Episodio 1x32
Il teatro
degli spettri
PREVIOUSLY ON LKNA: Serena è stata rapita. Seguendo
l’unica pista a loro disposizione, una trasmissione sinaptica contenente il nome
di Bellocchio, quest’ultimo giunge insieme a Ginger e alla sua squadra presso
una caverna. Molti aspetti non quadrano: è troppo ampia per la sua posizione
geografica, il segnale ricercato si perde al suo interno e pare essere stata
abitata in passato da qualcuno che vi ha costruito un laboratorio.
Mediante una serie di
video-diari scoprono che tale struttura era di proprietà del Pianeta Nero, un
quartetto di scienziati dediti a costruire una macchina, lo Scissore, capace di
donare alla cavia il potere di aprire varchi spaziotemporali. La storia si
conclude in tragedia: dopo essere rimasto misteriosamente chiuso nella caverna,
Alexander Kashlinsky, leader de facto del Pianeta Nero, pensa di sacrificare suo
figlio Logan alla scienza pur di fuggire.
La notizia non è nemmeno la
più agghiacciante: il gruppo di Bellocchio scopre infatti che l’antro in cui si
trovano non è altro che una grande Poké Ball naturale che qualcuno sta
sfruttando per rilasciare onde sinaptiche che minacciano di assoggettare le loro
menti. Ginger vorrebbe andarsene e pianificare le mosse successive, ma tre
Chandelure li prendono in ostaggio prima che possa agire. La situazione si fa
critica: il tempo cosciente a disposizione si assottiglia, Bellocchio e Ginger
scompaiono senza preavviso lasciando i tre Flare rimanenti alla mercé dei
Pokémon, e questi rivelano di essere al servizio nientemeno che di Hoopa,
vecchia conoscenza della Seconda Unità.
La possibilità di un lieto
fine si allontana, e qualcuno inizia a capire che sacrifici andranno compiuti
per conquistarlo.
«
Rialzatevi immediatamente! ».
Kibwe si precipitò in soccorso di
Sandy, che ormai non era praticamente più in grado di reggersi in piedi da solo,
ignorando l’occhiataccia rivoltagli dal Secondo Chandelure. In realtà sarebbe
potuto essere chiunque degli aguzzini che li accompagnavano nella scarpinata, ma
il modo di comportarsi era simile a quello di colui che avevano identificato
come Secondo Chandelure nel laboratorio, e peraltro la numerazione non era
veramente importante. In fondo quel trio era quasi sicuramente già caduto preda
della riscrittura sinaptica, dunque di fatto erano assimilabili a un solo ente.
Questo, inoltre, era ciò che dava
a Kibwe il coraggio di aiutare Sandy nel momento di difficoltà in barba alle
loro imposizioni. La menzione di Hoopa aveva scosso le fila dei Flare
soprattutto perché portava con sé numerose domande: com’era sopravvissuto al
buco nero? Com’era arrivato nel loro universo dal Mondo dei Morti? Se era lui la
mente dietro l’invasione dei Rotom, com’era riuscito ad assemblare un esercito
in così poco tempo? Ma un dubbio non c’era mai stato: quei candelieri animati lo
temevano. Lo rispettavano. E se uno dei suoi ordini era stato di tenerli vivi,
come si era evinto da una frase pronunciata dal Primo Chandelure, allora
sarebbero arrivati da lui vivi. E lui poteva permettersi anche di infrangere le
disposizioni di servi timorosi del loro padrone e fungere da stampella umana per
il suo amico.
Era trascorso ormai diverso
tempo, forse un quarto d’ora in mancanza di riferimenti esatti, da quando il
gruppo aveva abbandonato il laboratorio scortato dai Pokémon. Fu allora che i
tre prigionieri si resero conto del fatto che erano arrivati al capolinea: si
trovavano di fronte a un’alta parete rocciosa rischiarata dalle fiamme violacee
che in assenza di Faraday erano l’unica sorgente di luce.
Gli Attiranime iniziarono a
consultarsi in privato, il che diede a Terence modo di confrontarsi sottovoce
con i suoi colleghi, e più specificatamente con Kibwe. « Cosa pensi di fare
quando saremo davanti a Hoopa? Usare… ? ».
« Prepara il tuo PSS » gli
sussurrò lui, avendo cura di non essere udito « E poi fai come ti dico ».
«
Non parlate! Non parlate! » si impose il Terzo Chandelure, il quale
nel frattempo aveva concluso la confabulazione tattica con gli altri due. La sua
figura fluttuò avanti di qualche metro, venendo quasi a contatto con il muro «
Dio, abbiamo obbedito! ».
Dopo qualche secondo di quiete un
lampo si accese sulla pietra, una sorta di incisione che fu visibile per non più
di un istante. Dopodiché essa fu sostituita da una circonferenza color giallo
acceso del raggio di svariati metri, al cui interno le tinte scure della caverna
si confondevano in un magnifico turbinio fino a scomparire. In uno spettacolo
senza pari un gorgo impastato si era aperto davanti ai tre Flare, un varco del
tutto simile a quello della suite Notte Fonda. Indubbiamente era opera di Hoopa,
e Kibwe pensò di comprendere perché li avessero portati fino a lì: un passaggio
di quelle dimensioni richiedeva una parete sufficientemente verticale per
posizionarsi al meglio.
«
Entrate » intimò il Secondo Chandelure. L’informatico fin
dall’inizio l’aveva visto come il meno strisciante, quello che si sarebbe posto
meno problemi a ucciderli se avesse avuto una valida ragione per farlo.
Meglio non dargliela, pensò allora
mentre, sempre sorreggendo Sandy, si fece coraggio e si inoltrò nel maelstrom
indaco.
Passarvi attraverso fu una
sensazione pressoché unica, poiché non avvertì una netta divisione tra il
precedente e il susseguente, come se avesse valicato una banale porta. Non ebbe
tuttavia alcun dubbio sul fatto di essersi mosso: se prima il buio era
avvolgente al punto da farlo sentire una fiaccola in un campo sterminato, ora si
era spostato in un luogo la cui luminosità lo accecava in un bianco permeante.
PARTE PRIMA
– Nadir
Quando Ginger poggiò i piedi per terra il mondo intorno a sé girava
vorticosamente come il cestello di una lavatrice. Poco coscienziosamente pensò
di fare qualche passo in avanti, ma ciò che ottenne fu solo barcollare
visibilmente con andatura dinoccolata. Dapprima pensò di trovarsi in un breve
sprazzo di coscienza dopo essere stata definitivamente riscritta dalle onde
sinaptiche, e solo dopo rammentò l’ultimo suo ricordo, prigioniera con gli altri
dei tre Chandelure. Di essi non c’era traccia nell’ambiente in cui si trovava
ora, quindi c’era una sola possibile spiegazione: si era teletrasportata.
Di lì i suoi pensieri si esibirono in voli pindarici da un argomento
all’altro. Se i suoi atomi erano stati veramente separati e ricomposti altrove,
la domanda successiva era perché l’avessero fatto, dato che non ricordava
di aver alcun Pokémon in grado di usare Teletrasporto. Contemporaneamente a
queste elucubrazioni i suoi occhi iniziarono a mettere a fuoco il circondario,
senza molti dubbi la stessa caverna da cui era partita – ma in un punto diverso
–, e constatò che la luce che vedeva proveniva da Faraday, il suo Jolteon, che
quindi aveva viaggiato con lei.
« Siamo ancora vivi! Questa giornata può definirsi un successo! ».
Udire quella voce innervosì la donna più della dislocazione: era stato
lui. Chi se non Bellocchio avrebbe potuto concepire un’idea così malsana?
Appena riacquisite abilità motorie accettabili si avventò su di lui da dietro,
scaraventandolo contro il duro suolo roccioso dell’antro.
« CHE
COSA TI SALTA IN MENTE? » gli
ruggì nell’orecchio mentre quello ancora cercava di capire cosa l’avesse
colpito. Sentiva che avrebbe vomitato da un momento all’altro, ma tanto meglio
se fosse capitato sulla faccia di quell’arrogante.
« Calma, calma… ».
Il tono di voce dell’uomo era lucido, così come anche la sua mente,
perché a differenza di lei aveva potuto anticipare il momento del teletrasporto
e approntarsi, mentre lei era stata colta di sorpresa. Ciò la fece imbestialire
ulteriormente «
GLI ALTRI SONO ANCORA
LÀ! ».
« Ho chiesto scusa, io–– ».
« LI AMMAZZERANNO!
PENSERANNO CHE CI STIANO COPRENDO E LI AMMAZZERANNO!
».
« Ringrazia che ho evitato lo stesso destino a noi! » esclamò il
giovane.
Ginger fu sul punto di sferrargli un pugno di rara violenza, ma un nuovo
attacco di nausea prese il sopravvento e il suo corpo cadde di lato in preda ai
giramenti di testa. Avrebbe rimesso a breve, ne era certa.
« Non muoverti, peggiorerà solo la situazione ».
Nella fatica che profondeva per reprimere il voltastomaco causato dal
teletrasporto, l’Ufficiale trovò comunque la forza di parlare « Con cosa ci hai
portati qui? ».
Bellocchio, frattanto drizzatosi in posizione seduta, mostrò fugacemente
una delle Poké Ball agganciate alla sua cintura « Karen, la Ralts di Serena.
L’ho presa in prestito nel caso potesse servirle, ma a quanto pare è servita più
a noi ».
« Allora riportaci indietro ».
« Se anche potessi, a che pro? ».
A che pro?
Oh, che domanda pungente. Forse per provare ad aiutarli? Non lasciarli da soli
nelle mani dei Chandelure? Aveva sempre pensato, o sperato, che l’insensibilità
di quell’individuo fosse figlia di un pessimo senso dell’umorismo, ma ora si
faceva strada in lei l’ipotesi che non avesse mai finto.
Comunque su una cosa aveva ragione: non poteva tornare al punto di
partenza. Il meccanismo di Teletrasporto era casuale, sarebbero potuti
riapparire dovunque. In effetti il solo fatto che si trovassero ancora nella
grotta del Pianeta Nero era un miracolo, dato che il raggio d’azione medio della
tecnica era di chilometri.
In quel momento, inaspettatamente, una allarmante considerazione le
fendé il cervello. « Quel Ralts sa dissipare i residui particellari, vero?
».
« I che? ».
« Residui particellari. Quando ti teletrasporti le tue particelle in
volo sfiorano le altre lasciando un tracciato visibile. Si può usare per
seguirti ».
« Mettiamolo tra i forse ».
« Oh, perfetto » inveì sottovoce Ginger. L’unica nota positiva
era che ancora non li avevano trovati, quindi c’era una possibilità che i
Chandelure o il loro leader non sapessero farlo.
Bellocchio esaminò per la prima volta con attenzione il luogo in cui
erano ricomparsi. Le dimensioni, un chilometro cubo o giù di lì, erano
decisamente minori dell’atrio roccioso in cui il laboratorio di Kashlinsky era
stato costruito. Le pareti erano di conseguenza discretamente alte, ma non vi
era traccia delle proporzioni ciclopiche in cui si erano imbattuti nel primo
ambiente. Un’altra rilevante differenza era che non c’era alcuna traccia di
uscite.
O meglio, quasi. « Ehi, Ginger, vieni a vedere » la chiamò Bellocchio
incuriosito mentre, capo alzato al soffitto, osservava stupito un’ampia
spaccatura nella roccia che si perdeva sopra di loro. Un baratro all’inverso, si
sarebbe detto. « Un bel buco ».
La donna concordò. Con un cenno indicò a Jolteon di porvisi sotto per
illuminarlo, ma anche un Flash relativamente ravvicinato si perdeva nelle ombre
di quella cavità. « Mi chiedo dove porti ».
« In alto ».
Le parole del giovane, scandite con ironia, indussero un tenue risolino
amaro in Ginger. « Mi ricordi Ross. Certe volte vorrei avere la vostra capacità
di fregarvene del contesto in cui scherzate ».
« La mia era un’osservazione legittima » contestò Bellocchio. Quindi,
mentre i suoi occhi si abbassavano per tornare ad analizzare l’ambiente
limitrofo, una sorta di imprecazione a versi uscì dalla sua bocca. « Scusa per
il PSS ».
« Eh? ».
L’uomo puntò l’indice su un punto del terreno, dove frammenti di uno
smartphone erano sparsi dopo uno schianto all’apparenza alquanto violento. «
Dev’essere successo col teletrasporto ».
Ginger ne fu onestamente sorpresa, perché avrebbe giurato di avere
ancora il suo stipato nella tasca dell’uniforme a giudicare dalla pressione che
esercitava sul suo fianco. Quando andò con la mano a indagare all’interno
verificò che effettivamente era così. Disorientata sfilò il cellulare
bianco come il latte e lo mostrò a Bellocchio, che fece lo stesso con il suo che
lei aveva personalmente ripulito dal diodo di polarizzazione. Se entrambi i loro
PSS erano nei rispettivi palmi, di chi era quello frantumato al suolo?
La risposta calò sull’ingegnera come una spada dal cielo. « Ti sei
sbagliato, quel buco non va in alto ».
« Cosa? ».
« Quello è il PSS di Sandy ».
Bellocchio fu scioccato non tanto per la rivelazione, quanto per essersi
temporaneamente dimenticato dell’incidente dello strapiombo. Che la riscrittura
si stesse facendo strada anche tra le sue sinapsi ora? Controllò l’oggetto più
da vicino, ma con la caduta che aveva fatto era irrecuperabile. « È caduto qui?
Quindi ci troviamo sotto al pianterreno ».
« Teletrasporto non punta mai in basso » obiettò Ginger « No, no, non
ricordi cosa diceva Kashlinsky? Parlava del generatore a caduta perpetua, il
tubo! ».
« Continuo a non capire ».
La Flare esitò, cercando di fare ordine mentale prima di spiegare un
concetto tanto astratto rispetto alla realtà quotidiana. « Questa caverna è in
quattro dimensioni ». L’uomo cercò di protestare, ma lei lo fermò prima che
potesse « È così! È più grande all’interno, molto più grande! Uno spazio
simile è possibile solo perché la grotta è ripiegata su se stessa! ». Indicò il
PSS sbriciolato « Non è semplicemente caduto verticalmente, si è mosso in più
direzioni! E lo stesso il tubo del generatore, ecco come funziona! Al Pianeta è
bastato trovare dei fori che si connettessero ad anello! Il cubetto che scorre
al suo interno è entrato in un loop gravitazionale e frenato dall’acqua produce
energia termica che viene convertita in elettricità! ».
Bellocchio si sforzò di non perdere il filo, anche se il sermone
scientifico pronunciato in dieci secondi netti gli complicava decisamente il
compito « Stai dicendo che il cubetto è destinato a precipitare in eterno? ».
« Generatore a caduta perpetua, dopotutto. È come camminare sulla
superficie di una sfera, non ci sono limiti ma percorrendo abbastanza strada
torneremmo al punto di partenza. Curvatura spaziotemporale ». Questo spiegava
anche perché non avessero lasciato la caverna con il Teletrasporto: il suo
movimento era ancorato alle tre dimensioni spaziali, quindi non poteva
abbandonare quella grotta esattamente come non poteva fuggire dall’universo
stesso. « Solo una cosa non torna: com’è possibile? Voglio dire, sicuramente
c’entra lo Scissore ».
Un luogo inspiegabilmente apparso dalle dimensioni impossibili, con
forte curvatura spaziotemporale rilevata. Bellocchio frugò nel labirinto della
memoria alla ricerca di un analogo di quella situazione tanto familiare, ma non
fu necessario ispezionare a lungo. Era successo due giovedì prima, in un giorno
nebbioso a Castel Vanità.
La Sala degli Stati del castello. L’antro di Omastar risalente all’alba
della vita sulla Terra. Ora gli era chiaro: lo Scissore ai tempi del Pianeta
Nero aveva riaperto una sacca temporale, un universo a bolla nato da un
inceppo nel meccanismo del tempo. La caverna in cui si trovavano doveva essere
vecchia di milioni di anni, quando una biforcazione anomala l’aveva congelata in
un globo fuori dal cosmo mentre quella vera, probabilmente, era franata prima
ancora che gli esseri umani sapessero parlare. La cicatrice era poi stata
strappata nuovamente quando lo Scissore, alimentato da uno dei frammenti
celesti, aveva concentrato i gravitoni intorno a sé, spedendo l’intero
laboratorio fuori sincronia rispetto alla linea temporale del loro universo.
Tuttavia due cose non tornavano. Numero uno: perché in tempi lontani
bolle temporali erano nate così ravvicinate? La probabilità che una si
verificasse spontaneamente era già di per sé concretamente nulla. Numero due:
secondo quanto riportava Kashlinsky nei vlog non erano presenti vie di fuga
dalla caverna, quindi la bolla era intatta quando ci erano entrati. Dunque
perché ora l’uscita esisteva?
Bellocchio si voltò verso Ginger, cogliendola mentre traballava
instabile sulla roccia sottostante. « Ehi, ehi, tutto a posto? Sdraiati » le
disse affrettandosi per aiutarla. La donna si rifiutò, ma quantomeno giunsero al
compromesso di mantenerla seduta perché non si sforzasse troppo. Nessuno dei due
aveva idea di quanto tempo mancasse alla riscrittura completa, ma non doveva
essere molto.
«
Are you hanging up a stocking on your
wall… ».
Si avvertì una quasi umoristica
dissonanza musicale quando gli speaker del PSS dell’Ufficiale diffusero
nell’ambiente il glam rock natalizio degli Slade. La coppia di solitari
prigionieri della caverna si guardò negli occhi disorientata, e probabilmente
avrebbero riso se non fossero stati tanto vicini alla morte psichica: qualcuno
telefonava all’ingegnera.
Kibwe l’aveva visitata una sola
volta, con i suoi compagni del liceo in gita scolastica. Ricordava l’eleganza
della scalinata marmorea, il calore delle luci dorate, i maestosi affreschi del
foyer; ma più di ogni altra cosa aveva
impressa nella memoria la spettacolarità del teatro, le sue tinte gialle e
vermiglie, i ricchi ornamenti scolpiti, i fastosi drappi che fungevano da
sipario, la moltitudine di poltrone vellutate e il dipinto di Chagall sulla
cupola che avviluppava il lampadario. Perciò realizzò immediatamente che il
luogo dove il portale attraversato nell’antro lo aveva condotto era precisamente
l’Opéra Régional.
L’edificio era scomparso
misteriosamente dopo il Primo Galà di Luminopoli, parallelamente alla finale al
Jardin d’Éden.
Visti gli eventi assurdi che si erano verificati in quell’occasione – cielo
viola in primis – si era pensato a un effetto collaterale, e nonostante le
ricerche non fossero mai state formalmente interrotte nessuno sperava più in un
suo ritrovamento. L’organizzatore del Secondo Galà, Franz Hanlov, stava proprio
in quel periodo ristrutturando l’Opéra Pirouette per accogliere un maggior
numero di spettatori, a riprova della scarsa fiducia in un possibile recupero, e
invece eccola davanti a sé. Probabilmente avevano abbandonato la caverna, visto
che almeno personalmente l’informatico non avvertiva più l’influsso delle
radiazioni. E tutto ciò non era nemmeno l’aspetto più stupefacente.
Era pieno di spettri. I tre
Flare, fuoriusciti sul palcoscenico dal varco, potevano ammirare l’intera sala
gremita di ogni specie di Pokémon fantasma immaginabile, dai Gengar ai Trevenant
passando per i Chandelure a cui il loro trio di aguzzini si era ricongiunto.
Sulla tribuna d’onore, il balconcino centrale al livello più alto, circondato da
Doublade, Golurk e montagne di gioielli, sedeva su un trono una creatura
dall’aspetto demoniaco. Era alta probabilmente mezzo metro, dalle sfumature
rosee su un corpo grigio spento e le iridi color chartreuse; il suo capo era
deformato da una coppia di corna e molto nelle sue sembianze ricordava certi
geni apparsi nelle fiabe.
Al loro arrivo i Flare erano
stati accolti da un confabulare intenso da parte dei lugubri spettatori; ma, nel
momento in cui quello che pareva il loro sovrano aveva conciliato la presenza
del trio, i suoi sottoposti avevano taciuto rispettosamente. E ora quel bizzarro
individuo li stava scrutando, per poi dar loro ricevimento con una stridula voce
che sarebbe suonata ridicola in chiunque altro, ma non in lui. « Benvenuti! ».
Kibwe rivolse una rapida occhiata
a Terence, che annuì silenziosamente per informarlo di aver svolto il suo
compito.
Ginger si portò il dito alla bocca per chiedere al suo amico di non
parlare mentre, non una parola proferita, disattivava il microfono del suo PSS.
Quando fu certa di non poter essere udita dall’altra parte chiarì « Sono in
comunicazione ».
Bellocchio in realtà l’aveva intuito fin dal primo istante anche senza
necessità di spiegazione: i suoi colleghi avevano telefonato per consentirle,
dovunque fosse, di seguire il dialogo che stavano intrattenendo con un ignoto. «
Di chi era quella voce? ».
« Di chiunque sia, i miei sono con lui o lei in questo momento ».
L’uomo annuì cupo, ascoltando la conversazione emanata in vivavoce dallo
smartphone. Di una cosa era sufficientemente certo: non era umana.
« Avete impiegato più di quanto mi aspettassi per arrivare qui ».
Kibwe scrutò perplesso l’individuo sprofondato sul suo trono
giocherellare con un anello dal discreto diametro. « Ci aspettavi? ».
« Ovviamente vi aspettavo! ». Il Pokémon si dissipò nell’aria per
ricomporsi poco distante tra loro, fluttuante sulla platea in cui si era formato
un vuoto circolare privo delle ingerenze dell’oceano di fantasmi « Va meglio,
vero? Ho rivestito questa struttura di zinco. Pensatela come una gabbia di
Faraday, nessuna radiazione sinaptica può entrare o uscire di qui ».
L’unico disposto ad assumersi l’ingrato compito di conversare con
quell’essere raccapricciante, Kibwe, trasse due conclusioni da quelle parole: la
prima era che si trovavano ancora nella stessa caverna, la quale doveva vantare
dimensioni ragguardevoli se poteva contenere il teatro dell’Opéra Régional; la
seconda fu meno immediata, poiché dovette rammentare un argomento che aveva
udito l’ultima volta nella sala riunioni del
Ligue Château d’Examen. « I furti di zinco degli ultimi giorni… Sei stato
tu ».
« Ben detto ».
La conferma del suo interlocutore innescò
nell’informatico una lunga serie di deduzioni: se sapeva come funzionavano le
onde di riscrittura sicuramente era lui a produrle, e allo stesso modo era
responsabile delle lettere trasmesse alla regione. Quindi lui aveva sottratto il
generatore dalla Cripta, lui aveva ordinato ai Rotom di attaccare Kalos, lui era
il segreto fautore di ognuno dei terribili avvenimenti delle ultime
ventiquattr’ore e più. Erano giunti lì per svolgere una missione, e la missione
era la ricerca del mostro che ora stava loro davanti. L’uomo dietro le quinte,
appropriatamente. « Chi sei? ».
« Credevo che l’aveste già intuito » lo canzonò
lo spirito in un timbro tanto deviato quanto suadente « Il mio nome è Hoopa, e
sono il Dio degli Spettri ».
I tre Flare in un senso si erano attesi la
risposta, eppure era difficile credere che la voce terrificante che aveva
parlato con loro nel Mondo dei Morti per mezzo di Ross appartenesse a quel
piccolo demone. E Dio degli Spettri? In qualunque modo fosse fuggito dal
labirinto doveva essersi dato da fare.
« Vi vedo un po’ disorientati » denotò il
Pokémon con un risolino « Forse siete in ansia per la vostra amica? ».
Se prima il gruppo era turbato ora era davvero confuso: amica?
Hoopa schioccò le dita e nello spazio accanto a lui si compose un’ellisse
turbinante. Dopo qualche secondo fu chiaro che il fantasma aveva aperto una
finestra verso un punto diverso della caverna, perché nel disordine divenne
visibile una ragazza in abito scuro incatenata a un freddo muro di roccia. Era
incosciente, facilmente svenuta o addormentata, ma perlomeno non pareva ferita
in modo grave. La Seconda Unità la riconobbe all’istante, ma fu solo Sandy a
rammentarne il nome. « Serena! ».
Bellocchio sobbalzò, gettandosi sul PSS alla menzione del nome della sua
compagna di viaggio. Non poteva vedere, ma dal tono dell’astronomo poteva
intuire che non era un’esclamazione di terrore, bensì di sollievo. Non era
morta, doveva averla vista. Mai aveva tanto desiderato che qualcuno dicesse di
più, e invece seguì un silenzio che tese ogni corda del suo animo. Si voltò
verso Ginger aspettandosi, se non di trovarla in fibrillazione come lui,
quantomeno di vedere un sorriso fare capolino sul volto. Invece ciò che si
presentò ai suoi occhi era una donna in preda a un attacco di convulsioni.
Immediatamente si precipitò dietro di lei per sorreggerla, temendo che
perdesse conoscenza da un momento all’altro. « Cosa c’è? ».
« Hoopa… » farfugliò lei. Gli occhi erano vitrei, la sudorazione
aumentata e le pupille vibravano sensibilmente. Non era effetto delle
radiazioni, era qualcos’altro, anche se il giovane non era in grado di stabilire
cosa.
« Sì, è quello che ha detto ».
Ginger si passò la mano sul volto, riprendendo parzialmente il controllo
di sé « Una settimana fa io e gli altri siamo andati al Crésus Hotel per
indagare. Siamo finiti in un posto, il Mondo dei Morti… E c’era lui… Ha ucciso
mio fratello… ». No, dentro di sé l’ingegnera sapeva che non era vero. Hoopa
poteva aver collaborato, ma chi aveva deciso di non salvare Ross dal buco nero
era stata lei. Si ravviò i capelli nervosamente, cercando di reprimere
quel pensiero ricorrente « E uno dei miei, Etan… Lui si è sacrificato perché
quel mostro non tornasse, ed è stato inutile… ».
Era quello a farla soffrire di più. Molti martiri erano stati necessari
in quel giorno buio perché l’umanità fosse salva, ed era stato vano, perché
Hoopa era tornato in piena forma proprio davanti ai loro occhi. Ginger non
voleva piangere, eppure le sue guance furono presto rigate da lacrime di rabbia.
Bellocchio la osservò addolorato. Comprendeva i sentimenti della sua
amica, e senza dubbio appellarsi alla sofferenza era il modo migliore per
sconfiggere la riscrittura sinaptica, ma non così. Doveva calmarsi
assolutamente, o sarebbe stata schiacciata dal peso del suo passato. E non
poteva permettersi di impazzire, non ora.
« Vedo che almeno uno di voi si è risvegliato » commentò Hoopa
soddisfatto, scrutando il più anziano del trio che aveva reagito per primo.
« Perché l’hai rapita? » gli domandò Sandy.
« Per distrarvi ».
Kibwe esibì una smorfia scettica sul volto « Per distrarre noi?
».
« Vi ho tenuti d’occhio mentre sventavate l’invasione dei miei Rotom, e
vi ho visti in compagnia di quella ragazza. Ho pensato che sarebbe stata
un’ottima esca per tenervi impegnati ».
L’uomo comprese il ragionamento del loro avversario: non era per
Bellocchio che aveva preso Serena, era per loro. Avrebbe potuto anche
sequestrare Ginger, la bionda gli doveva semplicemente essere parsa più facile
da ottenere. « Perché ci volevi impegnati? ».
« Per sottrarvi il catalizzatore » sorrise maliziosamente Hoopa. Con un
altro schiocco di dita il varco precedente si richiuse e al suo posto comparve
un treppiede sormontato da una sorta di mortaio cavo. Kibwe stralunò gli occhi
alla vista del macchinario: era proprio il catalizzatore, o l’Arma come
spesso vi si erano riferiti nelle ore tese dell’invasione. Era stato il loro
piano principale fino a quando Bellocchio non aveva avuto l’intuizione del nuovo
sole: far divergere con quell’oggetto le onde del cannone a compressione e
detonare tutti i Rotom. L’avevano lasciato al Pokémon Center prima di partire
verso il Percorso 8. E a quel punto l’informatico intuì: il rapimento era stato
un diversivo per distrarli dal suo furto.
Hoopa colse l’impercettibile variazione nell’atteggiamento dei Flare e
sorrise beffardo « Oh, ora iniziate a capire, vero? ».
« A cosa ti serve? » lo interpellò Terence.
« Non avete fatto caso alle due lettere che vengono trasmesse da tempo?
».
L’asiatico aggrottò la fronte « LK? Che cosa c’entra? ».
« Sono onde sinaptiche anche quelle, l’unica differenza è che le stiamo
trasmettendo all’esterno. Non avete notato che sono estremamente deboli? Sono
avvertite prevalentemente in sogno, nello stato di minima coscienza. Era un test
per verificare la potenza delle emissioni ». Ognuna di quelle parole fu un
ulteriore coltello nello stomaco di ciascuno degli scienziati, perché il filo
del piano si dipanava finalmente davanti ai loro sguardi attoniti. « Il vostro
catalizzatore può intensificare i fenomeni di perturbazione non
elettromagnetici. Con esso il raggio di azione si estenderà all’intera regione
».
« E potrà riscrivere Kalos… » completò Sandy orripilato, giungendo per
primo all’ovvio compimento. Con il catalizzatore avrebbe potuto estendere ciò
che li aveva quasi stroncati nella caverna a un raggio decisamente maggiore.
Tutti gli abitanti sarebbero stati riscritti usando proprio il loro asso nella
manica. « L’invasione dei Rotom… L’hai organizzata solo per stanarci, vero? ».
« Rubare dalla Cripta un generatore sperimentale è stato un gioco, ma
accedere ai piani alti dove tenevate il catalizzatore è praticamente
impossibile. L’unico modo che avevo per ottenerlo era costringervi a portarlo
fuori, per questo ho pianificato una situazione tanto critica che vi
costringesse a usarlo ».
Per Ginger, che si era appena ripresa dallo shock della rivelazione di
Hoopa, questo fu un altro colpo al cuore. Stentava perfino a crederci: li aveva
raggirati. Un evento di portata paragonabile solo alle Grandi Guerre era stato
orchestrato con l’unico scopo di mettere le mani su un artefatto Flare. Nessuna
intenzione di dominare Kalos, sapeva benissimo che avevano un modo per fermarlo.
Aveva giocato con loro come si fa con le pedine del backgammon.
Dal PSS il Pokémon riprese a parlare « Ovviamente mi serviva qualcuno
di immune al cannone a compressione, visto che tutti i Rotom sarebbero esplosi,
per questo ho incaricato il Chandelure che avete incontrato di recuperare il
catalizzatore. Quando ve ne siete usciti con il piano alternativo la sua utilità
è venuta meno. L’ho uccisa per mostrare a voi che non era finita, per
assicurarmi che non ve ne tornaste al Frattale con il mio obiettivo ».
Bellocchio si sentì pervadere dalla collera. Non credeva che sarebbe
potuto succedere, ma provava pena per la Dama Cremisi. Aveva creduto che fosse
morta per aver fallito il suo compito, e invece era molto peggio: era morta
perché non era stato necessario svolgerlo. Era stata sacrificata per proseguire
il piano.
« Ma perché? » obiettò Kibwe energicamente « Cosa ne trai se Kalos passa
ai tuoi ordini? ».
« Non hai ancora capito? So che avete visto i video di mio padre,
dovreste esserci arrivati ».
Questo.
Fu questo il momento in cui tutti i presenti, compresi i due che assistevano
indirettamente alla conversazione, si allinearono perfettamente in
un’espressione di sgomento. E ciononostante nessuno accettò la possibilità di
buon grado, perché era la cosa più assurda immaginabile. Hoopa era Logan
Kashlinsky?
« Quel bastardo uccise mia madre nel tentativo di salvarsi. Se ne fregò
dei rischi della manipolazione genetica trasformandomi in ciò che sono ora, una
deformità » proseguì lo spirito con un ringhio soffocato tra i denti « Io sarei
potuto essere come voi, e invece sono stato immolato sull’altare della scienza.
Lo sventrai con le mie stesse mani, scaricandolo ai margini della Galassia come
la spazzatura che era ».
Sandy fu il più impressionato dal racconto consegnato con una ferocia
sbalorditiva alle sue orecchie. Tutto acquisiva un senso maggiore in
quell’ottica: la capacità di quell’individuo di produrre wormholes,
evidentemente elargitagli dallo Scissore, e la scelta di usare proprio le
lettere L e K come test per la propagazione sinaptica esterna. Ma nonostante ciò
accettarlo era difficile, perché significava che Hoopa non era un Pokémon. Era
stato un umano, o più precisamente un feto, prima di essere crudelmente mutato
in un mostro. Da un cosmologo, per di più, un suo potenziale collega. « Mi
dispiace » disse con un filo di voce, ma le sue parole dovevano suonare spente a
chi aveva visto la propria vita distrutta prima ancora di nascere.
« Ah, e sapete la cosa migliore? Lo Scissore funzionò. Acquisii il
potere di aprire varchi nello spaziotempo. E quando andai alla ricerca
dell’universo gemello, quello per cui ero stato mutilato della mia umanità… Non
trovai nulla ». Hoopa si infervorò « Ho vagato nel freddo nel cosmo, ai confini
della conoscenza, e ho trovato il vuoto. Il flusso oscuro era un errore di
misurazione. La stupidità di mio padre mi ha rovinato, la sua incapacità di
pensare razionalmente. Perciò, vedete, non trovate che questo mondo sarebbe un
posto migliore se tutti chiedessero prima a me? ».
« Non li renderai più saggi, li trasformerai solo in soldatini
obbedienti » ribatté secco Terence.
« Ciò che farò a voi è esattamente ciò che voi fate ai vostri Pokémon.
Ditemi, Flare, vi sembra ancora così umano adesso che il trattamento vi riguarda
direttamente? ».
A quel punto anche il matematico tacque. Sandy e Kibwe abbassarono il
capo nella vergogna, incapaci di dare torto al loro interlocutore. Hoopa non si
fermò, quasi volesse di proposito espellere quelle tossine cerebrali dal suo
corpo « Ho progettato per anni la mia vendetta, usando questa caverna come base
d’azione. Facendomi un nome, entrando nelle leggende come Dio degli Spettri. Poi
due settimane fa qualcosa è cambiato, e di colpo la caverna si è ritrovata
un’uscita accessibile al mondo ».
Bellocchio corrugò il volto in un’espressione di curiosità. Di colpo
la caverna si è ritrovata un’uscita erano parole che evocavano una
possibilità che non gli era venuta in mente.
« Ho dovuto affrettare i tempi, introducendomi nella Cripta per
rubare il generatore e manomettendo la prima serie dei P5S. Visto il poco tempo
converrete che ho svolto un buon lavoro ».
Questa volta toccò a Ginger rimanere stranita da ciò che Hoopa sosteneva
« Ma come ha fatto? Infiltrarsi nei Flare è impossibile ».
« Beh, poter creare varchi spaziali gli dà un certo vantaggio intrinseco
» le fece notare il suo alleato.
« Per la Cripta, sì, ma inserire i diodi in un’intera partita di PSS
richiede presenza prolungata ».
Di nuovo la conversazione in corso dall’altro capo del filo conquistò
l’attenzione della spelonca, ora con il timbro profondo di Kibwe « Perché ci
hai detto tutto questo? ».
« Ah, questa è un’ottima domanda. Senza mezzi termini, avevo bisogno
che manteneste aperto il collegamento telefonico con i vostri due soci dispersi
abbastanza a lungo per rintracciarli attraverso i segnali di ricezione, e
rivelarvi informazioni private era il modo migliore per garantirlo ».
Ginger e Bellocchio rimasero immobili, congelati dall’ultima frase. Lo
sapeva, sapeva benissimo che lo stavano ascoltando. L’aveva sempre saputo e
aveva tratto vantaggio dalla situazione. Hoopa parlò nuovamente, diretto però
proprio a loro « Permettetemi di riformulare: presto avrete compagnia ».
L’ingegnera si gettò sul PSS e chiuse il collegamento senza pensarci due
volte, ma ormai era troppo tardi: un trio di Chandelure, forse gli stessi che li
avevano sorpresi nel laboratorio di Kashlinsky, si materializzò a triangolo a
una distanza di una decina di metri tra loro. Jolteon balzò prontamente vicino
alla sua padrona, che recuperato lo smartphone si ricongiunse a sua volta a
Bellocchio. « Usa il Teletrasporto ».
« Potremmo finire da Hoopa ».
« Voi ci seguirete » stabilì categorico uno degli spettri che li
avevano accerchiati, con uno schema comunicativo che somigliava vagamente a
quello del Secondo Chandelure.
« Potremmo anche finire murati, la mossa è inaffidabile in quattro
dimensioni, USALO! ».
Bellocchio ritenne la morte incipiente un’argomentazione
sufficientemente persuasiva. Il Secondo Chandelure rilasciò una tecnica che
poteva essere uno Psichico atto a piegarli senza ucciderli, ma Karen dentro la
Poké Ball di Serena lo anticipò di quanto bastò per svanire nell’aria evitando
il colpo.
* * *
Una volta materializzatisi in un diverso ambiente, essendosi entrambi
preparati al teletrasporto, Bellocchio e Ginger si sarebbero attesi di
conservare un certo grado di lucidità. Ciò fu vero per un secondo netto;
dopodiché entrambi furono colti da brutali giramenti di testa e debilitazione
motoria, al punto che dopo un passo ciascuno caddero riversi sul manto roccioso
sottostante. Vigeva un freddo glaciale e nemmeno il Flash di Jolteon poteva
rimediare a ciò, dal momento che gran parte dell’energia prodotta confluiva
nella luce piuttosto che nel calore. Forse la temperatura non era nemmeno
realmente più bassa rispetto alla media della caverna, e si trattava
semplicemente di una sensazione da loro avvertita.
Bellocchio si trascinò in avanti con le braccia, incapace di migliorare
la sua postura per quanto provasse « Che… sta… succedendo? ».
« Onde sinaptiche. Sono… dobbiamo essere vicinissimi alla fonte… »
biascicò la donna, che ormai faticava perfino a parlare. La frase successiva
uscì dalla bocca frammista a spasmi di dolore « Manca poco ».
Il suo compagno di sventura sgranò gli occhi per il terrore. L’oblio
totale, la sua fobia più profonda… Stava per succedere, ben prima del tramonto e
senza alcuna promessa di sopravvivenza. Osservò la sua mano destra, le sue dita
ossute che tremavano, e le avvertì esterne al suo corpo, non sue, come se non
fosse più in grado di controllarle. Non gli appartenevano più. « Cosa… facciamo?
».
« Nulla » rispose secca Ginger, spostandosi supina con i ricci a fungere
da cuscino. Faraday le si accostò con la sua luce, immune alla loro fiacchezza
perché le radiazioni sinaptiche erano programmate per non agire su chi aveva già
un codice sinaptico impresso; in altre parole, nessun pericolo per i Pokémon già
catturati. Nella sua testa penetrava nulla più che rumore di fondo, distraente
ma non debilitante « Abbiamo perso, abbiamo iniziato già sconfitti. Lascia che
ti prenda ».
Il pugno di Bellocchio si strinse in un tentativo di sottomettere le
lacrime che minacciavano di sopraggiungere. Non poteva finire lì. C’era troppo
che non sapeva. Che cos’aveva fatto alla Dama Cremisi e agli spettri perché lo
detestassero? Perché i Rotom non lo conoscevano? Perché dimenticava ogni cosa al
calar del sole?
Solo allora, appena prima di svanire, si rese conto di quanto era
egoista. Lui che nel taccuino evidenziava la sua natura eroica, si stava
preoccupando soltanto di se stesso. Esattamente come Alexander Kashlinsky, colui
che indirettamente aveva causato tutto quello. E Serena? E il resto della
Seconda Unità? Doveva fare appello alla parte migliore di sé, in qualsiasi
frazione fosse ancora scampata alla riscrittura. E prima di tutti gli altri,
prima ancora di sé, doveva salvare Ginger.
E sapeva benissimo qual era l’unico modo per ritardare il trionfo delle
onde sinaptiche, perché lui stesso l’aveva detto appena prima che il trio di
Chandelure li sorprendesse nel laboratorio: aggrapparsi alle emozioni più forti.
La paura di andarsene gli aveva restituito almeno il raziocinio necessario per
pianificare la mossa successiva, ma il panico era inadatto a lungo termine.
Troppo volatile, troppo deleterio. Ma a che cos’altro avrebbe potuto fare
ricorso?
Rotolò di centottanta gradi sulla vita per rivolgersi nella direzione
dell’ingegnera, facendo intendere – se mai qualche dubbio fosse stato possibile
– che il quesito era rivolto a lei.
« Ti sei mai pentita di qualcosa? ».
PARTE SECONDA
– L’inizio e la fine
Ginger sorrise. Che domande, tutti si pentono di qualcosa, è parte
integrante della vita. Per non farlo bisognerebbe essere esenti da errori,
oppure privi di alcun senso di autocritica. D’istinto pensò di parlare di Ross,
ma riconsiderò subito l’ipotesi. Le dispiaceva aver dovuto lasciarlo nel
labirinto di Hoopa, ma l’avrebbe rifatto anche ora, pur sapendo che il loro
nemico era sopravvissuto. Era stato un tentativo valido, e non aveva rimorsi, o
almeno faceva il possibile per convincersene. « La scuola ».
« La scuola… » ripeté Bellocchio con tono ironico. Avrebbe detto che
un’Ufficiale Flare si fosse macchiata di colpe posteriori alla sua infanzia.
« Non volevo iscrivermi a ingegneria » spiegò lei, ben conscia
dell’assurdità dal momento che era la migliore della regione nel campo « Volevo
diventare una storica. Scrivere saggi, indagare sulla mitologia di Kalos ».
« E perché non l’hai fatto? ».
« Mio padre aveva già deciso senza chiedere ». La ragione più vecchia
del mondo, pensò. Avvertiva la sua testa appesantirsi, ma non seppe dire se
fossero le sue sinapsi in procinto di cedere oppure ordinaria stanchezza « Io a
ingegneria, Ross a biologia ».
« Ross era tuo fratello? ».
« Sì, lui… Lui voleva essere ingegnere. Era il suo grande rimpianto ».
Ginger inspirò profondamente, colpita nel profondo dalle sue stesse parole. Quel
rammarico era stato l’argomento del loro ultimo dialogo. Riprese rapidamente a
parlare per non dovercisi soffermare con la mente, voltandosi verso il suo
interlocutore « E tu? Tu ti sei mai pentito di qualcosa? ».
Bellocchio ci pensò su, ma in realtà non fu difficile dato che ciò che
lo emozionava doveva strettamente appartenere al suo ultimo giorno di vita,
l’unico sperimentato in prima persona. « Penso di essere stato io ad aprire
l’uscita della caverna. Qualche settimana fa ho incontrato una sacca temporale e
l’ho distrutta. Beh, Serena l’ha fatto, in realtà… Ma l’ha fatto per me, per
salvarmi ». L’ultima parte l’aveva pronunciata con insolita vivacità, ma già i
vocaboli successivi tornarono a essere trascinati « Credo che abbia portato al
collasso anche della sacca di Hoopa. Se ha affrettato i tempi è colpa mia ».
La donna avrebbe voluto saperne di più, ma scoprì di non avere la forza
per indagare e si limitò a recitare « Il pentimento è l’innocenza dei peccatori
».
Vi fu un breve silenzio, poi entrambi scoppiarono in una fragorosa
risata. Sembrava uno dei proverbi scritti sul retro delle carte dei
cioccolatini. « Che diamine vuol dire? ».
« Non ne ho la minima idea » ribatté Ginger. Tuttavia l’ilarità,
per quanto rinfrescante, non ebbe vita lunga « Però mi manca ».
Bellocchio la scrutò negli occhi, comprendendo che parlava di Ross. Non
serviva dire altro: mi manca era un’espressione così poetica nella
sua semplicità che non necessitava di arzigogoli. Lui non l’aveva mai
sperimentata nelle uniche ore di coscienza che ricordava, quindi non sapeva
quanto potesse fare male, e non avrebbe mai voluto che la sua amica indugiasse
su quel dolore. Ma doveva, perché prima di ogni altra cosa doveva salvarla dalle
radiazioni. Era stata ferita da uno sparo e lui doveva estrarre il proiettile:
sul momento avrebbe sofferto, ma sperabilmente non sarebbe morta. « L’ha ucciso
Hoopa? ».
« Sì. Ha fatto di peggio, in
realtà, ne ha preso il corpo. L’ha portato con sé in un buco nero in formazione
».
« Perché l’ha fatto? ».
« È una lunga storia. Quando
l’abbiamo incontrato non era messo molto bene, era imprigionato nel Mondo dei
Morti ».
L’espressione di Bellocchio mutò
in autentica sorpresa. Aveva fatto personalmente un gran parlare di quel luogo,
ma non aveva mai avuto nemmeno la certezza empirica che esistesse. « Ci sei
stata? Com’era? ».
« Buio. Poche luci in un
orizzonte violaceo. Ah, ma io l’ho visto per mezzo minuto, la maggior parte del
tempo sono stata in un labirinto ».
« Labirinto? ».
Ginger raccontò ciò che seguì con
un distacco che contrastava visibilmente con quanto gli avvenimenti l’avevano
coinvolta. Spiegò quel che era successo al Le Crésus Hotel, dai varchi
dimensionali alla suite Notte Fonda. La parte che riguardava il loop temporale
chiuso si rivelò singolarmente problematica, ma la donna pensò di essere
riuscita a esporla in maniera moderatamente convincente. « Solo che non so come
abbia fatto a scappare » concluse al termine della lunga esegesi « Quel posto è
stato distrutto grazie a Etan ».
Bellocchio ci pensò su « Certo
che è strano ».
L’Ufficiale trovò stranamente
divertente quel commento. Lei stessa faticava a capire cosa fosse realmente
successo, eppure lui parlava di una cosa strana. Una sola. « Quale parte?
».
« Lo avete ucciso. Beh, quasi
ucciso. Spedito in un buco nero ».
« E… ? ».
« E parlando con i tuoi soci non
ne ha fatto menzione ».
Ginger si voltò verso l’uomo, e
in quel momento ai suoi occhi apparve qualcosa di cui prima non si era avveduta:
un’apertura nella roccia. Il muro dietro Bellocchio era fratturato in una
galleria dalla sezione rassomigliante un mezzo ovale. Jolteon percepì
l’interesse della padrona e diresse il proprio Flash in quella direzione, ma
persino l’intenso bagliore si perdeva nelle profondità del cunicolo. Doveva
essere davvero lungo. « Da quanto è lì? ».
Bellocchio seguì il suo sguardo
fino all’aspetto che aveva attirato la sua attenzione. Era sorpreso quanto lei
di scorgere qualcosa di simile lì, ma a differenza della donna aveva una
risposta valida al quesito. « Da sempre. Le onde sinaptiche ci impedivano di
vederla ».
La Flare intuì la parte
sottintesa, ovvero che il dialogo che avevano sostenuto negli scorsi minuti
aveva risvegliato zone del cervello succubi della riscrittura, riportando le
loro capacità percettive a un livello sufficiente per notare la breccia. « Che
cosa ci sarà oltre? ».
« Non lo so » ribatté l’uomo
avanzando di qualche passo. Ginger provò a fare lo stesso, ma avvertì subito le
gambe cedere e barcollò per qualche metro prima di chinarsi con le mani sulle
ginocchia, come se stesse per rimettere.
« Ehi, respira! » esclamò
Bellocchio accorrendo in suo soccorso « Emozioni, ricordi? Le onde stanno
continuando a colpirti. Non distrarti ».
Lei ci provava, eccome se ci
provava, ma era del tutto inutile. Sbatté le palpebre un paio di volte per
provare a riprendere l’autocontrollo, e fu allora che un luccichio proveniente
dal pavimento la abbagliò per un istante. Abbassò ancora la schiena per
esaminarne la sorgente, rimanendone stupita: tra le sue gambe si trovava un
cinturino argenteo da polso abbandonato a terra. Ornamenti fiammanti ne
lustravano l’orlatura e alcuni pulsanti erano visibili su un lato. Lo raccolse
delicatamente, constatando che la concentrazione derivante dalle silenziose
indagini che svolgeva su di esso sembrava restituirle freddezza.
« Che cos’è? » domandò
Bellocchio.
« Un Anello ».
« A me pare più un bracciale ».
« No, Anello con la A maiuscola »
spiegò Ginger « Un progetto dei laboratori della Divisione Flare ospitata a
Tecnologie Applicate, al Liceo per Allenatori di Novartopoli ».
« E cosa ci fa qui? ».
« Non credo Hoopa lo abbia
regolarmente acquistato ».
Anche l’ultima beta dei P5S
proveniva dal Liceo. Fu un pensiero fugace, persistito un secondo, ma bastò
a far comprendere all’Ufficiale com’erano andate le cose. Hoopa non aveva avuto
bisogno di infiltrarsi nel Frattale: fino a qualche settimana prima ogni
progetto era stato in carico alla succursale di Novartopoli, ultima tappa prima
della produzione su larga scala. Gli era bastato modificare il prototipo mentre
era lì, magari verso la fine del lavoro, quando gli accertamenti principali
erano stati già effettuati, e probabilmente nella stessa occasione aveva
sottratto quell’Anello.
« A cosa serve? » domandò
Bellocchio indicando con un cenno l’armilla metallica.
« Individua una buca di
potenziale nei paraggi e ci si teletrasporta ». Lo sguardo perplesso del giovane
spinse la donna ad approfondire la descrizione « Buca di potenziale
significa un punto in cui l’energia potenziale ha un minimo. Gravità,
elettricità, magnetismo, temperatura, la combinazione di essi ha il risultato
minore dell’area analizzata. Puoi pensarla come il luogo più calmo in una
tempesta. Lo scopo dell’Anello è trasportare un Flare nel luogo più sicuro da
una situazione di pericolo ».
« E cosa servirebbe a Hoopa? Lui
ha già i varchi dimensionali ».
« Perché forse non gli
interessava la parte del teletrasporto. Forse voleva solo trovare il punto di
quiete energetica ». Ginger si portò la mano al mento, iniziando a riflettere ad
alta voce mentre spostava nervosamente il peso del corpo da un piede all’altro e
viceversa « Questa caverna è piegata su se stessa, giusto? Una sfera
tridimensionale è curva ai bordi, quindi la zona più piatta sarebbe il centro ».
« Non sono certo di stare
seguendo ».
« Questa caverna è curvata dalla
gravità. La zona con minimo potenziale non può che essere il polo
dell’ipersfera. Siamo al centro della grotta ».
« Ma perché Hoopa cercava il
centro? ».
« Perché se volessi irradiare
un’area in maniera uniforme metteresti una lampadina nel centro, non sul bordo…
». L’ultima vocale fu trascinata, come se Ginger fosse stata distratta da
qualcosa durante la pronuncia. Con uno scatto si girò verso Bellocchio dopo
avergli rivolto le spalle in meditazione fino a quel momento « Credo che oltre
quell’uscita si trovi il nostro generatore sinaptico ».
L’uomo a sua volta osservò la
galleria che si perdeva nelle tenebre. Quella versione dei fatti spiegava perché
avvertissero le radiazioni tanto intensamente: dove loro si erano
teletrasportati per caso, Hoopa era giunto con l’ausilio dell’Anello. Il demone
aveva posizionato il congegno sottratto dalla Cripta nel centro dell’antro,
trasformando quest’ultimo in una enorme Poké Ball, e andandosene aveva lasciato
lì il bracciale per pigrizia o per errore. « Che facciamo? ».
Seguì un breve silenzio, quanto
bastò a Ginger per decidere di infilarsi l’Anello al polso con invidiabile
sicurezza « Dovrebbe funzionare ancora ».
« A che pro? Non farebbe che
portarti qui ».
« Dimentichi che io sono la
migliore ingegnera dei Flare. Calcolo I e II, primo e secondo anno » controbatté
con un sorriso la donna, estraendo dall’uniforme il cacciavite arancione che
aveva già usato in spiaggia. Con un gesto rapido delle dita iniziò ad armeggiare
con la fascia metallica « Se sostituisco l’incognita con la sua inversa posso
trovare il massimo di potenziale e teletrasportarmi lì ».
Bellocchio aggrottò la fronte.
Poteva non essere un fisico, ma aveva compreso abbastanza della situazione per
capire quale fosse il massimo di potenziale. « Così non finiresti al
bordo della curvatura? ».
« No, perché c’è un luogo con più
energia di quello. Un luogo in cui lo spaziotempo è stato strappato più e più
volte, e che sappiamo essere popolato da spettri carichi come l’aria in un
temporale ».
« Il covo di Hoopa ».
Ginger annuì in assenso,
avvertendo però al contempo lo sguardo pesante dell’uomo che lo giudicava. Non
ebbe nemmeno il coraggio di guardarlo negli occhi « Non posso lasciare i miei da
soli ».
« No, non puoi » concordò
Bellocchio. Era esattamente come lui con Serena: non c’era altro da dire che
non posso. « Ma cosa pensi di fare quando sarai lì? ».
La donna che si sarebbe attesa
maggiore resistenza da parte sua; ma in fondo era stato lui a opporsi alla
decisione di andarsene dalla caverna che lei aveva preso, quindi non avrebbe
dovuto sorprendersi. Finì rapidamente il lavoro con il bracciale e lo agganciò
al polso, asciugandosi poi un rivolo di sudore che le colava dalla testa,
sintomo della sua lotta interiore alla riscrittura. « Dopo ciò che è successo
nel Mondo dei Morti ho richiesto personalmente un sistema di difesa per tutta
l’Unità » spiegò indicando la cintura che indossava in vita. L’aggancio
metallico era celato da uno stemma decorativo della Fondazione Flare, e proprio
su quello puntava il dito dell’ingegnera « Qua dentro c’è un propulsore
deflagrante. È in grado di emettere un raggio al plasma che connette questa
cintura a un’altra. In pratica è come tendere una fune elettrica all’improvviso,
solo molto più letale ».
« Vuoi usarlo contro Hoopa? ».
« Lo induco a posizionarsi in
linea d’aria tra me e uno dei miei, attivo il propulsore e boom. Saluti,
Dio degli Spettri ».
L’uomo che le stava di fronte
espose un cenno di approvazione « Ti servirà un diversivo ».
« Dubito che tu possa fornirmelo
» rispose Ginger con tono condiscendente.
« Dirò che sono LK, come al
solito ».
« Hoopa non ti conosce ».
« E come lo sai? ».
« I Rotom erano stati riscritti
con il suo codice » spiegò la donna mentre riponeva il cacciavite nelle tasche
della sua divisa, dopo essersi quasi scordata di averlo ancora per le mani «
Sapevano ciò che sapeva lui, erano collegati mentalmente. Se non ti conoscevano
loro, di certo non ti conosce lui ».
Bellocchio comprese il
ragionamento. Senza proferire una parola spostò lievemente il capo, orientandosi
nella direzione della galleria a pochi passi da loro. Solo a guardarla la vista
gli si annebbiava.
A Ginger non sfuggì quel pur
impercettibile gesto. « No » stabilì categorica, con il piglio della carica di
Ufficiale che ricopriva « Non se ne parla ».
« È l’unica alternativa ».
Alla Flare parve di stare
parlando con un sordo. Le loro sinapsi avevano quasi definitivamente ceduto già
in quella stanza poco prima, e ora lui voleva avanzare ancora? « Stai
sragionando! Cosa pensi di fare una volta là? ».
« Abbiamo stabilito che c’è il
generatore: troverò un modo per disattivarlo. Non sono il miglior ingegnere dei
Flare, ma me la cavo ».
« Verrai riscritto prima ancora
di vederlo! ».
Bellocchio proseguì come se lei
non avesse parlato, ignorando l’obiezione come si fa con un bambino che cerca di
immischiarsi in affari non suoi « Poi chiamerò il tuo PSS e li distrarrò con la
mia parlantina. Cavarmela a chiacchiere, la mia specialità ».
« Non mi stai nemmeno ascoltando!
Sappiamo già che sanno rintracciare la chiamata ».
« Il segnale si confonderà tra le
onde sinaptiche. Senti, credi che non sappia che è un suicidio? Ma non abbiamo
alternativa, non puoi imbrogliare Hoopa da sola ».
«
IO POSSO FARE QUELLO CHE VOGLIO! ».
Dopo quello sfogo liberatorio
calò il silenzio. Ginger si sforzò di respirare a ritmi regolari per calmare il
suo battito cardiaco. Il suo interlocutore la fissò nei suoi occhi marroni che
vibravano nervosamente. Nessuno dei due disse nulla, eppure entrambi compresero
che non erano diversi come si sarebbe potuto dire. Entrambi erano abituati a
prendere decisioni più grandi di loro, ed entrambi sapevano cosa significava
avere il destino di molti caricato sulle spalle.
La donna diede il proprio
consenso con un tenue movimento della testa e un mormorato « Buona fortuna ».
Bellocchio lo intese per quello che era, ovvero un lasciapassare reciproco ad
agire come meglio credevano per sconfiggere il loro comune nemico. Si allontanò
di qualche passo; l’ingegnera premette uno dei pulsanti dell’Anello, e
nell’istante successivo il suo corpo scomparve in un lampo di luce e il secco
suono di uno strappo. L’uomo si concesse qualche secondo per fare sua quella
nuova, agonizzante realizzazione: adesso era solo.
Anzi, per la verità non lo era.
Non sapeva se imputarlo a disattenzione per via della riscrittura in corso
oppure se fosse stato intenzionale, ma Ginger aveva lasciato con lui Faraday, il
suo Jolteon, l’unico in grado di fornire luce in quell’oceano di oscurità. Umano
e Pokémon si rivolsero per un po’ sguardi interrogativi, nessuno certo del ruolo
dell’altro. Alla fine il primo sussurrò « Fai strada ».
Si inoltrarono dunque nel
cunicolo. Alla volpe elettrica la crescente influenza delle onde sinaptiche
poteva fare il solletico, ma Bellocchio la avvertiva raddoppiata a ogni passo
che muoveva attraverso il tunnel. Barcollio era adesso un’effettiva
sottostima della gravità delle sue condizioni: le sue gambe perdevano rigidità
appena svaporava un granulo dell’infinita concentrazione che stava versando nel
processo di camminata, ogni punto di riferimento vorticava a velocità nauseante
davanti ai suoi occhi, e persino le poche memorie accumulate nelle ore di
coscienza che vantava stavano svanendo, sottraendosi alla sua presa come bolle
d’acqua nel mare. Non trascorse molto tempo prima che il giovane, dopo un
estremo tentativo di rimanere eretto, collassasse al suolo con la guancia destra
premuta contro la pietra.
Jolteon accorse in suo soccorso,
cercando invano di scuoterlo con pressioni del capo, ma Bellocchio non era più
in grado di muoversi. Era come Ginger aveva predetto, le sue facoltà motorie
erano state abbattute. Qualche minuto ancora e anche la mente avrebbe alzato
bandiera bianca, e forse non aspettava altro. La fine di ogni cosa, l’oblio
totale.
Poi, accanto a Faraday, un’altra
figura volpina si materializzò, prendendo forma dalle tenebre che la
avvolgevano. A differenza del Pokémon della Flare quello era antropomorfo, alto
e dotato di una coppia di perforanti pupille celesti che gli scrutavano l’anima.
Il respiro dell’uomo si fece più rapido mentre comprendeva, non senza
sbigottimento, che era uno Zoroark. Anzi, non uno Zoroark qualunque: il
Fuggitivo. Quello che aveva impersonato Ada Delaware.
Era un’allucinazione, di questo
ne era certo. Nei suoi ultimi attimi di coscienza, il suo cervello stava
scegliendo di mostrargli lei. Ma perché? Per deriderlo? Perché quella Zoroark
aveva sempre saputo qual era il suo segreto. Sapeva cose che lui stesso non
sapeva di sé, e gli aveva lasciato indizi criptici nel loro tempo insieme
anziché spiegarlo chiaramente. « Perché non parli? » gli sbraitò addosso,
nella folle illusione che una sua proiezione mentale potesse rivelargli cose che
non conosceva. Non aveva mai parlato, anche se avrebbe dovuto. Lo aveva
torturato con spiragli di verità in una nube di bugie. E anche ora, a poco dalla
sua fine, non cessava di vituperarlo.
O forse proprio per questo la sua
memoria aveva rievocato quella sagoma, una sagoma che nemmeno era certo fosse
accurata dal momento che apparteneva a un passato che non era in grado di
ricordare direttamente. Per rammentargli che aveva troppo da scoprire, troppo
che ancora non sapeva. Troppo che la nuvola menzognera gli teneva nascosto. Non
poteva arrendersi ora.
Bellocchio fece forza sulle
braccia, aiutato da Jolteon che spingeva con tutta la forza che era in grado di
esercitare. Zoroark scomparve così com’era arrivato, ritornando nei recessi
della sua mente mentre stoicamente quel giovane che aveva subito più di quanto
chiunque avrebbe sopportato accettava ancora la sua condizione, e nuovamente si
rimetteva in piedi dopo essere stato annientato. Riprese a camminare a passi
profondi e instabili, ma convinto questa volta di potercela fare. Affondo dopo
affondo guadagnava metri sul tragitto ancora da compiere, stringendo i pugni
senza deconcentrarsi. E finalmente, dopo aver pregustato il trionfo su quel
piccolo individuo, il cunicolo giunse al termine e ammise la sua sconfitta.
L’ambiente sito dietro di esso
era alquanto spoglio per essere il centro emblematico e pratico della millenaria
caverna in cui si trovavano. Solo un oggetto si trovava nella piccola grotta
interna: una sorta di cannone rigonfio privo della laminatura esteriore, con i
circuiti interni esposti similmente allo Scissore. Era stranamente silenzioso,
ma le vibrazioni che emetteva chiarivano che doveva proprio trattarsi del
generatore che cercava.
E, dal capo opposto alla bocca
che produceva le perturbazioni sinaptiche che avevano minacciato di troncare
anzitempo il cammino di Bellocchio, trovava posto in uno scomparto apposito
l’ultima cosa in cui il giovane in cappotto si sarebbe atteso di imbattersi: una
Poké Ball.
Durante la telefonata, nessuno
dei colleghi di Ginger aveva esplicitamente menzionato il luogo in cui erano
stati condotti; di conseguenza per lei ricomparire nell’Opéra Régional fu uno
shock non indifferente, uno che preluse all’intera serie di deduzioni che gli
altri membri della Seconda Unità avevano già compiuto a suo tempo – la scomparsa
della struttura durante il Primo Galà di Luminopoli e quant’altro.
Simultaneamente, però, avvertì una sensazione di leggerezza pervaderla appena
mise piede sul palcoscenico. In un primo momento la imputò al trovarsi
finalmente in un luogo che richiamava la società evoluta che aveva lasciato al
di là dell’ingresso della caverna; ma presto rammentò ciò che aveva sentito
riguardo alla copertura di zinco apposta da Hoopa, e comprese che la ritrovata
vitalità mentale era dovuta semplicemente all’assenza locale di onde sinaptiche
impegnate a riscriverla. Quello era lo stato naturale del suo cervello, eppure
le sembrava di trovarsi sotto effetto di sostanze nootrope.
Gli spettri parlottanti che
infestavano il teatro un tempo ospitante le più grandi rappresentazioni della
storia di Kalos impiegarono qualche attimo per accorgersi della sua presenza. Il
primo a notarla fu un demone dalle tinte grigie e rosate, a cui Ginger diresse
il primo sguardo. I suoi occhi caddero poi accanto al trono metallico su cui era
asserragliato, dove i tre membri della sua squadra erano imprigionati da pesanti
catene e sorvegliati da un piccolo contingente di Trevenant. Il gruppo ricambiò
la sbirciata, e in particolare Sandy indicò con un cenno rapido del capo la sua
cintura e, indirettamente, il propulsore deflagrante al suo interno. Ginger
annuì a sua volta, giungendo così al tacito accordo che lui sarebbe stato il
ricevente del raggio.
Frattanto il genio si era
presentato di fronte alla donna con un volo spiraleggiante, e ogni altro
fantasma nell’ambiente era rispettosamente ammutolito. La creatura doveva
conoscerla, perché la prima parola che pronunciò fu « Xaad ».
« Ginger » lo corresse, simulando
freddezza anche se ribolliva dentro. Non aveva avuto modo di vederlo nella sua
forma fisica, ma riconosceva la voce udita durante la comunicazione a distanza:
quello era Hoopa. E ovviamente lui la conosceva, perché su di lei si era basato
il piano per snidare il catalizzatore che ora giaceva accanto alla sua
postazione privilegiata in tribuna d’onore.
« È una piacevole sorpresa
trovarti qui. Posso chiederti come ci hai raggiunti? ».
L’ingegnera seppe immediatamente
di non poter rivelare l’origine dell’Anello, altrimenti il suo oppositore
avrebbe facilmente concluso che Bellocchio era al generatore. Fortunatamente,
proprio come dopo aver nuotato in un fluido viscoso quale l’acqua si avverte
un’insolita agilità, così le sue capacità intellettive avevano beneficiato della
riacquistata libertà. Indicò il bracciale al polso simulando indifferenza «
Dotazione base degli Ufficiali ».
« Capisco » annuì l’individuo
deforme che aveva di fronte « Spero non proverai rancore nei miei confronti, ma
devo chiederti di rimuoverlo. Non vorrei che te ne andassi sul più bello ».
Ginger decise che, considerata
l’entità dell’avversario, era meglio non sfidarlo su argomenti così triviali.
Con un gesto euritmico delle dita sganciò l’attacco dello strumento e lo lasciò
cadere al suolo.
« Bene, molto bene. Collaborare è
sempre la via migliore. Sono lieto che tu abbia deciso di consegnarti ».
« Non sono qui per consegnarmi ».
« E perché sei qui? ». La domanda
cadde nel vuoto quando la donna si rifiutò di rispondere, una decisione che
parve deludere Hoopa più che irritarlo. « Vedi, è esattamente questo il problema
di voi umani. L’orgoglio. Mio padre non voleva ammettere di essersi sbagliato, e
questo mi ha portato dove sono adesso. Avrebbe potuto accettare il suo
fallimento e andarsene, e ora avrei una mamma e un papà con cui vivere felice ».
« Tu sei umano quanto noi »
ribatté Ginger con convinzione.
Il demone reagì con un accesso
d’ira fuori dal comune, arrestandosi a un centimetro di distanza dal bersaglio
dopo uno scatto che era sembrato anticipare un’aggressione furiosa. Il fetore di
pelle putrefatta emanato dalla sua bocca investì forzatamente la Flare mentre
ringhiava « Non ti azzardare. Non osare paragonarmi a una specie che ha fatto
dell’autocelebrazione il suo stile di vita personale ». Hoopa si voltò
immediatamente dal lato opposto, quasi non sopportasse di essere visto mentre
era adirato « Dov’è l’altro? ».
« Ho riconosciuto il tuo trono.
Era di Timeus Wikstrom, il Superquattro. L’hai ucciso, vero? ». La scienziata
occhieggiò il seggio ornamentale posizionato sulla tribuna d’onore e ripensò al
volto severo dell’uomo che usava accomodarvisi. Non erano mai stati in ottimi
rapporti, men che meno dopo il diverbio precedente all’attacco dei Rotom, eppure
l’idea di non rivederlo più era un colpo basso. « Per odiare la nostra specie
hai molto in comune con essa. Del resto abbiamo preso molto da te » considerò
con una punta di intenzione di scherno. Era sempre così, nelle leggende di
Kalos: avvenimenti reali che vengono distorti dai fumi della tradizione orale e
diventano storie della buonanotte. « Sapevi che appari in molte fiabe? Da
piccola mi piaceva Evelyn e il tesoro di
Hoopa. Se siamo quello che siamo di certo c’entri anche tu ».
«
Dov’è l’altro! ».
« Credo che tu sia abbastanza
intelligente da capire che non te lo dirò ».
« La fratellanza umana »
bofonchiò Hoopa in tono derisorio « La frottola che vi raccontate per sentirvi
al sicuro. Eppure il vostro governo non fa che temere il suo popolo ».
Ginger inarcò un sopracciglio «
Non ti facevo così qualunquista ».
« Davvero? E cosa mi dici dei
limiti imposti al numero di Allenatori annuali? Cosa mi dici delle regole per le
iterazioni delle sfide nelle Palestre? ».
« Non c’entra nulla ».
Lo spirito rivolse nuovamente lo
sguardo alla sua interlocutrice, gli occhi infiammati dall’ultima affermazione
che aveva proferito. « Ricordi quando sono iniziate le Guerre di Kalos? Quando
il popolo si è reso conto di non dover sottostare a una famiglia reale che non
era in grado di sconfiggerli con l’esercito di cui disponeva. Quando ha deciso
di poter dettare le sue leggi. Il governo vi limita perché sa che nel profondo
lo stesso seme marcio che scatenò l’inferno in Terra ancora giace sepolto,
minacciando di germogliare. E cos’hai da dire del trattamento riservato ai
Pokémon, ridotti ad animali da compagnia lobotomizzati e carte da gioco per i
facoltosi? Ipocriti. Vi fingete loro amici, ma al contempo li riscrivete per
paura che vi si rivoltino contro. C’era un tempo in cui il rapporto tra umani e
Pokémon era fondato sul reciproco rispetto, ma quel tempo si è esaurito da
molto. Ho studiato a lungo la specie a cui avrei potuto appartenere se mio padre
fosse stato un uomo migliore, e ho decretato che
è meglio così, perché l’umanità è
guasta. Ha eluso la selezione naturale grazie all’ausilio di
tecnologia autoprodotta, ha sfidato la natura che le ha concesso di proliferare
e ha abusato della sua ospitalità. Siete in ritardo per l’estinzione, e io sono
la vostra sveglia. Quando il catalizzatore sarà in funzione non ci sarà più
ipocrisia, orgoglio, sfiducia o tentativi maldestri di controllo ».
La stanza era sempre stata
gremita di spettri fino all’orlo, ma quella fu la prima volta in cui ciò fu
sensibilmente percepibile: un’esultazione nelle più varie forme discernibili si
levò unanime dalle gradinate, un’acclamazione tanto viscerale da far sprofondare
Ginger nel terrore. Hoopa si assegnò una breve pausa per riprendere fiato; poi,
più persuasiva che mai, la sua voce tornò a vibrare nell’aria in una forma molto
più sottile e minacciosa « Alla luce di ciò, forse vuoi riconsiderare la tua
risposta. Dov’è l’altro? ».
L’ingegnera ingoiò a forza un
grumo di saliva, cercando di mantenere la calma di fronte al più grande terrore
che avesse mai provato. Non sapeva nemmeno se le parole sarebbero riuscite a
uscire dalla sua gola o se sarebbero rimaste incastrate. Ma per sua fortuna non
ebbe bisogno di fornire alcuna risposta.
«
Presente all’appello! ».
Hoopa sussultò, arretrando di
qualche metro. Si sforzò di mascherare lo stupore che per un istante gli aveva
segnato il volto: qualcuno aveva parlato, ma non aveva idea di chi fosse stato.
I componenti della Seconda Unità furono sorpresi per un diverso motivo: la voce
era certamente quella di Bellocchio, ma appariva filtrata da una sorta di
meccanismo di comunicazione, come una cassa acustica.
«
Oh, non perdere tempo a cercarmi. Non sono lì, sto telefonando al PSS di
Ginger. È già la seconda volta in qualche ora che risolvo le cose attraverso
impianti audio, sto diventando ripetitivo ».
La donna stralunò gli occhi
quando comprese perché quelle parole le erano sembrate tanto udibili: erano
diffuse in vivavoce dal suo
apparecchio! Lo sfilò dalla tasca dell’uniforme, e il volume incrementò
notevolmente non essendo più soffocato dal tessuto. In quel modo Bellocchio
poteva parlare al loro carceriere, ma lui non poteva torcergli un capello.
Ingegnoso.
«
Allora, Koopa Troopa… Posso chiamarti Koopa Troopa, vero? Che ne dici,
parliamo un po’? ».
« Prego, ho tutto il tempo del
mondo » rimarcò Hoopa con una poco velata ironia.
Il timbro dell’uomo subì un
cambiamento, passando dalla giocosità a una più seria attitudine di sfida «
Ah, spero non pensi di fregarmi così
facilmente, l’ho imparato il trucchetto della localizzazione mediante il segnale
emesso dall’antenna. Vuoi sapere qual è la mia contromossa? ».
« Attendiamo ansiosi ».
Ginger provò a indovinare cosa
avesse escogitato quel pazzo, ma non avrebbe mai immaginato che avrebbe
riagganciato. E invece fu così: il
rumore statico di fondo si interruppe e la telefonata terminò com’era iniziata,
senza il minimo preavviso.
Poi quella voce briosa tornò a
riempire l’Opéra, con tuttavia la novità di provenire da
un punto diverso di essa. «
Come va la stereofonia? ».
Un brontolio insistente di
spiriti ricoprì gli attimi successivi, annegando nel trambusto bianco anche un
commento inudibile di Hoopa stesso che aveva compreso per primo cos’era
avvenuto. Presto gli altri presenti giunsero alla medesima conclusione: ora il
giovane parlava da una sorgente prossima ai tre Flare incatenati sulla balconata
di maggior rilievo, e più in particolare da Terence.
« Un altro telefono… » furono le
uniche parole del Dio degli Spettri, che faticava a non lasciar trasparire la
meraviglia dell’idea.
«
Altri due, grazie a Kibwe e Terry, intercambiabili a piacere. Hai fatto
l’errore di svelare che avete bisogno di tempo per rintracciare il segnale. A
intervalli regolari mi basterà cambiare il ricevente della chiamata. Trovami ora
».
Terence brontolò per il nomignolo
che riteneva utilizzabile solo dalla sua Ufficiale. Kibwe aggrottò la fronte «
Come hai i nostri numeri? ».
La risposta giunse proprio dal
suo di PSS, a dimostrare la veridicità
delle affermazioni che Bellocchio proferiva «
Ah, sì, avrei dovuto specificarlo. Quello che ha in mano Ginger non è il
suo PSS, è il mio. Ho fatto lo scambio mentre parlavamo del pentimento e altri
vaniloqui ». Fece una pausa, rivolgendosi poi direttamente alla donna «
Mi perdonerai di essermi approfittato
della tua esperienza di pre-morte, ho pensato mi sarebbe tornato utile. Cerco
sempre di guardare al futuro ».
« Basta che me lo riporti intero
».
« Capisco… » Hoopa parve
divertito dalla situazione, come se fosse sempre stato pronto a un confronto più
impegnativo « Tu devi essere quello sveglio del gruppo. Finalmente ».
«
Tu sembri quello sveglio del tuo » osservò Bellocchio restituendo il
complimento « La Dama Cremisi era molto
meno calma quando le ho tirato uno scherzo simile ».
« Ovviamente ».
«
Un peccato che tu manchi del suo carisma ».
Lo spirito rise di gusto e iniziò
a librarsi in aria, ascendendo fino a metà dell’altezza del teatro. « Non posso
individuarti, ottimo lavoro. Cosa vogliamo fare? ».
Di nuovo l’origine della voce si
spostò, rientrando nello smartphone nelle mani di Ginger «
Pensavo di parlare, te l’ho detto. Sai, ho seguito il tuo discorso sulla
razza umana con molto interesse. Posso dire la mia? Ginger nel frattempo può,
non so, giocare al tiro alla fune per ingannare il tempo. Farò in fretta,
prometto ».
Tiro alla fune. A chiunque altro sarebbe parso soltanto uno dei suoi
classici non sequitur, ma la donna vi
intravide chiaramente un riferimento alla sua descrizione del raggio al plasma
prodotto dalla cintura. La stava invitando a prepararsi all’attacco senza che
nessuno dei suoi nemici se ne accorgesse. Doveva concederglielo, era bravo.
«
Perché hai ragione, Hoopa, hai ragione davvero. Gli umani sono degeneri.
Ipocriti, orgogliosi. Disarmonici con la natura. Si fanno strada nel giorno a
scapito di ogni altro essere vivente, e vivono la notte nel terrore della
vendetta di coloro che calpestano. In un mondo ideale sarebbero già estinti
». Bellocchio adesso parlava di nuovo dal PSS di Kibwe, e il suo tono era
divenuto decisamente più serio e appassionato. «
Ma sai cosa fanno? Imparano. Imparano dai propri errori, imparano il
mondo che li circonda. Oggi sanno più di ieri e meno di domani. E questa è una
cosa che tu non capirai mai perché, chiuso nella tua roccaforte di zinco e
ombra, non hai imparato nulla. Cammini su questa Terra da anni, e tutto ciò che
sei riuscito a fare è stato odiare, odiare e odiare. Se gli umani sono marci, tu
sei la malerba che li soffoca prima che fioriscano ».
« Gli umani vivono qui da molto
più di me, e ancora si detestano a vicenda e commettono gli stessi errori di un
tempo. Come fai a sostenere che imparano?
».
«
Le pecore nere esistono ovunque! » obiettò il giovane «
Ma non li hai sentiti cantare quando
l’invasione dei Rotom è terminata? Come fai tu a sostenere che la loro esistenza
è priva di importanza quando sono capaci di questo? ».
Hoopa scosse la testa, producendo
un cupo tintinnio negli anelli appesi alle sue corna « Essere felici di essere
ancora vivi non rende migliore nessuno. La sopravvivenza è lo scopo a oltranza
di ogni specie, e le celebrazioni al raggiungimento di un obiettivo non sono né
poetiche né glorificanti ».
«
Ma se la sopravvivenza è lo scopo di ogni specie, perché solo la razza
umana deve assumerla come colpa? ».
« Perché la razza umana ne ha
fatto l’unica ragione di vita. Da quando aprono gli occhi al mattino a quando li
chiudono la sera, l’unico pensiero che ronza nella testa degli uomini è tornare
indenni a casa. Qualsiasi miglioramento è completamente casuale. Se fosse loro
data l’opportunità di consegnare chiunque alla forca pur di ricevere in cambio
un’ora in più di vita, accetterebbero senza alcun rimorso ».
Ginger iniziò lentamente a
spostarsi sul palcoscenico per meglio allinearsi con la sfuggente silhouette del
demone e la cintura di Sandy, essendosi accorta che Bellocchio con sapienza
aveva gradualmente esonerato il suo PSS da perno della conversazione,
focalizzando l’attenzione sui suoi colleghi e consentendole di muoversi
indisturbata. Ciononostante sudava freddo e boccheggiava ogni volta che l’uomo
cambiava canale di comunicazione, nel terrore che qualcuno scoprisse le sue
macchinazioni.
«
Ma non l’hanno fatto. Un esercito di Pokémon li ha appena ridotti in
ginocchio, eppure li hanno perdonati. Perché la razza umana è cresciuta e ha
imparato a non generalizzare, che è più di quanto si possa dire di te ».
« I Pokémon sono già oppressi.
Gli umani li considerano alla stregua di oggetti, strumenti per il loro volere.
Nemmeno per un istante sfiora la mente dei più l’idea che forse le loro vite e
quelle delle creature che schiavizzano potrebbero avere lo stesso valore.
Riscrivere sinapticamente i Pokémon è uso comune, ma basta minacciarvi di
sottoporvi allo stesso trattamento per vedervi sbiancare di terrore ».
«
E tu in che modo sei diverso? ».
Il tenue sorriso superbo di Hoopa
svanì come d’incanto in un’espressione muta e infastidita. Ginger, ormai quasi
giunta dove intendeva posizionarsi, trasalì in un atroce senso di spaesamento.
Che cosa stava facendo? L’idea di farlo parlare era stata così perfetta da
sembrare concepita da qualcuno più raziocinante di Bellocchio, perché buttare
tutto al vento alterandolo?
«
Terence, attiva l’ologramma dell’Holovox » ordinò l’uomo al
matematico a cui ora si stava appoggiando per parlare. Quello eseguì e l’esile
figura del giovane in completo, privo dell’usuale soprabito, fu proiettata in
sfumature celesti sopra di lui. In mano reggeva una Poké Ball bene in vista. «
La riconosci, Hoopa? Lo so che la
riconosci. È la Poké Ball di tuo padre, Alexander Kashlinsky, la Poké Ball in
cui teneva la sua Chansey. L’ho trovata agganciata al generatore sperimentale
che hai rubato alla Cripta, quello con cui tieni sotto scacco Kalos ».
Lo spirito ebbe un guizzo di
vitalità, convinto di aver scovato un errore commesso dal suo avversario, ma
questi lo frenò prima ancora che esultasse «
Non pensare di cercarmi lì, me ne sono già andato da parecchio. Senza
questa il generatore non può funzionare, quindi puoi dire addio alla conversione
dell’umanità. Guardami, Hoopa. Guardami. Da quanto tempo Chansey si trova qui
dentro? Da quanto tempo non la fai uscire? ».
Mai quel demone era parso così
piccolo agli occhi di chiunque sedesse nell’Opéra come in quel momento in cui,
denti stretti e sguardo basso, non osava nemmeno rispondere delle sue azioni.
«
Non sai nemmeno che aspetto abbia, vero? Non l’hai mai liberata. La stai
usando come base per il codice sinaptico che imprimi. Tutto il tuo teatro
popolato di spettri che ti chiamano Dio è stato riscritto sulla base di quella
Poké Ball, e loro ti obbediscono perché l’impronta genetica di tuo padre permane
in te ». Bellocchio non ebbe bisogno di gesti di alcun tipo per canalizzare
il compatimento che provava in quell’istante: le parole e l’inflessione con cui
le enunciava erano più che sufficienti. «
Tutto il tuo grande piano di purificazione della razza umana nasce
dall’utilizzo di un Pokémon come strumento. Ciò che speri di eradicare vive già
dentro di te ».
« Mi avete contaminato… ». Hoopa
si guardò le mani e i bracciali rosa che portava ai polsi. Per un attimo sembrò
stesse per piangere, poi alzò la testa con convinzione « Grazie, chiunque tu
sia. Grazie. Ti benedico. Mi hai aperto gli occhi ».
Ginger lo osservò con una punta
di misericordia. Forse stava iniziando persino a capire i suoi errori, a
rileggere le sue azioni in una nuova chiave interpretativa.
Che speranza vana. « Credevo che
fossi intelligente, invece sei distratto come tutti gli altri » sibilò con un
tono che faceva accapponare la pelle per il raccapriccio che induceva. Un
sogghigno diabolico accompagnò le parole seguenti «
So dove sei ».
Bellocchio trasalì, rendendosi
conto del macroscopico passo falso commesso: era rimasto per troppo tempo
collegato al PSS di Terence. Il suo nemico aveva avuto tutto il tempo per
localizzarlo, e aveva finto di proposito una catarsi emotiva per sviare la sua
attenzione e fargli abbassare la guardia. Era lo stesso trucco con cui l’aveva
trovato la prima volta, e lui c’era cascato
di nuovo.
L’ologramma si spense quando la
connessione fu tagliata dal chiamante in un vano tentativo di salvarsi. Ginger,
che aveva intuito l’imbroglio parallelamente al suo amico, portò la mano alla
cintura senza pensarci due volte e scattò verso la posizione prescelta. «
SANDY! ».
Lo scienziato reagì appena vide
la sua Ufficiale allineata con il bersaglio. In un istante un flusso giallo
acceso connesse la coppia di bottoni centrali ai lati opposti, dirigendosi
precisamente sull’obiettivo prefissato. L’ingegnera esultò internamente per
essere riuscita a lanciare l’attacco, ma la gioia fu di breve durata: un duo di
Aegislash in Forma Scudo comparve vorticante attorno al demone per stabilizzarsi
proprio sulla traiettoria del raggio. L’energia si infranse sulle barriere da
loro erette, dissipandosi in una pioggia di scintille prodotte dai rispettivi
clipei. Il silenzio susseguente fu più eloquente di ogni parola possibile
nell’affermare con certezza assoluta che il loro tentativo era fallito. Avevano
perso.
Hoopa sghignazzò sonoramente, la
sua voce ora pregna di sfumature deviate che la astraevano da qualsiasi altra
udibile al mondo. « Credevi davvero che sarebbe stato così facile? Ogni
celebrità ha le sue guardie del corpo » commentò sarcastico mentre i Pokémon
Spadareali svanivano nuovamente nell’aria – anzi, più facilmente erano solo
tornati invisibili per continuare a proteggere il loro padrone senza oscurarlo.
Nello stesso momento Ginger si rese conto di non essere più sola sul
palcoscenico: un Golurk era comparso non molto lontano da lei, affiancato da un
ben noto uomo elegantemente abbigliato.
La Statuanimata, che doveva
essere stata incaricata di recuperarlo dal suo nascondiglio mediante
teletrasporto, sferrò un pugno poderoso in pancia a Bellocchio, piegandolo in
due dal dolore e costringendolo a mollare la presa della Poké Ball che teneva in
mano. Quest’ultima rotolò giù per la breve scalinata che conduceva alla platea,
dove Hoopa la recuperò attirandola fluttuante fino a lui. Solo allora il golem
che lo aveva servito ritornò in tribuna, avendo terminato il suo compito, e
l’Ufficiale Flare poté soccorrere il suo amico.
« E tu… » disse lo spirito rosato
rivolto al giovane, simulando delusione « Andiamo, un discorso ritrito per farmi
cambiare idea? Che fiasco ».
Ginger scosse la vittima per
assicurarsi che fosse lucida, ma la risposta positiva a quel quesito fu l’unica
buona notizia: il colpo sferrato da Golurk, per quanto non avesse provocato
danni seri, doveva aver provocato un discreto dolore nel corpo del destinatario.
Con la coda dell’occhio la donna notò che un Chandelure si era appena
materializzato nel parterre con il
generatore, collocandolo nel corridoio centrale; altri due suoi gemelli si
presentarono a loro volta con il catalizzatore Flare, e insieme assemblarono gli
apparecchi per formarne uno nuovo, un mortaio a onde sinaptiche pronto a far
fuoco sull’intera Kalos e oltre.
« Fine dei giochi » recitò Hoopa
recandosi personalmente al cannone per applicare la Poké Ball prelevata da
Bellocchio nello scomparto apposito. Uno scatto metallico silenziò l’insistente
vociare degli spettri in balconata. Gettò un’occhiata fugace ai tre membri della
Seconda Unità ancora imprigionati e decretò « Portateli qui. Li voglio insieme
».
I Chandelure obbedirono anche
quest’ultimo ordine, e fu allora che gli unici esseri umani presenti nel teatro
divennero le stelle assolute della scena. Ginger si affrettò a riunirsi ai suoi
colleghi, ora liberi da catene e spaesati sul palcoscenico. Molte parole di
conforto furono espresse, ma in fondo non ve n’era un reale bisogno. Il sollievo
di essersi ricongiunti, per qualche assurdo miracolo emozionale, superava
l’orrore di trovarsi al capolinea.
« Spero siate lieti di essere
cavie per un futuro migliore » annunciò solennemente il demone « Ora che il
catalizzatore amplifica l’intensità delle onde, la riscrittura impiegherà due o
tre secondi al massimo. Saprete com’è essere un Pokémon che viene privato della
libertà ».
L’Ufficiale Flare avvertì sulle
proprie spalle non più il peso della sorte umana, ma quantomeno la dignità di
essa. Non l’avrebbe mai piegata, non gli avrebbe mai concesso la soddisfazione
di andarsene china. Inspirò profondamente e si alzò in piedi, affrontando il
pericolo come aveva sempre fatto, a viso aperto. Per un istante il suo sguardo
incrociò quello dei suoi compari, coloro che aveva cercato di salvare e che
invece erano stati trascinati con lei sul fondo dell’abisso. « Mi dispiace… »
sussurrò, e non era solo a loro che chiedeva perdono. E nemmeno alla specie che
presto si sarebbe estinta. Chiedeva perdono a Ross e a Etan, che avevano
inutilmente dato la vita per evitare che succedesse ciò che stava per succedere.
E a Bellocchio, a Serena, a tutti coloro che avevano provato di tutto nel
tentativo di fermare il loro avversario. Corrugò la fronte e scrutò i Chandelure
che erano rimasti al generatore in veste di operatori.
« Niente ultime parole? Una
preghiera? » inquisì con ironia Hoopa, e come si aspettava nessuno osò
ribattere. « Peccato » glissò con noncuranza, ordinando poi al trio retrostante
« Ora ».
Si udì un secco
clac seguito da un fastidioso ronzio
quando il cannone entrò in funzione. Fu un’esecuzione sorprendentemente
silenziosa: nessun grido di dolore, nessun clamore, nessun corpo martoriato che
rovinava al suolo. I volti del gruppo si spensero senza che qualcuno al di fuori
di loro se ne accorgesse. Anticlimatico, si sarebbe detto.
Ma a Hoopa andava bene così. Si
voltò soddisfatto verso i Chandelure che attendevano ulteriori istruzioni. «
Portatelo in superficie » intimò « È ora di diventare Dio degli Uomini ».
Non vi fu reazione. L’atmosfera
parve quasi surreale per il modo in cui quei Pokémon lo fissavano vacui, persi,
come non fossero in loro. « Mi avete sentito? ».
Ancora nulla. E nel silenzio
etereo dell’Opéra Régional una voce si insinuò, un suono sommesso, quasi celato,
eppure perfettamente udibile per la quiete che aleggiava. Era una risata.
La risata di quello sveglio.
« È buffo. Solo qualche ora ho
detto la stessa cosa alla Dama Cremisi » disse Bellocchio. Il suo tono era
stranamente naturale, stranamente vivace e stranamente derisorio. « Io sono già
un Pokémon ».
Ginger osservò il suo amico ed
esaminò le proprie mani come un primate. Non sarebbero state di alcun aiuto per
provare di essere sopravvissuta alla riscrittura, ma la sua mente glielo
garantiva, e anche Hoopa non ebbe alcun dubbio: non aveva avuto effetto. I suoi
occhi rimbalzarono increduli su ciascuno di coloro che sarebbero dovuti essere i
suoi primi schiavi umani, constatando che invece si trovava di fronte cinque
superstiti. « Cosa… Voi non siete… ? ».
« No ». Bellocchio parlava con
certezza granitica, per nulla sorpreso di ciò che si era verificato.
« Perché? ».
« Perché hai commesso l’errore
comune nei geni di credere che nessuno sia al tuo livello ».
Il fatto che quell’omuncolo
capisse più di lui della situazione mandava Hoopa su tutte le furie, ma in uno
sforzo disumano questi mantenne la compostezza « Spiegati ».
« Oh, andiamo! Credi che fosse
quella la mia idea? Che ti avrei affrontato faccia a faccia e ti avrei parlato
fino a farti desistere? » lo affrontò provocatoriamente il giovane « Sarò anche
bravo a cavarmela a chiacchiere, ma non vivo nel mondo dei sogni ».
« Ma questo non cambia niente! Ci
hai provato e hai fallito! Io ho
vinto! ».
« Sapevo benissimo che non ti
avrei convinto a cambiare idea con qualche buona parola. Sei irrecuperabile ».
Hoopa si sforzava di dare un
senso al caos logico di quelle parole, ma ogni tentativo falliva
sistematicamente. « Hai sprecato di proposito il tuo tempo? ».
Bellocchio rise di gusto alla
sola idea e si alzò in piedi, avanzando fino a superare Ginger « Ti ho
rassicurato. Ti ho fatto credere di essere in vantaggio, esattamente come hai
fatto tu quando hai raccontato la tua storia via telefono per stanare me e
Ginger. E mentre giocavo con te e ti convincevo di avere il controllo della
situazione, tu non ti accorgevi della falla nel tuo piano ».
« Falla? ».
« La Poké Ball di Chansey è la
base del generatore. Ha impresso il codice sinaptico di tuo padre, che è il tuo
per eredità, ed è a quello che i tuoi spettri rispondono ».
« E allora? ».
« E allora non ti è passato per
la mente nemmeno un secondo di controllare che ci fosse davvero Chansey dentro?
».
Hoopa sgranò gli occhi e si
congelò sul posto, a bocca semichiusa, mentre l’errore commesso gli appariva
evidente. Bellocchio sembrò rallentare si proposito quando sfilò dalla cintura
una sfera dalla copertura sbiadita, come se volesse sottolineare con il suo
gesto cadenzato i moti mentali del demone.
« Questa è la Poké Ball di
Alexander Kashinsky ».
«
Cosa? » sobbalzò la creatura, voltandosi immediatamente verso il
generatore ancora attivo « E che Ball è quella che ho messo? ».
« Quella della mia Nephtys, con
impresso il mio codice sinaptico. Ti
ringrazio per aver rivestito questo teatro di zinco, perché le onde sinaptiche
sono rimbalzate per l’intero ambiente. Tutti gli spettri al momento obbediscono
a me ».
Il silenzio dei Chandelure, il
loro sguardo vuoto… Hoopa esaminò l’emiciclo del teatro, rendendosi conto solo
ora che tutti gli spettatori
condividevano la stessa espressione. D’istinto scattò verso il perturbatore
sinaptico, ma il suo trio di guardiani si oppose fermamente a comprovare che non
gli obbedivano più. Tutto ciò non aveva senso. « Ma io sono ancora… ».
« … te stesso? » azzardò
Bellocchio sogghignante « La sfera di tuo padre era un vecchio modello, nelle
nuove le onde prodotte sono programmate per non influenzare gli umani. E nel tuo
genoma c’è ancora traccia di quello che eri ». La sua inflessione si rabbuiò e
le sopracciglia si aggrottarono, caricando le sue parole di un’ira antica « Non
te la caverai con così poco, non perderai la lucidità. Dovrai assistere
cosciente all’estinzione della tua religione ».
«
STAI ZITTO! » sbraitò Hoopa, scagliando una rancorosa Palla Ombra
all’uomo. Un Aegislash comparve istantaneamente sulla traiettoria dell’attacco e
lo incassò con un sussulto, e solo allora il demone comprese realmente la
portata della sua sconfitta. Non solo aveva perso tutto, ma quel
tutto era stato appena acquisito dal suo peggiore antagonista. « Il
mio mondo… ».
Ginger osservò meravigliata la
scena, realizzando che il suo amico non aveva lasciato nulla al caso. Aveva
orchestrato l’intero programma fin dall’inizio, come un giocatore di scacchi
professionista.
« Ora ti mostrerò il tuo errore
più grande » dichiarò Bellocchio « Ricordi il flusso oscuro? ».
« Cosa c’entra? ».
«
C’entra » ribatté lui con decisione « Una massiccia attrazione
gravitazionale verso un punto del cosmo ».
« Non c’era
nulla ».
«
Non ancora! » esclamò l’uomo, riuscendo nell’impresa di frenare le
obiezioni del demone. « La gravità è in grado di agire attraverso le dimensioni
ultraspaziali. Teoria delle stringhe ».
« Non tenere lezioni a
me. Mio padre era uno scienziato,
sapeva benissimo queste cose e aveva pensato che fosse l’influsso di un altro
universo » illustrò Hoopa, collerico all’idea che quell’arrogante intendesse
insegnargli la sua vita « Ma si era
sbagliato! ».
« Sì, si era sbagliato » convenne
Bellocchio « Ha dimenticato di considerare la dimensione più importante. Il
tempo ».
L’unico a non scuotersi nelle
file dei Flare fu Kibwe, poiché non era sufficientemente versato nell’argomento
per capire quanto quell’idea tanto semplice fosse fondamentale, e quanto fossero
stati stupidi a non accorgersene. Uno che probabilmente aveva studiato un decimo
di loro li aveva appena umiliati.
« Il tempo? » ripeté Hoopa con
scetticismo.
« L’influsso gravitazionale era
presente, ma tu non sei riuscito ad aprire un varco verso l’altro universo
perché ancora non esisteva. In un
futuro sarebbe nato, e la sua impronta sarebbe risalita lungo il tempo relativo
del nostro cosmo per dare origine al flusso oscuro ».
« Bella teoria ».
« Non è una teoria. Adesso ho
capito perché gli spettri tremano al mio nome, perché la Dama Cremisi mi odiava.
Vuoi sapere qual era l’universo nascosto che tuo padre stava cercando? » gli
chiese Bellocchio, certo di avere la verità in pugno « Il Mondo dei Morti ».
Ginger osservò il giovane
stupefatta « Vuoi dire… ? ».
Lui rispose con un cenno
affermativo del capo « Il Mondo dei Morti non è ancora nato. Ma manca poco ».
« Il Mondo dei Morti è una
storiella » respinse Hoopa seccamente.
« In questo teatro ci sono
migliaia di spettri pronti a eseguire i miei ordini, dotati di un’energia
collettiva più che sufficiente a perforare lo spaziotempo. È finita, Logan ».
I fantasmi inerti che popolavano
l’Opéra iniziarono a brillare di mille bagliori violacei. Hoopa alzò ringhiante
gli occhi verso la cupola sul soffitto, dove i dettagli del maestoso dipinto di
Chagall andavano deformandosi in una nebbia impenetrabile. Si udì un rumore
simile a un rombo di tuono, ma potenzialmente ancor più fragoroso, e uno
squarcio segnato da un turbinio bluastro si aprì nello spazio.
« Che stai facendo? Fermati!
Fermati subito! » implorò lo spirito.
« Ti esilio insieme agli spettri
che ti hanno servito. Siete banditi da questo universo. I tuoi compari ne stanno
aprendo uno nuovo, un territorio inesplorato in cui tu e loro trascorrerete la
vostra esistenza. Qualche vostro discendente imparerà a fuggire, sicuramente, e
tornerà qui. Ma non voi ».
« No,
fermo! Ricorda che ho ancora la vostra amica! ».
Ma anche quell’ultima arma cadde
inutilizzabile quando la bionda Serena emerse, condotta da uno dei suoi fedeli
Chandelure, da dietro le spalle dell’uomo. Ginger le corse incontro per
sincerarsi delle sue condizioni di salute, ma sembrava soltanto stremata dal
periodo di prigionia proprio come i suoi colleghi. Il Pokémon che l’aveva
trasportata lì sotto quieto ordine del suo nuovo padrone si involò poi verso il
varco levato in aria, e altrettanto fecero tutti gli altri spettri presenti. Un
forte vento spirava dalla caverna verso l’universo gemello appena creato, come
se quest’ultimo stesse aspirando selettivamente nuovi abitanti.
Bellocchio rammentò i racconti
dell’ingegnera sul luogo che aveva visitato una settimana prima, e fu quasi
amareggiato di non dover nemmeno dover pensare a una condanna appropriata dato
che già la conosceva. « Quanto a te, Logan, ti confino in una singola stanza al
termine di un labirinto, privo di poteri e forma corporea. Tu che hai da sempre
potuto viaggiare in ogni luogo non lascerai mai il poco spazio che ti concedo.
Questa è la mia punizione ». Si interruppe, poi abbassò il volume della voce «
Ginger ».
La donna alzò gli occhi verso di
lui, e ciò che vide la angustiò. L’uomo che le stava davanti non era quello che
conosceva, era una sua controparte assai più raccapricciante. Freddo, stringato,
inespressivo. La intimoriva più di Hoopa stesso. « Sì? ».
« Vuoi che mi fermi? ».
La scienziata aggrottò la fronte.
Voleva interpretarla come una richiesta, ma per come era stata pronunciata
somigliava molto di più a una minaccia. « Non capisco ».
« Qui è dove tutto comincia. Se
ora spedisco lì Hoopa, la te del passato lo troverà nell’indagine al Crésus
Hotel e Ross morirà. Vuoi che mi fermi? ».
Solo allora Ginger comprese la
verità: le vicende dell’albergo appartenevano al
futuro di quel mostro, non al suo passato. Non era mai fuggito dalla
suite Notte Fonda perché Etan e suo fratello si erano sacrificati per impedirlo,
e quegli avvenimenti erano posteriori all’invasione dei Rotom. Ciò spiegava, se
non altro, alcuni frammenti bizzarri di frasi di quell’Hoopa. Il fatto che le
morti dei suoi amici e parenti non fossero state vane la rinfrancò per un
attimo, ma ben presto l’angoscia della decisione che doveva prendere le
sovvenne.
Poteva cambiare gli eventi. Un
suo no avrebbe modificato la
conformazione del labirinto, o privato definitivamente il demone dei suoi
poteri, e Ross sarebbe sopravvissuto. Avrebbe potuto riabbracciarlo, avrebbero
potuto vagare di nuovo per le vie di Temperopoli.
Ma lei non era stupida, era la
migliore ingegnera di Kalos. Sapeva bene che, se avesse salvato Ross, lei non
avrebbe mai saputo dell’esistenza del Mondo dei Morti, non avrebbe potuto
suggerirla a Bellocchio e quest’ultimo non si sarebbe ritrovato a farle quella
domanda. Paradosso temporale. Il passato è immutabile, e anche colui che le
aveva posto la domanda ne era a conoscenza per certo. Non era per quello che
glielo chiedeva, bensì perché con quell’azione stava
uccidendo suo fratello, e non sarebbe stato corretto non avvertirla.
Certe volte non si ha scelta,
anche se piace pensare di averla. Certe volte il Tempo ha già scelto per te. «
Fai ciò che devi ».
Hoopa si sentì mancare. Davanti
alla coscienza della fine dei propri sogni persino quell’individuo sempre
raffinato dimenticò tutto il suo aplomb e, per la prima volta da quando
l’avevano incontrato, implorò. « No!
No, no! Ti darò tutto quello che vuoi! Io sono un
Dio! ».
Bellocchio lo squadrò truce. La
voce uscì rauca e cruda dalla gola, la bocca aperta a malapena « Ricordami ».
« C-cosa? ».
« Quando sarai dall’altra parte,
condannato all’eterna reclusione nel Mondo dei Morti… Ricordami, e ricorda che
io sarò ancora qui ».
Il panico pervase l’animo della
creatura, un terrore che non aveva mai provato in vita sua. « … Chi sei? ».
« Sono gli occhi accesi nel buio.
Sono l’ombra che ti perseguita nella notte. Sono il terrore che ti arde nel
cuore in ogni istante della tua misera vita ». L’uomo era posizionato più in
basso rispetto al suo interlocutore, eppure sembrava parlare dall’alto di una
torre, tale era il livello della sua imponenza. Non era più nemmeno una persona
qualunque, sembrava vestire i panni di un re. Con ferocia inumana ringhiò le
parole che sapeva di dover dire, poiché gli spettri che aveva incontrato lo
temevano in quanto associavano quello pseudonimo a chi li aveva espulsi
dall’universo. « Il mio nome è LK, e se tu sei un Dio…
Io sono il tuo incubo ».
Quella fu l’ultima frase udita da
Hoopa. Gli Aegislash che invisibili si erano posti a protezione del giovane si
levarono in volo e presero il loro precedente leader con sé, trascinandolo
contro la sua volontà nel vortice che si chiuse subito dopo. L’Opéra Régional
era priva di spettri per la prima volta da un anno.
Ma nessuno osò parlare. Non un
membro dei Flare e certamente non Serena, che non aveva mai avuto tanta paura da
quando la Fiamma Cremisi era stata debellata dalla Maison Darbois. E non aveva
avuto paura di Hoopa, lui era un nemico come tanti. Ciò che l’aveva atterrita
era stato Bellocchio, che per un breve istante aveva visto persino più spietato
di colui che aveva bandito nel Mondo dei Morti.
Uno
stormo di Taillow si stagliava contro una delle sparute nuvole rossastre che
popolavano il cielo; anziché essere il prodotto della devastazione, però, il
colore era questa volta fornito dal tramonto incipiente. Il sole che si
inoltrava verso l’orizzonte oceanico segnava la fine della prima giornata della Kalos liberata, glorificata
per l’occasione da una limpida volta tersa. Una moderata brezza spirava verso
sud, sospingendo in un moto oscillante le palme schierate sul lungomare. I
profili degli edifici di Altoripoli tradivano la tragedia appena verificatasi,
ma facendo ricorso a ogni istante di luce a disposizione gli abitanti della
cittadina avevano già cominciato a porre rimedio con l’aiuto dei propri Pokémon.
La Seconda Unità Flare era uscita all’alba dalla grotta di Hoopa
nonostante vi avesse trascorso meno di un’ora. Ginger aveva affermato di sapere
perché, avendo osservato un effetto non troppo dissimile al Le Crésus Hotel: la
forte curvatura spaziale, residuo della precedente sacca temporale, aveva
compresso il loro tempo relativo; in termini profani, all’interno della caverna
esso era defluito più rapidamente, portandoli dritti alla mattina.
Il resto del giorno per il team di scienziati si era composto di
compilazione di rapporti e rilevamenti statistici per assicurarsi che il peggio
fosse passato. Le prove raccolte, comprensive del PC di Kashlinsky e del
generatore manomesso, erano state riposte in una coppia di pesanti trolley da
viaggio. E adesso i cinque stavano aspettando il loro treno alla stazione della
cittadina, preparandosi al ritorno a Luminopoli. Ne avrebbero avute di cose da
raccontare.
Bellocchio concluse il giro dei saluti minori con un abbraccio a Sandy.
Kibwe gli aveva rivolto uno sguardo privo di emozioni, Terence invece era parso
lievemente infastidito dalla sola stretta di mano. Quando spettò a Ginger
spendere un arrivederci per il suo nuovo amico, la donna gli porse il P5S che
qualche ora prima l’uomo gli aveva affidato « Ricontrollato come mi hai chiesto.
È pulito, a mio parere. Puoi sempre far verificare a qualcun altro ».
« Penso di potermi fidare della migliore ingegnera di Kalos » osservò
lui riponendolo nella tasca del cappotto insieme all’Anello, il quale gli era
stato regalato come souvenir in gratitudine per averli salvati. Quando aveva
riportato Serena a casa di Cornelius perché si riposasse aveva ripreso possesso
degli abiti che aveva prelevato da Borgo Bozzetto, asciugatisi durante la notte.
Li avvertiva più comodi, ma forse era solo suggestione.
« Sei sicuro di non voler collaborare con i Flare? Uno come te ci
farebbe comodo ».
« Sono più un tuttofare che un esperto » ribatté il giovane scuotendo il
capo « Sarei un pesce fuor d’acqua ».
« Al mondo servono anche tuttofare » disse Ginger con una punta di
ironia. Al suo fianco Sandy si sentì onorato dal fatto che l’Ufficiale stesse
citando la frase che lui le aveva rivolto una settimana prima, mentre indagavano
nei meandri di un ben noto albergo.
« Temo di dover comunque rifiutare. Ho altri impegni ».
« Oh, sentilo… » lo canzonò la donna « L’uomo impegnato! Che cosa farai
ora? ».
Bellocchio si guardò attorno, contemplando i danni lasciati dai Rotom. «
Mi tratterrò un po’ qui. Posso dare una mano a… ricostruire. E poi… » la sua
mano si espresse in un gesto che sembrava imitare un aeroplano in decollo «
Verso nuove avventure ».
Solo allora i due si resero conto del silenzio che aleggiava in quei
minuti. Nessun brusio se non il lento farsi e disfarsi delle onde marine e il
lieve cullare del vento. Sembrava che Altoripoli fosse una città deserta,
persino i colleghi di Ginger a stento davano cenni di esistenza. « Perché
viaggi? ».
Che bella domanda,
pensò l’uomo. Per molte ragioni. Per ritrovare Ada Delaware, che credeva per
qualche ragione connessa al suo ignoto passato a Kalos. Per scoprire la ragione
per cui tra poco meno di mezz’ora avrebbe perso la memoria. Per indagare sul
significato di quei frammenti celesti. Forse, anche se con la morte della Dama
Cremisi le speranze si affievolivano, anche per salvare Serena da chi l’aveva
tenuta d’occhio. Come riassumere quel caos nella sua testa? « Perché… è l’unico
modo che ho per cercare le cose ».
Bellocchio tacque dopo quella frase, quasi stesse pensando a come
proseguire; alla fine, non trovando altro da dire, porse la mano alla donna per
stringere la sua. Lei osservò le sue falangi come un artefatto alieno, dopodiché
senza alcun preavviso lo strinse in un abbraccio. « Spero che trovi quello che
cerchi » gli sussurrò con un filo di voce per poi staccarsi e ricomporsi i ricci
vermigli di fronte alle espressioni attonite dei Flare, i quali non l’avevano
mai vista così incline alle manifestazioni emotive.
Mentre il ricevente versava ancora in uno stato di shock inusuale,
l’ingegnera frugò nell’uniforme bianca per estrarne un biglietto da visita color
indaco. « Se magari vorrai prenderti una pausa… vieni a trovarmi al Frattale.
Sarai il benvenuto » gli disse, dopodiché mentre gli porgeva il cartoncino
soggiunse « E Serena. Anche lei, ovviamente ».
Bellocchio lo intascò senza nemmeno darvi una sbirciata, e sorridendo si
congedò « Alla prossima ». Dopo
quelle parole girò sui suoi tacchi e si incamminò verso l’uscita della stazione.
Il treno si sarebbe presentato solo tra mezz’ora, ma nessuna delle due parti
aveva l’intenzione di prolungare quell’addio. Perché anche se nessuno voleva
ammetterlo, se pure si fossero rivisti difficilmente sarebbe stato per più di un
caffè in memoria dei tempi andati. La vita di un viaggiatore raramente fa
retromarcia.
« Ti voglio bene. Ci sentiamo ».
Serena terminò la telefonata e ripose il PSS nella borsa appoggiata sul
divano dopo aver letto sulla sua schermata l’orario attuale, sette e mezza del
pomeriggio. Udire nuovamente la voce di sua madre e scoprire che era illesa
l’aveva rinfrancata, restituendole al contempo una parte della nostalgia di casa
che aveva provato appena prima dell’invasione. Osservò le pallide orlature delle
tende che coprivano la portafinestra dell’appartamento di Cornelius, quindi
iniziò a passeggiare per il soggiorno fino a giungere alla credenza.
Aveva dormito per quasi metà giornata, una reazione parzialmente
giustificabile visto che in buona sostanza aveva trascorso la notte insonne; le
restanti ore di luce le aveva trascorse in pigiama, decidendo solo sul tardi di
vestirsi. A quel punto era fondamentalmente inutile, ma sperava di poter
finalmente visitare l’Altoripoli notturna senza incappare in Rotom assassini o
rave party per le elezioni. Scrutò il suo riflesso sull’armadietto cristallino,
ricollocando il cappello che portava in testa. Per un attimo pensò che non
sarebbe stata male con capelli più corti, ma respinse immediatamente l’idea con
una sghignazzata interiore.
La porta dell’alloggio si aprì in quel momento alcuni metri dietro di
lei. Specchiato nel vetro scorse un uomo dal lungo cappotto marrone, le mani
infilate nelle tasche del completo sottostante, il volto quasi inespressivo. Era
Bellocchio, in un certo senso il suo Bellocchio, ma qualcosa era diverso
in lui, come se in quel momento la sua mente stesse vagando altrove.
« Dovresti prepararti per il tramonto ».
« Manca ancora una decina di minuti. Ho già trascritto tutto » rispose
lui. Le parole scivolavano come foglie sospinte dal vento, mai così morbide «
Volevo salutarti finché ancora ricordo ciò che è successo oggi ».
Serena si voltò e lo studiò con un sorriso triste che le marchiava le
labbra. Il suo amico pareva rilassato, ma dentro doveva essere tutt’altro che
quello. « Dopo non lo ricorderai? ».
« Sarà un racconto del taccuino. Come la Maison Darbois o la crisi di
Dusknoir ». L’aria si era fatta densa e pesante. Voleva chiederle qualcosa, ma
non trovava il coraggio per farlo. Alla fine se lo impose a forza, perché a
breve sarebbe calato il sole e il tempo in cui avrebbe potuto porle quella
domanda si riduceva. Doveva essere lui, non il sé dell’indomani. « Vuoi
continuare a viaggiare con me? ».
Serena attese per rispondere, un indugio che per Bellocchio fu come una
serie interminabile di colpi nel torace. « Qual è il tuo nome? » lo interrogò
lei a sua volta « Il tuo vero nome. Quello con cui chiami te stesso quando sei
da solo ».
Il giovane non seppe cosa dire. Non comprese se fosse una prova di
fiducia oppure una richiesta scorrelata. La sua capacità di leggere le persone
era prossima allo zero in quel momento. « Non lo so. Non ci ho pensato. Non
capisco nemmeno cosa voglia dire, a essere onesto ».
« Quando hai rinchiuso Hoopa nel vortice hai menzionato LK ».
Bellocchio esitò, sedendosi sul sofà come se la richiesta l’avesse
consumato. La ragazza gli si appostò vicino, ed entrambi mantennero lo sguardo
fisso sulla televisione spenta di fronte. « Non era il mio nome, a quanto pare,
erano solo le iniziali di Logan Kashlinsky ».
« Hoopa » annuì Serena a chiarire l’implicita conclusione della frase «
Ginger è passata qualche ora fa e mi ha spiegato cos’è successo con lui, la sua
storia ».
« Gli spettri del Mondo dei Morti mi ricordano con quel nome perché io
gli ho detto di farlo. I varchi da quell’universo al nostro non rispettano
sempre il tempo come scorre qui, alcuni sono apparsi nel passato. Molti fantasmi
provenienti da lì abitavano la Terra da prima che io li esiliassi ».
La sua amica si sforzò di seguire il filo logico, ma qualcosa le
sfuggiva sistematicamente « Cioè, loro sapevano ciò che avevi fatto… Da prima
che tu lo facessi? ».
« Tecnicamente per loro era già successo ».
« Però tu gli hai dato quel nome perché già lo conoscevi da loro.
L’informazione da dove–– ».
« Paradosso della predestinazione » rispose al volo Bellocchio. Il suo
tono lasciava intendere che lui stesso fosse divertito da ciò che diceva, che
forse non avesse nemmeno la certezza delle sue ipotesi « Il tempo è immutabile,
ciò che è successo doveva succedere ».
Serena sorrise « Sembri essere molto ferrato in queste cose. Ma non mi
hai ancora risposto: come ti chiami quando sei da solo? ».
« Ti ho detto che… » cominciò l’uomo, ma si interruppe prima di finire.
Finalmente ci era arrivato, quella richiesta non aveva alcuno scopo. Era un
test. « … Regola numero uno? » propose incerto, e lo sguardo della ragazza gli
confermò che aveva visto giusto. Si scambiarono un’occhiata complice mentre
Bellocchio prendeva coscienza del fatto che quella che aveva appena fornito era
anche la risposta alla sua domanda, il dubbio sul fatto che lei volesse
ancora seguirlo nel viaggio: niente domande stupide. Certo che l’avrebbe
fatto.
Finalmente il giovane poteva ritenersi realmente felice dopo l’incubo
trascorso in quella città. « Oh, prima che me ne scordi: 235-562244 » disse poi
tutto d’un fiato « Forse vuoi segnartelo ».
« Cos’è? ».
« Il mio numero, ho rimediato un P5S ».
« Ma guardalo, finalmente al passo coi tempi! » lo schernì Serena.
« Lo ritengo un premio per aver salvato la regione » commentò l’altro
alzandosi in piedi con la sua consueta vivacità. Era quasi sera, eppure pareva
fresco come di primo mattino « Contavo di trattenermi una settimana, sai, per
aiutare le persone a riprendersi. Kalos in rovina non dev’essere un bello
spettacolo ».
« Meglio, avrò tempo di andare alla la Palestra di Altoripoli ».
« Ben detto, mai rinunciare a qualche minuto sulla cyclette ».
Bellocchio riacquistò poi una sembianza semiseria, quasi non volesse credere
alla piega che le circostanze avevano preso « Davvero non hai problemi a
viaggiare con me? ».
« La mia unica richiesta è che tu mi faccia uscire viva. E so che
memoria o meno non potrai mai mantenerla, quindi cosa cambia? ». La ragazza
ridacchiò, quindi indicò il balcone con un dito « Cornelius è fuori, se vuoi
dirgli due parole. L’ho già avvertito che ci trasferiremo al Centro Pokémon per
non disturbarlo ancora ».
Bellocchio annuì e si diresse verso la cucina limitrofa, utilizzando poi
la portafinestra per accedere al balcone. Il sole ormai quasi sfiorava
l’orizzonte, aveva giusto il tempo per uno svelto commiato prima di ritirarsi in
un luogo appartato in attesa della sua morte metaforica. Cornelius occupava
scomposto una sedia in legno sul centro del poggiolo, impegnato a passarsi tra
le dita uno spesso sigaro che diffondeva un odore acre nell’ambiente.
« Ah, il Belloccio » lo accolse il padrone di casa, lo sguardo fisso
sulla rinfrancante distesa marina.
« Sono passato a salutare » spiegò l’uomo porgendogli la mano per una
stretta.
« Sì, la ragazza mi ha detto che andrete al Centro. Riconosco di non
essere stato un campione di privacy, vi capisco se volete stare più appartati ».
Cornelius impiegò qualche istante a capire la ragione del braccio proteso del
suo interlocutore, e quando ci arrivò si infilò lestamente in bocca il cilindro
di tabacco per ricambiare il gesto « Comunque tranquillo, non le dirò nulla
della rossa. Ciò che accade nella giungla… ».
« La rossa? ».
« Da qui si vede la stazione. Non ho visto granché nel dettaglio, ma non
mi sembrava male ».
Bellocchio intuì che il pirata si stava riferendo all’abbraccio con
Ginger avvenuto non molto tempo prima. Con un sorriso si affacciò alla balaustra
del terrazzino, verificando che effettivamente la fermata ferroviaria di
Altoripoli era chiaramente visibile da quel punto. La Seconda Unità ancora
attendeva nella speranza che i proverbiali ritardi sulle tabelle orarie fossero
stati galvanizzati dall’apocalisse sventata. « Non credo la rivedrò ».
« Figurati. Come ti ho detto il nickname ti si addice, Belloccio. Non in
quel senso, eh… ».
« Quando ti ci metti sei duro di testa » commentò il giovane, svagato
all’idea che dopo tutto quel tempo ancora il venditore di frutta non avesse
imparato il suo pseudonimo correttamente. Ciò per concatenamento di idee gli
riportò ancora alla mente la donna che stava per lasciare la città. Non ci aveva
riflettuto granché, ma “Ginger” difficilmente era la sua identità all’anagrafe,
altrimenti visti i capelli rossi si sarebbe trattato di una coincidenza unica. «
Non so nemmeno il suo nome ».
« Beh, è ovvio, è una dei piani alti dei Flare, non possono dirlo! »
ribatté Cornelius come se stesse affermando la questione più scontata del mondo.
« Sicurezza e cose così, ma… » proseguì, e abbassò il tono della voce « … sai
tenere un segreto? ».
« Del tipo? ».
« L’alias che usano come protezione segue un codice. Me l’ha spiegato
una di quelle con cui ho… ». Il pirata non terminò l’asserzione, ma lo lasciò
intuire a gesti e seguitò « È facile, davvero. Il suo qual è? ».
« Ginger ».
« No, impossibile. Hanno tutti una X nel nickname ».
Un soprannome nel soprannome. Bellocchio pensò che non aveva mai sentito
pronunciare da Ginger qualcosa di simile. Non solo non sapeva il suo nome, non
sapeva nemmeno il suo vero pseudonimo, e tanti saluti alla storia della
fiducia.
Poi un’illuminazione lo folgorò: il biglietto da visita. Se era un
identificatore per estranei non poteva fare riferimento al suo appellativo
amichevole. Lo estrasse dalla tasca e ne consultò con un’occhiata i dati
forniti, pervenendo infine a ciò che cercava « Xaad ».
« Perfetto. Per formarlo tutto ciò che fanno è prendere il nome proprio,
tanto è un’informazione inutile… Poi lo anagrammano e aggiungono una X da
qualche parte. Di solito all’inizio ».
Cornelius assaporò un’altra boccata del sigaro, crogiolandosi nel suo
gusto speziato « È un vecchio
codice in uso fin dai tempi del Regime Monarchico. Quindi per esempio, nel tuo
caso sarebbe… ».
Non fu un lampo istantaneo. Fu come se le sinapsi del cervello di
Bellocchio si stessero risvegliando una a una, forse danneggiate dall’esperienza
della caverna, eppure finalmente in grado di collegare i dati che aveva
raccolto.
I capelli rossi.
La professione nel campo della scienza applicata.
I dubbi sugli studi, la volontà di diventare una storica annientata dal
padre.
E ora l’anagramma inconfutabile. Non riusciva a crederci, ma non c’era
un indizio fuori posto. La schiva ragazza impersonata da Zoroark non era che una
versione più giovane dell’Ufficiale Flare. Ginger era Ada Delaware.
Cornelius disse qualcosa che la mente dell’uomo non registrò, facilmente
un’inquisizione sulla sua apparente catalessi, ma lui era preso da tutt’altro.
Perché lei? Perché quel Pokémon avrebbe dovuto imitarla? Che rapporto
aveva con lei? Troppe domande, troppi quesiti che ronzavano nella mente. C’era
solo una persona che, Bellocchio sperava, potesse chiarirgli i dubbi.
In quel momento il fischio del treno in arrivo trivellò le sue orecchie.
La reazione che seguì fu puramente istintiva. Ripetendo la mossa
compiuta due notti prima il giovane afferrò la Poké Ball di Nephtys e, una volta
che la sua fedele compagna di avventure fu fuoriuscita, si aggrappò alle sue
piccole zampe da Fletchinder e si lanciò in planata sulla cittadina. Vide la
stazione avvicinarsi sempre di più mentre già la Seconda Unità era scomparsa
dentro uno dei vagoni.
Ma avrebbe vinto quella corsa contro il tempo. La prima volta, al Liceo,
se l’era fatta sfuggire, aveva messo insieme i pezzi troppo tardi ed era stato
superficiale. Ma ora avrebbe saputo, non avrebbe accettato un’altra sconfitta.
Il suo passato a Kalos era interconnesso con quella donna, ne era certo.
Il secondo stridio prodotto dal convoglio giunse quando Bellocchio era a
pochi metri dalla stazione, in grado già di sentire il rumore delle ruote sui
binari. In un ultimo, disperato tentativo di non fallire costrinse Fletchinder a
scendere in picchiata, facendo compiere al trasportato un pericoloso atterraggio
di spalla sul cemento.
Quando l’uomo si riprese dallo schianto era già troppo tardi: l’ultima
carrozza aveva appena superato la soglia della piattaforma e già si addentrava
nell’entroterra di Kalos, diretta a Luminopoli. Una sensazione di vuoto lo
assalì, la realizzazione definitiva di aver perso di nuovo. Non importava che
avesse salvato la regione, perché Ada gli era di nuovo sfuggita.
E rammentò subito che anche quell’emozione non sarebbe durata a lungo:
era il tramonto. Con un doppio atto fulmineo richiamò Nephtys e imbracciò il
taccuino aprendolo davanti ai suoi occhi, la scritta “non smettere di leggere”
bene in vista. Si orientò verso ovest, dove a breve i fasci luminosi sarebbero
stati inghiottiti dall’oceano. Nella foga dell’inseguimento se n’era quasi
scordato. Aveva rischiato non poco.
Esiste un fenomeno ottico dovuto alla rifrazione noto come raggio
verde, osservabile solo in giornate particolarmente limpide. Appena prima
che il sole scompaia sotto l’orizzonte un ultimo sprazzo dalle tonalità
verdognole appare visibile per un frammento di tempo, un battito di ciglia.
Quando le nuvole non inquinavano la volta celeste, era l’ultima cosa che gli
occhi di Bellocchio imprimevano nella memoria prima che quest’ultima venisse
cancellata.
Quel giorno il raggio verde era visibile. E quel giorno, mentre gli
lampeggiava riflesso nelle sue pupille marroni, una meditazione volatile quanto
atroce gli sforacchiò la mente come un proiettile.
Non aveva trascritto la scoperta dell’identità di Ginger. Non l’avrebbe
ricordata.
NEXT TIME: 1x33 – Linus Stromberg, amichevolmente noto come Lino, è uno dei più popolari Capipalestra della regione di Kalos, arrampicatore amatoriale e scoglio da superare per Serena che ambisce a conquistare la Medaglia Rupe di Altoripoli. Ma i fantasmi dello scontro con Violetta, su cui non è a conoscenza di aver virtualmente trionfato, potrebbero giocare un brutto scherzo alla ragazza nel momento più importante, e anche la sfida potrebbe non svolgersi come si sarebbe aspettata.