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Autore: B Rabbit    16/04/2015    1 recensioni
{ Elleo | Perché l'inizio del capitolo 104 mi ha fatto male }
Un giorno, Leo pronunciò il pietoso desiderio del per sempre.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Elliot Nightray, Leo Baskerville
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Per quanto tempo è per sempre?
A volte, solo un secondo




Nell’ampia stanza dalle tinte scure e calde, accoglienti come il focolare gentile delle case, un giovanissimo signore accarezzava la superficie lucida di un pianoforte, quasi a voler mitigare la solitudine dello strumento musicale, abbandonato in quella sala adombrata.
Il fedele servitore era immobile vicino alla porta e guardava il padrone in rispettoso silenzio – studiava la gentilezza della sua espressione, così rara che timidamente si imprimeva sul volto spesso duro –. Da buon servo, però, Leo intravide l’infelicità che gli occhi del nobile tentavano di celare, prova della sofferenza impiantatasi nel giovane cuore dopo la scomparsa violenta dei fratelli. E in quella stanza rischiarata dai pochi fasci dorati che penetravano dalle fessure tra i pesanti drappi calati, la figura di Elliot pareva evanescente ed eterna, il fantasma di un’esistenza passata impressa in una vecchia fotografia ingiallita.
«Ti va di suonare con me?».
Il ragazzo stette immobile, lo sguardo fisso sul biondo che attendeva una risposta; poi, senza proferir alcunché, si avvicinò al grande strumento e si sedette sulla panchetta. Nightray lo imitò, occupando il posto alla destra dell’altro, e scoprì la lunga tastiera di candido avorio ed ebano lucente; studiò con lo sguardo il bianco ed il nero che si scambiavano e si ripetevano, soppesando ogni suono che sarebbe scaturito da essi al semplice tocco.
Un incalzante alternarsi di due note basse – una forte e grave, la seconda più leggera ed acuta – stuzzicarono la sua attenzione, che subito aumentò appena un crescendo di un’ottava superiore accompagnò le prime due note, ripetendosi in agognante attesa. Elliot sorrise e, posizionando le dita sulla tastiera, creò una lenta ed echeggiante armonia che piano acquistò velocità, mutando in una leggera ma vigorosa melodia, capace di librarsi con agilità grazie alla sottostante base che la innalzava con sicurezza.
Le dita di Elliot danzavano esperte su quel palco d’avorio e d’ebano, accompagnate da quelle ugualmente abili di Leo, e dal legame delle loro menti affiatate stillava fuori la musica, che mutava al cambiare dei sentimenti impressi nelle note. La stanza si riempì della soavità di un gentile zefiro e della bellezza insita nei delicati colori pastello dei novelli fiori primaverili, creando un luogo in cui le fate potevano volare libere; l’estate arrivò insieme a note più decise, ritmate, e le risate delle creature magiche sbocciarono nella sala, portando balli e feste raggianti. La mano sinistra di Elliot, a volte, si avvicinava leggermente a quella di Leo nei suoi volteggi, e quando si allontanava, era quella del servo che seguiva i passi lasciati dalla compagna, in un gioco di tocchi immaginari e di angosciose ricerche.
Giunse l’autunno con la vitalità del rosso che dipingeva le fronde sempre più misere; ed inevitabilmente, piombò l’inverno. Elliot suonò poche, dolenti note, cancellando il ricordo sbiadito dei sorrisi. Una melodia lenta incupì l’aria, rinvigorendo le ombre della stanza.
Il biondo guardò il compagno seduto al suo fianco, la sua espressione leggermente contratta, addolorata; portò nuovamente le dita sui tasti ed articolò un conforto con suono aggraziato e gentile. Le note gravi diminuirono e si allungarono, incerte come le tremolanti fiamme delle candele – Leo incatenò lo sguardo con quello del ragazzo, che proseguiva a tessere promesse di tempi migliori con un sorriso sulle labbra, come a volergli soffiare nel petto una sorta di pace –.
Improvvisamente il pianoforte gridò cupo e Leo smise di suonare, le dita infilzate ancora negli ultimi tasti dello strumento che aveva colpito con foga. Il biondo sgranò gli occhi per la sorpresa ed arrestò l’esecuzione; posò l’attenzione sul compagno e cercò di delineare il suo viso nascosto dalla chioma ribelle.
Nel silenzio della sala, la luce sembrò tornare, facendo evaporare completamente la magia che aveva dominato gli attimi precedenti.
«Stai bene?».

Un giorno, Leo pronunciò il pietoso desiderio del per sempre.
Egli era conscio di quanta stupidità gonfiasse ridicolamente il suo pensiero, di quanti sorrisi larghi e taglienti affollassero i muri della sua razionalità nell’istante in cui il tragico canto delle fragili speranze si diffondeva nella sua mente.
Egli ricordava di come puerile e sciocca gli sembrò tale richiesta quando la udì frantumarsi con assurda facilità alla vista del corpo esanime di Elliot.

«Sì».

E Leo supplicava la ragione di dargli nuovi, sostitutivi ricordi, privi di orrore e gelo. Si riprometteva di non sognare più, consapevole dell’errore passato.
Eppure, quando il suo sguardo cadeva in un familiare e perpetuo cielo azzurro, tornava inevitabilmente a desiderare la veridicità degli attimi appena trascorsi, magari nella limpidezza degli occhi di Elliot che si ritrovava a scrutare.

«Scusa».

















In principio, io dovevo scrivere una cosetta – stupida – su Vince, ma poi sono spuntati questi due patati e fuffa.
La storia è ambientata dopo il fattaccio di Elliot che-io-non-scriverò-perché-fa-male e la morte dei suoi fratelli. Inoltre, Leo ripensa al giorno in cui è successo il primo avvenimento e si sente uno schifo. Il titolo è una citazione presa dal libro Alice nel Paese delle Meraviglie.
Spero che vi sia piaciuta un po’ :3

Grazie a tutti,
Cloud~

  
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