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Autore: La Nuit du Chasseur    15/04/2015    3 recensioni
[Michael Fassbender]
E' possibile vivere un sogno, essere finalmente felici, spensierati e sereni, rendendosi conto che in quel sogno non si è soli? E si può a quel punto abbattere l'orgoglio e la paura e iniziare a vivere di nuovo?
Sullo sfondo del Coachella Music Festival, lei incontrerà di nuovo gli unici occhi che avrebbe voluto non incontrare. E quel sogno di esserci, di vivere quell'esperienza, improvvisamente sa d'amaro. O d'amore.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lover of the Light

 


Con gli occhi chiusi annusò l’aria della California. “Sogno o son desta?” pensò fra sé, mentre sorrideva piano. Lasciò che tutti i suoi sensi si abituassero a quella sensazione: la pelle chiara scaldata dal sole, il naso che odorava il deserto, le orecchie che sentivano la musica, le mani che toccavano l’aria, quasi come se potessero arrivare al cielo azzurro e sfiorarlo.
Poi, all’improvviso volle darsi il colpo di grazia e spalancò gli occhi, di getto, senza pensare, senza abituarsi, senza pensare: aprì gli occhi e lasciò che tutto quello che aveva davanti la colpisse dritto allo stomaco, dritto al cuore. Coachella, lei era lì.

Sorrise, sentendo una sensazione di sollievo, di felicità, di immensa forza. Non erano più i problemi a dover pesare, non erano più le discussioni o le eterne serate sull’autobus di ritorno dall’ufficio, o ancora i libri studiati di notte per dare quell’esame che proprio non ne voleva sapere di aiutarla. Non era niente a farla da padrone nella sua testa, solo l’incommensurabile felicità di aver fatto una follia e di non averla fatta da sola. Insieme, come da tanti anni a questa parte, come per moltissimi anni ancora a venire, con l’amica che capisce.
Il tramonto dietro la ruota panoramica fu la prima cosa che la colpì, che le ferì gli occhi senza occhiali, senza protezione alcuna, senza maschera. Senza che lei se ne accorgesse, le prime note di Hopeless Wonderer, nell’assoluto silenzio che solo le vere occasioni speciali richiedono, colorarono l’aria. I primi bicchieri alzati in aria proclamarono solenne la situazione e iniziato il concerto più atteso. Lei si girò verso il palco, vide la sua amica già presa che cantava le prime parole, con le braccia al cielo e silenziosamente le andò vicino abbracciandola: era merito suo se era ancora in piedi.
Ma all’improvviso, un paio d’occhi la inchiodarono al suolo, la costrinsero a fermare la sua euforia, il suo saltellare al ritmo delle canzoni, il suo sorriso aperto a scherzare con l’amica di sempre. Gli unici occhi che non avrebbe mai sperato – o forse voluto? – vedere lì. Era lì per se stessa, lui lì cosa c’entrava?

Michael la fissò incredulo. Era bello come lo ricordava, come lo sognava ogni notte. Dei bermuda blu notte, le infradito di pelle, una maglia aderente e gli occhiali da sole. La mano in tasca e un bicchiere di birra nell’altra completavano quello che per lei poteva essere chiaramente chiamato incubo. O sogno. “Ora son desta” sussurrò, sapendo che nessuno avrebbe potuto sentirla, o anche solo vederle il terrore dipinto sul volto.
Poi successe: lui le sorrise e lei iniziò a camminare. Si fece largo fra la folla, verso la fine dell’arena, lì dove il prato si apriva e consentiva ai fan meno ossessionati di godersi la musica seduti per terra, stile Woodstock anni duemila. O quel che ne rimaneva. Ogni passo era una sfida, lottava contro la sua stessa forza che la costringeva a camminare: lei non voleva vederlo, non lo voleva. Ma i suoi piedi avrebbero giurato il contrario, se interpellati seriamente.
Camminarono insieme, nella stessa direzione, sfidando la stessa folla, pensando la stessa cosa, mossi dalla stessa domanda: cosa ci fai qui?
Lei inciampò un paio di volte, chiese scusa distrattamente, poi il vuoto: la gente era rada, lo spazio fra loro diminuito. Avrebbe potuto toccarlo raggiungerlo con un altro paio di passi, e sarebbero stati i più semplici da fare. Avrebbe, forse, potuto toccarlo allungando il braccio e sforzandosi di tenere ferma la mano. Ma lì di fermo non c’erano neanche i pensieri.
Si erano lasciati, si erano lasciati male. Avevano deciso che le cose non potevano andare. Avevano deciso che le cose erano troppo difficili. Lei in Italia, lui in Inghilterra, lunghe attese in aeroporto, weekend rubati, settimane lente da vivere e viaggi sempre più complicati da organizzare. Alla fine lei aveva detto basta. Un basta che le era costato mesi di lacrime e cene ad altissimo tasso calorico consumate su un tappeto con le amiche di sempre.
Ed ora erano lì, nella stessa città, per lo stesso motivo, con lo stesso sguardo: cosa ci fai qui?
Lei prese coraggio, o fu il coraggio che prese lei, e si avvicinò, uccise quella distanza e forse anche il suo orgoglio e gli fu vicino, così vicino da sentirne l’odore inebriarle le narici, colpirla in pieno petto e atterrarla, distruggerla per poi abbracciarla di colpo.
“Cosa ci fai qui?” La voce tremava, ma finalmente usciva.
“Sono con degli amici.” Michael la guardò, e poi gettò lo sguardo verso il palco: la loro musica. No, il destino era decisamente sporco. Era sensibilmente cattivo. Sussurrò seguendo il testo di quella canzone che voleva dire tutto. Che faceva più male di una lama affilata che taglia la carne. Del sangue che sgorga rosso scuro e bagna la pelle.
“Ironia della sorte” rispose lei alzando le spalle e ficcando le mani nei jeans. Allontanò lo sguardo, fissò la ruota panoramica, incredibilmente ancora in piedi, simbolo di tanti anni passati a sognare.
“Già.” Michael sorseggio la sua birra, sentendosi fuori luogo, fuori tempo, fuori fase. Lei era lì e l’unica cosa che lui avrebbe voluto fare sarebbe stata baciarla e portarla via con sé. Perché lei gli mancava, lei era stata capace di dare e poi togliere di scatto e lui aveva ancora molto da dire in quella vita fatta di telefonate mai fatte e cose mai dette. “Ti va di…”
“Sì, certo” rispose lei di getto. Avrebbe potuto dirle qualsiasi cosa, non le interessava: avrebbe risposto sempre di sì.
Si incamminarono verso il nulla, lontano, sedendosi su una collinetta erbosa poco distante. Lei raccolse le ginocchia al petto e le circondò con le braccia, guardando il palco e canticchiando quella canzone che amava tanto: seguiva il ritmo con il piede a terra e con la testa, dondolandola. Non si era accorta che Michael la stava fissando, o forse si era raccontata una bugia che non la costringesse a scappare via. Sarebbe riuscita a scappare via?
“Allora, come stai?” le chiese Michael banalmente, perché ogni grande conversazione inizia con una frase stupida.
Lei sorrise e lo guardò con ancora le labbra tirate e le guance gonfie: “Bene, credo bene.”
“Credi?”
“Nessuno a Coachella può star male, non pensi?”
“Questo l’hai sempre detto tu” la rimbrottò Michael, finendo la sua birra e osservandola. Non riusciva a toglierle gli occhi di dosso, non riusciva a non pensare che lei fosse ancora sua, incredibilmente sua, irrimediabilmente sua.
“E ho sempre avuto ragione” rispose sicura lei, alzando le braccia al cielo per seguire la musica.
Michael rise e rimase in silenzio: lei era lì, era bella, era come la ricordava. I capelli neri sulle spalle, le labbra che seguivano i testi delle canzoni, il corpo che si muoveva al ritmo della musica, senza mai essere volgare, senza mai eccedere, i sorrisi sempre misurati, mai esagerati, ma sempre violentemente sinceri. Le mani affusolate con le unghie laccate di blu elettrico, martellavano l’aria come se fossero bacchette su di una batteria invisibile, le spalle seguivano quel movimento, il corpo era armonioso e leggiadro. Lei era una specie di farfalla in un mondo pieno di elefanti.
“Smettila di guardarmi” gli disse dopo qualche minuto, senza girarsi verso di lui, sentendo i suoi occhi addosso, sentendo quella sensazione familiare di passione e amore, tornando con la mente al passato. Alle mattine in cui apriva gli occhi e lui era lì con lei e rimaneva a fissarla mentre lei ancora cercava di fare pace con il mondo. E con la sveglia.
“Perché?”
“Perché mi da fastidio” mentì lei, cercando di non apparire troppo dura. O troppo fragile.
“No, perché siamo qui” continuò Michael.
Lei capì, non potè più negargli nulla. Abbassò lo sguardo sospirando e poi lo portò di nuovo verso di lui, guardandolo di soppiatto, come se si vergognasse. Come se guardarlo davvero avrebbe potuto farla annegare in un mare di amore. E di rimorso. Stirò le braccia davanti a lei, chiuse gli occhi e prese tempo, troppo tempo. Michael le sfiorò un gomito, la costrinse a tornare lì e lei semplicemente lo sfidò: “Perché è andata così.”
“Non mi basta.”
“Dovrai fartela andare bene, perché è la verità ed io non sono nessuno per cambiarla” gli disse ancora ridendo, prendendosi gioco di lui. Neanche la sua stessa anima avrebbe potuto dirle quanto quel comportamento la stesse ferendo: tornare indietro, abbracciarlo e fregarsene di tutto. Questo avrebbe voluto fare.
“Non mi basta” disse nuovamente lui, testardo e deciso di prendersi quel che era suo. Lei.
“Cosa vuoi da me?” gli chiese con gli occhi tristi. Era una richiesta di aiuto e una supplica rivolta alla sua pietà.
“Te” le rispose semplicemente lui, lasciandole il tempo di assimilare, di sentire, di ascoltare. “Te” le disse nuovamente avvicinandosi.
Pericolosamente vicino, pericolosamente bello, non le lasciò altro tempo: le prese il viso e la baciò. Il sapore della sua bocca, l’odore dei suoi capelli, le sue ciglia lunghe contro le sue guance: era tutto, ma tutto davvero, era tutto ciò che aveva sognato in quelle notti passate a chiedersi cosa stava facendo.
Lei si ritrasse, ma Michael non la lasciò andare via di nuovo: “Te” disse ancora, come un mantra, come se fosse l’unica cosa capace di esprimere tutto. Emozioni, sentimenti, dolori, sicurezza, paura. La baciò di nuovo, lasciò ogni remora e spinse il corpo verso di lei, passandole un braccio dietro la schiena per attirarla a sé, forzandola a fidarsi, ad aprirsi, ancora.
Lei si trovò sopraffatta, lo baciò, sentì quel calore che le era mancato, sentì le sue braccia forti impossessarsi di tutto, prendersi ciò che avevano sempre preteso con gentilezza e amore. Che in quel momento stavano rubando senza permesso, ma con arroganza e passione.
“Mi manchi” sussurrò sulle sue labbra, lasciando cadere qualsiasi castello di carte avesse eretto a protezione di se stessa. “Mi manchi così tanto” disse ancora, sentendo gli occhi inumidirsi e chiudendoli subito dopo. Posò entrambe le mani sul viso di Michael, sentì sotto le dita la barba e la pelle, sfiorò con l’indice le labbra che ancora cercavano lei e quando trovò il coraggio di guardare ancora lo trovò sempre lì che aspettava lei, che amava lei, che stringeva lei.
“Anche tu” le rispose con la voce bassa, poggiando di nuovo le labbra sulle sue.
“Io…” avrebbe voluto dirgli tante cose, tanti perché, tante spiegazioni. Le stesse che aveva elaborato da sola in quei mesi, le stesse che aveva tante volte detto alle amiche, sperando che la facessero sentire meglio. Ma il solo pensiero di averlo di nuovo lì la mandò in confusione e non riuscì a proseguire. A bocca aperta lo guardò negli occhi, perdendo le ultime speranze di riuscire a ragionare serenamente.
Lui negò con la testa, le poggiò un dito sulle labbra e piano le disse solo: “Non mi interessa niente. Ci siamo dentro insieme?”
Lei sorrise e pensò che le seconde possibilità vanno colte al volo, vanno prese e utilizzate. E poco importava che i problemi erano gli stessi di sempre e le paure forse amplificate, quando Michael le sorrise lei non seppe dire altro che: “But I'll be yours if you'll be mine.”
 
Dedicata alla mia Amica di Sempre
 


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