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Autore: Madiletti    16/04/2015    0 recensioni
[Every Day the same Dream]
Ispirato liberamente al minigioco "Every Day the same Dream" della Molleindustria e all'ononimo cortometraggio di Patryk Senwicki e Tamas Kiss, è una breve descrizione di ciò che accade dal punto di vista del protagonista. Un viaggio attraverso la progressiva rottura della routine, fino al finale...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Suona la sveglia, ma non ho voglia di alzarmi. Lo devo fare. Spengo la maledetta sveglia e mi alzo dal letto a fatica. Raggiungo il mobile, mi cambio, esco in cucina. Mia moglie è lì, che cucina la colazione che io non mangerò: sono in ritardo. Passo d'avanti al televisore che manda immagini che nessuno, in casa, sta guardando. La abbraccio, le sussurro qualche parola che non ricordo, esco. Raggiungo l'ascensore, premo il pulsante, entro. E qui comincia a essere inquietante. C'è dentro una vecchia: è la vedova del piano di sopra. Il silenzio è imbarazzante, e così apro la bocca per romperlo, ma è lei che mi precede: “ancora cinque passi e sarà una persona nuova”, mi dice sorridendo. Esco, raggiungo la macchina, attraverso il traffico e raggiungo il mio posto di lavoro. Ad attendermi c'è il mio capo “Sei in ritardo. Se succede ancora una volta puoi considerarti licenziato: qui non puoi fare come ti pare”. Succede ogni giorno, ma sono quello che lavora meglio qui: non può licenziarmi. Attraverso l'open-space pieno di scrivanie, pieno di uomini, pieno di giacche e cravatte, tutti indaffarati, tutti uguali... Mi siedo. Ora faccio parte anch'io di quella monotonia.
 
Suona la sveglia, ma non ho voglia di alzarmi. Lo devo fare. Spengo la maledetta sveglia e mi alzo dal letto a fatica. Raggiungo il mobile, mi cambio, esco in cucina. Mia moglie è lì, che cucina la colazione che io non mangerò: sono in ritardo. Passo d'avanti al televisore che manda immagini che nessuno, in casa, sta guardando, lo spengo. La abbraccio, le sussurro qualche parola che non ricordo, esco. Raggiungo l'ascensore, premo il pulsante, entro. C'è dentro una vecchia: è la vedova del piano di sopra. Il silenzio è imbarazzante, e così apro la bocca per romperlo, ma è lei che mi precede: “ancora cinque passi e sarà una persona nuova”, mi dice sorridendo. Esco, raggiungo la macchina, attraverso il traffico e raggiungo il mio posto di lavoro. Fuori, nel parco macchine, c'è un albero ormai morto. Mentre sto passando sotto di questo l'ultima foglia cade. La raccolgo, la osservo. Che misera esistenza. Entro nell'ufficio. Ad attendermi c'è il mio capo “Sei in ritardo. Se succede ancora una volta puoi considerarti licenziato: qui non puoi fare come ti pare”. Succede ogni giorno, ma sono quello che lavora meglio qui: non può licenziarmi. Attraverso l'open-space pieno di scrivanie, pieno di uomini, pieno di giacche e cravatte, tutti indaffarati, tutti uguali... Mi siedo. Ora faccio parte anch'io di quella monotonia.

Suona la sveglia, ma non ho voglia di alzarmi. Lo devo fare. Spengo la maledetta sveglia e mi alzo dal letto a fatica. Raggiungo il mobile, mi cambio, esco in cucina. Mia moglie è lì, che cucina la colazione che io non mangerò: sono in ritardo. Passo d'avanti al televisore che manda immagini che nessuno, in casa, sta guardando, lo spengo. Le do un bacio, le sussurro qualche parola che non ricordo, esco. Raggiungo l'ascensore, premo il pulsante, entro. C'è dentro la vedova del piano di sopra. Il silenzio è imbarazzante, e così apro la bocca per romperlo, ma è lei che mi precede: “ancora quattro passi e sarà una persona nuova”, mi dice sorridendo. Esco, raggiungo la macchina, attraverso il traffico, ma cambio strada. Giro per il quartiere osservando quello che non ho mai visto. Mi fermo a prendermi un caffè con cornetto, poi risalgo in auto e raggiungo il mio posto di lavoro. Ad attendermi c'è il mio capo “Sei in ritardo...”. Non mi fermo ad ascoltarlo, sono quello che lavora meglio qui: non può licenziarmi. Attraverso l'open-space pieno di scrivanie, pieno di uomini, pieno di giacche e cravatte, tutti indaffarati, tutti uguali... Mi siedo. Ora faccio parte anch'io di quella monotonia.

Suona la sveglia, ma non ho voglia di alzarmi. Lo devo fare. Lascio che la maledetta sveglia si spenga da sola e mi alzo dal letto a fatica. Raggiungo il mobile, mi cambio, esco in cucina. Mia moglie è lì, che cucina la colazione che io non mangerò: sono in ritardo. Passo d'avanti al televisore che manda immagini che nessuno, in casa, sta guardando, lo spengo. Sussurro qualche parola che non ricordo a mia moglie, esco. Raggiungo l'ascensore, premo il pulsante, entro. C'è dentro la vecchia del piano di sopra. Il silenzio è imbarazzante, e così apro la bocca per romperlo, ma è lei che mi precede: “ancora tre passi e sarà una persona nuova”, mi dice sorridendo. Esco, ma non prendo la macchina, vado a piedi. Per strada un barbone già ubriaco mi ferma “Vuoi vedere un posto pieno di pace?” Non so perché lo seguo. Mi porta in un cimitero. Rimaniamo qualche secondo in silenzio, poi lui se ne va senza salutare, e io raggiungo il mio posto di lavoro. Ad attendermi c'è il mio capo “Sei in ritardo...”. Non mi fermo ad ascoltarlo, sono quello che lavora meglio qui: non può licenziarmi. Attraverso l'open-space pieno di scrivanie, pieno di uomini, pieno di giacche e cravatte, tutti indaffarati, tutti uguali... Mi siedo. Ora faccio parte anch'io di quella monotonia.

Suona la sveglia, ma non ho voglia di alzarmi. Lo devo fare. Spengo la maledetta sveglia e mi alzo dal letto a fatica. Esco in cucina, in mutande. Mia moglie è lì, che cucina la colazione che io non mangerò: sono in ritardo. Passo d'avanti al televisore che manda immagini che nessuno, in casa, sta guardando. “cambiati, che sei in ritardo”, mi dice. Esco. Raggiungo l'ascensore, premo il pulsante, entro. C'è dentro una vecchia: è la vedova del piano di sopra. Il silenzio è imbarazzante, e così apro la bocca per romperlo, ma è lei che mi precede: “ancora due passi e sarà una persona nuova”, mi dice sorridendo. Esco, raggiungo la macchina, attraverso il traffico e raggiungo il mio posto di lavoro. Ad attendermi c'è il mio capo “E dove sono i tuoi vestiti? Non può andare avanti così: sei licenziato!”. Non mi fermo ad ascoltarlo, sono quello che lavora meglio qui: non può licenziarmi. Attraverso l'open-space pieno di scrivanie, pieno di uomini, pieno di giacche e cravatte, tutti indaffarati, tutti uguali... Mi siedo. Ora faccio parte anch'io di quella monotonia.

Suona la sveglia, ma non ho voglia di alzarmi. Lo devo fare. Mi alzo dal letto a fatica. Raggiungo il mobile, mi cambio, esco in cucina. Mia moglie è lì, che cucina la colazione che io non mangerò: sono in ritardo. Passo d'avanti al televisore che manda immagini che nessuno, in casa, sta guardando. Esco. Raggiungo l'ascensore, premo il pulsante, entro. C'è dentro la vecchia. Il silenzio è imbarazzante ma è lei a romperlo: “ancora un passo e sarà una persona nuova”, mi dice sorridendo. Esco, raggiungo la macchina, attraverso il traffico e raggiungo il mio posto di lavoro. Ad attendermi c'è il mio capo “Sei in ritardo. Se succede ancora una volta puoi considerarti licenziato: qui non puoi fare come ti pare”. Succede ogni giorno, ma sono quello che lavora meglio qui: non può licenziarmi. Attraverso l'open-space pieno di scrivanie, pieno di uomini, pieno di giacche e cravatte, tutti indaffarati, tutti uguali... Supero la mia scrivania, esco dalla porta a vetri, esco sul balcone: ha davvero senso tutto questo? No è solo un sogno. Mi tiro su sulla ringhiera, guardo in basso. È solo un sogno. E volo di sotto.

Suona la sveglia, mi alzo in preda al panico: è tardi! Mi cambio, esco in cucina. Mia moglie non c'è: sono in ritardo. Passo d'avanti al televisore ed esco. Raggiungo l'ascensore, premo il pulsante, entro. Dentro non c'è nessuno. Aspetto nevrotico che l'ascensore raggiunga il piano terra. Esco, raggiungo la macchina, attraverso strade vuote senza anime e raggiungo il mio posto di lavoro. Ad attendermi non c'è nessuno. Attraverso l'open-space pieno di scrivanie senza padroni, ormai sto correndo. Supero la mia scrivania, esco dalla porta a vetri, esco sul balcone: ha davvero senso tutto questo? In piedi sulla ringhiera ci sono io. Mi volto a guardarmi. Mi fisso dritto negli occhi e capisco. È solo un sogno? No. È la pura e triste verità...
   
 
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