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Autore: dilpa93    16/04/2015    10 recensioni
“Mi dispiace”, gli sussurrò in un soffio sulle labbra. Quando Rick si fece in avanti per catturarle definitivamente in un bacio, lei si tirò indietro lasciandolo con la voglia di quel bacio bloccata in gola.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Martha Rodgers, Rick Castle
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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"Quando la verità viene sepolta cresce, soffoca, accumula una tale forza esplosiva
che, il giorno che scoppia, fa saltare ogni cosa con sé"
Émile Zola





 
Un tonfo l’aveva svegliata all’improvviso. Si era messa seduta guardando la sveglia sul comodino con la coda dell’occhio; aveva rinvigorito le guance pizzicandole appena e poi si era sfilata la fascia che portava tra i capelli.
Una volta scostate le lenzuola, aveva indossato la vestaglia che teneva ai piedi del letto; i colori sgargianti parvero prendere vita, come sulla tavolozza di un pittore, non appena aprì le tende facendo entrare la luce del sole primaverile.
Si era data una rinfrescata al viso, spalmandovi poi sopra la crema idratante, ed infine si era spazzolata i capelli. Voleva essere presentabile anche quando in casa non c’era altro che la sua famiglia. L’importante, come diceva sempre, era non farsi mai trovare impreparati.
Scese le scale e lo trovò seduto sul divano a sfogliare svogliatamente un libro, probabilmente uno dei tanti che la casa editrice gli aveva mandato così che li recensisse, e se lui si era deciso a leggerne anche solo uno significava che qualcosa non andava.
“Buongiorno tesoro”, in risposta ricevette un grugnito, seguito dallo sbattere delle pagine l’una sull’altra e dal tonfo sordo della copertina rigida del romanzo gettato malamente sui cuscini del divano accanto a lui.
“Kate dorme ancora?”, domandò fingendosi ingenua e versando l’acqua calda nella tazza in cui la bustina del tè, aromatizzato ai frutti di bosco, stava già aspettando. Aveva capito, dal momento in cui aveva visto suo figlio da solo nel salone, che il rumore che l’aveva svegliata era stato causato dalla porta d’ingresso e c’era una sola persona che avrebbe potuto provocarlo: Kate.
“No... è-è uscita.”
“Uhm”, poggiò appena le labbra sulla superficie d’acqua ora colorata di un tenue viola, assicurandosi così che non fosse troppo bollente. “Ero sicura fosse il suo giorno libero...”. Sospirò violentemente, ravvivandosi poi i capelli, “Si vede che sto invecchiando più velocemente del previsto.”
Rick sorrise a quell’affermazione, si alzò e la raggiunse sedendosi acanto a lei su uno degli sgabelli. “Non stai invecchiando madre, è solo dovuta uscire.”
Nessuno disse più nulla per qualche minuto, e per lui fu fin troppo evidente il fatto che Martha sapesse sin dal principio quale fosse il motivo dell’assenza di Katherine. “Si è strillato...”, sussurrò mesto. Non ebbe subito il coraggio di incrociare lo sguardo della donna a fianco a lui, ma quando si decise a farlo i suoi occhi parlarono per lei. “Non presumere che sia mia la colpa. Non lo è, non del tutto almeno.”
“Caro, non ho detto nulla.”
“Non serve... negli ultimi anni sei sempre stata dalla sua parte, sei sempre riuscita a trovare un modo per giustificarla. Sono contento che voi andiate d’accordo e non finirò mai di ringraziarti per avermi sostenuto anche quando sembrava impossibile che sarei riuscito a convincerla a darmi una possibilità ma, per quanto io la ami, lei non ha sempre ragione, come delle volte sono io a non averla.”
“Richard, per quanto ne so, potrebbe essere lei ad avere torto, come potresti essere tu, o come potreste averlo entrambi”, bevve un altro sorso chiudendo gli occhi per assaporare al meglio l’aroma fruttato. Quando li riaprì vide suo figlio con il capo sul bancone, nascosto tra le braccia, come faceva quando era bambino e aveva avuto una brutta giornata. Gli carezzò la nuca aspettando che lui ruotasse di poco il capo verso di lei e, quando lo fece, gli sfiorò con dolcezza il viso. “Qual è stato il motivo della discussione?”, allo sguardo accigliato di Richard, che aveva arricciato labbra e naso di fronte a quella richiesta, Martha si affrettò a spiegare. “Non voglio assolutamente impicciarmi caro, però mi sarebbe utile per darti qualche mio prezioso consiglio”, e detto questo nascose, come colpevole, il viso dietro la tazza iniziando a bere per mascherare l’imbarazzo di essere stata colta in flagrante.
Rick si sollevò a fatica dal banco; facendo leva sulle braccia si raddrizzò nuovamente iniziando a tamburellare con le dita sul marmo. “Diciamo solo che ci siamo rinfacciati un po’ di cose... parecchie cose.”
“E Kate è andata via.”
“Credo che sarebbe più giusto dire che è scappata, ma... si.”
“E non credi che dovresti andare a cercarla?”
Per la seconda volta in quella mattinata, si ritrovò a sorridere in un momento che appariva del tutto inappropriato.
“No... non siamo una coppia convenzionale, non lo siamo mai stati. Lei non è la donna che fugge e vuole che tu la rincorra. Ha bisogno dei suoi spazi, dei suoi tempi. Tra noi è sempre stata una questione di tempi sbagliati. Non dobbiamo affrettare nulla, e andarla a cercare vorrebbe dire spingere le cose in una direzione. Prima di venire da me, la notte del diploma di Alexis, ha avuto bisogno di tempo per riflettere e del resto anche io, quella sera, ho pensato tanto. Deve solo capire cosa vuole davvero.”
Strinse la mano di sua madre, le baciò il dorso e poi si alzò incamminandosi nuovamente verso lo studio.
“E tu Richard, tu cosa vuoi?”
“Voglio lei”, affermò deciso. “Voglio che torni a casa. Spero che voglia ancora questa famiglia e che capisca che dobbiamo imparare a parlarci, a fidarci almeno tra di noi. Perché litigare con lei...”, Martha, pur restando immobile, tese l’orecchio per cogliere quelle ultime parole espresse in un sussurro a stento udibile. “Mi spezza il cuore”, e lasciando scivolare la mano lungo lo stipite della porta, si ritirò con la sola compagnia di se stesso.
 
Il tempo veniva scandito solo dal ticchettare dell’orologio.
Un rintocco, due rintocchi, tre rintocchi...
Non si era accorto fosse già arrivato mezzogiorno. Credeva davvero che per quell’ora Kate sarebbe ormai rientrata, invece erano ore che non si faceva sentire.
Cominciò a chiedersi se sua madre non avesse avuto ragione, se non sarebbe dovuto andare a cercarla obbligandola, in un certo senso, a risolvere subito quella lite a cui più pensava, più gli sembrava essere sfociata dal nulla. Mentre questi pensieri gli affollavano la mente, penetranti e persistenti come un mal di testa che non ne vuole sapere di passare, sentì la serratura scattare e il leggero cigolio che era solito accompagnare la chiusura della porta.
Si affacciò dallo studio sul salone; Kate era di spalle, rimase a guardarla far strisciare contro il legno la catenella dorata.
Dopo il rapimento, dopo che la Nieman l’aveva quasi uccisa privandola della sua identità, non dimenticava mai di chiudere con due mandate e di mettere il catenaccio.
“Sei tornata.”
Quasi non aspettandosi di trovarlo lì, Kate si irrigidì di colpo. La vide contrarre le spalle, per poi rilassarle nuovamente in una manciata di secondi.
Tirò su con il naso eppure, quando si voltò verso di lui, Rick non vide nessuna lacrima segnarle il viso, nessun rossore attorno agli occhi ed improvvisamente ricordò che quello era un semplice gesto che le aveva visto spesso fare nelle situazioni emotivamente stressanti.
“Scusa per averci messo tanto...”, si torturò le dita facendole schioccare ad una ad una.
Rick scosse la testa, sorridendole con aria comprensiva. Con un cenno veloce del capo le indicò il divano e, vedendola annuire, la raggiunse e si sedettero l’uno accanto all’altra. Ma nonostante questo, sembrava ancora esserci una barriera tra loro, invisibile ed impenetrabile. Rick non si trattenne dal provare a superarla; tamburellando sulle cosce, aprì le dita della mano destra a ventaglio, superando impercettibilmente quel muro ma fermandosi appena prima di arrivare a sfiorarle il ginocchio.
“Sono stata cattiva e meschina... tu avevi ragione e-”
“Non sei stata meschina.”
“Si invece”, avrebbe voluto avere il coraggio di confermarlo a voce alta, ma lasciò che quel pensiero si formulasse solo nella sua testa. Era stata avventata e crudele con lui che era colpevole solo di averle chiesto una spiegazione, di averla pregata di aprirsi e fidarsi. Ma a spaventarla non erano state le urla e la sua aggressività, a spaventarla era stata la facilità con cui aveva lasciato che la cattiveria si impossessasse di lei.
“Io non volevo avere ragione”, proseguì dopo pochi istanti Rick. “Non devi pensare che sia questo ciò che voglio sentirmi dire.”
“Non lo dico per te o perché credo sia quello che vuoi, lo dico perché lo penso. Tu avevi ragione e io torto. Avrei dovuto parlarti prima dell’esame di capitano. Non so perché non l’abbia fatto... ho passato le ultime ore a pensarci, ma non sono riuscita a trovare una risposta. Quando mi hai fatto notare la mia mancanza non sapevo come replicare, così ho cominciato a darti contro. Mi sono sentita piccola”, ci pensò un istante, piccola non era la parola giusta. Si morse il labbro inferiore schioccando poi la lingua, “Mi sono sentita umana... è questo quello che mi fai.”
Rick sgranò gli occhi. Non pensava di avere questo effetto su Kate, non voleva averlo se lei lo leggeva come qualcosa di negativo.
Quante volte si era data della sciocca, quante volte lui aveva ribattuto dolcemente, dicendole che non lo era, che era solo umana? Era questo che aveva fatto, l’aveva trasformata facendola diventare qualcuno che non le piaceva?
La guardava perso e Kate, notando quello sguardo di smarrimento nel marito, si affrettò a spiegare. “Sono sempre stata presa dal mio lavoro, dal mostrarmi forte, la ragazza determinata che niente e nessuno può scalfire. Ma tu l’hai fatto... hai raschiato la superficie. Per troppo tempo mi ero dimenticata cosa volesse dire essere solo me stessa. Sei stato tu a ricordarmelo, me lo ricordi ogni giorno, e stamattina, davanti alle tue affermazioni, non sapevo cosa dire. Kate non sapeva cosa rispondere, ma le detective... lei lo sapeva fin troppo bene e ho lasciato che prendesse il sopravvento.” Si umettò le labbra, secche dopo tutto quel parlare. “Me la sono presa per quel viaggio su Marte! Quale persona sana di mente lo avrebbe fatto?”, chiese retoricamente, con quel tono giocoso che solitamente apparteneva a Rick, non a lei.
Lo vide sorridere e di rimando fece lo stesso perché già quella, di per sé, era una conquista quel giorno.
Farlo sorridere era una conquista tutti i giorni.
Poi, però, bisognava tornare alla realtà, restare con i piedi per terra e sistemare ciò che aveva rischiato di rompersi. “Ho sparato a zero sul caso di mia madre, ho disprezzato l’aiuto che mi hai dato.”
Scosse la testa, ancora una volta. “Non avevo il diritto di dirti che non lo avresti mai risolto senza di me. Sono io che ho sbagliato.”
“No, sono io ad aver sbagliato”, Rick corrugò la fronte. Stavano sul serio facendo a gara a chi avesse sbagliato di più? Ma se era il solo modo per risolvere le cose, a lui stava bene così. “Si tratta di mia madre, è vero, ma senza di te dove sarei? Non sarei qui, non saremmo qui. Mi ritroverei ancora sola la notte, nel letto vuoto a leggere e rileggere quel fascicolo senza fare un passo in nessuna direzione. E quello che ho detto su Montgomery... Come ho potuto insinuare che la sua morte sia anche solo in parte colpa tua? Co-come puoi perdonarmi per averti detto quelle parole?”
“Shh...”, aveva provato a tranquillizzarla, a fermare quel fiume in piena. “Kate, eravamo arrabbiati. Abbiamo raggiunto il limite, c’è stato un momento in cui entrambi abbiamo semplicemente iniziato a darci contro, ad appigliarci anche alla più minuscola cosa solo per ferirci. Non so come ci siamo arrivati, ma non voglio che accada più, e questo”, mormorò con un’alzata di sopraciglio riferendosi a ciò che Kate aveva appena detto, “fa parte di quell’oltre-limite”.
Rimase il silenzio a parlare per lui, a dirle che non doveva scusarsi per quelle parole. Poi, spalancò gli occhi blu.
Erano più scuri.
Succedeva sempre nei momenti in cui era richiesta estrema serietà: inspiegabilmente, si scurivano.
Più profondi, più magnetici.
Lei annuì con il capo, acconsentendo a quell’implicita richiesta di non dire “mi dispiace” per quell’accusa che, in quel litigio, aveva voluto essere solo una provocazione.
“E poi Parigi! Ti ho rinfacciato Parigi, l’esserti comportato da padre! Non posso dirti che io sia contenta e approvi ciò che hai fatto, è stato così impulsivo, così...”, prese un bel respiro e si stirò ancora una volta le dita prima di sentirle avvolgere dalla mano grande di Rick. Sospirò, “Vorrei poterti dire che se me lo avessi detto avrei lasciato tutto e ti avrei seguito, ma anche in questo caso avevi ragione. Avrei provato a dissuaderti, a convincerti che continuare a lavorare da qui sarebbe stata la cosa migliore... ma nonostante questo, c’è una cosa per cui non posso dirti che mi dispiace, per cui non potrò mai scusarmi.”
La guardò perplesso, sentendo le sue esili mani diventare sempre più fredde anche se ancora avvolte dal calore della sua.
“Sei sparito Rick...”, la voce cominciava già a tremarle e la gola a seccarsi. “Spartito, letteralmente. Ho guardato dentro quella macchina in fiamme e tu non c’eri.”
Non glielo aveva mai raccontato, non aveva mai voluto raccontargli come fossero andate le cose quel giorno. La storia la conosceva a memoria, tramite sua madre, attraverso le parole di Alexis o dei ragazzi, ma lei no. Non gli aveva mai dato modo di conoscere il suo punto di vista. Non inventava nessuna scusa, semplicemente, ogni volta che intraprendevano l’argomento, lei riusciva a trovare un modo per glissare e spostare su altro la conversazione.
“Non credere che non ne fossi sollevata”, gli carezzò il viso sentendo la guancia calda contro il suo palmo freddo. “Mentre correvo verso i resti dell’auto non riuscivo a respirare. Non avevo avuto il tempo di pensare al tuo corpo carbonizzato sul sedile anteriore, eppure quell’immagine si è formata dal nulla, in meno di un secondo. Tu non eri lì e... oddio, ne sono stata felice. Era vera e propria felicità. In un momento come quello, per una manciata di secondi, sono stata felice.”
“Kate...”, mormorò appena senza trovare altro da dire, perché non c’erano parole giuste per commentare ciò che gli era appena stato detto.
“Ci siamo messi a cercarti immediatamente, ed ogni minuto, ogni ora, ogni giorno che passava era come cadere di nuovo in quel baratro in cui ero finita da ragazzina e dal quale tu mi avevi salvata. Mi sono guardata allo specchio una sera... ci ero già passata davanti tante volte, ma non mi ero più soffermata a guardarmi da settimane, solo un’occhiata di sfuggita, sai, di quelle che dai senza pensarci. E quella sera, guardandomi, non ho visto me stessa. Voglio dire, ero io, ma non quella di adesso. Ho rivisto la giovane matricola del distretto, quella che si rintanava di nascosto negli archivi, tenendo la torcia stretta tra i denti, a spulciare tra i fascicoli del caso di sua madre.
Due mesi... due mesi sono davvero tanti. Senza notizie, senza indizi... e poi d’improvviso eri di nuovo lì. Quando mi hanno chiamata e sono corsa in ospedale ho provato nuovamente quella felicità sentita mesi prima non trovandoti tra i resti di quel telaio ormai bruciato.” Si passò le mani tra i capelli lasciandoli ricadere all’indietro. Poi, con la mano chiusa a pugno davanti alla bocca cercò di mascherare inutilmente il tremore alle labbra. Rick se ne accorse, ma rispettoso restò in silenzio, aspettando che continuasse. “Era bello riaverti lì, la tua mano nella mia. Vederti dormire con il tuo solito ciuffo sbarazzino che si impenna sulla fronte”, anche in quel momento quel ciuffo non sembrava volerne sapere di restare al suo posto, e ancora una volta le dita di Kate vi si mossero rapide attraverso per sistemarlo. “Non eri ancora sveglio e hanno cominciato ad arrivare prove, indizi... video che ti ritraevano per le strade della città. Abbiamo trovato quella tenda, i tuoi oggetti personali. Cosa avrei dovuto pensare? Ho provato a mettere la razionalità da parte, ma non ci sono riuscita. Tu non ricordavi, e... mettiti nei miei panni! Quelle foto erano prove schiaccianti, non sapevo più cosa fosse giusto o sbagliato e la sola cosa da fare, il solo modo che avevo per separare le cose era affrontare il tuo caso come se fosse un caso qualunque!”
“Kate, posso solo immaginare quanto sia stato difficile, ma prova anche tu a metterti nei miei di panni. Mi sveglio felice di rivederti, senza capire cosa sia successo, convinto che non siano passati che un paio di giorni, e la prima cosa che fai è accusarmi... ero totalmente confuso.”
“Credi che non lo fossi anche io?! Tu dicevi di non ricordare niente, due mesi svaniti nel nulla”, si portò la mano sulla fronte, le dita sfioravano la pelle quasi a volerla consumare. “Tesoro, vorrei poterti dire che mi dispiace per come ho agito, ma non posso e se non saremo mai d’accordo su questo io davvero-”
“Non voglio che ti scusi”, la interruppe d’un tratto, con il tono più calmo che in quella mattinata gli avesse mai sentito usare. “Stamattina ero fuori di me. Non dico di aver dato fiato alla bocca senza pensare o che non fossi convinto circa le cose che ti ho detto, ma su questo argomento non avevo mai pensato a mente fredda e distaccata. Non mi avevi mai detto come fossero andate le cose e, benché Alexis e mia madre mi avessero raccontato tutto più e più volte, è diverso sentirmelo dire da te, è diverso poterti guardare, perché i tuoi occhi, ancora adesso, riescono ad esprimere esattamente ciò che hai provato in quelle settimane. È per questo Kate che ho bisogno che impariamo a parlarci e dirci subito tutto. Odio questi fraintendimenti, non sopporto che restino irrisolte così tante cose tra noi. Vorrei solo che tu parlassi con me.”
Sembrava distrutto mentre pronunciava quelle parole, affranto perché temeva davvero che sua moglie non si fidasse di lui.
“So che può essere difficile e che potresti vederlo come un’invasione della tua privacy, ma non voglio fare dei passi indietro nel nostro rapporto.”
“Nessuna invasione Rick. Sono stata una sciocca, una vera sciocca. È solo che... non lo so nemmeno io”, sospirò rammaricata andando poi a rannicchiarsi tra le braccia dell’uomo che più ama e che più l’ama al mondo, e che l’aveva invitata semplicemente con uno sguardo e allungando il braccio verso di lei. “A volte penso che siano cose talmente stupide che non valga la pena parlartene. Sono proprio un disastro.”
“Voglio sapere tutto, anche le cose sciocche e superflue. Ogni cosa che ti riguarda non sarà mai stupida per me”, le baciò il capo e la cullò contro il suo petto, sentendo il suo cuore rallentare e finalmente tornare a battere ad un ritmo normale.
Kate ruotò il capo quel tanto che le bastava per poterlo guardare, senza però allontanarsi dal suo corpo, il suo porto sicuro. Lo scrutò con occhi gioiosi e innamorati, e con una leggera pressione delle dita sul divano si protese verso di lui. “Mi dispiace”, gli sussurrò in un soffio sulle labbra. Quando Rick si fece in avanti per catturarle definitivamente in un bacio, lei si tirò indietro lasciandolo con la voglia di quel bacio bloccata in gola. “Mi dispiace”, mormorò ancora e a questo altri ne seguirono, mentre ogni volta che lui si faceva avanti per baciarla, lei si tirava indietro.
Quando Kate si alzò dal divano, con l’ennesimo mi dispiace, lui la seguì. Ognuno in balia dell’altro, in quel gioco di sguardi, scuse, sorrisi e malizia. Rick si muoveva rapito, fissandole le labbra con il  desiderio di assaggiarle, e lo stesso faceva Kate. Lo provocava, ma ormai anche lei stava per cedere.
La camera da letto non le era mai sembrata tanto lontana.
Finalmente sentì il letto contro i suoi polpacci e, prima di perdere l’equilibrio e lasciarsi andare sul materasso, lo afferrò per il colletto della camicia portandolo con sé. Le loro labbra si incontrarono dolci e attente, per poi lasciarsi prendere dall’impeto che avevano messo da parte.
Da quando l’aveva vista rientrare, Castle non aveva desiderato altro che stringerla a sé, ora era sua e non aveva nessuna intenzione di farsela scappare. Non appena la sentiva lasciare la presa sulle sue labbra, nel mero tentativo di riprendere fiato, se ne riappropriava, quasi con il timore che Kate potesse improvvisamente tirarsi indietro.
Ritrovandosi sotto di lei, sbuffò giocosamente. Per una volta era davvero convinto che lo avrebbe lasciato condurre i giochi, che gli avrebbe lasciato la possibilità di gestire le cose dall’alto. Di rimando, lei inarcò il sopracciglio destro, mentre con le dita giocherellava con la camicia slacciandogli lentamente i bottoni.
Troppo lentamente.
Si chinò su di lui succhiandogli lascivamente il collo, e per ogni bottone gli premeva le labbra sul petto in un bacio. Arrivata all’ultimo si bloccò di colpo, lasciandolo con quell’espressione confusa in volto e l’eccitazione a mille di cui erano simbolo il battito accelerato del suo cuore, che riusciva a sentire sotto il palmo della sua mano, e i pantaloni troppo stretti per la sua virilità che ora premeva contro il suo punto più intimo e sensibile.
“Cosa... cosa c’è?”, ecco che, di nuovo, quell’irrazionale ed infondata paura che lei si sarebbe tirata indietro tornò a fargli da padrona.
Kate rialzò il capo facendo ruotare il collo, così da poter liberare il viso dai capelli. Guardò teneramente Rick e la sua aria spaventata, sorridendo per tranquillizzarlo. “Prima...”, respirò pesantemente, affannata. “Prima di andare avanti, ho bisogno di sapere se c’è altro... altro che vuoi dirmi, che ti ha dato fastidio o ferito. Non voglio rimandare questo discorso o lasciare che altre cose creino degli attriti, non voglio che... si, insomma, che Beckett bitch si metta di nuovo tra noi.”
“Come ti sei appena chiamata?”, domandò trattenendo a stento le risate.
Da quando Kate aveva cominciato a darsi bizzarri appellativi, a prendere giocosamente faccende serie? Forse l’influenza di Rick cominciava a farsi sentire più di quanto entrambi avrebbero mai potuto immaginare.
“Non ridere”, lo riprese cercando anche lei di restare seria. “Mi sembrava adatto... devo ammettere che stamattina sono stata una vera stronza in certi momenti, serviva un modo per descrivere quel lato di me e... si, credo che Beckett bitch sia carino”, mormorò puntando le braccia sui fianchi. Rick scosse la testa divertito ed incredulo. Le colpì delicatamente il naso con l’indice e, dandosi slancio in avanti, la baciò fuggevolmente sulle labbra tornando poi a sdraiarsi.
“Va bene Beckett bitch”, ridacchiò beccandosi poi un pugno all’altezza della spalla. “Ehi!”, si lamentò massaggiandosi la parte lesa. “E questo per che cos’era?”
“Chiamiamolo un friendly remainder che questo nomignolo va usato con cautela e solo in determinate situazioni.”
“Katherine Beckett sei assolutamente la donna più impossibile che io conosca.”
“Mi ami anche per questo, non è vero?”
“Soprattutto per questo...”, le sfiorò il braccio con l’indice, carezzandolo avanti e indietro sentendo pian piano la pelle d’oca affiorare. Continuando quella tortura, scavò nei suoi pensieri trovando qualcosa di cui, in quella giornata, non aveva ancora avuto l’opportunità di parlare. “Una cosa a dire la verità ci sarebbe...”. Kate cercò di mantenere un contatto con la realtà mordendosi il labbro inferiore e guardandolo intensamente, ma era inutile, i brividi che dal braccio la percorrevano lungo il collo fino alla schiena e al basso ventre, rendevano tutto più difficile. Rick interruppe finalmente quei movimenti circolari, afferrando poi tra le dita una ciocca di capelli. “Li hai tagliati... quando mi sono risvegliato in ospedale e ti ho vista, ho notato subito che avevi tagliato i capelli.” Rimase in silenzio, l’espressione seria e le labbra tirate. Non resistette a lungo, sorrise vedendo anche lei rilassarsi nuovamente. “Non mi hai chiesto un parere prima di farlo”, brontolò scherzosamente, spingendo il labbro inferiore all’infuori in quell’adorabile broncio.
“Non c’eri per interpellarti, ma non temere, non accadrà più.”
“Bene, perché mi piacciono lunghi”, e come a voler confermare quella sua affermazione, vi fece scorrere le dita attraverso. Poi, tenendo la mano dietro la sua nuca, la spinse contro di sé baciandola con fervore, riprendendo finalmente ciò che era stato interrotto.
 
Kate fu la prima ad addormentarsi, nonostante fosse solo pomeriggio. Era crollata tra le sue braccia. Esausta fisicamente, ma soprattutto emotivamente. Rick ne sentiva il dolce respiro cadenzato, sarebbe potuto restare ore ad ascoltarla e guardarla dormire. Mosse un poco il braccio, sfiorandole il fianco nel tentativo di avvicinarla di più a sé. Con un’ultima occhiata studiò per l’ennesima volta il suo corpo nudo, appena visibile attraverso il lenzuolo bianco che le si poggiava morbido sulle curve semplici ed uniche. Le lasciò un bacio sulla tempia vedendola poi fare una piccola smorfia a quel contatto, forse aveva interrotto un sogno...
Puntò gli occhi sul soffitto ed in un sospiro chiuse gli occhi. Aveva bisogno di un po’ di riposo anche lui. Si sentiva sollevato e soddisfatto di quella giornata che si era aperta preannunciando una catastrofe, come un cielo nero preavviso di tempesta.
E la tempesta era arrivata.
Ma una volta dissipate le nuvole quello che era rimasto era meraviglioso, solo che al posto dell’odore delle gocce di pioggia sull’erba, lui poté ispirare quello della pelle calda della donna che ora gli dormiva accanto, al posto del canto degli uccelli, lui aveva sentito Kate scusarsi e aprirsi come in rari momenti aveva fatto.
Si lasciò anche lui andare alla stanchezza, i muscoli affaticati, il corpo spossato, le palpebre pesanti che aveva chiuso già da un po’. Così Morfeo lo portò con sé, e mentre lui dormiva beato, nel suo sonno Kate si agitava.
Nonostante tutto, sentiva che sarebbe stato difficile in certe occasioni dirsi ogni cosa. Sentiva che, presto o tardi, non sarebbe riuscita a dirgli subito la verità, temeva davvero che avrebbe rovinato tutto e sarebbero tornati al punto di partenza e quest’insensata ed irragionevole paura non l’avrebbe mai abbandonata.
 
 
 
 


Diletta’s coroner:
 
I nostri fantastici Caskett hanno risolto, stanno bene e direi che hanno recuperato il giorno di relax che sembrava totalmente perduto (anche se mi sa che si sono stancati di più u.u).
Ma siccome si tratta di me, potevo forse farla finire con un happy ending in tutto per tutto? ASSolutamente no... Kate avrà sempre una parte di sé più introversa, chiusa, insomma, da #BeckettBitch (vado fiera di questo hashtag, perdonatemi), è stata così per tanto tempo e le abitudini sono difficili da abbandonare, ma mai dire mai...
Perdonatemi per questa ff "sfogosa" (licenza poetica), ma avevo bisogno che Kate si scusasse e dicesse che la maggior parte della colpa questa volta l'aveva lei!
Ora che l'ho scritta torno nel mio angolino
Baci baci
  
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