che non sarebbe bastata una camicia di forza a tenerlo fermo. 
“Ok, Sherlock, ora chiudiamo la finestra.” ci mancava solo che dovesse fargli anche da infermiera nel caso si fosse ammalato. Sherlock rimase immobile al centro della stanza, mentre John faceva come aveva detto per poi aiutarlo a stendersi. Di nuovo come la notte prima Sherlock gli afferrò il polso. “John. Resta.” 
Le parole erano chiare, pesino John non poté fingere di aver udito altro. Non che dovesse rendere conto a qualcuno di cosa aveva sentito, Sherlock dopotutto era profondamente addormentato, però...

Però Sherlock gli stava chiedendo di restare. 
Rimase lì, in bilico tra la decisione di andarsene e quella di rimanere. Poi Sherlock si girò sul fianco tirandolo verso di sé. 
“Oh, d'accordo. Solo finché non sarò sicuro che tu ti sia completamente addormentato.”

Svegliarsi il giorno dopo nel letto di Sherlock era stato meno traumatico di quello che avrebbe pensato. Se si escludeva la lunga gamba di Sherlock ancorata al suo fianco e il suo braccio a circondare le sottili spalle dell'altro. 
“Sei qui perché sono riuscito comunque a uscire?” aveva chiesto Sherlock una volta che entrambi avevano ripreso contegno.
“Sei passato dalla finestra.” gli aveva risposto. 
Sherlock aveva riflettuto per qualche istante. “Troverò un altro modo.” lo rassicurò. 
Poi si era alzato e John aveva dovuto seguirlo e andare a lavoro. Aveva sperato davvero che per quella sera Sherlock avrebbe proposto una soluzione. 
Quindi ora che l'uomo più intelligente che conoscesse gli aveva proposto quell'unico tentativo come soluzione, John stava cercando di accettare la cosa. Certo magari avrebbe potuto formularla meglio di “vieni a letto con me”, ma era chiaro che John fosse l'unico che poteva intervenire su Sherlock prima che facesse saltare per aria la casa. 
In fondo John aveva dormito in posti peggiori di un letto e condiviso una branda con commilitoni peggiori dell'uomo con cui stava condividendo la casa. Non sarebbe stata una tragedia. 
Quindi indossò il comodo pigiama e, invece di sdraiarsi nel suo comodo letto, scese le scale per infilarsi in quello di Sherlock. Ma non poteva avere un coinquilino normale?
Non fece fatica ad addormentarsi - lo avrebbe stupito il contrario - nonostante non fosse abituato al tepore del corpo sdraiato accanto a sé. 
Quando verso le tre di notte Sherlock fece per alzarsi, John senza nemmeno pensarci gli passò un braccio attorno alla vita, costringendolo sul letto. Sherlock si rannicchiò contro il suo fianco, per quanto la sua altezza gli consentisse e continuò a dormire. 
“Non mi sono alzato.” constatò Sherlock il mattino dopo, districandosi dal groviglio di braccia e gambe che era diventato insieme a John. 
“Direi di no.” gli rispose quello, passandosi una mano sul viso nel tentativo di svegliarsi. 
“Suppongo che questa sia la soluzione definitiva allora.” 
“Fantastico!” alzò gli occhi al cielo. “Altro che chiacchiere! Ora dormo persino con te, posso dire addio a qualsiasi straccio di ragazza.”  In quel momento gli venne in mente che era una settimana esatta che non aveva incubi, non da quando Sherlock aveva cominciato a svegliarlo. Ma quella notte non era stato svegliato, avrebbe dovuto averli, invece aveva dormito come non dormiva da prima della guerra. Per un attimo gli venne in mente di ringraziare Sherlock, ma quello si era già alzato dal letto.
“Era inevitabile.” gli disse, scomparendo in bagno e lasciando un basito John a fissare il punto in cui si trovava fino a qualche secondo prima.
Nella sua testa l'assurda conversazione con Sherlock, quella in cui gli aveva detto di sapere del suo sonnambulismo, quella  a cui non aveva trovato ancora un significato, assunse un senso tutto nuovo.  Non poteva essere che Sherlock stesse suggerendo che... 
“Sherlock, sei un idiota!” 
Eppure era John quello che aveva appena accettato di rinunciare alla sua vita romantica e sessuale per dormire con un uomo, quando avrebbe semplicemente potuto eliminare qualunque sostanza pericolosa dalla casa. Quella sarebbe stata un'ottima soluzione, la prima a cui entrambi avrebbero dovuto pensare. Ma a nessuno dei due era venuto in mente. Fissò vacuamente il lenzuolo che aveva coperto entrambi fino a qualche minuto prima. Forse avrebbe potuto aspettare un po' prima di mettere Sherlock al corrente di quella nuova soluzione. O forse non avrebbe potuto dirglielo affatto. 



  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: DanzaNelFuoco