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Autore: NoceAlVento    15/04/2015    1 recensioni
Cosa succede a Kalos? Forze oscure agiscono nell'ombra, perseguendo i loro ignoti obiettivi ai danni di innocenti; misteriosi frammenti di una gemma celeste sono apparsi nella regione dal nulla; una ragazza, anche se non ancora non lo sa, è stata tenuta sotto segreta osservazione per tutta la sua vita. E in tutto ciò c'è Bellocchio, appena precipitato da un'aeronave in fiamme e portato a scoprire che cela un passato lontano a Kalos, anche se non l'ha mai vista in vita sua. Nuovi capitoli ogni due settimane!
 
***
 
« Ehi, non mi hai detto come ti chiami! ».
« Bellocchio ».
« Bellocchio chi? ».
« Cos’ho appena detto riguardo le domande stupide? ».
« Ma ti chiami davvero così? ».
« Ma certo che no! Chi mai si chiamerebbe Bellocchio, è un nome ridicolo! ».
Genere: Avventura, Comico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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Episodio 1x32

Il teatro degli spettri

 

 

PREVIOUSLY ON LKNA: Serena è stata rapita. Seguendo l’unica pista a loro disposizione, una trasmissione sinaptica contenente il nome di Bellocchio, quest’ultimo giunge insieme a Ginger e alla sua squadra presso una caverna. Molti aspetti non quadrano: è troppo ampia per la sua posizione geografica, il segnale ricercato si perde al suo interno e pare essere stata abitata in passato da qualcuno che vi ha costruito un laboratorio.

Mediante una serie di video-diari scoprono che tale struttura era di proprietà del Pianeta Nero, un quartetto di scienziati dediti a costruire una macchina, lo Scissore, capace di donare alla cavia il potere di aprire varchi spaziotemporali. La storia si conclude in tragedia: dopo essere rimasto misteriosamente chiuso nella caverna, Alexander Kashlinsky, leader de facto del Pianeta Nero, pensa di sacrificare suo figlio Logan alla scienza pur di fuggire.

La notizia non è nemmeno la più agghiacciante: il gruppo di Bellocchio scopre infatti che l’antro in cui si trovano non è altro che una grande Poké Ball naturale che qualcuno sta sfruttando per rilasciare onde sinaptiche che minacciano di assoggettare le loro menti. Ginger vorrebbe andarsene e pianificare le mosse successive, ma tre Chandelure li prendono in ostaggio prima che possa agire. La situazione si fa critica: il tempo cosciente a disposizione si assottiglia, Bellocchio e Ginger scompaiono senza preavviso lasciando i tre Flare rimanenti alla mercé dei Pokémon, e questi rivelano di essere al servizio nientemeno che di Hoopa, vecchia conoscenza della Seconda Unità.

La possibilità di un lieto fine si allontana, e qualcuno inizia a capire che sacrifici andranno compiuti per conquistarlo.

 

 

 

 

 

 

« Rialzatevi immediatamente! ».

Kibwe si precipitò in soccorso di Sandy, che ormai non era praticamente più in grado di reggersi in piedi da solo, ignorando l’occhiataccia rivoltagli dal Secondo Chandelure. In realtà sarebbe potuto essere chiunque degli aguzzini che li accompagnavano nella scarpinata, ma il modo di comportarsi era simile a quello di colui che avevano identificato come Secondo Chandelure nel laboratorio, e peraltro la numerazione non era veramente importante. In fondo quel trio era quasi sicuramente già caduto preda della riscrittura sinaptica, dunque di fatto erano assimilabili a un solo ente.

Questo, inoltre, era ciò che dava a Kibwe il coraggio di aiutare Sandy nel momento di difficoltà in barba alle loro imposizioni. La menzione di Hoopa aveva scosso le fila dei Flare soprattutto perché portava con sé numerose domande: com’era sopravvissuto al buco nero? Com’era arrivato nel loro universo dal Mondo dei Morti? Se era lui la mente dietro l’invasione dei Rotom, com’era riuscito ad assemblare un esercito in così poco tempo? Ma un dubbio non c’era mai stato: quei candelieri animati lo temevano. Lo rispettavano. E se uno dei suoi ordini era stato di tenerli vivi, come si era evinto da una frase pronunciata dal Primo Chandelure, allora sarebbero arrivati da lui vivi. E lui poteva permettersi anche di infrangere le disposizioni di servi timorosi del loro padrone e fungere da stampella umana per il suo amico.

Era trascorso ormai diverso tempo, forse un quarto d’ora in mancanza di riferimenti esatti, da quando il gruppo aveva abbandonato il laboratorio scortato dai Pokémon. Fu allora che i tre prigionieri si resero conto del fatto che erano arrivati al capolinea: si trovavano di fronte a un’alta parete rocciosa rischiarata dalle fiamme violacee che in assenza di Faraday erano l’unica sorgente di luce.

Gli Attiranime iniziarono a consultarsi in privato, il che diede a Terence modo di confrontarsi sottovoce con i suoi colleghi, e più specificatamente con Kibwe. « Cosa pensi di fare quando saremo davanti a Hoopa? Usare… ? ».

« Prepara il tuo PSS » gli sussurrò lui, avendo cura di non essere udito « E poi fai come ti dico ».

« Non parlate! Non parlate! » si impose il Terzo Chandelure, il quale nel frattempo aveva concluso la confabulazione tattica con gli altri due. La sua figura fluttuò avanti di qualche metro, venendo quasi a contatto con il muro « Dio, abbiamo obbedito! ».

Dopo qualche secondo di quiete un lampo si accese sulla pietra, una sorta di incisione che fu visibile per non più di un istante. Dopodiché essa fu sostituita da una circonferenza color giallo acceso del raggio di svariati metri, al cui interno le tinte scure della caverna si confondevano in un magnifico turbinio fino a scomparire. In uno spettacolo senza pari un gorgo impastato si era aperto davanti ai tre Flare, un varco del tutto simile a quello della suite Notte Fonda. Indubbiamente era opera di Hoopa, e Kibwe pensò di comprendere perché li avessero portati fino a lì: un passaggio di quelle dimensioni richiedeva una parete sufficientemente verticale per posizionarsi al meglio.

« Entrate » intimò il Secondo Chandelure. L’informatico fin dall’inizio l’aveva visto come il meno strisciante, quello che si sarebbe posto meno problemi a ucciderli se avesse avuto una valida ragione per farlo. Meglio non dargliela, pensò allora mentre, sempre sorreggendo Sandy, si fece coraggio e si inoltrò nel maelstrom indaco.

Passarvi attraverso fu una sensazione pressoché unica, poiché non avvertì una netta divisione tra il precedente e il susseguente, come se avesse valicato una banale porta. Non ebbe tuttavia alcun dubbio sul fatto di essersi mosso: se prima il buio era avvolgente al punto da farlo sentire una fiaccola in un campo sterminato, ora si era spostato in un luogo la cui luminosità lo accecava in un bianco permeante.

 

 

 

PARTE PRIMA – Nadir

 

 

 

Quando Ginger poggiò i piedi per terra il mondo intorno a sé girava vorticosamente come il cestello di una lavatrice. Poco coscienziosamente pensò di fare qualche passo in avanti, ma ciò che ottenne fu solo barcollare visibilmente con andatura dinoccolata. Dapprima pensò di trovarsi in un breve sprazzo di coscienza dopo essere stata definitivamente riscritta dalle onde sinaptiche, e solo dopo rammentò l’ultimo suo ricordo, prigioniera con gli altri dei tre Chandelure. Di essi non c’era traccia nell’ambiente in cui si trovava ora, quindi c’era una sola possibile spiegazione: si era teletrasportata.

Di lì i suoi pensieri si esibirono in voli pindarici da un argomento all’altro. Se i suoi atomi erano stati veramente separati e ricomposti altrove, la domanda successiva era perché l’avessero fatto, dato che non ricordava di aver alcun Pokémon in grado di usare Teletrasporto. Contemporaneamente a queste elucubrazioni i suoi occhi iniziarono a mettere a fuoco il circondario, senza molti dubbi la stessa caverna da cui era partita – ma in un punto diverso –, e constatò che la luce che vedeva proveniva da Faraday, il suo Jolteon, che quindi aveva viaggiato con lei.

« Siamo ancora vivi! Questa giornata può definirsi un successo! ».

Udire quella voce innervosì la donna più della dislocazione: era stato lui. Chi se non Bellocchio avrebbe potuto concepire un’idea così malsana? Appena riacquisite abilità motorie accettabili si avventò su di lui da dietro, scaraventandolo contro il duro suolo roccioso dell’antro.

« CHE COSA TI SALTA IN MENTE? » gli ruggì nell’orecchio mentre quello ancora cercava di capire cosa l’avesse colpito. Sentiva che avrebbe vomitato da un momento all’altro, ma tanto meglio se fosse capitato sulla faccia di quell’arrogante.

« Calma, calma… ».

Il tono di voce dell’uomo era lucido, così come anche la sua mente, perché a differenza di lei aveva potuto anticipare il momento del teletrasporto e approntarsi, mentre lei era stata colta di sorpresa. Ciò la fece imbestialire ulteriormente « GLI ALTRI SONO ANCORA LÀ! ».

« Ho chiesto scusa, io–– ».

« LI AMMAZZERANNO! PENSERANNO CHE CI STIANO COPRENDO E LI AMMAZZERANNO! ».

« Ringrazia che ho evitato lo stesso destino a noi! » esclamò il giovane.

Ginger fu sul punto di sferrargli un pugno di rara violenza, ma un nuovo attacco di nausea prese il sopravvento e il suo corpo cadde di lato in preda ai giramenti di testa. Avrebbe rimesso a breve, ne era certa.

« Non muoverti, peggiorerà solo la situazione ».

Nella fatica che profondeva per reprimere il voltastomaco causato dal teletrasporto, l’Ufficiale trovò comunque la forza di parlare « Con cosa ci hai portati qui? ».

Bellocchio, frattanto drizzatosi in posizione seduta, mostrò fugacemente una delle Poké Ball agganciate alla sua cintura « Karen, la Ralts di Serena. L’ho presa in prestito nel caso potesse servirle, ma a quanto pare è servita più a noi ».

« Allora riportaci indietro ».

« Se anche potessi, a che pro? ».

A che pro? Oh, che domanda pungente. Forse per provare ad aiutarli? Non lasciarli da soli nelle mani dei Chandelure? Aveva sempre pensato, o sperato, che l’insensibilità di quell’individuo fosse figlia di un pessimo senso dell’umorismo, ma ora si faceva strada in lei l’ipotesi che non avesse mai finto.

Comunque su una cosa aveva ragione: non poteva tornare al punto di partenza. Il meccanismo di Teletrasporto era casuale, sarebbero potuti riapparire dovunque. In effetti il solo fatto che si trovassero ancora nella grotta del Pianeta Nero era un miracolo, dato che il raggio d’azione medio della tecnica era di chilometri.

In quel momento, inaspettatamente, una allarmante considerazione le fendé il cervello. « Quel Ralts sa dissipare i residui particellari, vero? ».

« I che? ».

« Residui particellari. Quando ti teletrasporti le tue particelle in volo sfiorano le altre lasciando un tracciato visibile. Si può usare per seguirti ».

« Mettiamolo tra i forse ».

« Oh, perfetto » inveì sottovoce Ginger. L’unica nota positiva era che ancora non li avevano trovati, quindi c’era una possibilità che i Chandelure o il loro leader non sapessero farlo.

Bellocchio esaminò per la prima volta con attenzione il luogo in cui erano ricomparsi. Le dimensioni, un chilometro cubo o giù di lì, erano decisamente minori dell’atrio roccioso in cui il laboratorio di Kashlinsky era stato costruito. Le pareti erano di conseguenza discretamente alte, ma non vi era traccia delle proporzioni ciclopiche in cui si erano imbattuti nel primo ambiente. Un’altra rilevante differenza era che non c’era alcuna traccia di uscite.

O meglio, quasi. « Ehi, Ginger, vieni a vedere » la chiamò Bellocchio incuriosito mentre, capo alzato al soffitto, osservava stupito un’ampia spaccatura nella roccia che si perdeva sopra di loro. Un baratro all’inverso, si sarebbe detto. « Un bel buco ».

La donna concordò. Con un cenno indicò a Jolteon di porvisi sotto per illuminarlo, ma anche un Flash relativamente ravvicinato si perdeva nelle ombre di quella cavità. « Mi chiedo dove porti ».

« In alto ».

Le parole del giovane, scandite con ironia, indussero un tenue risolino amaro in Ginger. « Mi ricordi Ross. Certe volte vorrei avere la vostra capacità di fregarvene del contesto in cui scherzate ».

« La mia era un’osservazione legittima » contestò Bellocchio. Quindi, mentre i suoi occhi si abbassavano per tornare ad analizzare l’ambiente limitrofo, una sorta di imprecazione a versi uscì dalla sua bocca. « Scusa per il PSS ».

« Eh? ».

L’uomo puntò l’indice su un punto del terreno, dove frammenti di uno smartphone erano sparsi dopo uno schianto all’apparenza alquanto violento. « Dev’essere successo col teletrasporto ».

Ginger ne fu onestamente sorpresa, perché avrebbe giurato di avere ancora il suo stipato nella tasca dell’uniforme a giudicare dalla pressione che esercitava sul suo fianco. Quando andò con la mano a indagare all’interno verificò che effettivamente era così. Disorientata sfilò il cellulare bianco come il latte e lo mostrò a Bellocchio, che fece lo stesso con il suo che lei aveva personalmente ripulito dal diodo di polarizzazione. Se entrambi i loro PSS erano nei rispettivi palmi, di chi era quello frantumato al suolo?

La risposta calò sull’ingegnera come una spada dal cielo. « Ti sei sbagliato, quel buco non va in alto ».

« Cosa? ».

« Quello è il PSS di Sandy ».

Bellocchio fu scioccato non tanto per la rivelazione, quanto per essersi temporaneamente dimenticato dell’incidente dello strapiombo. Che la riscrittura si stesse facendo strada anche tra le sue sinapsi ora? Controllò l’oggetto più da vicino, ma con la caduta che aveva fatto era irrecuperabile. « È caduto qui? Quindi ci troviamo sotto al pianterreno ».

« Teletrasporto non punta mai in basso » obiettò Ginger « No, no, non ricordi cosa diceva Kashlinsky? Parlava del generatore a caduta perpetua, il tubo! ».

« Continuo a non capire ».

La Flare esitò, cercando di fare ordine mentale prima di spiegare un concetto tanto astratto rispetto alla realtà quotidiana. « Questa caverna è in quattro dimensioni ». L’uomo cercò di protestare, ma lei lo fermò prima che potesse « È così! È più grande all’interno, molto più grande! Uno spazio simile è possibile solo perché la grotta è ripiegata su se stessa! ». Indicò il PSS sbriciolato « Non è semplicemente caduto verticalmente, si è mosso in più direzioni! E lo stesso il tubo del generatore, ecco come funziona! Al Pianeta è bastato trovare dei fori che si connettessero ad anello! Il cubetto che scorre al suo interno è entrato in un loop gravitazionale e frenato dall’acqua produce energia termica che viene convertita in elettricità! ».

Bellocchio si sforzò di non perdere il filo, anche se il sermone scientifico pronunciato in dieci secondi netti gli complicava decisamente il compito « Stai dicendo che il cubetto è destinato a precipitare in eterno? ».

« Generatore a caduta perpetua, dopotutto. È come camminare sulla superficie di una sfera, non ci sono limiti ma percorrendo abbastanza strada torneremmo al punto di partenza. Curvatura spaziotemporale ». Questo spiegava anche perché non avessero lasciato la caverna con il Teletrasporto: il suo movimento era ancorato alle tre dimensioni spaziali, quindi non poteva abbandonare quella grotta esattamente come non poteva fuggire dall’universo stesso. « Solo una cosa non torna: com’è possibile? Voglio dire, sicuramente c’entra lo Scissore ».

Un luogo inspiegabilmente apparso dalle dimensioni impossibili, con forte curvatura spaziotemporale rilevata. Bellocchio frugò nel labirinto della memoria alla ricerca di un analogo di quella situazione tanto familiare, ma non fu necessario ispezionare a lungo. Era successo due giovedì prima, in un giorno nebbioso a Castel Vanità.

La Sala degli Stati del castello. L’antro di Omastar risalente all’alba della vita sulla Terra. Ora gli era chiaro: lo Scissore ai tempi del Pianeta Nero aveva riaperto una sacca temporale, un universo a bolla nato da un inceppo nel meccanismo del tempo. La caverna in cui si trovavano doveva essere vecchia di milioni di anni, quando una biforcazione anomala l’aveva congelata in un globo fuori dal cosmo mentre quella vera, probabilmente, era franata prima ancora che gli esseri umani sapessero parlare. La cicatrice era poi stata strappata nuovamente quando lo Scissore, alimentato da uno dei frammenti celesti, aveva concentrato i gravitoni intorno a sé, spedendo l’intero laboratorio fuori sincronia rispetto alla linea temporale del loro universo.

Tuttavia due cose non tornavano. Numero uno: perché in tempi lontani bolle temporali erano nate così ravvicinate? La probabilità che una si verificasse spontaneamente era già di per sé concretamente nulla. Numero due: secondo quanto riportava Kashlinsky nei vlog non erano presenti vie di fuga dalla caverna, quindi la bolla era intatta quando ci erano entrati. Dunque perché ora l’uscita esisteva?

Bellocchio si voltò verso Ginger, cogliendola mentre traballava instabile sulla roccia sottostante. « Ehi, ehi, tutto a posto? Sdraiati » le disse affrettandosi per aiutarla. La donna si rifiutò, ma quantomeno giunsero al compromesso di mantenerla seduta perché non si sforzasse troppo. Nessuno dei due aveva idea di quanto tempo mancasse alla riscrittura completa, ma non doveva essere molto.

« Are you hanging up a stocking on your wall… ».

Si avvertì una quasi umoristica dissonanza musicale quando gli speaker del PSS dell’Ufficiale diffusero nell’ambiente il glam rock natalizio degli Slade. La coppia di solitari prigionieri della caverna si guardò negli occhi disorientata, e probabilmente avrebbero riso se non fossero stati tanto vicini alla morte psichica: qualcuno telefonava all’ingegnera.

 

 

Kibwe l’aveva visitata una sola volta, con i suoi compagni del liceo in gita scolastica. Ricordava l’eleganza della scalinata marmorea, il calore delle luci dorate, i maestosi affreschi del foyer; ma più di ogni altra cosa aveva impressa nella memoria la spettacolarità del teatro, le sue tinte gialle e vermiglie, i ricchi ornamenti scolpiti, i fastosi drappi che fungevano da sipario, la moltitudine di poltrone vellutate e il dipinto di Chagall sulla cupola che avviluppava il lampadario. Perciò realizzò immediatamente che il luogo dove il portale attraversato nell’antro lo aveva condotto era precisamente l’Opéra Régional.

L’edificio era scomparso misteriosamente dopo il Primo Galà di Luminopoli, parallelamente alla finale al Jardin d’Éden. Visti gli eventi assurdi che si erano verificati in quell’occasione – cielo viola in primis – si era pensato a un effetto collaterale, e nonostante le ricerche non fossero mai state formalmente interrotte nessuno sperava più in un suo ritrovamento. L’organizzatore del Secondo Galà, Franz Hanlov, stava proprio in quel periodo ristrutturando l’Opéra Pirouette per accogliere un maggior numero di spettatori, a riprova della scarsa fiducia in un possibile recupero, e invece eccola davanti a sé. Probabilmente avevano abbandonato la caverna, visto che almeno personalmente l’informatico non avvertiva più l’influsso delle radiazioni. E tutto ciò non era nemmeno l’aspetto più stupefacente.

Era pieno di spettri. I tre Flare, fuoriusciti sul palcoscenico dal varco, potevano ammirare l’intera sala gremita di ogni specie di Pokémon fantasma immaginabile, dai Gengar ai Trevenant passando per i Chandelure a cui il loro trio di aguzzini si era ricongiunto. Sulla tribuna d’onore, il balconcino centrale al livello più alto, circondato da Doublade, Golurk e montagne di gioielli, sedeva su un trono una creatura dall’aspetto demoniaco. Era alta probabilmente mezzo metro, dalle sfumature rosee su un corpo grigio spento e le iridi color chartreuse; il suo capo era deformato da una coppia di corna e molto nelle sue sembianze ricordava certi geni apparsi nelle fiabe.

Al loro arrivo i Flare erano stati accolti da un confabulare intenso da parte dei lugubri spettatori; ma, nel momento in cui quello che pareva il loro sovrano aveva conciliato la presenza del trio, i suoi sottoposti avevano taciuto rispettosamente. E ora quel bizzarro individuo li stava scrutando, per poi dar loro ricevimento con una stridula voce che sarebbe suonata ridicola in chiunque altro, ma non in lui. « Benvenuti! ».

Kibwe rivolse una rapida occhiata a Terence, che annuì silenziosamente per informarlo di aver svolto il suo compito.

 

 

Ginger si portò il dito alla bocca per chiedere al suo amico di non parlare mentre, non una parola proferita, disattivava il microfono del suo PSS. Quando fu certa di non poter essere udita dall’altra parte chiarì « Sono in comunicazione ».

Bellocchio in realtà l’aveva intuito fin dal primo istante anche senza necessità di spiegazione: i suoi colleghi avevano telefonato per consentirle, dovunque fosse, di seguire il dialogo che stavano intrattenendo con un ignoto. « Di chi era quella voce? ».

« Di chiunque sia, i miei sono con lui o lei in questo momento ».

L’uomo annuì cupo, ascoltando la conversazione emanata in vivavoce dallo smartphone. Di una cosa era sufficientemente certo: non era umana.

 

 

« Avete impiegato più di quanto mi aspettassi per arrivare qui ».

Kibwe scrutò perplesso l’individuo sprofondato sul suo trono giocherellare con un anello dal discreto diametro. « Ci aspettavi? ».

« Ovviamente vi aspettavo! ». Il Pokémon si dissipò nell’aria per ricomporsi poco distante tra loro, fluttuante sulla platea in cui si era formato un vuoto circolare privo delle ingerenze dell’oceano di fantasmi « Va meglio, vero? Ho rivestito questa struttura di zinco. Pensatela come una gabbia di Faraday, nessuna radiazione sinaptica può entrare o uscire di qui ».

L’unico disposto ad assumersi l’ingrato compito di conversare con quell’essere raccapricciante, Kibwe, trasse due conclusioni da quelle parole: la prima era che si trovavano ancora nella stessa caverna, la quale doveva vantare dimensioni ragguardevoli se poteva contenere il teatro dell’Opéra Régional; la seconda fu meno immediata, poiché dovette rammentare un argomento che aveva udito l’ultima volta nella sala riunioni del Ligue Château d’Examen. « I furti di zinco degli ultimi giorni… Sei stato tu ».

« Ben detto ».

La conferma del suo interlocutore innescò nell’informatico una lunga serie di deduzioni: se sapeva come funzionavano le onde di riscrittura sicuramente era lui a produrle, e allo stesso modo era responsabile delle lettere trasmesse alla regione. Quindi lui aveva sottratto il generatore dalla Cripta, lui aveva ordinato ai Rotom di attaccare Kalos, lui era il segreto fautore di ognuno dei terribili avvenimenti delle ultime ventiquattr’ore e più. Erano giunti lì per svolgere una missione, e la missione era la ricerca del mostro che ora stava loro davanti. L’uomo dietro le quinte, appropriatamente. « Chi sei? ».

« Credevo che l’aveste già intuito » lo canzonò lo spirito in un timbro tanto deviato quanto suadente « Il mio nome è Hoopa, e sono il Dio degli Spettri ».

I tre Flare in un senso si erano attesi la risposta, eppure era difficile credere che la voce terrificante che aveva parlato con loro nel Mondo dei Morti per mezzo di Ross appartenesse a quel piccolo demone. E Dio degli Spettri? In qualunque modo fosse fuggito dal labirinto doveva essersi dato da fare.

« Vi vedo un po’ disorientati » denotò il Pokémon con un risolino « Forse siete in ansia per la vostra amica? ».

Se prima il gruppo era turbato ora era davvero confuso: amica? Hoopa schioccò le dita e nello spazio accanto a lui si compose un’ellisse turbinante. Dopo qualche secondo fu chiaro che il fantasma aveva aperto una finestra verso un punto diverso della caverna, perché nel disordine divenne visibile una ragazza in abito scuro incatenata a un freddo muro di roccia. Era incosciente, facilmente svenuta o addormentata, ma perlomeno non pareva ferita in modo grave. La Seconda Unità la riconobbe all’istante, ma fu solo Sandy a rammentarne il nome. « Serena! ».

 

 

Bellocchio sobbalzò, gettandosi sul PSS alla menzione del nome della sua compagna di viaggio. Non poteva vedere, ma dal tono dell’astronomo poteva intuire che non era un’esclamazione di terrore, bensì di sollievo. Non era morta, doveva averla vista. Mai aveva tanto desiderato che qualcuno dicesse di più, e invece seguì un silenzio che tese ogni corda del suo animo. Si voltò verso Ginger aspettandosi, se non di trovarla in fibrillazione come lui, quantomeno di vedere un sorriso fare capolino sul volto. Invece ciò che si presentò ai suoi occhi era una donna in preda a un attacco di convulsioni.

Immediatamente si precipitò dietro di lei per sorreggerla, temendo che perdesse conoscenza da un momento all’altro. « Cosa c’è? ».

« Hoopa… » farfugliò lei. Gli occhi erano vitrei, la sudorazione aumentata e le pupille vibravano sensibilmente. Non era effetto delle radiazioni, era qualcos’altro, anche se il giovane non era in grado di stabilire cosa.

« Sì, è quello che ha detto ».

Ginger si passò la mano sul volto, riprendendo parzialmente il controllo di sé « Una settimana fa io e gli altri siamo andati al Crésus Hotel per indagare. Siamo finiti in un posto, il Mondo dei Morti… E c’era lui… Ha ucciso mio fratello… ». No, dentro di sé l’ingegnera sapeva che non era vero. Hoopa poteva aver collaborato, ma chi aveva deciso di non salvare Ross dal buco nero era stata lei. Si ravviò i capelli nervosamente, cercando di reprimere quel pensiero ricorrente « E uno dei miei, Etan… Lui si è sacrificato perché quel mostro non tornasse, ed è stato inutile… ».

Era quello a farla soffrire di più. Molti martiri erano stati necessari in quel giorno buio perché l’umanità fosse salva, ed era stato vano, perché Hoopa era tornato in piena forma proprio davanti ai loro occhi. Ginger non voleva piangere, eppure le sue guance furono presto rigate da lacrime di rabbia.

Bellocchio la osservò addolorato. Comprendeva i sentimenti della sua amica, e senza dubbio appellarsi alla sofferenza era il modo migliore per sconfiggere la riscrittura sinaptica, ma non così. Doveva calmarsi assolutamente, o sarebbe stata schiacciata dal peso del suo passato. E non poteva permettersi di impazzire, non ora.

 

 

« Vedo che almeno uno di voi si è risvegliato » commentò Hoopa soddisfatto, scrutando il più anziano del trio che aveva reagito per primo.

« Perché l’hai rapita? » gli domandò Sandy.

« Per distrarvi ».

Kibwe esibì una smorfia scettica sul volto « Per distrarre noi? ».

« Vi ho tenuti d’occhio mentre sventavate l’invasione dei miei Rotom, e vi ho visti in compagnia di quella ragazza. Ho pensato che sarebbe stata un’ottima esca per tenervi impegnati ».

L’uomo comprese il ragionamento del loro avversario: non era per Bellocchio che aveva preso Serena, era per loro. Avrebbe potuto anche sequestrare Ginger, la bionda gli doveva semplicemente essere parsa più facile da ottenere. « Perché ci volevi impegnati? ».

« Per sottrarvi il catalizzatore » sorrise maliziosamente Hoopa. Con un altro schiocco di dita il varco precedente si richiuse e al suo posto comparve un treppiede sormontato da una sorta di mortaio cavo. Kibwe stralunò gli occhi alla vista del macchinario: era proprio il catalizzatore, o l’Arma come spesso vi si erano riferiti nelle ore tese dell’invasione. Era stato il loro piano principale fino a quando Bellocchio non aveva avuto l’intuizione del nuovo sole: far divergere con quell’oggetto le onde del cannone a compressione e detonare tutti i Rotom. L’avevano lasciato al Pokémon Center prima di partire verso il Percorso 8. E a quel punto l’informatico intuì: il rapimento era stato un diversivo per distrarli dal suo furto.

Hoopa colse l’impercettibile variazione nell’atteggiamento dei Flare e sorrise beffardo « Oh, ora iniziate a capire, vero? ».

« A cosa ti serve? » lo interpellò Terence.

« Non avete fatto caso alle due lettere che vengono trasmesse da tempo? ».

L’asiatico aggrottò la fronte « LK? Che cosa c’entra? ».

« Sono onde sinaptiche anche quelle, l’unica differenza è che le stiamo trasmettendo all’esterno. Non avete notato che sono estremamente deboli? Sono avvertite prevalentemente in sogno, nello stato di minima coscienza. Era un test per verificare la potenza delle emissioni ». Ognuna di quelle parole fu un ulteriore coltello nello stomaco di ciascuno degli scienziati, perché il filo del piano si dipanava finalmente davanti ai loro sguardi attoniti. « Il vostro catalizzatore può intensificare i fenomeni di perturbazione non elettromagnetici. Con esso il raggio di azione si estenderà all’intera regione ».

« E potrà riscrivere Kalos… » completò Sandy orripilato, giungendo per primo all’ovvio compimento. Con il catalizzatore avrebbe potuto estendere ciò che li aveva quasi stroncati nella caverna a un raggio decisamente maggiore. Tutti gli abitanti sarebbero stati riscritti usando proprio il loro asso nella manica. « L’invasione dei Rotom… L’hai organizzata solo per stanarci, vero? ».

« Rubare dalla Cripta un generatore sperimentale è stato un gioco, ma accedere ai piani alti dove tenevate il catalizzatore è praticamente impossibile. L’unico modo che avevo per ottenerlo era costringervi a portarlo fuori, per questo ho pianificato una situazione tanto critica che vi costringesse a usarlo ».

 

 

Per Ginger, che si era appena ripresa dallo shock della rivelazione di Hoopa, questo fu un altro colpo al cuore. Stentava perfino a crederci: li aveva raggirati. Un evento di portata paragonabile solo alle Grandi Guerre era stato orchestrato con l’unico scopo di mettere le mani su un artefatto Flare. Nessuna intenzione di dominare Kalos, sapeva benissimo che avevano un modo per fermarlo. Aveva giocato con loro come si fa con le pedine del backgammon.

Dal PSS il Pokémon riprese a parlare « Ovviamente mi serviva qualcuno di immune al cannone a compressione, visto che tutti i Rotom sarebbero esplosi, per questo ho incaricato il Chandelure che avete incontrato di recuperare il catalizzatore. Quando ve ne siete usciti con il piano alternativo la sua utilità è venuta meno. L’ho uccisa per mostrare a voi che non era finita, per assicurarmi che non ve ne tornaste al Frattale con il mio obiettivo ».

Bellocchio si sentì pervadere dalla collera. Non credeva che sarebbe potuto succedere, ma provava pena per la Dama Cremisi. Aveva creduto che fosse morta per aver fallito il suo compito, e invece era molto peggio: era morta perché non era stato necessario svolgerlo. Era stata sacrificata per proseguire il piano.

 

 

« Ma perché? » obiettò Kibwe energicamente « Cosa ne trai se Kalos passa ai tuoi ordini? ».

« Non hai ancora capito? So che avete visto i video di mio padre, dovreste esserci arrivati ».

Questo. Fu questo il momento in cui tutti i presenti, compresi i due che assistevano indirettamente alla conversazione, si allinearono perfettamente in un’espressione di sgomento. E ciononostante nessuno accettò la possibilità di buon grado, perché era la cosa più assurda immaginabile. Hoopa era Logan Kashlinsky?

« Quel bastardo uccise mia madre nel tentativo di salvarsi. Se ne fregò dei rischi della manipolazione genetica trasformandomi in ciò che sono ora, una deformità » proseguì lo spirito con un ringhio soffocato tra i denti « Io sarei potuto essere come voi, e invece sono stato immolato sull’altare della scienza. Lo sventrai con le mie stesse mani, scaricandolo ai margini della Galassia come la spazzatura che era ».

Sandy fu il più impressionato dal racconto consegnato con una ferocia sbalorditiva alle sue orecchie. Tutto acquisiva un senso maggiore in quell’ottica: la capacità di quell’individuo di produrre wormholes, evidentemente elargitagli dallo Scissore, e la scelta di usare proprio le lettere L e K come test per la propagazione sinaptica esterna. Ma nonostante ciò accettarlo era difficile, perché significava che Hoopa non era un Pokémon. Era stato un umano, o più precisamente un feto, prima di essere crudelmente mutato in un mostro. Da un cosmologo, per di più, un suo potenziale collega. « Mi dispiace » disse con un filo di voce, ma le sue parole dovevano suonare spente a chi aveva visto la propria vita distrutta prima ancora di nascere.

« Ah, e sapete la cosa migliore? Lo Scissore funzionò. Acquisii il potere di aprire varchi nello spaziotempo. E quando andai alla ricerca dell’universo gemello, quello per cui ero stato mutilato della mia umanità… Non trovai nulla ». Hoopa si infervorò « Ho vagato nel freddo nel cosmo, ai confini della conoscenza, e ho trovato il vuoto. Il flusso oscuro era un errore di misurazione. La stupidità di mio padre mi ha rovinato, la sua incapacità di pensare razionalmente. Perciò, vedete, non trovate che questo mondo sarebbe un posto migliore se tutti chiedessero prima a me? ».

« Non li renderai più saggi, li trasformerai solo in soldatini obbedienti » ribatté secco Terence.

« Ciò che farò a voi è esattamente ciò che voi fate ai vostri Pokémon. Ditemi, Flare, vi sembra ancora così umano adesso che il trattamento vi riguarda direttamente? ».

A quel punto anche il matematico tacque. Sandy e Kibwe abbassarono il capo nella vergogna, incapaci di dare torto al loro interlocutore. Hoopa non si fermò, quasi volesse di proposito espellere quelle tossine cerebrali dal suo corpo « Ho progettato per anni la mia vendetta, usando questa caverna come base d’azione. Facendomi un nome, entrando nelle leggende come Dio degli Spettri. Poi due settimane fa qualcosa è cambiato, e di colpo la caverna si è ritrovata un’uscita accessibile al mondo ».

 

 

Bellocchio corrugò il volto in un’espressione di curiosità. Di colpo la caverna si è ritrovata un’uscita erano parole che evocavano una possibilità che non gli era venuta in mente.

« Ho dovuto affrettare i tempi, introducendomi nella Cripta per rubare il generatore e manomettendo la prima serie dei P5S. Visto il poco tempo converrete che ho svolto un buon lavoro ».

Questa volta toccò a Ginger rimanere stranita da ciò che Hoopa sosteneva « Ma come ha fatto? Infiltrarsi nei Flare è impossibile ».

« Beh, poter creare varchi spaziali gli dà un certo vantaggio intrinseco » le fece notare il suo alleato.

« Per la Cripta, sì, ma inserire i diodi in un’intera partita di PSS richiede presenza prolungata ».

Di nuovo la conversazione in corso dall’altro capo del filo conquistò l’attenzione della spelonca, ora con il timbro profondo di Kibwe « Perché ci hai detto tutto questo? ».

« Ah, questa è un’ottima domanda. Senza mezzi termini, avevo bisogno che manteneste aperto il collegamento telefonico con i vostri due soci dispersi abbastanza a lungo per rintracciarli attraverso i segnali di ricezione, e rivelarvi informazioni private era il modo migliore per garantirlo ».

Ginger e Bellocchio rimasero immobili, congelati dall’ultima frase. Lo sapeva, sapeva benissimo che lo stavano ascoltando. L’aveva sempre saputo e aveva tratto vantaggio dalla situazione. Hoopa parlò nuovamente, diretto però proprio a loro « Permettetemi di riformulare: presto avrete compagnia ».

L’ingegnera si gettò sul PSS e chiuse il collegamento senza pensarci due volte, ma ormai era troppo tardi: un trio di Chandelure, forse gli stessi che li avevano sorpresi nel laboratorio di Kashlinsky, si materializzò a triangolo a una distanza di una decina di metri tra loro. Jolteon balzò prontamente vicino alla sua padrona, che recuperato lo smartphone si ricongiunse a sua volta a Bellocchio. « Usa il Teletrasporto ».

« Potremmo finire da Hoopa ».

« Voi ci seguirete » stabilì categorico uno degli spettri che li avevano accerchiati, con uno schema comunicativo che somigliava vagamente a quello del Secondo Chandelure.

« Potremmo anche finire murati, la mossa è inaffidabile in quattro dimensioni, USALO! ».

Bellocchio ritenne la morte incipiente un’argomentazione sufficientemente persuasiva. Il Secondo Chandelure rilasciò una tecnica che poteva essere uno Psichico atto a piegarli senza ucciderli, ma Karen dentro la Poké Ball di Serena lo anticipò di quanto bastò per svanire nell’aria evitando il colpo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

* * *

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una volta materializzatisi in un diverso ambiente, essendosi entrambi preparati al teletrasporto, Bellocchio e Ginger si sarebbero attesi di conservare un certo grado di lucidità. Ciò fu vero per un secondo netto; dopodiché entrambi furono colti da brutali giramenti di testa e debilitazione motoria, al punto che dopo un passo ciascuno caddero riversi sul manto roccioso sottostante. Vigeva un freddo glaciale e nemmeno il Flash di Jolteon poteva rimediare a ciò, dal momento che gran parte dell’energia prodotta confluiva nella luce piuttosto che nel calore. Forse la temperatura non era nemmeno realmente più bassa rispetto alla media della caverna, e si trattava semplicemente di una sensazione da loro avvertita.

Bellocchio si trascinò in avanti con le braccia, incapace di migliorare la sua postura per quanto provasse « Che… sta… succedendo? ».

« Onde sinaptiche. Sono… dobbiamo essere vicinissimi alla fonte… » biascicò la donna, che ormai faticava perfino a parlare. La frase successiva uscì dalla bocca frammista a spasmi di dolore « Manca poco ».

Il suo compagno di sventura sgranò gli occhi per il terrore. L’oblio totale, la sua fobia più profonda… Stava per succedere, ben prima del tramonto e senza alcuna promessa di sopravvivenza. Osservò la sua mano destra, le sue dita ossute che tremavano, e le avvertì esterne al suo corpo, non sue, come se non fosse più in grado di controllarle. Non gli appartenevano più. « Cosa… facciamo? ».

« Nulla » rispose secca Ginger, spostandosi supina con i ricci a fungere da cuscino. Faraday le si accostò con la sua luce, immune alla loro fiacchezza perché le radiazioni sinaptiche erano programmate per non agire su chi aveva già un codice sinaptico impresso; in altre parole, nessun pericolo per i Pokémon già catturati. Nella sua testa penetrava nulla più che rumore di fondo, distraente ma non debilitante « Abbiamo perso, abbiamo iniziato già sconfitti. Lascia che ti prenda ».

Il pugno di Bellocchio si strinse in un tentativo di sottomettere le lacrime che minacciavano di sopraggiungere. Non poteva finire lì. C’era troppo che non sapeva. Che cos’aveva fatto alla Dama Cremisi e agli spettri perché lo detestassero? Perché i Rotom non lo conoscevano? Perché dimenticava ogni cosa al calar del sole?

Solo allora, appena prima di svanire, si rese conto di quanto era egoista. Lui che nel taccuino evidenziava la sua natura eroica, si stava preoccupando soltanto di se stesso. Esattamente come Alexander Kashlinsky, colui che indirettamente aveva causato tutto quello. E Serena? E il resto della Seconda Unità? Doveva fare appello alla parte migliore di sé, in qualsiasi frazione fosse ancora scampata alla riscrittura. E prima di tutti gli altri, prima ancora di sé, doveva salvare Ginger.

E sapeva benissimo qual era l’unico modo per ritardare il trionfo delle onde sinaptiche, perché lui stesso l’aveva detto appena prima che il trio di Chandelure li sorprendesse nel laboratorio: aggrapparsi alle emozioni più forti. La paura di andarsene gli aveva restituito almeno il raziocinio necessario per pianificare la mossa successiva, ma il panico era inadatto a lungo termine. Troppo volatile, troppo deleterio. Ma a che cos’altro avrebbe potuto fare ricorso?

Rotolò di centottanta gradi sulla vita per rivolgersi nella direzione dell’ingegnera, facendo intendere – se mai qualche dubbio fosse stato possibile – che il quesito era rivolto a lei.

« Ti sei mai pentita di qualcosa? ».

 

 

 

PARTE SECONDA – L’inizio e la fine

 

 

 

Ginger sorrise. Che domande, tutti si pentono di qualcosa, è parte integrante della vita. Per non farlo bisognerebbe essere esenti da errori, oppure privi di alcun senso di autocritica. D’istinto pensò di parlare di Ross, ma riconsiderò subito l’ipotesi. Le dispiaceva aver dovuto lasciarlo nel labirinto di Hoopa, ma l’avrebbe rifatto anche ora, pur sapendo che il loro nemico era sopravvissuto. Era stato un tentativo valido, e non aveva rimorsi, o almeno faceva il possibile per convincersene. « La scuola ».

« La scuola… » ripeté Bellocchio con tono ironico. Avrebbe detto che un’Ufficiale Flare si fosse macchiata di colpe posteriori alla sua infanzia.

« Non volevo iscrivermi a ingegneria » spiegò lei, ben conscia dell’assurdità dal momento che era la migliore della regione nel campo « Volevo diventare una storica. Scrivere saggi, indagare sulla mitologia di Kalos ».

« E perché non l’hai fatto? ».

« Mio padre aveva già deciso senza chiedere ». La ragione più vecchia del mondo, pensò. Avvertiva la sua testa appesantirsi, ma non seppe dire se fossero le sue sinapsi in procinto di cedere oppure ordinaria stanchezza « Io a ingegneria, Ross a biologia ».

« Ross era tuo fratello? ».

« Sì, lui… Lui voleva essere ingegnere. Era il suo grande rimpianto ». Ginger inspirò profondamente, colpita nel profondo dalle sue stesse parole. Quel rammarico era stato l’argomento del loro ultimo dialogo. Riprese rapidamente a parlare per non dovercisi soffermare con la mente, voltandosi verso il suo interlocutore « E tu? Tu ti sei mai pentito di qualcosa? ».

Bellocchio ci pensò su, ma in realtà non fu difficile dato che ciò che lo emozionava doveva strettamente appartenere al suo ultimo giorno di vita, l’unico sperimentato in prima persona. « Penso di essere stato io ad aprire l’uscita della caverna. Qualche settimana fa ho incontrato una sacca temporale e l’ho distrutta. Beh, Serena l’ha fatto, in realtà… Ma l’ha fatto per me, per salvarmi ». L’ultima parte l’aveva pronunciata con insolita vivacità, ma già i vocaboli successivi tornarono a essere trascinati « Credo che abbia portato al collasso anche della sacca di Hoopa. Se ha affrettato i tempi è colpa mia ».

La donna avrebbe voluto saperne di più, ma scoprì di non avere la forza per indagare e si limitò a recitare « Il pentimento è l’innocenza dei peccatori ».

Vi fu un breve silenzio, poi entrambi scoppiarono in una fragorosa risata. Sembrava uno dei proverbi scritti sul retro delle carte dei cioccolatini. « Che diamine vuol dire? ».

« Non ne ho la minima idea » ribatté Ginger. Tuttavia l’ilarità, per quanto rinfrescante, non ebbe vita lunga « Però mi manca ».

Bellocchio la scrutò negli occhi, comprendendo che parlava di Ross. Non serviva dire altro: mi manca era un’espressione così poetica nella sua semplicità che non necessitava di arzigogoli. Lui non l’aveva mai sperimentata nelle uniche ore di coscienza che ricordava, quindi non sapeva quanto potesse fare male, e non avrebbe mai voluto che la sua amica indugiasse su quel dolore. Ma doveva, perché prima di ogni altra cosa doveva salvarla dalle radiazioni. Era stata ferita da uno sparo e lui doveva estrarre il proiettile: sul momento avrebbe sofferto, ma sperabilmente non sarebbe morta. « L’ha ucciso Hoopa? ».

« Sì. Ha fatto di peggio, in realtà, ne ha preso il corpo. L’ha portato con sé in un buco nero in formazione ».

« Perché l’ha fatto? ».

« È una lunga storia. Quando l’abbiamo incontrato non era messo molto bene, era imprigionato nel Mondo dei Morti ».

L’espressione di Bellocchio mutò in autentica sorpresa. Aveva fatto personalmente un gran parlare di quel luogo, ma non aveva mai avuto nemmeno la certezza empirica che esistesse. « Ci sei stata? Com’era? ».

« Buio. Poche luci in un orizzonte violaceo. Ah, ma io l’ho visto per mezzo minuto, la maggior parte del tempo sono stata in un labirinto ».

« Labirinto? ».

Ginger raccontò ciò che seguì con un distacco che contrastava visibilmente con quanto gli avvenimenti l’avevano coinvolta. Spiegò quel che era successo al Le Crésus Hotel, dai varchi dimensionali alla suite Notte Fonda. La parte che riguardava il loop temporale chiuso si rivelò singolarmente problematica, ma la donna pensò di essere riuscita a esporla in maniera moderatamente convincente. « Solo che non so come abbia fatto a scappare » concluse al termine della lunga esegesi « Quel posto è stato distrutto grazie a Etan ».

Bellocchio ci pensò su « Certo che è strano ».

L’Ufficiale trovò stranamente divertente quel commento. Lei stessa faticava a capire cosa fosse realmente successo, eppure lui parlava di una cosa strana. Una sola. « Quale parte? ».

« Lo avete ucciso. Beh, quasi ucciso. Spedito in un buco nero ».

« E… ? ».

« E parlando con i tuoi soci non ne ha fatto menzione ».

Ginger si voltò verso l’uomo, e in quel momento ai suoi occhi apparve qualcosa di cui prima non si era avveduta: un’apertura nella roccia. Il muro dietro Bellocchio era fratturato in una galleria dalla sezione rassomigliante un mezzo ovale. Jolteon percepì l’interesse della padrona e diresse il proprio Flash in quella direzione, ma persino l’intenso bagliore si perdeva nelle profondità del cunicolo. Doveva essere davvero lungo. « Da quanto è lì? ».

Bellocchio seguì il suo sguardo fino all’aspetto che aveva attirato la sua attenzione. Era sorpreso quanto lei di scorgere qualcosa di simile lì, ma a differenza della donna aveva una risposta valida al quesito. « Da sempre. Le onde sinaptiche ci impedivano di vederla ».

La Flare intuì la parte sottintesa, ovvero che il dialogo che avevano sostenuto negli scorsi minuti aveva risvegliato zone del cervello succubi della riscrittura, riportando le loro capacità percettive a un livello sufficiente per notare la breccia. « Che cosa ci sarà oltre? ».

« Non lo so » ribatté l’uomo avanzando di qualche passo. Ginger provò a fare lo stesso, ma avvertì subito le gambe cedere e barcollò per qualche metro prima di chinarsi con le mani sulle ginocchia, come se stesse per rimettere.

« Ehi, respira! » esclamò Bellocchio accorrendo in suo soccorso « Emozioni, ricordi? Le onde stanno continuando a colpirti. Non distrarti ».

Lei ci provava, eccome se ci provava, ma era del tutto inutile. Sbatté le palpebre un paio di volte per provare a riprendere l’autocontrollo, e fu allora che un luccichio proveniente dal pavimento la abbagliò per un istante. Abbassò ancora la schiena per esaminarne la sorgente, rimanendone stupita: tra le sue gambe si trovava un cinturino argenteo da polso abbandonato a terra. Ornamenti fiammanti ne lustravano l’orlatura e alcuni pulsanti erano visibili su un lato. Lo raccolse delicatamente, constatando che la concentrazione derivante dalle silenziose indagini che svolgeva su di esso sembrava restituirle freddezza.

« Che cos’è? » domandò Bellocchio.

« Un Anello ».

« A me pare più un bracciale ».

« No, Anello con la A maiuscola » spiegò Ginger « Un progetto dei laboratori della Divisione Flare ospitata a Tecnologie Applicate, al Liceo per Allenatori di Novartopoli ».

« E cosa ci fa qui? ».

« Non credo Hoopa lo abbia regolarmente acquistato ».

Anche l’ultima beta dei P5S proveniva dal Liceo. Fu un pensiero fugace, persistito un secondo, ma bastò a far comprendere all’Ufficiale com’erano andate le cose. Hoopa non aveva avuto bisogno di infiltrarsi nel Frattale: fino a qualche settimana prima ogni progetto era stato in carico alla succursale di Novartopoli, ultima tappa prima della produzione su larga scala. Gli era bastato modificare il prototipo mentre era lì, magari verso la fine del lavoro, quando gli accertamenti principali erano stati già effettuati, e probabilmente nella stessa occasione aveva sottratto quell’Anello.

« A cosa serve? » domandò Bellocchio indicando con un cenno l’armilla metallica.

« Individua una buca di potenziale nei paraggi e ci si teletrasporta ». Lo sguardo perplesso del giovane spinse la donna ad approfondire la descrizione « Buca di potenziale significa un punto in cui l’energia potenziale ha un minimo. Gravità, elettricità, magnetismo, temperatura, la combinazione di essi ha il risultato minore dell’area analizzata. Puoi pensarla come il luogo più calmo in una tempesta. Lo scopo dell’Anello è trasportare un Flare nel luogo più sicuro da una situazione di pericolo ».

« E cosa servirebbe a Hoopa? Lui ha già i varchi dimensionali ».

« Perché forse non gli interessava la parte del teletrasporto. Forse voleva solo trovare il punto di quiete energetica ». Ginger si portò la mano al mento, iniziando a riflettere ad alta voce mentre spostava nervosamente il peso del corpo da un piede all’altro e viceversa « Questa caverna è piegata su se stessa, giusto? Una sfera tridimensionale è curva ai bordi, quindi la zona più piatta sarebbe il centro ».

« Non sono certo di stare seguendo ».

« Questa caverna è curvata dalla gravità. La zona con minimo potenziale non può che essere il polo dell’ipersfera. Siamo al centro della grotta ».

« Ma perché Hoopa cercava il centro? ».

« Perché se volessi irradiare un’area in maniera uniforme metteresti una lampadina nel centro, non sul bordo… ». L’ultima vocale fu trascinata, come se Ginger fosse stata distratta da qualcosa durante la pronuncia. Con uno scatto si girò verso Bellocchio dopo avergli rivolto le spalle in meditazione fino a quel momento « Credo che oltre quell’uscita si trovi il nostro generatore sinaptico ».

L’uomo a sua volta osservò la galleria che si perdeva nelle tenebre. Quella versione dei fatti spiegava perché avvertissero le radiazioni tanto intensamente: dove loro si erano teletrasportati per caso, Hoopa era giunto con l’ausilio dell’Anello. Il demone aveva posizionato il congegno sottratto dalla Cripta nel centro dell’antro, trasformando quest’ultimo in una enorme Poké Ball, e andandosene aveva lasciato lì il bracciale per pigrizia o per errore. « Che facciamo? ».

Seguì un breve silenzio, quanto bastò a Ginger per decidere di infilarsi l’Anello al polso con invidiabile sicurezza « Dovrebbe funzionare ancora ».

« A che pro? Non farebbe che portarti qui ».

« Dimentichi che io sono la migliore ingegnera dei Flare. Calcolo I e II, primo e secondo anno » controbatté con un sorriso la donna, estraendo dall’uniforme il cacciavite arancione che aveva già usato in spiaggia. Con un gesto rapido delle dita iniziò ad armeggiare con la fascia metallica « Se sostituisco l’incognita con la sua inversa posso trovare il massimo di potenziale e teletrasportarmi lì ».

Bellocchio aggrottò la fronte. Poteva non essere un fisico, ma aveva compreso abbastanza della situazione per capire quale fosse il massimo di potenziale. « Così non finiresti al bordo della curvatura? ».

« No, perché c’è un luogo con più energia di quello. Un luogo in cui lo spaziotempo è stato strappato più e più volte, e che sappiamo essere popolato da spettri carichi come l’aria in un temporale ».

« Il covo di Hoopa ».

Ginger annuì in assenso, avvertendo però al contempo lo sguardo pesante dell’uomo che lo giudicava. Non ebbe nemmeno il coraggio di guardarlo negli occhi « Non posso lasciare i miei da soli ».

« No, non puoi » concordò Bellocchio. Era esattamente come lui con Serena: non c’era altro da dire che non posso. « Ma cosa pensi di fare quando sarai lì? ».

La donna che si sarebbe attesa maggiore resistenza da parte sua; ma in fondo era stato lui a opporsi alla decisione di andarsene dalla caverna che lei aveva preso, quindi non avrebbe dovuto sorprendersi. Finì rapidamente il lavoro con il bracciale e lo agganciò al polso, asciugandosi poi un rivolo di sudore che le colava dalla testa, sintomo della sua lotta interiore alla riscrittura. « Dopo ciò che è successo nel Mondo dei Morti ho richiesto personalmente un sistema di difesa per tutta l’Unità » spiegò indicando la cintura che indossava in vita. L’aggancio metallico era celato da uno stemma decorativo della Fondazione Flare, e proprio su quello puntava il dito dell’ingegnera « Qua dentro c’è un propulsore deflagrante. È in grado di emettere un raggio al plasma che connette questa cintura a un’altra. In pratica è come tendere una fune elettrica all’improvviso, solo molto più letale ».

« Vuoi usarlo contro Hoopa? ».

« Lo induco a posizionarsi in linea d’aria tra me e uno dei miei, attivo il propulsore e boom. Saluti, Dio degli Spettri ».

L’uomo che le stava di fronte espose un cenno di approvazione « Ti servirà un diversivo ».

« Dubito che tu possa fornirmelo » rispose Ginger con tono condiscendente.

« Dirò che sono LK, come al solito ».

« Hoopa non ti conosce ».

« E come lo sai? ».

« I Rotom erano stati riscritti con il suo codice » spiegò la donna mentre riponeva il cacciavite nelle tasche della sua divisa, dopo essersi quasi scordata di averlo ancora per le mani « Sapevano ciò che sapeva lui, erano collegati mentalmente. Se non ti conoscevano loro, di certo non ti conosce lui ».

Bellocchio comprese il ragionamento. Senza proferire una parola spostò lievemente il capo, orientandosi nella direzione della galleria a pochi passi da loro. Solo a guardarla la vista gli si annebbiava.

A Ginger non sfuggì quel pur impercettibile gesto. « No » stabilì categorica, con il piglio della carica di Ufficiale che ricopriva « Non se ne parla ».

« È l’unica alternativa ».

Alla Flare parve di stare parlando con un sordo. Le loro sinapsi avevano quasi definitivamente ceduto già in quella stanza poco prima, e ora lui voleva avanzare ancora? « Stai sragionando! Cosa pensi di fare una volta là? ».

« Abbiamo stabilito che c’è il generatore: troverò un modo per disattivarlo. Non sono il miglior ingegnere dei Flare, ma me la cavo ».

« Verrai riscritto prima ancora di vederlo! ».

Bellocchio proseguì come se lei non avesse parlato, ignorando l’obiezione come si fa con un bambino che cerca di immischiarsi in affari non suoi « Poi chiamerò il tuo PSS e li distrarrò con la mia parlantina. Cavarmela a chiacchiere, la mia specialità ».

« Non mi stai nemmeno ascoltando! Sappiamo già che sanno rintracciare la chiamata ».

« Il segnale si confonderà tra le onde sinaptiche. Senti, credi che non sappia che è un suicidio? Ma non abbiamo alternativa, non puoi imbrogliare Hoopa da sola ».

« IO POSSO FARE QUELLO CHE VOGLIO! ».

Dopo quello sfogo liberatorio calò il silenzio. Ginger si sforzò di respirare a ritmi regolari per calmare il suo battito cardiaco. Il suo interlocutore la fissò nei suoi occhi marroni che vibravano nervosamente. Nessuno dei due disse nulla, eppure entrambi compresero che non erano diversi come si sarebbe potuto dire. Entrambi erano abituati a prendere decisioni più grandi di loro, ed entrambi sapevano cosa significava avere il destino di molti caricato sulle spalle.

La donna diede il proprio consenso con un tenue movimento della testa e un mormorato « Buona fortuna ». Bellocchio lo intese per quello che era, ovvero un lasciapassare reciproco ad agire come meglio credevano per sconfiggere il loro comune nemico. Si allontanò di qualche passo; l’ingegnera premette uno dei pulsanti dell’Anello, e nell’istante successivo il suo corpo scomparve in un lampo di luce e il secco suono di uno strappo. L’uomo si concesse qualche secondo per fare sua quella nuova, agonizzante realizzazione: adesso era solo.

Anzi, per la verità non lo era. Non sapeva se imputarlo a disattenzione per via della riscrittura in corso oppure se fosse stato intenzionale, ma Ginger aveva lasciato con lui Faraday, il suo Jolteon, l’unico in grado di fornire luce in quell’oceano di oscurità. Umano e Pokémon si rivolsero per un po’ sguardi interrogativi, nessuno certo del ruolo dell’altro. Alla fine il primo sussurrò « Fai strada ».

Si inoltrarono dunque nel cunicolo. Alla volpe elettrica la crescente influenza delle onde sinaptiche poteva fare il solletico, ma Bellocchio la avvertiva raddoppiata a ogni passo che muoveva attraverso il tunnel. Barcollio era adesso un’effettiva sottostima della gravità delle sue condizioni: le sue gambe perdevano rigidità appena svaporava un granulo dell’infinita concentrazione che stava versando nel processo di camminata, ogni punto di riferimento vorticava a velocità nauseante davanti ai suoi occhi, e persino le poche memorie accumulate nelle ore di coscienza che vantava stavano svanendo, sottraendosi alla sua presa come bolle d’acqua nel mare. Non trascorse molto tempo prima che il giovane, dopo un estremo tentativo di rimanere eretto, collassasse al suolo con la guancia destra premuta contro la pietra.

Jolteon accorse in suo soccorso, cercando invano di scuoterlo con pressioni del capo, ma Bellocchio non era più in grado di muoversi. Era come Ginger aveva predetto, le sue facoltà motorie erano state abbattute. Qualche minuto ancora e anche la mente avrebbe alzato bandiera bianca, e forse non aspettava altro. La fine di ogni cosa, l’oblio totale.

Poi, accanto a Faraday, un’altra figura volpina si materializzò, prendendo forma dalle tenebre che la avvolgevano. A differenza del Pokémon della Flare quello era antropomorfo, alto e dotato di una coppia di perforanti pupille celesti che gli scrutavano l’anima. Il respiro dell’uomo si fece più rapido mentre comprendeva, non senza sbigottimento, che era uno Zoroark. Anzi, non uno Zoroark qualunque: il Fuggitivo. Quello che aveva impersonato Ada Delaware.

Era un’allucinazione, di questo ne era certo. Nei suoi ultimi attimi di coscienza, il suo cervello stava scegliendo di mostrargli lei. Ma perché? Per deriderlo? Perché quella Zoroark aveva sempre saputo qual era il suo segreto. Sapeva cose che lui stesso non sapeva di sé, e gli aveva lasciato indizi criptici nel loro tempo insieme anziché spiegarlo chiaramente. « Perché non parli? » gli sbraitò addosso, nella folle illusione che una sua proiezione mentale potesse rivelargli cose che non conosceva. Non aveva mai parlato, anche se avrebbe dovuto. Lo aveva torturato con spiragli di verità in una nube di bugie. E anche ora, a poco dalla sua fine, non cessava di vituperarlo.

O forse proprio per questo la sua memoria aveva rievocato quella sagoma, una sagoma che nemmeno era certo fosse accurata dal momento che apparteneva a un passato che non era in grado di ricordare direttamente. Per rammentargli che aveva troppo da scoprire, troppo che ancora non sapeva. Troppo che la nuvola menzognera gli teneva nascosto. Non poteva arrendersi ora.

Bellocchio fece forza sulle braccia, aiutato da Jolteon che spingeva con tutta la forza che era in grado di esercitare. Zoroark scomparve così com’era arrivato, ritornando nei recessi della sua mente mentre stoicamente quel giovane che aveva subito più di quanto chiunque avrebbe sopportato accettava ancora la sua condizione, e nuovamente si rimetteva in piedi dopo essere stato annientato. Riprese a camminare a passi profondi e instabili, ma convinto questa volta di potercela fare. Affondo dopo affondo guadagnava metri sul tragitto ancora da compiere, stringendo i pugni senza deconcentrarsi. E finalmente, dopo aver pregustato il trionfo su quel piccolo individuo, il cunicolo giunse al termine e ammise la sua sconfitta.

L’ambiente sito dietro di esso era alquanto spoglio per essere il centro emblematico e pratico della millenaria caverna in cui si trovavano. Solo un oggetto si trovava nella piccola grotta interna: una sorta di cannone rigonfio privo della laminatura esteriore, con i circuiti interni esposti similmente allo Scissore. Era stranamente silenzioso, ma le vibrazioni che emetteva chiarivano che doveva proprio trattarsi del generatore che cercava.

E, dal capo opposto alla bocca che produceva le perturbazioni sinaptiche che avevano minacciato di troncare anzitempo il cammino di Bellocchio, trovava posto in uno scomparto apposito l’ultima cosa in cui il giovane in cappotto si sarebbe atteso di imbattersi: una Poké Ball.

 

 

Durante la telefonata, nessuno dei colleghi di Ginger aveva esplicitamente menzionato il luogo in cui erano stati condotti; di conseguenza per lei ricomparire nell’Opéra Régional fu uno shock non indifferente, uno che preluse all’intera serie di deduzioni che gli altri membri della Seconda Unità avevano già compiuto a suo tempo – la scomparsa della struttura durante il Primo Galà di Luminopoli e quant’altro. Simultaneamente, però, avvertì una sensazione di leggerezza pervaderla appena mise piede sul palcoscenico. In un primo momento la imputò al trovarsi finalmente in un luogo che richiamava la società evoluta che aveva lasciato al di là dell’ingresso della caverna; ma presto rammentò ciò che aveva sentito riguardo alla copertura di zinco apposta da Hoopa, e comprese che la ritrovata vitalità mentale era dovuta semplicemente all’assenza locale di onde sinaptiche impegnate a riscriverla. Quello era lo stato naturale del suo cervello, eppure le sembrava di trovarsi sotto effetto di sostanze nootrope.

Gli spettri parlottanti che infestavano il teatro un tempo ospitante le più grandi rappresentazioni della storia di Kalos impiegarono qualche attimo per accorgersi della sua presenza. Il primo a notarla fu un demone dalle tinte grigie e rosate, a cui Ginger diresse il primo sguardo. I suoi occhi caddero poi accanto al trono metallico su cui era asserragliato, dove i tre membri della sua squadra erano imprigionati da pesanti catene e sorvegliati da un piccolo contingente di Trevenant. Il gruppo ricambiò la sbirciata, e in particolare Sandy indicò con un cenno rapido del capo la sua cintura e, indirettamente, il propulsore deflagrante al suo interno. Ginger annuì a sua volta, giungendo così al tacito accordo che lui sarebbe stato il ricevente del raggio.

Frattanto il genio si era presentato di fronte alla donna con un volo spiraleggiante, e ogni altro fantasma nell’ambiente era rispettosamente ammutolito. La creatura doveva conoscerla, perché la prima parola che pronunciò fu « Xaad ».

« Ginger » lo corresse, simulando freddezza anche se ribolliva dentro. Non aveva avuto modo di vederlo nella sua forma fisica, ma riconosceva la voce udita durante la comunicazione a distanza: quello era Hoopa. E ovviamente lui la conosceva, perché su di lei si era basato il piano per snidare il catalizzatore che ora giaceva accanto alla sua postazione privilegiata in tribuna d’onore.

« È una piacevole sorpresa trovarti qui. Posso chiederti come ci hai raggiunti? ».

L’ingegnera seppe immediatamente di non poter rivelare l’origine dell’Anello, altrimenti il suo oppositore avrebbe facilmente concluso che Bellocchio era al generatore. Fortunatamente, proprio come dopo aver nuotato in un fluido viscoso quale l’acqua si avverte un’insolita agilità, così le sue capacità intellettive avevano beneficiato della riacquistata libertà. Indicò il bracciale al polso simulando indifferenza « Dotazione base degli Ufficiali ».

« Capisco » annuì l’individuo deforme che aveva di fronte « Spero non proverai rancore nei miei confronti, ma devo chiederti di rimuoverlo. Non vorrei che te ne andassi sul più bello ».

Ginger decise che, considerata l’entità dell’avversario, era meglio non sfidarlo su argomenti così triviali. Con un gesto euritmico delle dita sganciò l’attacco dello strumento e lo lasciò cadere al suolo.

« Bene, molto bene. Collaborare è sempre la via migliore. Sono lieto che tu abbia deciso di consegnarti ».

« Non sono qui per consegnarmi ».

« E perché sei qui? ». La domanda cadde nel vuoto quando la donna si rifiutò di rispondere, una decisione che parve deludere Hoopa più che irritarlo. « Vedi, è esattamente questo il problema di voi umani. L’orgoglio. Mio padre non voleva ammettere di essersi sbagliato, e questo mi ha portato dove sono adesso. Avrebbe potuto accettare il suo fallimento e andarsene, e ora avrei una mamma e un papà con cui vivere felice ».

« Tu sei umano quanto noi » ribatté Ginger con convinzione.

Il demone reagì con un accesso d’ira fuori dal comune, arrestandosi a un centimetro di distanza dal bersaglio dopo uno scatto che era sembrato anticipare un’aggressione furiosa. Il fetore di pelle putrefatta emanato dalla sua bocca investì forzatamente la Flare mentre ringhiava « Non ti azzardare. Non osare paragonarmi a una specie che ha fatto dell’autocelebrazione il suo stile di vita personale ». Hoopa si voltò immediatamente dal lato opposto, quasi non sopportasse di essere visto mentre era adirato « Dov’è l’altro? ».

« Ho riconosciuto il tuo trono. Era di Timeus Wikstrom, il Superquattro. L’hai ucciso, vero? ». La scienziata occhieggiò il seggio ornamentale posizionato sulla tribuna d’onore e ripensò al volto severo dell’uomo che usava accomodarvisi. Non erano mai stati in ottimi rapporti, men che meno dopo il diverbio precedente all’attacco dei Rotom, eppure l’idea di non rivederlo più era un colpo basso. « Per odiare la nostra specie hai molto in comune con essa. Del resto abbiamo preso molto da te » considerò con una punta di intenzione di scherno. Era sempre così, nelle leggende di Kalos: avvenimenti reali che vengono distorti dai fumi della tradizione orale e diventano storie della buonanotte. « Sapevi che appari in molte fiabe? Da piccola mi piaceva Evelyn e il tesoro di Hoopa. Se siamo quello che siamo di certo c’entri anche tu ».

« Dov’è l’altro! ».

« Credo che tu sia abbastanza intelligente da capire che non te lo dirò ».

« La fratellanza umana » bofonchiò Hoopa in tono derisorio « La frottola che vi raccontate per sentirvi al sicuro. Eppure il vostro governo non fa che temere il suo popolo ».

Ginger inarcò un sopracciglio « Non ti facevo così qualunquista ».

« Davvero? E cosa mi dici dei limiti imposti al numero di Allenatori annuali? Cosa mi dici delle regole per le iterazioni delle sfide nelle Palestre? ».

« Non c’entra nulla ».

Lo spirito rivolse nuovamente lo sguardo alla sua interlocutrice, gli occhi infiammati dall’ultima affermazione che aveva proferito. « Ricordi quando sono iniziate le Guerre di Kalos? Quando il popolo si è reso conto di non dover sottostare a una famiglia reale che non era in grado di sconfiggerli con l’esercito di cui disponeva. Quando ha deciso di poter dettare le sue leggi. Il governo vi limita perché sa che nel profondo lo stesso seme marcio che scatenò l’inferno in Terra ancora giace sepolto, minacciando di germogliare. E cos’hai da dire del trattamento riservato ai Pokémon, ridotti ad animali da compagnia lobotomizzati e carte da gioco per i facoltosi? Ipocriti. Vi fingete loro amici, ma al contempo li riscrivete per paura che vi si rivoltino contro. C’era un tempo in cui il rapporto tra umani e Pokémon era fondato sul reciproco rispetto, ma quel tempo si è esaurito da molto. Ho studiato a lungo la specie a cui avrei potuto appartenere se mio padre fosse stato un uomo migliore, e ho decretato che è meglio così, perché l’umanità è guasta. Ha eluso la selezione naturale grazie all’ausilio di tecnologia autoprodotta, ha sfidato la natura che le ha concesso di proliferare e ha abusato della sua ospitalità. Siete in ritardo per l’estinzione, e io sono la vostra sveglia. Quando il catalizzatore sarà in funzione non ci sarà più ipocrisia, orgoglio, sfiducia o tentativi maldestri di controllo ».

La stanza era sempre stata gremita di spettri fino all’orlo, ma quella fu la prima volta in cui ciò fu sensibilmente percepibile: un’esultazione nelle più varie forme discernibili si levò unanime dalle gradinate, un’acclamazione tanto viscerale da far sprofondare Ginger nel terrore. Hoopa si assegnò una breve pausa per riprendere fiato; poi, più persuasiva che mai, la sua voce tornò a vibrare nell’aria in una forma molto più sottile e minacciosa « Alla luce di ciò, forse vuoi riconsiderare la tua risposta. Dov’è l’altro? ».

L’ingegnera ingoiò a forza un grumo di saliva, cercando di mantenere la calma di fronte al più grande terrore che avesse mai provato. Non sapeva nemmeno se le parole sarebbero riuscite a uscire dalla sua gola o se sarebbero rimaste incastrate. Ma per sua fortuna non ebbe bisogno di fornire alcuna risposta.

« Presente all’appello! ».

Hoopa sussultò, arretrando di qualche metro. Si sforzò di mascherare lo stupore che per un istante gli aveva segnato il volto: qualcuno aveva parlato, ma non aveva idea di chi fosse stato. I componenti della Seconda Unità furono sorpresi per un diverso motivo: la voce era certamente quella di Bellocchio, ma appariva filtrata da una sorta di meccanismo di comunicazione, come una cassa acustica.

« Oh, non perdere tempo a cercarmi. Non sono lì, sto telefonando al PSS di Ginger. È già la seconda volta in qualche ora che risolvo le cose attraverso impianti audio, sto diventando ripetitivo ».

La donna stralunò gli occhi quando comprese perché quelle parole le erano sembrate tanto udibili: erano diffuse in vivavoce dal suo apparecchio! Lo sfilò dalla tasca dell’uniforme, e il volume incrementò notevolmente non essendo più soffocato dal tessuto. In quel modo Bellocchio poteva parlare al loro carceriere, ma lui non poteva torcergli un capello. Ingegnoso.

« Allora, Koopa Troopa… Posso chiamarti Koopa Troopa, vero? Che ne dici, parliamo un po’? ».

« Prego, ho tutto il tempo del mondo » rimarcò Hoopa con una poco velata ironia.

Il timbro dell’uomo subì un cambiamento, passando dalla giocosità a una più seria attitudine di sfida « Ah, spero non pensi di fregarmi così facilmente, l’ho imparato il trucchetto della localizzazione mediante il segnale emesso dall’antenna. Vuoi sapere qual è la mia contromossa? ».

« Attendiamo ansiosi ».

Ginger provò a indovinare cosa avesse escogitato quel pazzo, ma non avrebbe mai immaginato che avrebbe riagganciato. E invece fu così: il rumore statico di fondo si interruppe e la telefonata terminò com’era iniziata, senza il minimo preavviso.

Poi quella voce briosa tornò a riempire l’Opéra, con tuttavia la novità di provenire da un punto diverso di essa. « Come va la stereofonia? ».

Un brontolio insistente di spiriti ricoprì gli attimi successivi, annegando nel trambusto bianco anche un commento inudibile di Hoopa stesso che aveva compreso per primo cos’era avvenuto. Presto gli altri presenti giunsero alla medesima conclusione: ora il giovane parlava da una sorgente prossima ai tre Flare incatenati sulla balconata di maggior rilievo, e più in particolare da Terence.

« Un altro telefono… » furono le uniche parole del Dio degli Spettri, che faticava a non lasciar trasparire la meraviglia dell’idea.

« Altri due, grazie a Kibwe e Terry, intercambiabili a piacere. Hai fatto l’errore di svelare che avete bisogno di tempo per rintracciare il segnale. A intervalli regolari mi basterà cambiare il ricevente della chiamata. Trovami ora ».

Terence brontolò per il nomignolo che riteneva utilizzabile solo dalla sua Ufficiale. Kibwe aggrottò la fronte « Come hai i nostri numeri? ».

La risposta giunse proprio dal suo di PSS, a dimostrare la veridicità delle affermazioni che Bellocchio proferiva « Ah, sì, avrei dovuto specificarlo. Quello che ha in mano Ginger non è il suo PSS, è il mio. Ho fatto lo scambio mentre parlavamo del pentimento e altri vaniloqui ». Fece una pausa, rivolgendosi poi direttamente alla donna « Mi perdonerai di essermi approfittato della tua esperienza di pre-morte, ho pensato mi sarebbe tornato utile. Cerco sempre di guardare al futuro ».

« Basta che me lo riporti intero ».

« Capisco… » Hoopa parve divertito dalla situazione, come se fosse sempre stato pronto a un confronto più impegnativo « Tu devi essere quello sveglio del gruppo. Finalmente ».

« Tu sembri quello sveglio del tuo » osservò Bellocchio restituendo il complimento « La Dama Cremisi era molto meno calma quando le ho tirato uno scherzo simile ».

« Ovviamente ».

« Un peccato che tu manchi del suo carisma ».

Lo spirito rise di gusto e iniziò a librarsi in aria, ascendendo fino a metà dell’altezza del teatro. « Non posso individuarti, ottimo lavoro. Cosa vogliamo fare? ».

Di nuovo l’origine della voce si spostò, rientrando nello smartphone nelle mani di Ginger « Pensavo di parlare, te l’ho detto. Sai, ho seguito il tuo discorso sulla razza umana con molto interesse. Posso dire la mia? Ginger nel frattempo può, non so, giocare al tiro alla fune per ingannare il tempo. Farò in fretta, prometto ».

Tiro alla fune. A chiunque altro sarebbe parso soltanto uno dei suoi classici non sequitur, ma la donna vi intravide chiaramente un riferimento alla sua descrizione del raggio al plasma prodotto dalla cintura. La stava invitando a prepararsi all’attacco senza che nessuno dei suoi nemici se ne accorgesse. Doveva concederglielo, era bravo.

« Perché hai ragione, Hoopa, hai ragione davvero. Gli umani sono degeneri. Ipocriti, orgogliosi. Disarmonici con la natura. Si fanno strada nel giorno a scapito di ogni altro essere vivente, e vivono la notte nel terrore della vendetta di coloro che calpestano. In un mondo ideale sarebbero già estinti ». Bellocchio adesso parlava di nuovo dal PSS di Kibwe, e il suo tono era divenuto decisamente più serio e appassionato. « Ma sai cosa fanno? Imparano. Imparano dai propri errori, imparano il mondo che li circonda. Oggi sanno più di ieri e meno di domani. E questa è una cosa che tu non capirai mai perché, chiuso nella tua roccaforte di zinco e ombra, non hai imparato nulla. Cammini su questa Terra da anni, e tutto ciò che sei riuscito a fare è stato odiare, odiare e odiare. Se gli umani sono marci, tu sei la malerba che li soffoca prima che fioriscano ».

« Gli umani vivono qui da molto più di me, e ancora si detestano a vicenda e commettono gli stessi errori di un tempo. Come fai a sostenere che imparano? ».

« Le pecore nere esistono ovunque! » obiettò il giovane « Ma non li hai sentiti cantare quando l’invasione dei Rotom è terminata? Come fai tu a sostenere che la loro esistenza è priva di importanza quando sono capaci di questo? ».

Hoopa scosse la testa, producendo un cupo tintinnio negli anelli appesi alle sue corna « Essere felici di essere ancora vivi non rende migliore nessuno. La sopravvivenza è lo scopo a oltranza di ogni specie, e le celebrazioni al raggiungimento di un obiettivo non sono né poetiche né glorificanti ».

« Ma se la sopravvivenza è lo scopo di ogni specie, perché solo la razza umana deve assumerla come colpa? ».

« Perché la razza umana ne ha fatto l’unica ragione di vita. Da quando aprono gli occhi al mattino a quando li chiudono la sera, l’unico pensiero che ronza nella testa degli uomini è tornare indenni a casa. Qualsiasi miglioramento è completamente casuale. Se fosse loro data l’opportunità di consegnare chiunque alla forca pur di ricevere in cambio un’ora in più di vita, accetterebbero senza alcun rimorso ».

Ginger iniziò lentamente a spostarsi sul palcoscenico per meglio allinearsi con la sfuggente silhouette del demone e la cintura di Sandy, essendosi accorta che Bellocchio con sapienza aveva gradualmente esonerato il suo PSS da perno della conversazione, focalizzando l’attenzione sui suoi colleghi e consentendole di muoversi indisturbata. Ciononostante sudava freddo e boccheggiava ogni volta che l’uomo cambiava canale di comunicazione, nel terrore che qualcuno scoprisse le sue macchinazioni.

« Ma non l’hanno fatto. Un esercito di Pokémon li ha appena ridotti in ginocchio, eppure li hanno perdonati. Perché la razza umana è cresciuta e ha imparato a non generalizzare, che è più di quanto si possa dire di te ».

« I Pokémon sono già oppressi. Gli umani li considerano alla stregua di oggetti, strumenti per il loro volere. Nemmeno per un istante sfiora la mente dei più l’idea che forse le loro vite e quelle delle creature che schiavizzano potrebbero avere lo stesso valore. Riscrivere sinapticamente i Pokémon è uso comune, ma basta minacciarvi di sottoporvi allo stesso trattamento per vedervi sbiancare di terrore ».

« E tu in che modo sei diverso? ».

Il tenue sorriso superbo di Hoopa svanì come d’incanto in un’espressione muta e infastidita. Ginger, ormai quasi giunta dove intendeva posizionarsi, trasalì in un atroce senso di spaesamento. Che cosa stava facendo? L’idea di farlo parlare era stata così perfetta da sembrare concepita da qualcuno più raziocinante di Bellocchio, perché buttare tutto al vento alterandolo?

« Terence, attiva l’ologramma dell’Holovox » ordinò l’uomo al matematico a cui ora si stava appoggiando per parlare. Quello eseguì e l’esile figura del giovane in completo, privo dell’usuale soprabito, fu proiettata in sfumature celesti sopra di lui. In mano reggeva una Poké Ball bene in vista. « La riconosci, Hoopa? Lo so che la riconosci. È la Poké Ball di tuo padre, Alexander Kashlinsky, la Poké Ball in cui teneva la sua Chansey. L’ho trovata agganciata al generatore sperimentale che hai rubato alla Cripta, quello con cui tieni sotto scacco Kalos ».

Lo spirito ebbe un guizzo di vitalità, convinto di aver scovato un errore commesso dal suo avversario, ma questi lo frenò prima ancora che esultasse « Non pensare di cercarmi lì, me ne sono già andato da parecchio. Senza questa il generatore non può funzionare, quindi puoi dire addio alla conversione dell’umanità. Guardami, Hoopa. Guardami. Da quanto tempo Chansey si trova qui dentro? Da quanto tempo non la fai uscire? ».

Mai quel demone era parso così piccolo agli occhi di chiunque sedesse nell’Opéra come in quel momento in cui, denti stretti e sguardo basso, non osava nemmeno rispondere delle sue azioni.

« Non sai nemmeno che aspetto abbia, vero? Non l’hai mai liberata. La stai usando come base per il codice sinaptico che imprimi. Tutto il tuo teatro popolato di spettri che ti chiamano Dio è stato riscritto sulla base di quella Poké Ball, e loro ti obbediscono perché l’impronta genetica di tuo padre permane in te ». Bellocchio non ebbe bisogno di gesti di alcun tipo per canalizzare il compatimento che provava in quell’istante: le parole e l’inflessione con cui le enunciava erano più che sufficienti. « Tutto il tuo grande piano di purificazione della razza umana nasce dall’utilizzo di un Pokémon come strumento. Ciò che speri di eradicare vive già dentro di te ».

« Mi avete contaminato… ». Hoopa si guardò le mani e i bracciali rosa che portava ai polsi. Per un attimo sembrò stesse per piangere, poi alzò la testa con convinzione « Grazie, chiunque tu sia. Grazie. Ti benedico. Mi hai aperto gli occhi ».

Ginger lo osservò con una punta di misericordia. Forse stava iniziando persino a capire i suoi errori, a rileggere le sue azioni in una nuova chiave interpretativa.

Che speranza vana. « Credevo che fossi intelligente, invece sei distratto come tutti gli altri » sibilò con un tono che faceva accapponare la pelle per il raccapriccio che induceva. Un sogghigno diabolico accompagnò le parole seguenti « So dove sei ».

Bellocchio trasalì, rendendosi conto del macroscopico passo falso commesso: era rimasto per troppo tempo collegato al PSS di Terence. Il suo nemico aveva avuto tutto il tempo per localizzarlo, e aveva finto di proposito una catarsi emotiva per sviare la sua attenzione e fargli abbassare la guardia. Era lo stesso trucco con cui l’aveva trovato la prima volta, e lui c’era cascato di nuovo.

L’ologramma si spense quando la connessione fu tagliata dal chiamante in un vano tentativo di salvarsi. Ginger, che aveva intuito l’imbroglio parallelamente al suo amico, portò la mano alla cintura senza pensarci due volte e scattò verso la posizione prescelta. « SANDY! ».

Lo scienziato reagì appena vide la sua Ufficiale allineata con il bersaglio. In un istante un flusso giallo acceso connesse la coppia di bottoni centrali ai lati opposti, dirigendosi precisamente sull’obiettivo prefissato. L’ingegnera esultò internamente per essere riuscita a lanciare l’attacco, ma la gioia fu di breve durata: un duo di Aegislash in Forma Scudo comparve vorticante attorno al demone per stabilizzarsi proprio sulla traiettoria del raggio. L’energia si infranse sulle barriere da loro erette, dissipandosi in una pioggia di scintille prodotte dai rispettivi clipei. Il silenzio susseguente fu più eloquente di ogni parola possibile nell’affermare con certezza assoluta che il loro tentativo era fallito. Avevano perso.

Hoopa sghignazzò sonoramente, la sua voce ora pregna di sfumature deviate che la astraevano da qualsiasi altra udibile al mondo. « Credevi davvero che sarebbe stato così facile? Ogni celebrità ha le sue guardie del corpo » commentò sarcastico mentre i Pokémon Spadareali svanivano nuovamente nell’aria – anzi, più facilmente erano solo tornati invisibili per continuare a proteggere il loro padrone senza oscurarlo. Nello stesso momento Ginger si rese conto di non essere più sola sul palcoscenico: un Golurk era comparso non molto lontano da lei, affiancato da un ben noto uomo elegantemente abbigliato.

La Statuanimata, che doveva essere stata incaricata di recuperarlo dal suo nascondiglio mediante teletrasporto, sferrò un pugno poderoso in pancia a Bellocchio, piegandolo in due dal dolore e costringendolo a mollare la presa della Poké Ball che teneva in mano. Quest’ultima rotolò giù per la breve scalinata che conduceva alla platea, dove Hoopa la recuperò attirandola fluttuante fino a lui. Solo allora il golem che lo aveva servito ritornò in tribuna, avendo terminato il suo compito, e l’Ufficiale Flare poté soccorrere il suo amico.

« E tu… » disse lo spirito rosato rivolto al giovane, simulando delusione « Andiamo, un discorso ritrito per farmi cambiare idea? Che fiasco ».

Ginger scosse la vittima per assicurarsi che fosse lucida, ma la risposta positiva a quel quesito fu l’unica buona notizia: il colpo sferrato da Golurk, per quanto non avesse provocato danni seri, doveva aver provocato un discreto dolore nel corpo del destinatario. Con la coda dell’occhio la donna notò che un Chandelure si era appena materializzato nel parterre con il generatore, collocandolo nel corridoio centrale; altri due suoi gemelli si presentarono a loro volta con il catalizzatore Flare, e insieme assemblarono gli apparecchi per formarne uno nuovo, un mortaio a onde sinaptiche pronto a far fuoco sull’intera Kalos e oltre.

« Fine dei giochi » recitò Hoopa recandosi personalmente al cannone per applicare la Poké Ball prelevata da Bellocchio nello scomparto apposito. Uno scatto metallico silenziò l’insistente vociare degli spettri in balconata. Gettò un’occhiata fugace ai tre membri della Seconda Unità ancora imprigionati e decretò « Portateli qui. Li voglio insieme ».

I Chandelure obbedirono anche quest’ultimo ordine, e fu allora che gli unici esseri umani presenti nel teatro divennero le stelle assolute della scena. Ginger si affrettò a riunirsi ai suoi colleghi, ora liberi da catene e spaesati sul palcoscenico. Molte parole di conforto furono espresse, ma in fondo non ve n’era un reale bisogno. Il sollievo di essersi ricongiunti, per qualche assurdo miracolo emozionale, superava l’orrore di trovarsi al capolinea.

« Spero siate lieti di essere cavie per un futuro migliore » annunciò solennemente il demone « Ora che il catalizzatore amplifica l’intensità delle onde, la riscrittura impiegherà due o tre secondi al massimo. Saprete com’è essere un Pokémon che viene privato della libertà ».

L’Ufficiale Flare avvertì sulle proprie spalle non più il peso della sorte umana, ma quantomeno la dignità di essa. Non l’avrebbe mai piegata, non gli avrebbe mai concesso la soddisfazione di andarsene china. Inspirò profondamente e si alzò in piedi, affrontando il pericolo come aveva sempre fatto, a viso aperto. Per un istante il suo sguardo incrociò quello dei suoi compari, coloro che aveva cercato di salvare e che invece erano stati trascinati con lei sul fondo dell’abisso. « Mi dispiace… » sussurrò, e non era solo a loro che chiedeva perdono. E nemmeno alla specie che presto si sarebbe estinta. Chiedeva perdono a Ross e a Etan, che avevano inutilmente dato la vita per evitare che succedesse ciò che stava per succedere. E a Bellocchio, a Serena, a tutti coloro che avevano provato di tutto nel tentativo di fermare il loro avversario. Corrugò la fronte e scrutò i Chandelure che erano rimasti al generatore in veste di operatori.

« Niente ultime parole? Una preghiera? » inquisì con ironia Hoopa, e come si aspettava nessuno osò ribattere. « Peccato » glissò con noncuranza, ordinando poi al trio retrostante « Ora ».

Si udì un secco clac seguito da un fastidioso ronzio quando il cannone entrò in funzione. Fu un’esecuzione sorprendentemente silenziosa: nessun grido di dolore, nessun clamore, nessun corpo martoriato che rovinava al suolo. I volti del gruppo si spensero senza che qualcuno al di fuori di loro se ne accorgesse. Anticlimatico, si sarebbe detto.

Ma a Hoopa andava bene così. Si voltò soddisfatto verso i Chandelure che attendevano ulteriori istruzioni. « Portatelo in superficie » intimò « È ora di diventare Dio degli Uomini ».

Non vi fu reazione. L’atmosfera parve quasi surreale per il modo in cui quei Pokémon lo fissavano vacui, persi, come non fossero in loro. « Mi avete sentito? ».

Ancora nulla. E nel silenzio etereo dell’Opéra Régional una voce si insinuò, un suono sommesso, quasi celato, eppure perfettamente udibile per la quiete che aleggiava. Era una risata. La risata di quello sveglio.

« È buffo. Solo qualche ora ho detto la stessa cosa alla Dama Cremisi » disse Bellocchio. Il suo tono era stranamente naturale, stranamente vivace e stranamente derisorio. « Io sono già un Pokémon ».

Ginger osservò il suo amico ed esaminò le proprie mani come un primate. Non sarebbero state di alcun aiuto per provare di essere sopravvissuta alla riscrittura, ma la sua mente glielo garantiva, e anche Hoopa non ebbe alcun dubbio: non aveva avuto effetto. I suoi occhi rimbalzarono increduli su ciascuno di coloro che sarebbero dovuti essere i suoi primi schiavi umani, constatando che invece si trovava di fronte cinque superstiti. « Cosa… Voi non siete… ? ».

« No ». Bellocchio parlava con certezza granitica, per nulla sorpreso di ciò che si era verificato.

« Perché? ».

« Perché hai commesso l’errore comune nei geni di credere che nessuno sia al tuo livello ».

Il fatto che quell’omuncolo capisse più di lui della situazione mandava Hoopa su tutte le furie, ma in uno sforzo disumano questi mantenne la compostezza « Spiegati ».

« Oh, andiamo! Credi che fosse quella la mia idea? Che ti avrei affrontato faccia a faccia e ti avrei parlato fino a farti desistere? » lo affrontò provocatoriamente il giovane « Sarò anche bravo a cavarmela a chiacchiere, ma non vivo nel mondo dei sogni ».

« Ma questo non cambia niente! Ci hai provato e hai fallito! Io ho vinto! ».

« Sapevo benissimo che non ti avrei convinto a cambiare idea con qualche buona parola. Sei irrecuperabile ».

Hoopa si sforzava di dare un senso al caos logico di quelle parole, ma ogni tentativo falliva sistematicamente. « Hai sprecato di proposito il tuo tempo? ».

Bellocchio rise di gusto alla sola idea e si alzò in piedi, avanzando fino a superare Ginger « Ti ho rassicurato. Ti ho fatto credere di essere in vantaggio, esattamente come hai fatto tu quando hai raccontato la tua storia via telefono per stanare me e Ginger. E mentre giocavo con te e ti convincevo di avere il controllo della situazione, tu non ti accorgevi della falla nel tuo piano ».

« Falla? ».

« La Poké Ball di Chansey è la base del generatore. Ha impresso il codice sinaptico di tuo padre, che è il tuo per eredità, ed è a quello che i tuoi spettri rispondono ».

« E allora? ».

« E allora non ti è passato per la mente nemmeno un secondo di controllare che ci fosse davvero Chansey dentro? ».

Hoopa sgranò gli occhi e si congelò sul posto, a bocca semichiusa, mentre l’errore commesso gli appariva evidente. Bellocchio sembrò rallentare si proposito quando sfilò dalla cintura una sfera dalla copertura sbiadita, come se volesse sottolineare con il suo gesto cadenzato i moti mentali del demone.

« Questa è la Poké Ball di Alexander Kashinsky ».

« Cosa? » sobbalzò la creatura, voltandosi immediatamente verso il generatore ancora attivo « E che Ball è quella che ho messo? ».

« Quella della mia Nephtys, con impresso il mio codice sinaptico. Ti ringrazio per aver rivestito questo teatro di zinco, perché le onde sinaptiche sono rimbalzate per l’intero ambiente. Tutti gli spettri al momento obbediscono a me ».

Il silenzio dei Chandelure, il loro sguardo vuoto… Hoopa esaminò l’emiciclo del teatro, rendendosi conto solo ora che tutti gli spettatori condividevano la stessa espressione. D’istinto scattò verso il perturbatore sinaptico, ma il suo trio di guardiani si oppose fermamente a comprovare che non gli obbedivano più. Tutto ciò non aveva senso. « Ma io sono ancora… ».

« … te stesso? » azzardò Bellocchio sogghignante « La sfera di tuo padre era un vecchio modello, nelle nuove le onde prodotte sono programmate per non influenzare gli umani. E nel tuo genoma c’è ancora traccia di quello che eri ». La sua inflessione si rabbuiò e le sopracciglia si aggrottarono, caricando le sue parole di un’ira antica « Non te la caverai con così poco, non perderai la lucidità. Dovrai assistere cosciente all’estinzione della tua religione ».

« STAI ZITTO! » sbraitò Hoopa, scagliando una rancorosa Palla Ombra all’uomo. Un Aegislash comparve istantaneamente sulla traiettoria dell’attacco e lo incassò con un sussulto, e solo allora il demone comprese realmente la portata della sua sconfitta. Non solo aveva perso tutto, ma quel tutto era stato appena acquisito dal suo peggiore antagonista. « Il mio mondo… ».

Ginger osservò meravigliata la scena, realizzando che il suo amico non aveva lasciato nulla al caso. Aveva orchestrato l’intero programma fin dall’inizio, come un giocatore di scacchi professionista.

« Ora ti mostrerò il tuo errore più grande » dichiarò Bellocchio « Ricordi il flusso oscuro? ».

« Cosa c’entra? ».

« C’entra » ribatté lui con decisione « Una massiccia attrazione gravitazionale verso un punto del cosmo ».

« Non c’era nulla ».

« Non ancora! » esclamò l’uomo, riuscendo nell’impresa di frenare le obiezioni del demone. « La gravità è in grado di agire attraverso le dimensioni ultraspaziali. Teoria delle stringhe ».

« Non tenere lezioni a me. Mio padre era uno scienziato, sapeva benissimo queste cose e aveva pensato che fosse l’influsso di un altro universo » illustrò Hoopa, collerico all’idea che quell’arrogante intendesse insegnargli la sua vita « Ma si era sbagliato! ».

« Sì, si era sbagliato » convenne Bellocchio « Ha dimenticato di considerare la dimensione più importante. Il tempo ».

L’unico a non scuotersi nelle file dei Flare fu Kibwe, poiché non era sufficientemente versato nell’argomento per capire quanto quell’idea tanto semplice fosse fondamentale, e quanto fossero stati stupidi a non accorgersene. Uno che probabilmente aveva studiato un decimo di loro li aveva appena umiliati.

« Il tempo? » ripeté Hoopa con scetticismo.

« L’influsso gravitazionale era presente, ma tu non sei riuscito ad aprire un varco verso l’altro universo perché ancora non esisteva. In un futuro sarebbe nato, e la sua impronta sarebbe risalita lungo il tempo relativo del nostro cosmo per dare origine al flusso oscuro ».

« Bella teoria ».

« Non è una teoria. Adesso ho capito perché gli spettri tremano al mio nome, perché la Dama Cremisi mi odiava. Vuoi sapere qual era l’universo nascosto che tuo padre stava cercando? » gli chiese Bellocchio, certo di avere la verità in pugno « Il Mondo dei Morti ».

Ginger osservò il giovane stupefatta « Vuoi dire… ? ».

Lui rispose con un cenno affermativo del capo « Il Mondo dei Morti non è ancora nato. Ma manca poco ».

« Il Mondo dei Morti è una storiella » respinse Hoopa seccamente.

« In questo teatro ci sono migliaia di spettri pronti a eseguire i miei ordini, dotati di un’energia collettiva più che sufficiente a perforare lo spaziotempo. È finita, Logan ».

I fantasmi inerti che popolavano l’Opéra iniziarono a brillare di mille bagliori violacei. Hoopa alzò ringhiante gli occhi verso la cupola sul soffitto, dove i dettagli del maestoso dipinto di Chagall andavano deformandosi in una nebbia impenetrabile. Si udì un rumore simile a un rombo di tuono, ma potenzialmente ancor più fragoroso, e uno squarcio segnato da un turbinio bluastro si aprì nello spazio.

« Che stai facendo? Fermati! Fermati subito! » implorò lo spirito.

« Ti esilio insieme agli spettri che ti hanno servito. Siete banditi da questo universo. I tuoi compari ne stanno aprendo uno nuovo, un territorio inesplorato in cui tu e loro trascorrerete la vostra esistenza. Qualche vostro discendente imparerà a fuggire, sicuramente, e tornerà qui. Ma non voi ».

« No, fermo! Ricorda che ho ancora la vostra amica! ».

Ma anche quell’ultima arma cadde inutilizzabile quando la bionda Serena emerse, condotta da uno dei suoi fedeli Chandelure, da dietro le spalle dell’uomo. Ginger le corse incontro per sincerarsi delle sue condizioni di salute, ma sembrava soltanto stremata dal periodo di prigionia proprio come i suoi colleghi. Il Pokémon che l’aveva trasportata lì sotto quieto ordine del suo nuovo padrone si involò poi verso il varco levato in aria, e altrettanto fecero tutti gli altri spettri presenti. Un forte vento spirava dalla caverna verso l’universo gemello appena creato, come se quest’ultimo stesse aspirando selettivamente nuovi abitanti.

Bellocchio rammentò i racconti dell’ingegnera sul luogo che aveva visitato una settimana prima, e fu quasi amareggiato di non dover nemmeno dover pensare a una condanna appropriata dato che già la conosceva. « Quanto a te, Logan, ti confino in una singola stanza al termine di un labirinto, privo di poteri e forma corporea. Tu che hai da sempre potuto viaggiare in ogni luogo non lascerai mai il poco spazio che ti concedo. Questa è la mia punizione ». Si interruppe, poi abbassò il volume della voce « Ginger ».

La donna alzò gli occhi verso di lui, e ciò che vide la angustiò. L’uomo che le stava davanti non era quello che conosceva, era una sua controparte assai più raccapricciante. Freddo, stringato, inespressivo. La intimoriva più di Hoopa stesso. « Sì? ».

« Vuoi che mi fermi? ».

La scienziata aggrottò la fronte. Voleva interpretarla come una richiesta, ma per come era stata pronunciata somigliava molto di più a una minaccia. « Non capisco ».

« Qui è dove tutto comincia. Se ora spedisco lì Hoopa, la te del passato lo troverà nell’indagine al Crésus Hotel e Ross morirà. Vuoi che mi fermi? ».

Solo allora Ginger comprese la verità: le vicende dell’albergo appartenevano al futuro di quel mostro, non al suo passato. Non era mai fuggito dalla suite Notte Fonda perché Etan e suo fratello si erano sacrificati per impedirlo, e quegli avvenimenti erano posteriori all’invasione dei Rotom. Ciò spiegava, se non altro, alcuni frammenti bizzarri di frasi di quell’Hoopa. Il fatto che le morti dei suoi amici e parenti non fossero state vane la rinfrancò per un attimo, ma ben presto l’angoscia della decisione che doveva prendere le sovvenne.

Poteva cambiare gli eventi. Un suo no avrebbe modificato la conformazione del labirinto, o privato definitivamente il demone dei suoi poteri, e Ross sarebbe sopravvissuto. Avrebbe potuto riabbracciarlo, avrebbero potuto vagare di nuovo per le vie di Temperopoli.

Ma lei non era stupida, era la migliore ingegnera di Kalos. Sapeva bene che, se avesse salvato Ross, lei non avrebbe mai saputo dell’esistenza del Mondo dei Morti, non avrebbe potuto suggerirla a Bellocchio e quest’ultimo non si sarebbe ritrovato a farle quella domanda. Paradosso temporale. Il passato è immutabile, e anche colui che le aveva posto la domanda ne era a conoscenza per certo. Non era per quello che glielo chiedeva, bensì perché con quell’azione stava uccidendo suo fratello, e non sarebbe stato corretto non avvertirla.

Certe volte non si ha scelta, anche se piace pensare di averla. Certe volte il Tempo ha già scelto per te. « Fai ciò che devi ».

Hoopa si sentì mancare. Davanti alla coscienza della fine dei propri sogni persino quell’individuo sempre raffinato dimenticò tutto il suo aplomb e, per la prima volta da quando l’avevano incontrato, implorò. « No! No, no! Ti darò tutto quello che vuoi! Io sono un Dio! ».

Bellocchio lo squadrò truce. La voce uscì rauca e cruda dalla gola, la bocca aperta a malapena « Ricordami ».

« C-cosa? ».

« Quando sarai dall’altra parte, condannato all’eterna reclusione nel Mondo dei Morti… Ricordami, e ricorda che io sarò ancora qui ».

Il panico pervase l’animo della creatura, un terrore che non aveva mai provato in vita sua. « … Chi sei? ».

« Sono gli occhi accesi nel buio. Sono l’ombra che ti perseguita nella notte. Sono il terrore che ti arde nel cuore in ogni istante della tua misera vita ». L’uomo era posizionato più in basso rispetto al suo interlocutore, eppure sembrava parlare dall’alto di una torre, tale era il livello della sua imponenza. Non era più nemmeno una persona qualunque, sembrava vestire i panni di un re. Con ferocia inumana ringhiò le parole che sapeva di dover dire, poiché gli spettri che aveva incontrato lo temevano in quanto associavano quello pseudonimo a chi li aveva espulsi dall’universo. « Il mio nome è LK, e se tu sei un Dio… Io sono il tuo incubo ».

Quella fu l’ultima frase udita da Hoopa. Gli Aegislash che invisibili si erano posti a protezione del giovane si levarono in volo e presero il loro precedente leader con sé, trascinandolo contro la sua volontà nel vortice che si chiuse subito dopo. L’Opéra Régional era priva di spettri per la prima volta da un anno.

Ma nessuno osò parlare. Non un membro dei Flare e certamente non Serena, che non aveva mai avuto tanta paura da quando la Fiamma Cremisi era stata debellata dalla Maison Darbois. E non aveva avuto paura di Hoopa, lui era un nemico come tanti. Ciò che l’aveva atterrita era stato Bellocchio, che per un breve istante aveva visto persino più spietato di colui che aveva bandito nel Mondo dei Morti.

 

 

Uno stormo di Taillow si stagliava contro una delle sparute nuvole rossastre che popolavano il cielo; anziché essere il prodotto della devastazione, però, il colore era questa volta fornito dal tramonto incipiente. Il sole che si inoltrava verso l’orizzonte oceanico segnava la fine della prima giornata della Kalos liberata, glorificata per l’occasione da una limpida volta tersa. Una moderata brezza spirava verso sud, sospingendo in un moto oscillante le palme schierate sul lungomare. I profili degli edifici di Altoripoli tradivano la tragedia appena verificatasi, ma facendo ricorso a ogni istante di luce a disposizione gli abitanti della cittadina avevano già cominciato a porre rimedio con l’aiuto dei propri Pokémon.

La Seconda Unità Flare era uscita all’alba dalla grotta di Hoopa nonostante vi avesse trascorso meno di un’ora. Ginger aveva affermato di sapere perché, avendo osservato un effetto non troppo dissimile al Le Crésus Hotel: la forte curvatura spaziale, residuo della precedente sacca temporale, aveva compresso il loro tempo relativo; in termini profani, all’interno della caverna esso era defluito più rapidamente, portandoli dritti alla mattina.

Il resto del giorno per il team di scienziati si era composto di compilazione di rapporti e rilevamenti statistici per assicurarsi che il peggio fosse passato. Le prove raccolte, comprensive del PC di Kashlinsky e del generatore manomesso, erano state riposte in una coppia di pesanti trolley da viaggio. E adesso i cinque stavano aspettando il loro treno alla stazione della cittadina, preparandosi al ritorno a Luminopoli. Ne avrebbero avute di cose da raccontare.

Bellocchio concluse il giro dei saluti minori con un abbraccio a Sandy. Kibwe gli aveva rivolto uno sguardo privo di emozioni, Terence invece era parso lievemente infastidito dalla sola stretta di mano. Quando spettò a Ginger spendere un arrivederci per il suo nuovo amico, la donna gli porse il P5S che qualche ora prima l’uomo gli aveva affidato « Ricontrollato come mi hai chiesto. È pulito, a mio parere. Puoi sempre far verificare a qualcun altro ».

« Penso di potermi fidare della migliore ingegnera di Kalos » osservò lui riponendolo nella tasca del cappotto insieme all’Anello, il quale gli era stato regalato come souvenir in gratitudine per averli salvati. Quando aveva riportato Serena a casa di Cornelius perché si riposasse aveva ripreso possesso degli abiti che aveva prelevato da Borgo Bozzetto, asciugatisi durante la notte. Li avvertiva più comodi, ma forse era solo suggestione.

« Sei sicuro di non voler collaborare con i Flare? Uno come te ci farebbe comodo ».

« Sono più un tuttofare che un esperto » ribatté il giovane scuotendo il capo « Sarei un pesce fuor d’acqua ».

« Al mondo servono anche tuttofare » disse Ginger con una punta di ironia. Al suo fianco Sandy si sentì onorato dal fatto che l’Ufficiale stesse citando la frase che lui le aveva rivolto una settimana prima, mentre indagavano nei meandri di un ben noto albergo.

« Temo di dover comunque rifiutare. Ho altri impegni ».

« Oh, sentilo… » lo canzonò la donna « L’uomo impegnato! Che cosa farai ora? ».

Bellocchio si guardò attorno, contemplando i danni lasciati dai Rotom. « Mi tratterrò un po’ qui. Posso dare una mano a… ricostruire. E poi… » la sua mano si espresse in un gesto che sembrava imitare un aeroplano in decollo « Verso nuove avventure ».

Solo allora i due si resero conto del silenzio che aleggiava in quei minuti. Nessun brusio se non il lento farsi e disfarsi delle onde marine e il lieve cullare del vento. Sembrava che Altoripoli fosse una città deserta, persino i colleghi di Ginger a stento davano cenni di esistenza. « Perché viaggi? ».

Che bella domanda, pensò l’uomo. Per molte ragioni. Per ritrovare Ada Delaware, che credeva per qualche ragione connessa al suo ignoto passato a Kalos. Per scoprire la ragione per cui tra poco meno di mezz’ora avrebbe perso la memoria. Per indagare sul significato di quei frammenti celesti. Forse, anche se con la morte della Dama Cremisi le speranze si affievolivano, anche per salvare Serena da chi l’aveva tenuta d’occhio. Come riassumere quel caos nella sua testa? « Perché… è l’unico modo che ho per cercare le cose ».

Bellocchio tacque dopo quella frase, quasi stesse pensando a come proseguire; alla fine, non trovando altro da dire, porse la mano alla donna per stringere la sua. Lei osservò le sue falangi come un artefatto alieno, dopodiché senza alcun preavviso lo strinse in un abbraccio. « Spero che trovi quello che cerchi » gli sussurrò con un filo di voce per poi staccarsi e ricomporsi i ricci vermigli di fronte alle espressioni attonite dei Flare, i quali non l’avevano mai vista così incline alle manifestazioni emotive.

Mentre il ricevente versava ancora in uno stato di shock inusuale, l’ingegnera frugò nell’uniforme bianca per estrarne un biglietto da visita color indaco. « Se magari vorrai prenderti una pausa… vieni a trovarmi al Frattale. Sarai il benvenuto » gli disse, dopodiché mentre gli porgeva il cartoncino soggiunse « E Serena. Anche lei, ovviamente ».

Bellocchio lo intascò senza nemmeno darvi una sbirciata, e sorridendo si congedò « Alla prossima ».  Dopo quelle parole girò sui suoi tacchi e si incamminò verso l’uscita della stazione. Il treno si sarebbe presentato solo tra mezz’ora, ma nessuna delle due parti aveva l’intenzione di prolungare quell’addio. Perché anche se nessuno voleva ammetterlo, se pure si fossero rivisti difficilmente sarebbe stato per più di un caffè in memoria dei tempi andati. La vita di un viaggiatore raramente fa retromarcia.

 

 

« Ti voglio bene. Ci sentiamo ».

Serena terminò la telefonata e ripose il PSS nella borsa appoggiata sul divano dopo aver letto sulla sua schermata l’orario attuale, sette e mezza del pomeriggio. Udire nuovamente la voce di sua madre e scoprire che era illesa l’aveva rinfrancata, restituendole al contempo una parte della nostalgia di casa che aveva provato appena prima dell’invasione. Osservò le pallide orlature delle tende che coprivano la portafinestra dell’appartamento di Cornelius, quindi iniziò a passeggiare per il soggiorno fino a giungere alla credenza.

Aveva dormito per quasi metà giornata, una reazione parzialmente giustificabile visto che in buona sostanza aveva trascorso la notte insonne; le restanti ore di luce le aveva trascorse in pigiama, decidendo solo sul tardi di vestirsi. A quel punto era fondamentalmente inutile, ma sperava di poter finalmente visitare l’Altoripoli notturna senza incappare in Rotom assassini o rave party per le elezioni. Scrutò il suo riflesso sull’armadietto cristallino, ricollocando il cappello che portava in testa. Per un attimo pensò che non sarebbe stata male con capelli più corti, ma respinse immediatamente l’idea con una sghignazzata interiore.

La porta dell’alloggio si aprì in quel momento alcuni metri dietro di lei. Specchiato nel vetro scorse un uomo dal lungo cappotto marrone, le mani infilate nelle tasche del completo sottostante, il volto quasi inespressivo. Era Bellocchio, in un certo senso il suo Bellocchio, ma qualcosa era diverso in lui, come se in quel momento la sua mente stesse vagando altrove.

« Dovresti prepararti per il tramonto ».

« Manca ancora una decina di minuti. Ho già trascritto tutto » rispose lui. Le parole scivolavano come foglie sospinte dal vento, mai così morbide « Volevo salutarti finché ancora ricordo ciò che è successo oggi ».

Serena si voltò e lo studiò con un sorriso triste che le marchiava le labbra. Il suo amico pareva rilassato, ma dentro doveva essere tutt’altro che quello. « Dopo non lo ricorderai? ».

« Sarà un racconto del taccuino. Come la Maison Darbois o la crisi di Dusknoir ». L’aria si era fatta densa e pesante. Voleva chiederle qualcosa, ma non trovava il coraggio per farlo. Alla fine se lo impose a forza, perché a breve sarebbe calato il sole e il tempo in cui avrebbe potuto porle quella domanda si riduceva. Doveva essere lui, non il sé dell’indomani. « Vuoi continuare a viaggiare con me? ».

Serena attese per rispondere, un indugio che per Bellocchio fu come una serie interminabile di colpi nel torace. « Qual è il tuo nome? » lo interrogò lei a sua volta « Il tuo vero nome. Quello con cui chiami te stesso quando sei da solo ».

Il giovane non seppe cosa dire. Non comprese se fosse una prova di fiducia oppure una richiesta scorrelata. La sua capacità di leggere le persone era prossima allo zero in quel momento. « Non lo so. Non ci ho pensato. Non capisco nemmeno cosa voglia dire, a essere onesto ».

« Quando hai rinchiuso Hoopa nel vortice hai menzionato LK ».

Bellocchio esitò, sedendosi sul sofà come se la richiesta l’avesse consumato. La ragazza gli si appostò vicino, ed entrambi mantennero lo sguardo fisso sulla televisione spenta di fronte. « Non era il mio nome, a quanto pare, erano solo le iniziali di Logan Kashlinsky ».

« Hoopa » annuì Serena a chiarire l’implicita conclusione della frase « Ginger è passata qualche ora fa e mi ha spiegato cos’è successo con lui, la sua storia ».

« Gli spettri del Mondo dei Morti mi ricordano con quel nome perché io gli ho detto di farlo. I varchi da quell’universo al nostro non rispettano sempre il tempo come scorre qui, alcuni sono apparsi nel passato. Molti fantasmi provenienti da lì abitavano la Terra da prima che io li esiliassi ».

La sua amica si sforzò di seguire il filo logico, ma qualcosa le sfuggiva sistematicamente « Cioè, loro sapevano ciò che avevi fatto… Da prima che tu lo facessi? ».

« Tecnicamente per loro era già successo ».

« Però tu gli hai dato quel nome perché già lo conoscevi da loro. L’informazione da dove–– ».

« Paradosso della predestinazione » rispose al volo Bellocchio. Il suo tono lasciava intendere che lui stesso fosse divertito da ciò che diceva, che forse non avesse nemmeno la certezza delle sue ipotesi « Il tempo è immutabile, ciò che è successo doveva succedere ».

Serena sorrise « Sembri essere molto ferrato in queste cose. Ma non mi hai ancora risposto: come ti chiami quando sei da solo? ».

« Ti ho detto che… » cominciò l’uomo, ma si interruppe prima di finire. Finalmente ci era arrivato, quella richiesta non aveva alcuno scopo. Era un test. « … Regola numero uno? » propose incerto, e lo sguardo della ragazza gli confermò che aveva visto giusto. Si scambiarono un’occhiata complice mentre Bellocchio prendeva coscienza del fatto che quella che aveva appena fornito era anche la risposta alla sua domanda, il dubbio sul fatto che lei volesse ancora seguirlo nel viaggio: niente domande stupide. Certo che l’avrebbe fatto.

Finalmente il giovane poteva ritenersi realmente felice dopo l’incubo trascorso in quella città. « Oh, prima che me ne scordi: 235-562244 » disse poi tutto d’un fiato « Forse vuoi segnartelo ».

« Cos’è? ».

« Il mio numero, ho rimediato un P5S ».

« Ma guardalo, finalmente al passo coi tempi! » lo schernì Serena.

« Lo ritengo un premio per aver salvato la regione » commentò l’altro alzandosi in piedi con la sua consueta vivacità. Era quasi sera, eppure pareva fresco come di primo mattino « Contavo di trattenermi una settimana, sai, per aiutare le persone a riprendersi. Kalos in rovina non dev’essere un bello spettacolo ».

« Meglio, avrò tempo di andare alla la Palestra di Altoripoli ».

« Ben detto, mai rinunciare a qualche minuto sulla cyclette ». Bellocchio riacquistò poi una sembianza semiseria, quasi non volesse credere alla piega che le circostanze avevano preso « Davvero non hai problemi a viaggiare con me? ».

« La mia unica richiesta è che tu mi faccia uscire viva. E so che memoria o meno non potrai mai mantenerla, quindi cosa cambia? ». La ragazza ridacchiò, quindi indicò il balcone con un dito « Cornelius è fuori, se vuoi dirgli due parole. L’ho già avvertito che ci trasferiremo al Centro Pokémon per non disturbarlo ancora ».

Bellocchio annuì e si diresse verso la cucina limitrofa, utilizzando poi la portafinestra per accedere al balcone. Il sole ormai quasi sfiorava l’orizzonte, aveva giusto il tempo per uno svelto commiato prima di ritirarsi in un luogo appartato in attesa della sua morte metaforica. Cornelius occupava scomposto una sedia in legno sul centro del poggiolo, impegnato a passarsi tra le dita uno spesso sigaro che diffondeva un odore acre nell’ambiente.

« Ah, il Belloccio » lo accolse il padrone di casa, lo sguardo fisso sulla rinfrancante distesa marina.

« Sono passato a salutare » spiegò l’uomo porgendogli la mano per una stretta.

« Sì, la ragazza mi ha detto che andrete al Centro. Riconosco di non essere stato un campione di privacy, vi capisco se volete stare più appartati ». Cornelius impiegò qualche istante a capire la ragione del braccio proteso del suo interlocutore, e quando ci arrivò si infilò lestamente in bocca il cilindro di tabacco per ricambiare il gesto « Comunque tranquillo, non le dirò nulla della rossa. Ciò che accade nella giungla… ».

« La rossa? ».

« Da qui si vede la stazione. Non ho visto granché nel dettaglio, ma non mi sembrava male ».

Bellocchio intuì che il pirata si stava riferendo all’abbraccio con Ginger avvenuto non molto tempo prima. Con un sorriso si affacciò alla balaustra del terrazzino, verificando che effettivamente la fermata ferroviaria di Altoripoli era chiaramente visibile da quel punto. La Seconda Unità ancora attendeva nella speranza che i proverbiali ritardi sulle tabelle orarie fossero stati galvanizzati dall’apocalisse sventata. « Non credo la rivedrò ».

« Figurati. Come ti ho detto il nickname ti si addice, Belloccio. Non in quel senso, eh… ».

« Quando ti ci metti sei duro di testa » commentò il giovane, svagato all’idea che dopo tutto quel tempo ancora il venditore di frutta non avesse imparato il suo pseudonimo correttamente. Ciò per concatenamento di idee gli riportò ancora alla mente la donna che stava per lasciare la città. Non ci aveva riflettuto granché, ma “Ginger” difficilmente era la sua identità all’anagrafe, altrimenti visti i capelli rossi si sarebbe trattato di una coincidenza unica. « Non so nemmeno il suo nome ».

« Beh, è ovvio, è una dei piani alti dei Flare, non possono dirlo! » ribatté Cornelius come se stesse affermando la questione più scontata del mondo. « Sicurezza e cose così, ma… » proseguì, e abbassò il tono della voce « … sai tenere un segreto? ».

« Del tipo? ».

« L’alias che usano come protezione segue un codice. Me l’ha spiegato una di quelle con cui ho… ». Il pirata non terminò l’asserzione, ma lo lasciò intuire a gesti e seguitò « È facile, davvero. Il suo qual è? ».

« Ginger ».

« No, impossibile. Hanno tutti una X nel nickname ».

Un soprannome nel soprannome. Bellocchio pensò che non aveva mai sentito pronunciare da Ginger qualcosa di simile. Non solo non sapeva il suo nome, non sapeva nemmeno il suo vero pseudonimo, e tanti saluti alla storia della fiducia.

Poi un’illuminazione lo folgorò: il biglietto da visita. Se era un identificatore per estranei non poteva fare riferimento al suo appellativo amichevole. Lo estrasse dalla tasca e ne consultò con un’occhiata i dati forniti, pervenendo infine a ciò che cercava « Xaad ».

« Perfetto. Per formarlo tutto ciò che fanno è prendere il nome proprio, tanto è un’informazione inutile… Poi lo anagrammano e aggiungono una X da qualche parte. Di solito all’inizio ».  Cornelius assaporò un’altra boccata del sigaro, crogiolandosi nel suo gusto speziato « È un vecchio codice in uso fin dai tempi del Regime Monarchico. Quindi per esempio, nel tuo caso sarebbe… ».

Non fu un lampo istantaneo. Fu come se le sinapsi del cervello di Bellocchio si stessero risvegliando una a una, forse danneggiate dall’esperienza della caverna, eppure finalmente in grado di collegare i dati che aveva raccolto.

I capelli rossi.

La professione nel campo della scienza applicata.

I dubbi sugli studi, la volontà di diventare una storica annientata dal padre.

E ora l’anagramma inconfutabile. Non riusciva a crederci, ma non c’era un indizio fuori posto. La schiva ragazza impersonata da Zoroark non era che una versione più giovane dell’Ufficiale Flare. Ginger era Ada Delaware.

Cornelius disse qualcosa che la mente dell’uomo non registrò, facilmente un’inquisizione sulla sua apparente catalessi, ma lui era preso da tutt’altro. Perché lei? Perché quel Pokémon avrebbe dovuto imitarla? Che rapporto aveva con lei? Troppe domande, troppi quesiti che ronzavano nella mente. C’era solo una persona che, Bellocchio sperava, potesse chiarirgli i dubbi.

In quel momento il fischio del treno in arrivo trivellò le sue orecchie.

La reazione che seguì fu puramente istintiva. Ripetendo la mossa compiuta due notti prima il giovane afferrò la Poké Ball di Nephtys e, una volta che la sua fedele compagna di avventure fu fuoriuscita, si aggrappò alle sue piccole zampe da Fletchinder e si lanciò in planata sulla cittadina. Vide la stazione avvicinarsi sempre di più mentre già la Seconda Unità era scomparsa dentro uno dei vagoni.

Ma avrebbe vinto quella corsa contro il tempo. La prima volta, al Liceo, se l’era fatta sfuggire, aveva messo insieme i pezzi troppo tardi ed era stato superficiale. Ma ora avrebbe saputo, non avrebbe accettato un’altra sconfitta. Il suo passato a Kalos era interconnesso con quella donna, ne era certo.

Il secondo stridio prodotto dal convoglio giunse quando Bellocchio era a pochi metri dalla stazione, in grado già di sentire il rumore delle ruote sui binari. In un ultimo, disperato tentativo di non fallire costrinse Fletchinder a scendere in picchiata, facendo compiere al trasportato un pericoloso atterraggio di spalla sul cemento.

Quando l’uomo si riprese dallo schianto era già troppo tardi: l’ultima carrozza aveva appena superato la soglia della piattaforma e già si addentrava nell’entroterra di Kalos, diretta a Luminopoli. Una sensazione di vuoto lo assalì, la realizzazione definitiva di aver perso di nuovo. Non importava che avesse salvato la regione, perché Ada gli era di nuovo sfuggita.

E rammentò subito che anche quell’emozione non sarebbe durata a lungo: era il tramonto. Con un doppio atto fulmineo richiamò Nephtys e imbracciò il taccuino aprendolo davanti ai suoi occhi, la scritta “non smettere di leggere” bene in vista. Si orientò verso ovest, dove a breve i fasci luminosi sarebbero stati inghiottiti dall’oceano. Nella foga dell’inseguimento se n’era quasi scordato. Aveva rischiato non poco.

Esiste un fenomeno ottico dovuto alla rifrazione noto come raggio verde, osservabile solo in giornate particolarmente limpide. Appena prima che il sole scompaia sotto l’orizzonte un ultimo sprazzo dalle tonalità verdognole appare visibile per un frammento di tempo, un battito di ciglia. Quando le nuvole non inquinavano la volta celeste, era l’ultima cosa che gli occhi di Bellocchio imprimevano nella memoria prima che quest’ultima venisse cancellata.

Quel giorno il raggio verde era visibile. E quel giorno, mentre gli lampeggiava riflesso nelle sue pupille marroni, una meditazione volatile quanto atroce gli sforacchiò la mente come un proiettile.

Non aveva trascritto la scoperta dell’identità di Ginger. Non l’avrebbe ricordata.

 

 

 

 

 

 

NEXT TIME: 1x33 Linus Stromberg, amichevolmente noto come Lino, è uno dei più popolari Capipalestra della regione di Kalos, arrampicatore amatoriale e scoglio da superare per Serena che ambisce a conquistare la Medaglia Rupe di Altoripoli. Ma i fantasmi dello scontro con Violetta, su cui non è a conoscenza di aver virtualmente trionfato, potrebbero giocare un brutto scherzo alla ragazza nel momento più importante, e anche la sfida potrebbe non svolgersi come si sarebbe aspettata.

   
 
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